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Full text of "Notizie degli scavi di antichità"

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ATTI 


DELLA 


R  ACCADEMIA  DEI  LINCEI 


ANNO    CCCXIII 


1916 


SEDR/IHl     GàTTUsTT-A. 


NOTIZIE  DEGLI  SCAVI  DI  ANTICHITÀ 


VOLUME    XIII. 


ROMA 


TIPOGRAFIA    DELLA    R.    ACCADKMIA    DEI    LINCEI 

PROPRIETÀ     DEL     DOTT.     PIO     BEFANI 

1916 


"PC  500^ 


NOTIZIE   DEGLI   SCAVI 


Anno  1916  —  Fascicolo  1. 


Regione  VI  (UMBRIA). 

I.  BETTONA  —   Tomba  a  camera,  etrusco-romana. 

Bettona  —  antica  Vettona  —  non  figura  che  assai  scarsamente  nella  lettera- 
tura archeologica.  Un  breve  accenno  ne  fa,  nel  volume  del  1884  di  queste  Notizie  ('), 
il  Gamurriui,  ii  quale  insiste  nel  rilevare  il  carattere  etrusco,  non  solo  delle  fortifica- 
zioni, ma  anche  del  materiale  archeologico  sporadicamente  rinvenuto  nell'agro  bet- 
tonese,  e  ora  raccolto  nel  piccolo  museo  municipale  (!),  e  la  particolare  affinità  con 
quello  caratteristico  di  Perugia.  E  infatti,  come  mostreremo  meglio  in  seguito,  Bettona 
apparisce  una  piccola  città  essenzialmente  etrusca. 

Nel  menzionato  scritto  del  Gamurrini  si  fa  parola  di  una  bella  costruzione  in 
blocchi  di  pietra  arenaria  locale,  bene  squadrati  e  ben  commessi,  che  sorge  in  prossi- 
mità di  un  caseggiato  rurale  denominato  Colle  (e  precisamente  in  un  terreno  di  pro- 
prietà del  sig.  Giuseppe  Mari,  a  ridosso  del  pendìo  settentrionale  della  collina,  sulla 
cui  sommità  si  trovano  gli  avanzi  dell'antica  cinta  murata  con  le  mura  medievali  e 
l'odierno  paesetto  di  Bettona),  e  si  appoggia  alla  scarpata  di  una  terrazza  naturale 
sul  fianco  sinistro  (per  chi  salisce)  della  strada  provinciale.  Il  Gamurrini  pensava, 
congetturalmente,  a  un  tempio.  Ma,  in  seguito  alla  sistematica  esplorazione  che, 
tra  l'ottobre  e  il  novembre  del  1913,  è  stata  compiuta  dalla  Direzione  del  Museo 
di  Villa  Giulia,  si  è  potuto  constatare  trattarsi  di  un  bel  sepolcro  con  volta  a  botte, 
costruito  appunto  in  blocchi  di  pietra  arenaria  di  color  grigiastro  (figg.  1-5).  L'edi- 
fizio  è  interamente  formato  di  blocchi   posticci.   Anche   la   parete   di   fondo,   che  si 

(')  Notizie  '-/egli  teavi,  1884,  serie  3»,  voi.  XIII,  pp.  290  e  seg.  Cfr.  G.  Bianconi,  Arte  e 
Storia.  XV,  1896,  pp.  77  e  seg.  Ma  si  vegga  particolarmente  il  voi.  XI  2  del  C.  I.  L.,  a  pag.  742, 
ove  sono  menzionate  le  antiche  fonti  letterarie  su  Bettona. 

(*J  Si  tratta  di  una  modesta  collezione,  molto  svariata.  Accanto  al  materiale  etrusco,  vi  è  pure 
qualche  cosa  di  romano. 


BETTONA 


—    4 


REGIONE    VI. 


appoggia  al  vivo  della  scarpata,    ne  è  tutta  rivestita.    Ciò  si  deve  al  fatto  che  il 
terreno,  privo  di  consistenza,  non  si  prestava  al  taglio  di  camere  sotterranee. 

Presentemente  è  assai  difficile  stabilire  se  la  costruzione,  una  volta  condotta  a 
termine,  sia  stata  interamente  ricoperta  di  terra  in  modo  da  simulare  un  vero  e  proprio 
ipogeo,  oppure  se  sia  stata  lasciata  allo  scoperto.  Lo  spessore  dei  muri  laterali,  di 


Fio.  1. 


gran  lunga  maggiore  di  quello  del  muro  di  fondo,  e  la  loro  finitezza  anche  all'esterno 
(per  quanto  ci  è  dato  di  giudicare  dalle  parti  visibili)  farebbero  propendere  per  la 
seconda  ipotesi;  ma  non  tanto  la  presenza  del  dromos  di  accesso,  analogo  a  quello 
consueto  negli  ipogei,  quanto  il  maggior  spessore  dei  muri  laterali,  che  si  spiega 
considerando  che  forse  erano  destinati  a  sostenere  la  pressione  di  una  notevole  quan- 
tità di  terra  di  riporto  (pressione  che  non  poteva  farsi  sentire  sulla  parete  di  fondo 
appoggiata  al  taglio  di  un  terreno  già  bene  assodato),  farebbe  propendere  per  la  prima 
ipotesi  (*).  Ma  la  cosa  più  probabile  è  che  si  abbia  da  pensare  a  un  compromesso,  che 
cioè  l'edilizio  si  presentasse  in  parte  sotterrato  e  in  parte  visibile. 


(*)  Non  è  una  novità  il  fatto  di  tombe  intere  o  di  facciate    di   tombe,  anche    accuratamente 


RKQIONB    VI. 


—  5  — 


BBTTONA 


Quanto  fosse  lungo  il  dromos  nel  suo  tratto  anteriore,  non  è  possibile  di  determi- 
nare. Il  breve  tratto  che  precede  immediatamente  la  porta,  largo  m.  1,57,  presenta 
un  brusco  dislivello  rispetto  al  tratto  anteriore,  tanto  che  vi  si  discende  per  due 
gradini,  larghi  ciascuno  m.  0,37;  ed  è  ancora  rivestito  di  blocchi  di  pietra.  La  sua 
lunghezza  complessiva  (gradini   compresi)  è  di  m.  2,35.  La  larghezza  non  si  man- 


Fio.  2. 


tiene  sempre  eguale;  infatti,  in  prossimità  della  porta,  e  cioè  per  una  lunghezza  di 
m.  0,66,  le  pareti  si  restringono  formando  dei  risalti  di  m.  0,21  ciascuno,  i  quali, 
a  guisa  di  sguinci,  erano  destinati  a  sorreggere  una  specie  di  architrave  esterno  a 
riparo  delle  imposte  della  porta,  aprentisi  precisamente  verso  l'esterno.  Sul  suolo, 
nel  punto  centrale  di  quest'ultima  parte  del  dromos.  si  osserva  un  piccolo  buco,  che 
immette  in  una  fogna  con  fossa  di  scarico,  praticata  sotto  i  lastroni  della  soglia  e 


eseguite,  che  siano  state  di  poi  completamente  ricoperte  e  nascoste.  Si  pensi  al  caso  di  sarcofagi 
scolpiti,  completamente  incassati  entro  fosse  che  appena  li  contengono.  Quanto  alle  tombe,  fuori 
dell'Etruria  e  dell'Italia,  è  notevole  la  tomba  di  Langaza  presso  Salonicco,  che  sotto  più  di  un 
aspetto  fa  riscontro  a  quella  di  Bettona  (Th.  Macridy,  Jahrbuch  des  Fnstitats,  XXIX,  pp.  193  e  seg., 
tav.  2-6). 


BBTTONA 


6    — 


REGIONE    VI. 


del  pavimento  del  dromos  stesso,  allo  scopo  di  smaltire  l'acqua  piovana  che  vi  si  rac- 
coglieva e  che  altrimenti  non  avrebbe  trovato  una  via  di  deflusso. 

Il  corpo  principale  della  costruzione  si  presenta  all'esterno  come  un  massiccio 
quasi  perfettamente  quadrato,  misurante,  per  ogni  lato,  circa  9  metri,  con  orientazione 
da  S  SE  a  N-NO  ;  dalla  qual  parte  si  trovano  la  porta  e  il  dromos.  AH'  interno 
non  ritorna  la  stessa  forma.  Il  muro  di  fondo,  come  si  è  detto,  ha  uno  spessore  assai 


Fio.  3. 


più  piccolo  di  quello  dei  muri  laterali:  soltanto  di  m.  0 .60;  ed  è  formato  dalla  sovrapposi- 
zione di  semplici  (ilari  di  blocchi.  Dei  muri  laterali,  quello  più  vicino  alla  strada 
misura  in  spessore  m.  2,35,  l'altro  m.  2,45;  e  sono  entrambi  costruiti  a  sacco: 
blocchi  di  pietra  ben  squadrati  all'esterno  e  sulle  facce  formanti  le  pareti  interne 
della  camera;  informi  rottami  di  pietra  nel  mezzo.  I  brevi  tratti  del  muro  della  fronte, 
compresi  fra  le  testate  dei  muri  laterali  e  l' incontro  dei  muri  del  dromos,  sono  costi- 
tuiti di  blocchi  semplici  come  il  muro  di  fondo.  In  questo  modo  ne  risulta  la  forma 
rettangolare  della  camera:  in.  7,86  di  lunghezza,  m.  4,25  di  larghezza.  La  parete 
di  fondo  e  quella  dell'ingresso  sono  perfettamente  verticali.  Le  pareti  laterali  sono 
egualmente  verticali  nella  zona  più  bassa,  ma  tosto  cominciano  a  incurvarsi  con  la 


REGIONE    VI. 


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BKTTONA 


volta  che,  fatta  di  blocchi  cuneiformi,  descriveva  un  arco  a  pieno  centro.  Presente- 
mente la  volta  è  quasi  del  tutto  crollata,  e  i  conci  che  la  formavano  non  esistono 
più,  perchè  evidentemente  utilizzati  come  materiale  da  costruzione.  La  porta  d' in- 
gresso, che  ha  un'altezza  di  m.  1,80  e  una  larghezza  di  m.  0,89.  è  foggiata  ad  arco, 
pure  a  pieno  centro  come  la  volta  della  camera:  ma  evidentemente  non  si  può  par- 
lare di  vero  e  proprio  arco,  imperocché  è  tagliato  quasi  per  intero  in  un  sol  blocco 


Fio.  4. 


irregolare,  posto  come  un  architrave  sui  due  stipiti,  e  avente  una  lunghezza  di  m.  1,58 
e  un'altezza  massima  di  m.  0,80. 

Il  suolo  della  camera  ha  l'aspetto  di  una  vasca  profilata  a  quattro  gradini,  che, 
a  guisa  di  banchi  digradanti,  corrono  lungo  le  pareti  laterali  e  quella  di  fondo 
Servivano  per  la  deposizione  delle  urne  cinerarie  e  della  suppellettile  funebre.  Alla 
parete  d' ingresso  se  ne  appoggiano  soltanto  due,  i  più  bassi,  sopraelevandosi  la  linea 
degli  altri  due  alla  soglia  della  porta.  In  questo  modo  lo  spazio  centrale,  il  vero 
piano  della  camera,  è  molto  ristretto:  misura  m.  5,65  in  lunghezza  e  solo  m.  0.86 
in  larghezza,  cioè  qualche  centimetro  meno  della  larghezza  della  porta;  e  l'altezza 
della  camera  varia  da  m.  2,90  (dal  piano  del  gradino  più  alto)  a  circa  m.  3,95  (dal 
piano  interno).  E  diciamo  «  circa  ■  in  quanto  che  questo  piano  interno  non  è  perfetta- 
mente orizzontale,  ma  leggermente   inclinato  verso  l'ingresso;  e  ciò  per  dare  agio 


BETTONA 


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REGIONE   Vi. 


all'acqua,  che  eventualmente  si  fosse  infiltrata  nella  camera,  di  scorrere  tutta  verso 
quella  parte.  A  pie'  del  gradino  è  praticato  un  foro  di  deflusso  che,  per  un  apposito 
canaletto,  comunica  con  la  su  menzionata  fogna  sotto  la  soglia.  Assai  varia  è  poi 
l'ampiezza  dei  gradini  e  non  distribuita  con  rigorosa  simmetria  (1).  La  chiusura  della 


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SEZIONfc-   PL*N!METIU< 


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-HETTONA— 

FRAZIONE   COU-E. 

IPOGEO 
ETRVSCO  ROMANO     , 
•.COTESTO  NtL    MCMXH1 


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Fio.  5. 


porta  era  formata  da  due  imposte  battentate,  collocate,  come  abbiamo  già  accennato, 

(')  Il  più  basso:  m.  0,31  al  lato  dell'ingresso  e  m.  0,34  al  lato  opposto,  m.  0,41  ai  fianchi; 
il  successivo  (al  livello  della  soglia)  rispettivamente:  m.  0,30  e  m.  0,87,  m.  0,41  •/•  (dalla  parte 
della  strada)  e  m.  0,42;  il  terzo:  m.  0,43  alla  parete  di  fondo,  ai  fianchi,  rispettivamente,  m.  41  '/• 
(dalla   parte  della   strada)  e  m.  0,43;  il  più  alto,  rispettivamente,   m.  0,43,  m.  0,41  '/i  e  m.  0,47. 


RRGIONK    VI. 


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6ETT0NÀ 


all'esterno,  fra  i  due  risalti  del  dromos,  e  protette  superiormente  da  quella  specie 
di  architrave  poggiante  sopra  i  risalti  suddetti.  Le  imposte  erano  di  travertino  (se 
ne  conservano  due  grossi  pezzi,  appartenenti  rispettivamente  a  ciascuna  di  esse)  e 
giravano  su  bilici  di  bronzo.  Di  questi  bilici,  uno  si  conserva  al  completo,  l'altro 
in  parte  (tìg.  6.  Nella  figura  V  imposta  è  capovolta). 


È  probabile  che,  quando  eia  intatta,  la  tomba  di  Bettona  fosse  molto  ricca  di 
suppellettile,  in  ispecie  di  oggetti  preziosi.  Le  condizioni  in  cui  furono  trovati  così 


Fig.  6. 


il  monumento  (con  la  vòlta  crollata  e  dispersi  i  cunei  cho  la  formavano)  come  il 
materiale  che  ancora  vi  si  conteneva,  dimostrano  che  la  recente  esplorazione  è  avve- 
nuta quando  la  tomba  era  già  stata  violata  e  manomessa.  Ove  perciò  si  consideri 
che  gli  oggetti  di  valore  che  ancora  vi  si  trovavano  —  particolarmente  notevoli  quelli 
in  oro  —  con  ogni  probabilità  non  rappresentano  che  un  modesto  rimasuglio  sfuggito  al- 
l'attenzione dei  primi  esploratori,  è  lecito  di  supporre  che  la  parte  trafugata  fosse  effet- 
tivamente ragguardevole,  probabilmente  assai  più  ragguardevole  di  quella  rimasta  sul 
posto.  11  materiale  che  si  è  potuto  ricuperare  è  vario:  urne  cinerarie,  anzi  tutto,  in 
pietra  di  Assisi  e  in  pietra  locale,  di  cui  tre  (propriamente  tre  coperchi)  con  iscri- 
zioni; e  poi  avanzi  di  oggetti  di  uso,  in  ferro,  in  bronzo,  in  piombo,  in  osso,  in  vetro; 
Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  2 


BETTONA 


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REGIONE    VI. 


oggetti  di  ornamento  e  ohticerie;  poche  monete  di  bronzo;  due  epigrafi  isolate  (una 
punteggiata,  in  lamina  di  bronzo;  l'altra  incisa  in  una  lastra  di  pietra  di  Assisi).  Di 
alcuni  pochi  frammenti  fìttili,  ordinarissimi  (pezzi  di  tegole,  frammenti  di  rozzi  vasi 
romani,  qualcuno  di  ceramica  etrusco-campana  a  vernice  nera,  rinvenuti  non  entro  la 
camera,  ma  nello  sterro  del  dromos),  non  è  il  caso  di  tener  conto. 

L'arte  delle  urne  cinerarie  non  è  punto  corrispondente  alla  bellezza  della  tomba  (non 
sappiamo  se  altre  più  belle  siano  state  trafugate):  alcune  sono  ornate  di  sculture; 
altre  semplici,  senza  alcun  ornamento  Presentemente  sono  tutte  scomposte  e  fram- 
mentate; così  che  abbiamo  da  fare  con  dei  pezzi  sporadici  :  urne  senza  coperchi  (tal- 


Fio  7. 


volta  ridotte  al  solo  fondo,  di  grande  spessore)  e  coperchi  e  frammenti  di  coperchi 
senza  le  urne.  E,  oltre  che  frammentate,  sono  straordinariamente  logore.  Ci  limitiamo 
a  menzionare  gli  esempì  meno  trascurabili. 

1.  Urna  frammentata,  con  rappresentazione  di  un  cavaliere  di  profilo  a  sinistra. 
Arte  rozza.  Lungh.  m.  0,82  (fig.  7). 

2.  Urna  frammentata,  con  nascimento  floreale  sulla  fronte.  Lungh.  m.  0,55. 

3.  Urna  frammentata,  molto  logora,  con  un  grande  fiore  sulla  fronte,  fiancheggiato 
da  due  anfore.  Lungh.  m.  0,82. 

4.  Coperchio  di  urna,  logoro.  Figura  maschile  recumbente  a  sinistra  con  patera 
nella  destra.  Attrezzi  vari  di  difficile  identificazione,  sul  piano  del  letto,  dietro  la 
figura.  Arte  molto  rozza.  Lungh.  m.  0,52  (fig.  8). 


REGIONE    VI. 


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BETTONA 


5.  Coperchio  di  urna,  logoro.  Figura  panneggiata,  semisdraiata   a    sinistra.  Sul 
margino  frontale,  iscrizione  latina,  corrosa  e  di  non  chiara  lettura;  la  più  attendibile 


Fio   8. 


Fra.  9. 
sembra  la  seguente  : 

PERENNA  OF-FL AMI Nl[a]o[>a] 
Lungh.  m.  0,54  (tig.  9). 

6.  Coperchio  di  urna  logoro.  Figura  recumbente  con  le  gambe  piegate  alle  gi- 
nocchia, la  testa  appoggiata  alla  mano  sinistra  (che  vi  è  rimasta  attaccata,  mentre 
il  braccio  è  scomparso),  e  una  patera  nella  destra.  Lungh.  m.  0.59. 


HKTTONA 


—  12  — 


REGIONE    VI. 


7.  Coperchio  di  urna,  logoro.  Figura  acefala,  nell'atteggiamento  della  precedente; 
patera  nella  mano  destra.  Sul  margine  frontale,  iscrizione  illeggibile.  Lungh.  in.  0,47. 

8.  Coperchio  di  urna  logoro.  Figura  acefala  recumbente,  con  patera  nella  destra. 
Lungh.  ni.  0,55. 


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Fio.  10. 


9.  Testa  maschile  pertinente   a   coperchio  di   urna.  È  molto  logora;  ma  lascia 
supporre  che  l'urna,  della  quale  faceva  parte,  fosse  di  fattura  un  po'  meno  dozzinale! 
delle  altre.  Alt.  m.  0,15. 


Fio.  11. 


10.  Coperchio  di  urna  a  doppio  spiovente,  con  testa  gorgonica  fra  due  fiori  sul 
frontoncino.  Lungh.  m.  0,55  (tìg.  10). 

11.  Parte  anteriore  di  coperchio  di  urna,  a  doppio  spiovente,  con  testa  umana, 
di  prospetto,  fra  due  ramoscelli  fioriti.  Lungh.  m.  0,47  (tìg.  11). 

12.  Coperchio  di  urna  a  doppio  spiovente,  con  testa  umana  di  prospetto,  fra  due 
ornati  a  duplice  voluta.  Lungh.  iu.  0,55  (tìg.  12). 


REGIONE    VI. 


—  13  — 


BETTONA 


13.  Coperchio  di  urna  a  doppio  spiovente,  con  il  frontone  a  foggia  di  due  pelte 
disposte  a  puntoni,  con  le  centinature  sporgenti  e  due  volute  agli  angoli  esterni  for- 
manti acroterii  Figura  a  forma  di  cuspide  di  lancia  nel  mezzo  del  timpano.  Sull'orlo 
frontale  inferiore,  la  seguente  iscrizione  etnisca:  V<Mq3:3oMfìl'1v'<l\0.  Lungh. 
m.  0,61  (fig.  13). 


Fig.  12. 


14.  Coperchio  di  urna  a  doppio  spiovente  con  due  pelte.  simili  alle  precedenti 
sul  frontone,  ma  completamente  comprese  'entro  le  linee  del  frontone  medesimo. 
Lungh.  m.  0,59. 


Fio.  13. 


15.  Coperchio  quasi  simile  al  precedente.  Lungh.  m.  0,61. 

Non  è  il  caso  di  far  menzione  particolare  delle  urne  e  dei  frammenti  senza  or- 
nati, assolutamente  insignificanti.  Una  sola  di  queste  urne  forse  vale  la  pena  di  ri- 
cordare, per  la  sua  forma  singolare,  avendo  una  lunghezza  di  m.  0,59,  una  altezza 
di  m.  0,38  e  una  larghezza  di  m.  0,18  soltanto. 

Le  urne  scolpite  trovano  le  loro  analogie  in  quelle  note  e  caratteristiche  prove- 
nienti dai  dintorni  di  Perugia  (');  e  questo  fatto  è  una  nuova  conferma   all'osserva- 

(')  Su  quelle  a  composizioni  figurate  a  rilievo  avremo  occasione  di  tornare  in  seguito;  per  i 
coperchi  con  duo  pelte  contrapposte  nei  frontoncini,  cfr.  (i.  Conestabile,  Monumenti  di  Perugia, 
tav.  XVIJ,  1  ;  XIX,  1  ;  LXV1,  2. 


BETTONA 


14 


REGIONE    VI. 


zione,  già  fatta  dal  Gamurrini,  circa  l'affinità  di  carattere  dei  monumenti  bettonesi 
con  quelli  di  quell'importante  centro  etrusco. 

Gli  oggetti  di  uso  sono  ridotti  in  condizioni  assai  più  che  miserevoli.  Dei  rot- 
tami di  ferro,  fortemente  ossidati  e  logori,  alcuni  sembra  facessero  parte  di  un  uni- 
bone;  tra  gli  altri  si  riconosce  qualche  avanzo  di  grosso  chiodo  e  qualche  grappa. 
Per  la  maggior  parte  sono  irriconoscibili.  Tra  gli  oggetti  di  bronzo  si  riscontra  un  paio 
di  specchi,  affatto  lisci  e  ridotti  in  frantumi;  un  paio  di  piattelli,  di  cui  uno  forse 
non  era  che  una  piccola  patella,  con  manico  frantumato;  pochi  frammenti  di  un  le- 
bete;  una  cerniera  probabilmente  di  scrigno;  un  anello  a  nastro;  una  targhetta  sago- 
mata, molto  robusta;  frammenti  di  vasellino  in  lamina  sottile;  due  piccole  anse  ad 
arco,  sfaccettate;  due  frammenti  di  armilla  a  corda;  una  piccola  piastra  rettango- 
lare, liscia,  frammentata  ;  alcuni  chiodi,  di  cui  due  lunghissimi  (di  oltre  m.  0,25). 


Fio.  14. 


Pio.  15. 


Irriconoscibili  gli  avanzi  di  piombo  ;  di  osso  non  si  nota  che  un  ago  crinale,  deco- 
rato di  incisioni,  frammentato,  e  il  frammento  di  un  altro.  Di  una  bella  coppa  di 
vetro  verdognolo,  orlata  di  un  fregio  a  scorniciature  e  a  dentellature  praticate  all'in- 
terno, con  vari  frammenti  si  è  potuta  ricomporre  una  parte  notevole;  misura  mm.  172 
di  diametro  e  mm.  95  di  altezza. 

In  genere,  meglio  conservati  ed  anche  più  importanti  sono  gli  oggetti  di  orna- 
mento e  di  oreficeria. 

1.  Braccialetto  di  pasta  vitrea,  di  color  ambra  molto  scura.  La  superficie  è  for- 
mata da  tre  bastoncelli  toriformi  (il  mediano  assai  più  grande  degli  altri  due)  ad- 
dossati a  un  nastro.  Su  ciascuno  dei  suddetti  tori  è  sovrapposta  una  decorazione  in 
rilievo  a  zig-zag,  ora  in  parte  distaccata,  gialla  nel  mediano,  bianca  nei  due  laterali. 
Diam.  mm.  107  ;  largii,  mm.  33.  Rotto  e  ricomposto  con  qualche  lacuna  e  qualche 
scheggiatura  (fig.  14). 

2.  Braccialetto  di  pasta  vitrea,  molto  trasparente;  color  leggermente  verdognolo, 
con  lumeggiature  sovrapposte  giallognole  applicate  dalla  parte  interna.  Esternamente 
presenta  tre  listelli  toriformi,  aggettanti  da  una  fascetta;  quello  di  mezzo,  più  grande, 
suddiviso  con  incavi  obliqui  che  danno  ai  singoli  segmenti  l'aspetto  di  altrettante 
losanghe  Diam.  mm.  85;  largh.  mm.  24  (fig.  15). 


REGIONE    VI. 


15 


BETTONA 


3.  Un  paio  di  orecchini  con  teste  di  moro  in  ambra  (fig.  16,  16  a)  chiuse  in 
un'armatura  che  si  compone  dei  seguenti  elementi  :  Una  specie  di  cuffia  d'oro  fog- 
giata nella  tecnica  a  granulazione  irregolare  che  si  accosta  al  pulviscolo  ('),  orlata  di 
filettatura  a  corda,  riveste  quasi  tutta  la  testa  con  la  nuca,  formando  dei  lobi  che 
discendono  sulla  fronte,  sulle  tempie  e,  girando  attorno  agli  orecchi,  si  stendono  fin 
sulle  guance.  Sull'alto  della  testa  poggia  come  un  berrettino  a  foggia  di  basso  cono 
tronco,  con  margini  superiore  e  inferiore  orlati  di  filo  a  corda,  suddiviso,  per  mezzo 
di  filettature  consimili,  in  tre  scomparti  rivestiti  di  smalto  azzurro.  In  uno  degli 
orecchini  questo  berrettino  è  ben  conservato;  nell'altro,  gran  parte  dello  smalto  con  i 
listelli  divisori  è  scomparsa.  Sulla  sommità  del  berrettino  è  attaccato  un  anelletto,  al 
quale  si  aggancia  la  borchietta  quasi  sferica  del  grosso  uncino  a  tortiglione,  che  nel 


Fio.  16. 


Fig.  16  a. 


contempo  forma  il  gambo  di  una  coppetta,  ornata  di  baccellature  a  filigrana,  nella 
quale  è  inserito  il  collo  del  moro.  Ma  all'orlo  liscio  della  coppetta  si  attacca  una 
particolare  sporgenza  orlata  di  sottile  filo  a  pallottoline  o  piuttosto  filettatura  a 
segmenti,  che  dalla  parte  anteriore,  sotto  il  mento,  si  sviluppa  a  labbro  di  brocca. 
L'ambra  delle  teste  nei  due  orecchini  non  è  uguale:  in  uno  è  piuttosto  rossiccia, 
nell'altro  brunastra.  Altezza  mm.  22  (circa). 

4.  Un  paio  di  orecchini  consistenti  in  un  mezzo  disco  a  zone  concentriche  (fig.  17), 
con  il  taglio  in  alto  e  formato  da  un  castone  di  pietra  rossa  (granato),  nel  mezzo,  trat- 
tenuto da  foglioline  ripiegate  e  circondato,  lungo  l'orlo  arcuato,  successivamente  dal- 
l'interno  all'esterno:  da  un  filo  liscio,  da  una  treccia  a  filigrana,  da  una  coppia  di 
fili  lisci,  da  una  grossa  filettatura  a  segmenti  e,  infine,  da  una  frangia  a  triangoletti 
granulati.  Sul  margine  superiore  del  mezzo  disco  è  attaccato  un  dischetto  minore 
contenente  un'altra  pietra,  ora  mancante,  fiancheggiata  da  due  volute,  che  sono  for- 
mate da  un  filettino  liscio  fiancheggiato  da  due  cordoncini  granulati.  Quello  della 
parte  superiore  gira  sopra  un  dischetto.  Al  margine  inferiore  del  mezzo  disco  è 
sospesa  un'anforetta  dai  manichi  a  volute,    formati   da  sottili    fascettine.    È   adorna, 


(')  Sulla  tecnica  del  pulviscolo  veggasi    particolarmente   G.  Karo,   Studi  k  Materiali   di  Ar- 
cheologia e  Numismatica,  I,  pag.  277  e  segg. 


BKTTONA 


—    16 


REGIONE    VI. 


alla  spalla,  all'orlo  della  bocca,  al  fusto  del  piede,  di  cordoncini  granulati;  sulla 
pancia,  di  due  filari  di  fiorellini  pure  granulati  ;  un  altro  fiorellino  simile  si  trova 
sul  collo  (in  uno  degli  orecchini  ora  manca)  ;  un  altro  grappoletto  di  granuli, 
di  Torma  triangolare,  è  applicato  sul  corpo  dell'anfora,  presso  l'attaccatura  del 
piede  (nello  stesso  orecchino,  di  cui  sopra,  manca).  Le  anforette  hanno  la  base  del 
piede  quadrangolare.  In  ciascun  orecchino  l'anforetta  è  fiancheggiata  da  due  paia 
di  catenelle,  sospese  anch'esse  al  margine  del  mezzo  disco.  Le  due  interne  sono  a  treccia 
e  portano  ai  capi,  in  un  orecchino,  grappoletti  di  globuli,  nell'altro  cilindretti  segmen- 


Fig.  17. 


Fio.  18. 


tati,  a  cui  fa  sèguito  una  serie  di  quattro  globuli  di  grandezza  decrescente  dal- 
l'alto in  basso.  Le  catenelle  esterne  sono  di  diversa  foggia  e  consistono  in  una  serie 
di  cilindretti  con  gola,  riuniti  per  mezzo  di  doppi  tilettini  passanti  attraverso  i  cilin- 
dretti e  concatenantisi  tra  di  loro.  Ai  capi  terminano  con  dei  fiocchetti.  Nell'orecchino 
coi  grappoletti  la  catenella  di  destra  manca.  Alt.  inni,  36  (circa,  senza  gli  anelli  da 
infilarsi  negli  orecchi). 

5.  Orecchino  scompagnato,  consistente  in  un  disco  a  margine  convesso,  al  quale 
è  attaccato  un  pendaglietto  in  pasta  opaca  legato  in  oro  (fig.  18).  Il  disco  ha  in  mezzo 
un  fiore  a  sette  petali,  chiuso  entro  un  cerchietto  a  cordoncino  segmentato;  i  petali 
sono  formati  di  piccole  laminette  d'oro  orlate  di  filigrana.  Il  granello  di  pasta  opaca 
del  pendaglio  ha  forma  quasi  conica,  con  la  base  in  alto,  ed  è  incastonato  da  questa  parte 
in  una  specie  di  concolina  che  all'orlo  è  ornata  di  triangoletti  granulati  e,  dalla  parte 


REGIONE    VI. 


17 


BETTONA 


opposta,  di  una  corona  costituita  da  un  cordoncino  segmentato  a  cui  si  sovrappone 
una  serie  di  minuscoli  merli  formati  da  due  globnletti  sovrapposti,  di  diversa  gran- 
dezza. La  punta  del  cono  è  inserita  in  un  linimento  a  due  coppette  baccellate  contrap- 
poste, orlate  di  filigrana,  con  il  picciuolo  di  congiunzione  stretto  da  un  anelletto  a 
duplice  cordoncino  segmentato.  Alt.  mm.  38. 

6.  Orecchino  scompagnato,  consistente  in  un  globetto  di  pietra  calcare  chiuso 
fra  due  concoline  baccellate,  in  filigrana:  quella  di  sopra  sormontata  da  una  pietra 
rossa  (granato)  a  foglia  di  edera  con  la  punta  in  alto,  legata  in  una  fascetta  di  oro 
che  ne  segue  la  linea  ed  è  ornata  esternamente  da  un  cordoncino  granulato;  quella 
inferiore  seguita  da  un  linimento,  costituito  da  un  cordone  a  segmento  fra  due  filet- 


to. 20. 


Fio.  19. 


Fig.  21. 


tini  lisci  e,  successivamente,  da  tre  globuli  decrescenti,   dei   quali   l'ultimo   appena 
percettibile.  Alt.  mm.  30  (fig.  19). 

7.  Parte  superiore  di  orecchino,  consistente  in  un  globetto  di  pasta  vitrea  chiuso 
fra  due  concoline  orlate  di  sottilissimi  cordoncini  segmentati  :  alla  superiore  è  sovrap- 
posto una  specie  di  cuscinetto  d'oro  a  forma  di  mezzaluna,  chiuso  in  fascetta  che  ha 
il  margine  anter.ore  dentato.  Alla  concolina  opposta  se  ne  attacca  dal  dorso  un'altra, 
più  piccola  baccellata,  che  copre  l'anelletto  a  cui  si  agganciava  la  parte  inferiore 
dell'orecchino.  Alt.  mm.  22. 

8.  Orecchino  scompagnato  a  testa  di  toro,  formata  da  laminetta  battuta.  Le 
corna  sono  ammaccate.  Lungh    mm.  19  (fig.  20). 

9.  Due  paia  di  orecchini  consistenti  in  semplici  fili  di  oro  agganciati.  Diam., 
rispettivamente,  mm.  12  (circa)  e  mm.  10  (circa). 

10.  Orecchino  scompagnato,  dello  stesso  tipo,  assai  più  piccolo.  Diam.  mm.  8. 

11.  Frammento,  forse  di  pendaglio.  La  parte  che  rimane  comprende  due  anfore 
la  cui  pancia  è  formata  da  un  granello  di  pasta  vitrea  (uno  è  mancante),  e  che  sono 
impostate,  luna  a  fianco  dell'altra,  sopra  una  basetta  rettangolare.  Alt.  mm.  18  (fig.  21). 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  3 


BETTONA 


18   — 


REGIONE    Vi. 


12.  Anello  d'oro,  con  piccolo  cammeo,  rappresentante  una  testa  virile,  imberbe, 
coronata  di  alloro,  di  profilo  a  sinistra  (fig.  22).  La  testa  ricavata,  come  di  consueto, 
dallo  strato  bianco,  sul  fondo  bruno  dello  strato  inferiore,  è  abbastanza  linamente 
lavorata.  Per  altro,  qualche  particolare  non  è  ben  reso,  come  la  bocca.  Alla  corona 
di  alloro,  ricavata  dallo  strato  superiore  giallognolo,  è  legato  un  nastro  svolazzante 
dietro  la  nuca.  Alt.  mm.  23  (dell'anello)  e  mm.  16  (del  cammeo). 


Fio.  23. 


Fio.  22. 


Fio.  23  a 


13.  Grosso  anello  di  oro,  con  castone  di  corniola  a  superficie  convessa,  avente 
incisa  una  figura  di  caprone  di  profilo  a  sinistra.  Alt.  dell'anello,  mm.  26;  diam. 
maggiore  della  corniola,  mm.  16  (fig.  23,  23  a). 


Fio.  24. 


Fio.  26. 


Fio.  25. 


14.  Anello  d'oro  con  castone  di  ametista  a  superficie  convessa,  semplice.  Alt.  del 
l'anello  mm.  22;  e  lungh.  del  castone  mm.  14. 

15.  Anello  d'oro,  mancante  di  castone.  Alt.  mm.  25  (fig.  24). 

16.  Altro  anello  d'oro,   più  piccolo,   pure   mancante   di   castone.   Alt.  mm.  20. 
(fig.  25). 

17.  Piccolo    anello    d'oro,    adorno  di    due    protuberanze  a  forma  di  otto.  Alt. 
mm.  27  (fig.  26). 

18.  Piccolo  anello  d'oro  che  al  posto  del  castone  presenta  un  leggiero  rigonfia- 
mento. Alt.  mm.  15. 


REGIONE    VI. 


—  19  — 


BKTTONA 


19.  Anello  di  ferro,  frammentato,  con  castone  di  pasta  vitrea,  verdognola,  di 
forma  ovale  e  superficie  convessa,  sulla  quale  è  incisa  la  figura  di  un  insetto  di  pro- 
filo con  le  ali  sollevate.  Lungh.  mm.  18;  diam.  maggiore  della  pasta  vitrea  mm.  11 
(fig.  27). 

20.  Castone  di  anello  in  sardonice,  di  forma  irregolarmente  ovale.  Vi  è  incisa, 
di  profilo  a  sinistra,  la  figura  di  un  giovane  ignudo,  piegato  in  avanti.  Alt.  mm.  10. 
(fig-  28). 

21.  Castone  di  anello,  in  corniola,  di  forma  ovale,  a  superficie  piatta,  con  incisa, 
di  prospetto,  una  mosca.  Diam.  maggiore  mm.  11  (fig.  29). 


* 


Fig.  28 


Fio.  27. 


Fig.  29. 


22.  Ferma-anelli  a  meandro,  d'oro.  Diam.  mm.  19. 

23.  Placehetta  circolare  di  oro,  con  stella  sbalzata  a  otto  raggi  e  disco  nel  mezzo. 
Diam.  mm.  15  (fig.  30). 


Fio.  30. 


Fio.  32. 


24.  Fogliolina  d'oro  a  cinque  lobi  con  nervature  a  puntini  sbalzati.  Lungh. 
mm.   14  (fig.  31). 

25.  Altra  simile,  con  gambo.   Lungh.  mm.  23. 

26.  Filo  d'oro  ripiegato  e  contorto.  Lungh.  mm.  38. 

27.  Piccolo  amuleto  d'oro,  contenente  la  rappresentanza  degli  organi  genitali, 
legato  a  un  anelletto  a  fascia.  Alt.  mm.  11   (fig.  32). 

Non  teniamo  conto  di  pochi  altri  frammentini  insignificanti. 

Delie  monete  —  in  tutto  dodici  e  tutte  di  bronzo  —  una,  assai  piccola,  è  asso- 
lutamente irriconoscibile;  le  altre  sono  più  o  meno  logore.  Solo  un  sestante  campano,  di 
Calatia,  si  lascia  identificare;  per  le  rimanenti,  tutte  romane  della  Repubblica,  dato 
io  stato  di  corrosione,  altro  non   rimane  che   di  valersi  del   peso  per  determinarne 


BBTTONA  —    20    —  REGIONE   VI. 

approssimativamente  la  data.  Eccone  l'elenco  complessivo,  toltone  il  menzionato  esem- 
plare irriconoscibile: 

1.  Sestante  di  Calatia.  \S  Testa  di  Zeus  a  destra;  dietro,  due  stellette.  1)  Selene 
su  biga  a  destra  e  leggenda:  ITAJA»  .  Ann.  250  211  av.  Cr.  ('). 

2.  Oncia  semilibrale,  di  gr.  23,60.  Anni  di  coniaz.  280-268  av.  Cr. 

3.  Asse  della  riduzione  sestantaria,  di  gr.  31  80.  Ann.  268-217  av.  Cr. 

4.  Quadrante  della  riduzione  sestantaria,  di  gr.  8,80.  Ann.  2<)8-217  av.  Cr. 

5.  Asse  della  riduzione  onciale,  di  gr.  28,70.  Ann.  217-150  av.  Cr. 

6.  Asse  id.,  di  gr.  21,80.  Ann.  217-150  av.  Cr. 

7.  Asse  id..  di  gr.  21,10.     »  »  » 

8.  Asse  id.,  di  gr.  19,80.     »  »  » 

9.  Asse  id..  di  gr.  17,40.     »  «  • 

10.  Asse  id.,  di  gr.  15,90.     »  »  » 

11.  Quadrante  id.,  di  gr.  8,70.  Ann.  217-150  av.  C. 

Finalmente  vanno  ricordate  le  due  iscrizioni,  oltre  a  quelle  sui  coperchi  delle 
urne.  Una  è,  come  si  è  detto,  a  lettere  punteggiate  in  lamina  di  bronzo,  molto  fram- 
mentata, a  contorno  informe,  avente  una  lunghezza  massima  di  min.  250  e  una  ai- 
altezza  massima  di  mm.  140  (tig.  33).  Vi  si  legge  ancora: 


Fio.  33. 

volsius'.  P.'f.'X \vian.\. 

L'altra  è  incisa  su  di  una  lastra  rettangolare,  anzi  leggermente  trapezoidale,  di 
pietra  di  Assisi,  misurante  rispettivamente  mm.  380  e  360  X  mm.  250  ;  e  dice 

SEX- VALERIVS    SEX-- 

F-     CLV-    PROCVLVS 

PR-  ETRVRIAE 

VI-   VIR 

* 

La  tomba  di  Bettona  è  di  un  tipo  non  molto  comune  in  Etruria;  ma  sono  assai 
noti  i  pochi  esempì  analoghi,  che  si  riferiscono  a  epoche  diverse:  la  così  detta  tomba, 
{')  Cfr,  Head,  ffistoria  numorum,  Oxford,  1911,  pag.  SI. 


REGIONE   VI.  —    21    —  BETTONA 

o  tonella,  o  grotta  di  Pitagora  a  Cortona  (')  ;  il  così  detto  «  deposito  del  gran  duca  ■ 
presso  Chiusi  (*)  ;  il  così  detto  «  Tempio  di  S.  Manno  »  presso  Perugia  (3).  Carat- 
teristica tutta  propria  della  nostra  è  la  molteplicità  dei  banchi  disposti  lungo  le  pa- 
reti per  la  deposizione  delle  urne,  mentre  si  riscontra  un  unico  banco  nella  menzio- 
nata tomba  del  granduca  a  Chiusi.  Ma  lo  stesso  sistema  si  ritrova  in  tombe  a 
camera  etnische  tagliate  nella  roccia;  si  pensi  alla  tomba  tarquiniense  del  Tifone  (4). 
Naturalmente,  come  sempre  avviene  ogni  qualvolta  ci  si  ritrova  davanti  a  una 
costruzione  etnisca  o  romana  ad  arco  incuneato,  non  può  non  riaffacciarsi  anche  in  questo 
caso  la  vecchia  questione  circa  l'origine  di  questo  genere  di  costruzione  presso  gli 
Etruschi.  Ma  qui  non  possiamo  che  limitarci  a  brevi  osservazioni.  È  fuori  di  dubbio 
che  entro  i  confluì  della  stessa  Btruria  troviamo  esempi  delle  varie  fasi  di  sviluppo 
della  volta:  della  fase  embrionale,  della  fase  intermedia  e  della  fase  evoluta.  La 
tomba  di  Cortona,  sia  pure  alla  sola  apparenza,  rappresenta  già  una  forma  abbastanza 
progredita.  Si  sa  bene  come  la  forma  embrionale  si  debba  riconoscere  in  monumenti 
più  antichi:  per  esempio,  nella  porta  della  tomba  Campana  a  Veio  (5);  in  due  tombe 
presso  Orvieto  (8).  Per  quanto  anche  in  queste  opere  predomini  il  sistema  che  i  Fran- 
cesi chiamano  à  encorbellement,  il  blocco  superiore  centrale,  che  chiude  l'arco  e  si 
incastra  fra  i  due  contigui  laterali,  costituisce  una  vera  chiave  di  volta.  Ora  qui  sta 
il  primo  nòcciolo  della  questione.  La  forma  embrionale  è  nata  spontaneamente  in 
Etruria,  o  è  stata  importata  dal  di  fuori?  Non  si  può  escludere  che,  anche  in  questa 
forma  embrionale,  gli  Etruschi  l'abbiano  importata  dall'Oriente,  al  pari  di  tante  altre 
forme  artistiche.  Ma  bisogna  distinguere  fra  Oriente  e  Oriente.  Quando  a  Veio  e  a 
Orvieto  si  costruivano  le  tombe  di  cui  abbiamo  fatto  parola,  già  da  parecchio  tempo  in 
Oriente  —  in  Egitto  (7)  e  soprattutto  nelle  regioni  mesopotamiche  (*)  — ,  la  volta  aveva 
raggiunto  un  alto  grado  di  perfezione.  Ora  ci  sembra  assai  difficile  ammettere  che  nelle 

(')  Ag.  Castellani,  Bull,  dell' Instituto,  1834,  pag.  197  e  seg.  ;  W.  Abeken,  Ann.  dell'  Intt., 
1841,  pag.  39  e  segg.  ;  Dennis,  Cities  and  cemeteries  of  Etruria,  IP  1883,  pag.  406  e  segg.  ; 
Martha,  L'Art  étrusqufi,  pag.  149;  J.  Durm,  Die  Baukunst  der  Etrusker  etc,  (2a  ed.),  pag.  51, 
fig.  50.  Questa  della  tomba  di  Pitagora  non  è,  come  è  noto,  una  vera  volta,  in  quanto  che  i  cunei, 
oltre  che  sostenersi  l'un  l'altro,  riposano  c«n  una  estremità  su  di  un  blocco  tagliato  a  semicerchio. 
Una  vera  vòlta  trovasi  nolla  tomba  esistente  presso  il  palazzo  Cecchetti,  pure  a  Cortona  (Dennis, 
op.  cit.,  pag.  400  ;  Martha,  op,  cit ,  pag.  149). 

(*)  Dennis,  op.  cit.,  IP,  pag.  338  e  seg.  ;  Durm,  Bauk.  der  Etr.,  pag  51  e  fig.  52  a  pag.  32. 
Un'altra  tomba,  pure  di  Chiusi,  che,  pure  essendo  di  diversa  forma  e  struttura,  offre  un  identico 
esempio,  è  quella  del  Colle  Casuccini  (Dennis,  op.  cit.,  pag.  321  e  segg.). 

(*)  Conestabile,  Monum.  di  Perugia,  tav.  XXX  ;  Dennis,  op.  cit.,  II3,  pag.  450  e  seg.  ;  Durm, 
Bauk.  der  Etr.,  pag.  51  e  seg.,  fig.  52  a  pag.  53. 

(4)  Mon.  dell' Inst.,  II,  tav.  3-5;  Ann.  d.  Tnst.,  1834,  pag.  153  e  segg.;  Dennis,  op.  cit.,  I*, 
pag.  327  e  segg. 

(*)  Canina,  Etruria  marittima,  I,  tav.  XXXV,  2  ;  Dennis,  op.  cit.,  I",  pag.  33  e  segg.  ;  Martha, 
L'Art  étrmque,  pag.  147,  fig.  118;  Daremberg-Saglio,  Dictionnaire  des  Antiquité*  grecques  et  ro- 
maines,  II,  2,  fig.  3219. 

(•)  Durm,  Bauk.  der  Etr.,  fig.  49  e  fig.  53. 

(')  Perrot-Chipiez,  Hittoire  de  l'Art  dans  l'antiquité,  I,  pag.  530  e  segg. 

(8)  Perrot-  Jhipiez,  Hut.  ds  l'Art,  II,  pag.  143  e  segg,,  p.ig.  103  e  segg.,  pag.  231  e  segg, 


BKTTONA  —    22    REGIONE    VI 

costruzioni  dell'Egitto  e  delle  regioDi  mesopotamiche  si  debbano  riconoscere  i  proto- 
tipi della  primitiva  volta  etnisca.  Se  gli  Etruschi  avessero  conosciuto  modelli  di  quel 
genere,  li  avrebbero  imitati  assai  meglio.  Si  pensi  al  caso  delle  tombe  a  camera  fatte 
a  imitazione  di  quelle  dell'Asia  Minore,  e  si  avrà  un'idea  approssimativa  di  ciò  che 
gli  Etruschi  avrebbero  saputo  fare  quando  avessero  disposto  di  modelli  di  volte 
come  quelle  delle  suddette  regioni  dell'Oriente. 

Ma  è  appunto  una  regione  dello  stesso  Oriente  che,  in  fatto  di  volte  e  di  archi, 
offre  esempi  di  costruzioni  analoghe  alle  primitive  volte  dell'  Etruria:  la  già  menzionata 
Asia  Minore.  Nel  paese  degli  Ktei  una  porta  della  supposta  città  di  Pterion  è 
somigliantissima  alla  porta  della  tomba  Campana  (')•  Considerato,  dunque,  che  l'Asia 
Minore  è  la  regione  dell'Oriente  con  la  quale  V  Etruria  si  è  trovata  in  rapporti  diretti 
(il  caso  delle  tombe  a  camera  tagliate  nella  roccia  è,  notoriamente,  decisivo  come 
conferma  di  questi  rapporti),  è  possibile  che  anche  la  forma  embrionale  dell'arco  sia 
stata  importata  in  Etruria  dall'Asia  Minore.  D  altro  canto  è  pure  ammissibile  —  e 
infatti  qualcuno  l'ammette  (*)  —  che  il  sistema  della  volta  abbia  potuto  nascere 
indipendentemente  presso  popoli  diversi.  E,  dato  l'aspetto  assolutamente  primitivo  della 
tomba  di  Orvieto  e  della  tomba  Campana,  non  c'è  ragione  di  negare  questa  possibilità 
anche  per  1'  Etruria.  Comunque  l'abbiamo  detto,  si  tratta  di  una  forma  puramente 
embrionale,  con  la  quale  si  connette  la  questione  delle  origini  prime  del  sistema.  Altra 
cosa  è  lo  sviluppo  successivo  dell'arco  e  della  volta  in  Etruria  e  in  Italia,  in  genere; 
sviluppo  che  ha  assunto  poi,  nell'architettura  romana  specialmente,  quelle  propor- 
zioni che  tutti  sanno.  Ma  anche  qui  ci  si  ripresenta  la  domanda  analoga:  se,  cioè, 
l'arco  e  la  volta  abbiano  avuto  sviluppo  in  Etruria  indipendentemente  da  qualsiasi 
influenza  esterna  o  sotto  l'influenza  di  modelli  esotici.  Ed  è  necessario  di  proporsi  una 
seconda  volta  la  questione,  perchè,  evidentemente,  l'esistenza  in  embrione  di  un  de- 
terminato tipo  di  costruzione  da  per  sé  non  esclude  che  lo  sviluppo  successivo  av- 
venga per  un  ulteriore  intervento  di  modelli  dello  stesso  tipo,  coesistente  altrove  in 
una  fase  molto  più  progredita.  Anzi,  in  questo  caso,  si  può  dire  che  l' influenza  esterna, 
quale  coefficiente  di  sviluppo,  ha  molto  maggior  valore  che  non  la  preesistenza  stessa  del 
prototipo  (non  importa  se  originario  o  importato)  nel  luogo  stesso  ove  il  fenomeno 
si  compie.  Ciò  stabilito,  se  fossimo  sicuri  che  gli  Etruschi,  anche  dopo  aver  co- 
minciato a  costruire  archi  sul  tipo,  ad  esempio,  di  quello  della  tomba  Campana,  siano 
venuti  a  conoscenza  di  costruzioni  analoghe  di  altri  paesi,  ma  giunte  a  un  consi- 
derevole grado  di  perfezione  tecnica,  non  esiteremmo  a  riconoscere  come  decisivo 
l'effetto  della  inevitabile  influenza  di  tali  costruzioni.  Ma,  tino  a  prova  contraria,  cre- 
diamo che  di  simili  influenze  non  ci  sia  motivo  di  parlare.  Abbiamo  già  ricordato 
come  i  centri  principali,  ove,  sin  da  tempi  antichissimi,  la  volta  ha  raggiunto  il 
suo  massimo  grado  di  sviluppo,  siano  l'Egitto  e  la  Mesopotamia.  Ora  nulla  prova  che 
l'architettura  etnisca,  nel  tempo  a  cui  ci  riferiamo,  abbia  avuto  rapporto  con  quelle 

(')  Texier,  Detcription  de  VAsie  Mineure,  taf.  XXXI.   Cfr.  Daremberg-Saglio,  Dict.  d.  Ant. 
gr.  et  rom.,  II,  2,  pag.  1257,  fìg.  3208. 

(*)  Durra,  Bauk.  der  Griechen,  (3»  ed.),  1910,  pag.  212  e  seg. 


Regione  Vi.  —  23  —  bettona 


architetture/Come  l' influenza  dell'Egitto  e  della  Mesopotamia  non  si  è  fatta  sentire  nel 
periodo  delle  origini  (per  il  quale  si  può  ammettere  solo  quella  delle  forme  dell'Asia 
Minore),  così  non  sembra  si  sia  fatta  sentire  durante  le  successive  fasi  di  sviluppo. 

Non  c'è  dubbio  ^che,  nel  campo  dell'arte  edilizia,  certi  tipi  antichissimi  di 
costruzioni,  in  uso  presso  gli  Egizi,  i  Caldei,  gli  Assiri,  con  l'andar  del  tempo  sian 
penetrati  anche  in  Italia  ;  ma  —  cosa,  questa,  che  ci  proponiamo  di  mettere  mèglio 
in  evidenza  in  un  altro  lavoro  presentemente  in  preparazione  (l) —  il  tatto  è  avve- 
nuto molto  tardi,  non  prima  dell'età  ellenistica,  quando,  cioè,  la  costruzione  della 
volta  incuneata  in  Etruria  era  già  sviluppatissima  e,  quel  che  più  importa,  è  avvenuto 
per  il  tramite  della  Grecia,  ove,  d'altro  canto,  la  penetrazione  dì  tale  indirizzo 
artistico  era  cominciata  a  manifestarsi  assai  prima,  per  cui  assai  prima  esso  aveva 
raggiunto  un  alto  grado  di  sviluppo.  Quando  invece  si  pensi  alla  scarsissima  dif- 
fusione che  la  volta  a  cunei  ha  avuto  nell'Asia  Minore  stessa  e  pòi  nella  Grecia 
propria  —  i  modesti  esempi  di  Cnido  e  dell' Acarnania  sono  dei  fatti  sporadici  (*)  —*, 
ci  riesce  assai  difficile  ammettere  che  la  Grecia  abbia  servito  da  tramite  fra  l'Egitto 
eie  regioni  mesopotamiebe,  da  una  parte,  e  l' Etruria  dall'altra,  per  l' importàzìoìre 
del  sistema  costruttivo  in  questione.  In  caso  diverso,  nella  stessa  Grecia  dovremmo 
riscontrare  assai  più  abbondanti  tracce  di  costruzioni  a  vòlte  incuneate.  Più  frequenti 
esempì  sembra  che  offra  la  Macedonia  (3)  ;  ma,  anzi  tutto,  non  sappiamo  quali  rap- 
porti diretti  abbiano  potuto  esistere  fra  la  Macedonia  e  1'  Etruria  ;  in  secondo  luògo 
c'è  da  osservare  che  le  tombe  della  Macedonia  difficilmente  possono  ritenersi  anteriori 
a  certe  costruzioni  a  volta  dell'  Italia,  delle  quali  dobbiamo  ricordarci  a  proposito 
delle  tombe  etrusche  su  menzionate  (4). 

Tutto  ciò  considerato,  incliniamo  a  credere  —  sempre  fino  a  prova  contraria  — 
che  lo  sviluppo  della  volta  incuneata  e  dell'arco  in  Italia  sia  dovuto,  per  la  sua 
massima  parte,  agli  Etruschi  stessi,  ai  quali  dunque  spetterebbe  effettivamente  il 
merito  di  aver  creato,  indipendentemente  da  quanto  si  era  fatto  in  precedenza  da 
popoli  più  antichi,  un  sistema  di  costruzione  che  è  divenuto  poi  una  delle  princi- 
pali caratteristiche  e  uno  dei  maggiori  vanti  dell'architettura  romana  (5). 

. 

'(■)  Si  intitolerà  :  L'Architettura  ippodamea.  Contributo  alla  storia  dell'edilizia  nell'antichità. 
Contiamo  di  pubblicarla  nelle  Memorie  della  R.  Accademia  dei  Lincei. 

(>)  Per  Cnido:  Durm,  Baukunst  der  Qriechen  (8»  ed.),  fig.  198  a  pag.  215;  cfr.  pag.  242. 
Qualche  altro  esempio  sembra  si  trovi  a  Pterion  (Texier,  Descr.  de  VAsie  Mmeure,  tav.  XXXI  ; 
cfr.  Daremberg-Saglio,  II,  2,  pag.  1257).  Per  l'Acarnania,  Heuzey,  Le  mont  Olympe  et  VAcarnanie, 
Paris,  1860,  tav.  XV. 

(*)  Oltre  alla  menzionata  tomba  di  Langaza  (Jahrb.  d.  Intt.  XXIX,  pag.  198  e  segg.),  cfr. 
Heuzey-Daumet,  Miuion  de  Macédoine,  pp.  226,  246.  252  ;   tav.  XV,  XVIII,  XX. 

(*)  Per  esempio:  il  Career  sopra  il  Tullianum  e  la  Cloaca  Massima  a  Roma;  le  note  porte 
di  Palerii  Novi  e  di  Volterra. 

■  (•*)  Non  hanno  potuto  avere  influenza,  dal  semplice  punto  di  vista  formale,  le  costruzioni  a 
volta  d'ette  à  encorbèlltment,  avendo  queste  una  sezione  a  ogiva  e  non  a  pieno  centro. 

-     -  ■•■••-.      1 


BETTONA  —  24   —  REGIONE   VI. 


»   ♦ 

Non  è  agevole  poter  stabilire  con  precisione  la  cronologia  delle  nostre  tombe 
a  volta,  compresa  quella  di  S  Manno,  non  ostante  la  presenza  dell'  iscrizione  che  pro- 
babilmente è  contemporanea  al  monumento.  In  genere,  quindi,  dobbiamo  acconten- 
tarci di  una  cronologia  approssimativa.  Che  luce  potrà  recarci,  in  proposito,  la  sup- 
pellettile? 

Diciamo  subito  che,  a  riguardo  della  cronologia,  la  più  importante  parte  della 
detta  suppellettile  è  costituita  dalle  urne,  per  quanto  di  modestissimo  valore  arti- 
stico. Ma  delle  urne  ci  riserbiamo  di  parlare  per  ultimo;  intanto  vediamo  quale  con- 
tributo di  dati  cronologici  ci  apportino  le  monete  e  le  iscrizioni,  da  un  lato,  e  il 
rimanente  della  suppellettile  funeraria,  in  ispecie  le  gioiellerie,  dall'altro. 

A  prima  giunta,  forse  potrebbe  sembrare  che  il  più  sicuro  elemento  di  datazione 
fosse  da  riconoscersi  nelle  monete,  che  sono  databili  e  che  vanno,  come  abbiamo 
visto,  dal  secondo  ventennio  del  terzo  secolo  av.  Cr.  alla  metà  del  secondo  secolo. 
Ma  quando  si  tenga  conto  che  gli  anni  indicati  sono  quelli  della  coniazione  e  che 
le  menzionate  monete  hanno  avuto  corso  per  moltissimo  tempo  dopo,  se  ne  desume 
che,  considerate  di  per  sé,  per  la  cronologia  hanno  un  valore  molto  relativo.  Una 
sola  osservazione  può  farsi  intanto,  e  si  fonda  sullo  stato  di  conservazione:  lo  straor- 
dinario logoramento  forse  lascia  comprendere  quanto  lungo  sia  stato  l'uso  di  queste 
monete  prima  che  fossero  depositate  nella  tomba.  Ma,  in  tal  caso,  c'è  da  obiettare 
che  possono  essere  entrate  nella  tomba  al  tempo  dei  seppellimenti  seriori. 

Delle  iscrizioni  leggibili,  come  abbiam  visto,  una  è  etrusca  e  tre  latine.  Mentre 
queste  ultime  accennano  ugualmente  a  una  data  tarda,  di  scarso  aiuto  riesce  per 
noi  l'iscrizione  etrusca.  Certo  accenna  a  un'epoca  anteriore  a  quella  delle  latine;  ma 
di  quanto,  non  è  possibile  precisare. 

L'indeterminatezza  aumenta  con  le  gioiellerie,  visto  che  non  è  neppure  possi- 
bile una  datazione  precisa  rispetto  alla  maggior  parte  di  esse,  considerate  di  per  sé. 
Per  la  pietra  incisa  con  la  figura  di  un  giovine  nudo,  è  lecito  supporre  che  si  rife- 
risca all'età  classica;  ma  è  una  supposizione  che  non  si  lascia  suffragare  da  dati 
positivi.  Nulla  vieta  di  pensare  che  sia  anche  più  recente.  Meno  indeterminata  ci  si 
presenta  l'epoca  della  corniola  con  la  mosca  e  della  pasta  vitrea  con  l' insetto  alato 
entrambe  riferibili  all'età  romana.  Delle  due  paia  complete  di  orecchini  —  quello 
con  le  teste  di  moro  e  quello  con  le  anforette  —  si  conoscono  altri  esemplari  identici 
o  quasi  (').  Ma  anche  di  questi  non  si  hanno  elementi  sicuri  di  datazione,  in  con- 
fronto con   altre  oreficerie;   mentre   non   mancano   affinità   con   dei   prodotti   che   si 

(M  Gli  orecchini  a  testa  di  moro  appartengono  a  quelli  della  categoria  a  foggia  di  anelli 
(cfr.  K.  Hadaczek,  Der  Ohrschmuck  der  Griechen  und  Etrusker,  in  Abhandlungen  dei  arch.-epigraph. 
Seminars  der  Univenitàt  Wien,  VIV,  1908,  pp.  46  e  seg.).  Per  esemplari  affini  si  vegga  lo  stesso 
Hadaczek,  op.  cit.,  pag.  76  (e  figg.  150,  151)  e  nota  8  (ove  sono  ricordati  i  più  noti).  Per  quelli 
con  le  anforette:  Conestabile,  Mori,  di  Perugia,  tav.  XXIIT,  n.  9;  Martha,  L'Art  étrusque.  tav.  I, 
n.  3;  Hadaczek,  Der  Ohrschmuck  der  Gr.  und  Etr..  pag.  34;  Catalogue  of  the  Jewellery  Greek, 
Etrutcan  and  Roman  in  the  Rritish  Muteum  (F.  H.  Marshall),  tav.  LI,  mi.  2356-2357. 


REGIONE   VI.  —   25    — 


BETTONA 


vogliono  attribuire  a  fabbricazione  ellenica  dal  quarto  secolo  in  giù  (');  di  più  ne 
esistono  con  altri  prodotti  che  si  vogliono  attribuire  all'epoca  greco-romana  (*).  Del 
cammeo  si  può  dire  con  sicurezza  che  appartiene  al  principio  dell'età  imperiale; 
ma  ha  tutta  l'aria  di  appartenere  alla  stessa  epoca  anche  l'anello  con  il  caprone. 
Del  resto,  quanto  agli  altri  oggetti  di  gioielleria,  anche  se  fosse  possibile  di  precisare 
per  tutti  la  data  di  fabbricazione,  essa  pure,  di  per  sé,  avrebbe,  in  questo  caso, 
scarso  valore,  per  il  fatto  che  si  potrebbe  trattare  tanto  di  oggetti  di  parecchio  ante- 
riori alla  costruzione  della  tomba,  quanto  di  oggetti  posteriori  alla  costruzione  stessa 
e  nella  tomba  introdotti   nei  seppellimenti  seriori. 

Per  altro,  se,  isolatamente  presi,  i  vari  gruppi  della  suppellettile  funeraria  fin 
qui  considerati  non  offrono  sicuri  elementi  di  datazione  per  la  tomba,  di  Bettona, 
certo  è  che  quasi  tutti  —  o  per  una  ragione  o  per  un'altra  —  fanno  propendere  per 
una  data  piuttosto  tarda;  e  tale  concordanza  non  è  priva  di  valore,  tanto  più  se  si 
tien  conto  di  qualche  altro  degli  oggetti  su  elencati,  come  i  due  braccialetti  di  pasta 
vitrea  (3)  e  la  coppa  di  vetro,  la  quale  specialmente  è,  senza  dubbio,  dell'età  romana. 

Vediamo,  ora,  che  cosa  si  ricava  dalle  urne,  che  sono  i  soli  oggetti  per  i  quali 
—  almeno  per  le  più  antiche  —  è  presumibile  una  certa  contemporaneità  con  la  costru- 
zione della  tomba. 

Le  urne  a  rilievo  di  Bettona  devono  essere  considerate  alla  stregua  di  tutte  le 
altre  urne  cinerarie  a  rilievo  dell'Etruria  e  particolarmente  del  gruppo  perugino  (*). 
Lasciamo  da  parte  una  classificazione  sistematica,  per  contentarci  di  accennare  a  una 
datazione  approssimativa  in  blocco.  A  quale  periodo  dell'arte  etnisca  appartengono 
le  urne  a  rilievo? 

Il  Martha  già  pensava  al  corso  dei  secoli  terzo  e  secondo  av.  Cr.  (5).  La  que- 
stione è  stata  ripresa  recentemente,  a  proposito  della  tomba  dei  Volumnii,  da  Gustavo 
KOrte  (6),  il  quale,  in  massima,  si  mostra  d'accordo  con  il  Martha  rispetto  alla  data- 
zione generale  (terzo  secolo -metà  del  secondo).  Ma  quanto  alla  tomba  dei  Volumnii, 
mentre  il  Martha  vi  riconosce  una  delle  ultime  manifestazioni  della  scultura  etnisca  (7), 
il  Kdì'te  è  venuto  alla  conclusione  che  la  menzionata  tomba  sia  da  riferirsi  alla  fine 


(')  Cfr.   Calai  of  JewelUry,  tav.  XXXI;  particolarmente  i  nn.  1677-1678,  1681,1682. 

(*)  Si  reggano  gli  orecchini  del  sepolcreto  romano  di  Ancona  (G.  Pellegrini,  Notizie  degli 
scavi,  1910,  pp.  358  e  seg.,  fig.  14;  I.  Dall'Osso,  Guida  illustrata  del  Museo  Nazionale  di  Ancona, 
Ancona  1915,  pp.  334  e  seg.).  All'epoca  greco-romana  il  Marshall  attribuisce  appunto  gli  orecchini 
n.  2356-2357,  che  sono  quasi  simili  a  quelli  di  Bettona. 

(s)  Accanto  a  quelli  di  Bettona  è  opportuno  ricordarne  uno  esistente  nel  Museo  di  Perugia 
(G.  Bellucci,  Guida  alle  Collezioni  del  Museo  Etrusco- Romano  in  Perugia,  Perugia,  1910,  p.  120, 
n.  233). 

(*)  Conestabile,  Monum.  di  Perugia,  tav.  XVII-XXII,  XLI-XCIV,  XCVII. 

(*)  Martha,  L'Art  étrusque,  pp.  366  e  seg. 

(■)  KOrte,  Das  Volumniergrab  bei  Perugia:  ein  Beitrag  zur  Chronologie  der  etruskischer 
Kunst  (Abhandluvgen  der  Ktìn.  Gesell.  der  Wissensch.  zu  Gdttingen,  Philol.-hist.  Klasse,  N.  F., 
XII,  n.  1). 

(')  Martha,  L'Art  étrusque,  pp.  352  e  seg. 

Notizie  Scavi   1916  —  Voi.  XIII.  4 


BETTONA  —    26    —  REGIONB    Vi. 

del  quarto  secolo  o  al  principio  del  terzo,  e  che,  per  conseguenza,  in  essa  sia  da 
riconoscersi  il  terminus  a  quo  per  la  datazione  delle  urne  etnische  a  rilievo  ('). 

Rispetto  alla  cronologia  relativa,  propendiamo  a  condividere  l'opinione  del  Kòrte: 
le  urne  della  tomba  dei  Volumnii  sono  forse  da  ritenersi  tra  le  più  antiche  del 
genere;  comunque,  tra  le  più  antiche  del  gruppo  perugino.  Ma  non  siamo  del  tutto 
propensi  ad  accettare  la  cronologia  assoluta,  stabilita  dallo  stesso  Korte,  specialmente 
nei  riguardi  della  tomba  dei  Volumnii.  Che  valore  può  avere  l'osservazione  che  non 
si  sarebbero  mai  trovate  urne  a  rilievo  associate  a  vasi  aretini  (2),  quando  si  consideri 
che  anche  nella  tomba  di  Bettona  i  vasi  aretini  mancano,  e  tuttavia  vi  si  sono 
trovati  altri  oggetti  sicuramente  appartenenti  al  principio  dell'età  imperiale?  E  che 
valore  può  avere  l'altra  osservazione  che  nelle  urne  dei  Volunnii  —  ad  eccezione 
della  sola  notoriamente  di  età  romana  (s)  —  le  iscrizioni  etrusche  contengono  lettere 
di  forma  antica,  se  egli  stesso  riconosce  che,  in  quanto  alla  forma  delle  lettere 
etrusche,  non  è  possibile,  stabilire  una  successione  cronologica  più  o  meno  precisa, 
come  è  dato  di  fare  per  gli  alfabeti  greci  (*),  e  ciò  a  causa  della  prolungata  coesi- 
stenza di  forme  antiche  e  di  forme  recenti? 

In  mancanza  di  altri  argomenti  più  concreti,  quello  che  va  preso  in  maggiore 
considerazione  è  lo  stile  delle  sculture,  così  delle  urne  come  della  tomba  stessa  (5). 
E  a  questo  riguardo,  mentre  già  alquanto  significative  sono  le  teste  di  Medusa  scol- 
pite in  quattro  delle  urne  (6),  di  assai  maggiore  significazione  sono  le  figure  delle 
due  Lase  dell'urna  di  Arunte  (")  e  la  testa  di  Medusa  scolpita  nel  soffitto  della 
seconda  camera  (8).  Le  due  Lase,  per  i  loro  caratteri  generali,  si  riconnettono  con 
queir  indirizzo  della  plastica  etrusca  che  è  magnificamente  rappresentato,  per  esempio, 
anche  dai  frontoni  di  Luni  (9),  dal  frontone  di  Talamone  (")  e  dalle  terrecotte  di 
Civita  Alba  presso  Sassoferrato  ("),  e  che  mostra  la  sua  derivazione  dall'arte  del- 
l'Asia minore  del  periodo  ellenistico  e  soprattutto  da  quella  che  ha  per  noi  il  suo 
caposaldo  nelle  sculture  della  grande  ara  di  Pergamo  ("). 

(')  Scritto  cit.,  pag.  30.  Cfr.  pag.  33. 

(•)  Scritto  cit.,  pag.  33. 

{*)  Conestabile,  Monum.  di  Perugia,  tav.  XI,  XII;  KOrte,  scritto  cit,  pagg.  SI  e  segg., 
tav.  VII;  C.  I.  L.  XI,  1.  1963. 

(*)  Scritto  cit.,  pag.  26. 

(*)  Circa  le  sculture  delle  urne,  il  KOrte  si  ferma  in  particolar  modo  sulle  teste  di  Medusa 
scolpite  in  quattro  delle  suddette  urne,  e  trascura  le  altre  che  pure,  nei  rispetti  della  cronologia, 
non  hanno  minore  importanza  (scritto  cit.,  pag.  29) 

(•)  Conestabile,  Mon.  di  Perugia,  tavv.  V-VIII,  e  tav.  X;  KOrte,  scritto  cit.,  tavv.  IV-V 
(cfr.  nota  precedente). 

(')  Conestabile,  Mon.  di  Perugia,  tav.  IX;  KOrte,  scritto  cit.,  tav.  VI. 

(•)  Conestabile,  Mon.  di  Perugia,  tav,  III  2  e  tav.  IV  3;  KOrte,  scritto  cit.,  tav.  II,   1  e  2. 

(•)  L.  A.  Milani,  Museo  italiano  di  antichità  classica,  I,  pagg.  89  e  segg.  ;  Museo  topografico 
delVEtruria,  pp.  73.  e  segg.  ;  II  R.  Museo  archeol.  di  Firenze,  Firenze  1912,  pag.  249  e  seg.,  tav.  C. 

('•)  Milani,  Museo  topogr.  delVEtruria,  pp.  95  e  segg.;  //  R.  Museo  archeologico  di  Firenze, 
pag.  208,  t»v.  CIV. 

(")  E.  Brizio.  Notizie  degli  scavi,  1897,  pp.  283  e  segg.;  1908,  pp.  177  e  segg. 

(")  L'ara  di  Pergamo,  come  è  noto,  è  stata  costruita  al  tempo  di  Eumene  II  (ann   197-159  a.  Cr). 


REGIONE    VI.  —    27    —  BETTONA 


Se  qualche  dubbio  dovesse  ancora  sussistere  rispetto  alle  sculture  delle  ame, 
crediamo  che  questo  dubbio  debba  essere  senz'altro  eliminato,  quando  si  consideri 
bene  la  menzionata  testa  di  Medusa  scolpita  nella  tomba  stessa.  La  testa  suddetta 
non  è  del  tipo  classico,  sia  pure  sviluppato,  ma  di  quel  tipo  che  non  è  da  ritenersi 
anteriore  all'età  tolemaica  avanzata  e  che  poi  ebbe  così  larga  diffusione  nell'arte  di 
Roma:  di  quel  tipo,  cioè,  caratterizzato  dalle  sopracciglia  sporgenti,  quasi  rigonfie,  e 
da  una  evidente  virtuosità  di  esecuzione.  Di  frequente  questo  tipo  si  riscontra  nei 
cammei  e  nelle  piètre  dure  intagliate;  e  forse  tra  le  opere  di  questo  genere  si  hanno 
da  ricercare  gli  esemplari  più  antichi.  Sono  la  Medusa  della  tazza  Farnese  (')  e 
quella  nell'egida  del  cammeo  Gonzaga  ('),  che  vanno  ricordate  in  prima  linea;  ma 
poi  qualche  altra  testa  analoga  di  età  posteriore  (3),  e  poi  quelle  dell'età  romana 
sono  le  rappresentazioni  di  Medusa  che  arieggiano  la  testa  della  tomba  dei  Volumnii 
assai  meglio  di  qualunque  opera  in  plastica  della  fine  dell'età  classica  o  del  prin- 
cipio dell'età  ellenistica  (4).  Fuori  della  glittica,  ricordiamo:  le  teste  della  stessa 
Medusa  delle  terrecotte  Campana  (5),  quella  tra  i  bronzi  della  nave  del  lago  di 
Nemi  (6),  e  le  teste  analoghe  dei  sarcofagi  romani  (7). 

Dunque  la  prima  metà  del  secondo  secolo  può  ritenersi,  all'  incirca,  come  il 
terminus  post  quem  per  la  datazione  del  suddetto  indirizzo  dell'arte  etrusca,  e  quindi 
per  la  datazione  della  tomba  dei  Volunnii.  Se  poi  effettivamente  le  urne  dei  Volunnii 
fossero  da  annoverarsi  tra  i  più  antichi  esemplari  di  tutta  la  classe  di  questi  monu- 
menti, allora,  di  conseguenza,  tutta  la  produzione  delle  urne  a  rilievo  dovrebbe  rife- 
rirsi alla  suddetta  epoca  e  a  quella  immediatamente  successiva.  Ma,  allo  stato  delle 
cose,  non  sarebbe  prudente  arrischiare  una  simile  conclusione. 

E  nella  metà  del  secondo  secolo  av.  Or.  abbiamo  il  terminus  post  quem  per  le 
urne  di  Bettona  e,  quindi,  anche  per  la  tomba.  Se  poi  si  pensa  che  il  resto  del  mate- 
riale accenna,  in  prevalenza,  ad  un'epoca  più  recente,  senza  timore  di  essere  molto 
lontani  dal  vero  possiamo  supporre,  con  una  certa  approssimazione,  che  la  tomba  non 
sia  stata  costruita,  al  più  presto,  se  non  verso  la  fine  del  secondo  secolo,  e  che,  in 
ogni  modo,  sia  rimasta  in  uso  per  tutto  il  corso  del  primo  secolo  a.  Cr.  e  forse  anche 
per  alcuni  anni  del  primo  dopo  Cr. 


(')  A.  Furtwàngler,  Die  an'.iken  Gemmen,  I,  tav.  LIV.  La  tazza  Farnese  è  attribuita  all'età 
tolemaica  (op.  cit,  voi.  II,  pag.  256). 

(*)  Furtwàngler,  op.  cit.,  I,  tav.  LUI  2.  Sulle  varie  identificazioni  dei  due  personaggi,  cfr.  il 
testo  relativo. 

(')  Si  vegga  il  cammeo  di  sardonice  indiana,  dall'Egitto,  ora  nel  museo  di  Berlino  (Fuitwàng- 
ler,  op.  cit.,  I,  tav.  LII  6). 

(')  Si  vegga  un  cammeo  di  sardonice  del  Museo  di  Berlino,  attribuito  all'età  augustea  (Furt- 
wàngler,  op.  cit.,  I,  tav.  LII  4). 

(')  Kekulé,  Die  antilten    Terracotten,  IV,  2,   tav.  LVHI  1  e  2;   tav.    CXIII. 

(•)  F.  Barnabei,  Notizie  degli  scavi,  1895,  pag.  372,  fig.  4;  cfr.  pag.  373. 

(')  Cfr.  S.  Beinach,  Rép.  d.  rei.,  II,  pp.  61,  171,  198,  258,  273.  Si  vegga  anche  il  sarcofago 
del  Museo  Lateranense,  n.  806  (Benndorf-SchOne,  Die  antiken  Bildwerke  de»  lateranensitchen 
A/useums,  pag.  293,  n.  421). 


BKTTONA  28    REGIONE    VI. 


E  ora  qualche  parola  intorno  alle  epigrafi. 

Prima  osservazione.  In  genere  le  grandi  tombe  a  camera  sono  gentilizie;  ciascuna 
appartiene  ad  una  famiglia;  cosa  che  risulta  costantemente  dal  fatto  che  i  defunti 
hanno  tutti  lo  .stesso  nome.  Le  nostre  iscrizioni  contengono  invece  nomi  gentilizi 
diversi;  e  ignoriamo  se  ancora  un  nome  diverso  contenesse  l'altra  epigrafe  di  cui  si 
hanno  tracce  nel  coperchio  di  urna  del  quale  abbiamo  fatto  parola  più  sopra  (')• 
Non  siamo  in  grado  di  dire  quale  sia  la  ragione  di  questa  promiscuità  di  persone, 
appartenenti  a  famiglie  diverse,  nella  tomba  di  Bettona. 

Quanto  all'iscrizione  etnisca  {Curunas'  Verpru),  debitamente  autorizzati,  ripro- 
duciamo le  osservazioni  gentilmente  comunicateci  dal  prof.  B.  Nogara:  «  Curunas' 
è  gentilizio  già  noto  nell'epigrafia  etnisca  insieme  a  Curuaei,  Curunal,  e  lo  Schulze 
lo  fa  corrispondere  al  latino  Corona,  Coronius.  -  Verpru,  così  com'è,  è  voce  nuova; 
ma  sono  noti:  il  suffisso  -  ru,  che  ritorna  io  altri  uomini  (Petru,  Lemnilru, 
Tepru,  ecc).;  e  il  radicale  Verp  -  che  si  incontra  in  Verpe  di  una  iscrizione 
chiusina  (C.  I  E.,  2785).  per  il  quale  Pauli  cita  a  confronto  Veriidius  e  Lattes 
Virbius.    Verpru  perciò  potrebbe  rendersi  con    Verberius.    Verbirius,  ecc.  ». 

Delle  iscrizioni  latine,  niente  di  particolarmente  notevole  contiene  quella  ricor- 
dante una  Perenna  Flaminia,  o  Flaminina.  Anche  l' iscrizione  punteggiata  nella 
lamina  di   bronzo,   tenuto   conto   del   deplorevole   suo   stato    di   conservazione    (non 

rimangono  che  le  parole:    Volsius  L.  f vian..   .)  non   presenta   alcun  interesse 

particolare.  A  qualche  osservazione  potrà  per  altro  prestarsi  il  nome  Volsius  ('). 

Assai  maggiore  interesse  presenta  la  terza:  Sex(tus)  Valerius  Sex(ti)  -  f  (ilius) 
Clu(stumina)  Proculus  pr(aetor)  Etruriae  VI  vir.  Che  i  Vettonensi  fossero  inscritti 
nella  tribù  Clustumina.  già  risultava  da  altre  due  iscrizioni  (3)  ;  ora  possediamo  un 
nuovo  documento  in  proposito.  Inoltre,  come  è  noto,  si  hanno  esempì  di  iscrizioni 
ricordanti  dei  praetores  Etruriae,  delle  quali  una  proveniente  da  Bettona  (*).  Questi 
esempi  non  sono  numerosi;  ma  ormai  si  sa  di  che  si  tratta:  di  cariche  puramente 
sacerdotali,  relative  alle  assemblee  provinciali,  che  esistevano  in  varie  parti  del- 
l' Impero  e  che  avevano  carattere  puramente  religioso  e  non  politico  (5).  Ciò  che  v'  ha 
di  singolare  in  queste  cariche  sacerdotali  dell'  Etruria  sono  le  denominazioni  prese 
da  istituzioni  romane,  essenzialmente  civili  e  politiche.  Ma  non  è  raro,  nel   mondo 

(')  Cfr.  sopra,  pag.  12,  n  7. 

(*)  Cfr.  W.  Schulze,  Zur  Geschichte  lateinischer  Eigennamen  in  Abhandl.  der  Kón.  Gesell. 
der  Wissensch.  zu  Gòltingen,  N.  F.,  V.,  n.  5,  pag.  44,  106,  252. 

(')  1»:  Muratori,  Novus  Thesaurus,  pag.  860,  n.  3  (—pag.  1096,  n.  1);  2a:  C.I.L.,  XI  2, 
n.  5177. 

(*)  G.I.L.,  XI  2,  n.  5170. 

(")  Th.  Mominsen,  Berichte  der  sàchs.  Gesell.  der  IVissensch.  1850,  pp.  65  e  seg.,  pag.  199; 
Henzen,  Annali  deWInstit.,  1863,  pag.  284  e  segg.  ;  Mommsen-Marquardt,  Manuel  des  antiquités 
romaines;  IX,  Organisalion  de  l'Empire  romain  (P.  Louis-Lucas  e  A.  Weiss),  voi.  II,  pp.  508 
e  segg.  particolarmente,  pag  529  <;  nota  I  ;  C.  0.  Miilkr-W.  Deeeke,  Die  Etrusktr,  I",  pp.  :i"2 
e  seg. 


REGIONE   VI.  —   29    —  BBTTONA 


romano,  l'esempio  di  titoli  propri  di  determinate  istituzioni  adottate  per  altre  com- 
pletamente diverse.  Per  singolare  combinazione,  abbiamo  avuto  recentemente  occasione, 
illustrando  le  epigrafi  di  un  sarcofago  rinvenuto  a  Fiano  Romano  ('),  di  accennare 
a  certi  titoli  sacerdotali  adottati  per  le  cariche  di  un  collegio  civile,  cioè  di  un 
collegio  di  istrioni.  Qui  ora  abbiamo  il  caso  di  un'  istituzione  religiosa  che  adotta 
titoli  propri  delle  istituzioni  civili  e  politiche.  Quanto  alla  qualifica  di  sevir,  che 
ha  lo  stesso  personaggio,  essa  manca  di  una  specificazione  ;  la  qual  cosa,  del  resto, 
si  nota  in  altre  iscrizioni  anche  di  Bettona  (').  Probabilmente  si  tratta  di  una  carica 
municipale. 

Ma  tornando  alla  qualifica  di  praetor  Etruriae,  la  nostra  iscrizione  ha  anche 
importanza  da  altri  punti  di  vista.  Il  Bormann,  a  proposito  di  quella  già  menzio- 
nata e  compresa  tra  le  iscrizioni  bettonesi,  esprime  il  dubbio  che  fosse  stata  portata 
a  Bettona  dalla  vicina  Etruria  (3).  Ora  la  nuova  iscrizione  viene  a  provare  come 
sia  infondata  tale  supposizione.  Ma  c'è  qualche  altra  osservazione  da  fare.  Non  è 
abbastanza  singolare  il  fatto  che  tra  le  pochissime  iscrizioni  ricordanti  questi  prae- 
tores  Etruriae,  due  provengano  da  Bettona  ?  Ma  v'  ha  di  più.  Nella  divisione  del- 
l'Italia  in  province,  fatta  da  Augusto  (4),  la  zona  di  confine  fra  1' Etruria  e  l'Umbria, 
posta  alla  sinistra  del  Tevere,  fu  compresa  nell'Umbria.  Le  divisioni  nette  fra  re- 
gioni limitrofe  sono  sempre  difficili.  Ma  in  questo  caso  appare  più  evidente  che  mai 
la  violazione,  per  così  dire,  dei  diritti  storici.  Non  soltanto  dalla  affinità  dei  prodotti 
artistici  e,  più  ancora,  dalla  comunanza  della  lingua  —  sia  pure  soltanto  della  lingua 
ufficiale —  risulta  l'appartenenza  effettiva  del  territorio  bettonese  all' Etruria;  ma 
da  questi  particolari  documenti  or  ora  ricordati  si  rileva  la  consapevolezza  degli 
abitanti  stessi  di  essere  etruschi  e  non  umbri,  di  appartenere,  cioè  a  quella  circo- 
scrizione politica  che  nell'età  storica  aveva  il  nome  di  Etruria  (5). 

Or.  Coltrerà. 

(')  Notizie  degli  scavi,  1915,  pp.  158  e  segg. 

(')  Si  vegga  l'iscrizione  già  citata,   CI.  L.,  XI  2,  n.  5177,  e  un'altra,  ibid.,  n.  5179. 

(3)  Nel  breve  commento  alla  citata  iscrizione  C.I.L.,  XI  2,  n.  5170. 

(«)  Cfr.  Gardthausen,  Augustus  und  seine  Zeit,  Leipzig  1891-1904,  I,  pag.  941;  II,  pag.  551,8, 
(ove  è  ricordata  la  relativa  bibliografìa). 

(6)  Con  questo  intendiamo  per  il  momento  lasciare  impregiudicata  la  questione  propriamente 
etnica. 


POMPEI  —    30    —  REGIONE    1. 


Regione  I  (LAT1UM  ET  CAMPANIA). 

CAMPANIA. 

IL  POMPEI  —  Continuazione  degli  scavi  sulla  via  dell' 'Abbondanza 
durante  il  mese  di  dicembre  1915. 

Ia  Zona  —  Scavo  della  via. 

Gol  lavoro  portato  a  compimento  durante  questo  mese  tra  le  fronti  delle  isole 
opposte,  III  della  reg.  Ili  a  nord,  e  III  della  reg.  II  a  sud,  è  per  quattro  quinti 
sgombro  il  tratto  di  via  corrispondente,  la  cui  pianta  viene  esibita  nella  tig.  1.  Te- 


p  e  q.  m  -  jn  &.  n 


m«vn  -  insti  «t<*ir  -  ims.th 


Fia.  1. 


nendo  dietro  allo  scavo  immediatamente  l'opera  della  squadra  dei  muratori,  sono  già 
compiuti,  per  gli  editicii  che  sporgono  sulla  via,  il  rafforzamento  delle  pareti  esterne, 
la  sostituzione  delle  guide  di  ferro  al  posto  degli  antichi  architravi,  e  la  costruzione 
dei  muri  a  secco  a  sostegno  della  retrostante  scarpata.  Speciali  lavori  di  restauro 
sono  occorsi  nel  pilastro  di  tufo  di  Nocera  tra  i  vani  nn.  2  e  3  dell'  isola  III,  il 
quale  pilastro,  in  seguito  a  cedimento  del  sottosuolo  prodotto  dal  crollo  di  un  pozzo 
nero,  si  era  abbattuto,  trascinando  con  sé  parte  della  muratura   alta  della  facciata. 

IIa  Zona  —  Reg.  Ili,  ins.  II,  n.  1.  Casa  di  Trebio  Valente. 

Anche  dei  progressi  che  lo  scavo  ha  raggiunto  (inora  in  questa  casa  diamo  con 
la  tig.  2  il  rilievo  topografico,  nel  quale  sono  distinte  con  le  lettere  p  q  r  s  t 
le  parti  dell'edificio  tornate  in  luce  durante  il  mese,  cioè  l'ambulacro  meridionale 
del  peristilio  col  piccolo  bagno  privato  che  vi  si  apre  nell'angolo  sud-est, 


REGIONE   i. 


31 


POMPKI 


Ambulacro.  Ha  il  pavimento  di  calcestruzzo,  un  focolare  semicircolare  in  q,  e 
una  abolita  bocca  di  cisterna  in  r  presso  la  soglia  dell'exedra;  le  pareti  poi  presentano 
soltanto  una  zoccolatura  a  fondo  nero  scompartita  in  riquadri  mercè  fascette  bianche, 
chiusa  in  alto  (a  m.  1,82)  da  una  semplice  fascia  rossa,  e  riposante  in  gin  sopra 
un  plinto  alto  m.  0,46,  il  cui  fondo  nero  è  marmorato  mediante  spruzzi  di  colore 
giallo,  rosso  e  bianco. 

Bagno.  Consiste  di  due  minuscoli  ambienti,  uno  spogliatoio  e  un  calidario, 
accessibili  dal  descritto  ambulacro  per  un  angusto  vano  d' ingresso  ad  arco,  alto  m.  1,63, 
ad  intonaco  rosso.  L'apoditerio,  s,  ha  il  pavimento  di  cocciopesto  irregolarmente  co- 
sparso di  piccole  tessere  rettangolari  di  marmo  bianco,  e  conserva  avanzi  molto  sciti- 


Lj 


J 


jJTH 


Fio.  2. 


pati  delle  sue  decorazioni  murali  di  II  stile:  zoccolo  marrone;  parete  media  nera, 
scompartita  in  rettangoli  mercè  1*  impiego  di  listelli  rossi  ;  fregio  a  piccoli  rettangoli, 
rosso-cupi,  verdi  e  gialli,  fra  cornici  bianche  orizzontali.  Il  sommo  dell'  intradosso 
della  volta,  corrente  da  nord  a  sud,  si  tocca  a  soli  m.  2,13  di  altezza;  nella  parete 
nord  reca  luce,  dall'ambulacro,  un  finestrino  circolare  a  luce  ingrediente,  largo  al- 
l'esterno m.  0,21,  e  all'interno  m.  0.75-0,63.  11  calidario,  /,  ha  il  pavimento  signiro, 
a  rete,  di  tesserine  bianche,  perfettamente  conservato  sull'  intatta  armatura  delle  su- 
spensurae;  nel  mezzo  della  parete  ovest,  una  nicchia  semicircolare,  sfondata,  larga 
m.  0,94,  profonda  m.  0,40-;  nella  parete  nord  un  finestrino  simile  al  precedente,  largo 
all'esterno  m.  0,36,  e  all'interno  m.  0,87-1,05;  e  per  sicure  tracce  mostrasi  già  co- 
perto con  soffitto  che  ha  la  volta  a  botte,  corrente  in  direzione  est-ovest.  Della  doppia 
parete,  d'intonaco  laterizio,  con  l'intermedio  meato  ottenuto  mercè  l'impiego  delle 
consuete  tegulae  mammatae,  si  conservano  larghi  tratti,  e  si  conserva  pure,  chiara- 
mente riconoscibile,  sull'alto  della  parete  sud    uno  dei  canali  di  aspirazione  dell'aria 


POMPBI  —    32   —  REGIONE    1. 

calda.  Niun  segno  di  vasche,  sia  fìsse  sia  mobili  ;  però  si  conserva  nel  mezzo  della 
parete  sud  un  foro,  attraverso  il  quale  passava  senza  dubbio  il  tubo  di  piombo  che 
conduceva  alla  vasca  l'acqua  calda  dalle  caldaie  della  retrostante  cucina  -  praefurnium. 
I  due  ambienti  comunicano  fra  loro  per  un  angusto  vano  di  passaggio,  ad  arco,  aperto 
nella  parete  intermedia  (alto  ni.  1,68,  largo  ni.  0,52),  e  per  un  finestrino,  o  meglio, 
canale  cilindrico,  di  m.  0,15  di  diametro,  costeggiante  a  nord  l'arco  del  vano  di  co- 
municazione descritto. 

Oggetti  rinvenuti  ed  iscrizioni. 

Reg.  II,  ins.  Ili,  n.  3.  Sopra  apposita  tabella  biansata,  a  sin.  dell'indicato 
ingresso,  si  è  scoperto  il  seguente  programma  elettorale  : 

1.  PANSAMAED 

O     V    F-  DIGNVS-  EST 

Ad  esso  fa  sèguito,  immediatamente  a  sin.,  quest'altro,  di  color  nero  fino  al  II  della 
parola  II  vir(um),  mentre  tutto  il  resto  è  di  color  rosso: 

2.  CEIVMSECVNDVM  •  TìVIR-o  v-f 

SVTORIA-PRIMIGENIA-CVM-SVIS-ROG  ASTYLE  •  DORMIS 

Un  frettoloso  schizzo  di  poche  linee,  aggiunto  sotto  le  ultime  parole,  vuol  darci 
un  saggio  delle  sembianze  dell'addormentato,  indolente  Astylus.  Quanto  al  gentilizio 
Sutorius,  nuovo  per  Pompei,  cfr.   C.  I.  L.  X  2681  (Puteoli),  7060,  7705-7707. 

Sulla  stessa  parete  esterna,  ma  a  destra  del  successivo  vano  d' ingresso  n.  4,  è 
ritornato  in  luce  il  programma: 

3.  C  •  SITTIVM  •  CALVENTIVM  •  MAGNW 

ilVIRIDPAPILIO-    SCR 

Reg.  II,  ins.  Ili,  n.  2.  Nel  costruire  il  muto  a  secco  davanti  all'  ingresso  di 
questa  bottega,  si  sono  rinvenuti  i  seguenti  pesi  di  piombo:  un  peso  a  tronco  di 
cono  a  basi  ellittiche,  mancante  dell'ansa  di  ferro,  lungo  m.  0,12  nella  base  supe- 
riore che  reca  inciso  il  numero  delle  libre:  X  (peso  Kg.  3,370);  un  peso  emisferico, 
forse  di  5  libre,  mancante  dell'ansa  di  ferro,  di  m.  0,08  di  diam.  (peso  Kg.  1,625); 
due  pesi  della  forma  del  primo,  lunghi  m.  0,075  (peso  Kg.  1,005)  e  in.  0,08  (peso 
Kg.  1  020),  serbanti  ancora  le  rispettive  anse,  e  recanti  la  eguale  segnatura  di 
libre  III;  altro,  della  stessa  forma,  mancante  dell'ansa  e  lungo  m,  0.095.  con  la  stessa 
segnatura  III  (peso  Kg.  1,030);  quattro  pesi  della  stessa  forma,  lunghi  m.  0,075-0.08 
(due  soli  sono  ancora  muniti  dell'ansa),  distinti  dalla  eguale  segnatura  bilibrale  li 
(peso  Kg.  0.620;  0,670;  0,680;  0,710);  un  peso  rettangolare  alto  m.  0,03,  e  largo 
m.  0,07X0,05,  munito  di  ansa  di  bronzo  ad  uncino,  senza  segnatura  (peso  Kg.  1,025); 
un  panello  quadrato  di  m.  0,06  di  lato,  alto  m.  0,02,  mancante  dell'ansa  e  senza 
segnatura  (peso  Kg.  0,085). 


REGIONE    I.  —    33   —  POMPEI 

Casa  di  Trebio  Valente.  Nelle  terre  alte  del  peristilio  si  è  rinvenuta  una 
coppa  di  minuscola  bilancia,  di  m.  0,033  di  diam..  recante  rilievi  concentrici  nella 
superficie  e,  ancora  saldata,  una  delle  tre  ansette  che  servivano  per  la  sospensione. 

Quivi  stesso,  accanto  al  finestrino  circolare  del  calidario,  presso  la  parete  del- 
l'ambulacro sud  del  peristilio,  si  sono  raccolte  tre  fibule  ad  arco,  lunghe  m.  0,075 
ciascuna;  una  borchietta  col  relativo  anello,  larga  m.  0,025. 

Tra  i  finestrini  che  danno  luce  allo  spogliatoio  e  al  calidario,  sopra  l'alta  zoc- 
colatura  nera  dell'ambulacro,  sono  ritornati  iu  luce  molti  appunti  di  contabilità, 
tracciati  con  aste  lunghe  m.  0,02-0,05.  A  cominciare  da  sin.,  sopra  il  primo  riquadro, 
in  alto,  sono  i  seguenti  segni  : 


4. 


Sul  secondo  riquadro  vedonsi  poi  questi  altri  : 


XX 


*  I  lllllllllllllllllllllllllllllll  XV 

xv  xv  iiiiiiiiHiiiiiiiiiiiiiiliiiiiiiii       il  **JJ  **xx 

XV    XV 


I  numerosi  appunti  si  chiudono  al  margine  inferiore  con  la  seguente  epigrafe 
granita  : 

SEVER\ SECA 

la  quale  ci  fa  certi  almeno  che  il  conto  si  riferisce  a  pezzi  di  legno  segati:  è  pro- 
babile, dato  il  gran  numero  dei  pezzi  segati,  che  l'operaio  Severo  avesse  apprestato 
i  travicelli  per  la  costruzione  del  tetto  del  peristilio  (?). 

Presso  la  colonna  angolare  sud-est  del  peristilio  dalla  casa  di  Trebio  Valente  si 
è  rinvenuto  sul  pavimenio  un  ago  di  bronzo,  lungo  m.  0,096,  mancante  della  punta. 

tteg.  II,  ins.  Ili,  n.  5.  All'altezza  dell'architrave,  un  metro  in  dentro  dalla  fac- 
ciata dell'edificio,  connessa  col  battente  destro  della  porta,  di  cui  permane  nella  terra 
un  pezzo  dell'  impronta,  si  è  raccolta  una  campanella  di  bronzo  di  forma  cilindrica, 
alquanto  strozzata  in  giù.  alta  m.  0,12. 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XHJ.  5 


POMPEI  —    34   —  REGIONE    I. 

Reg.  Ili,  ins.  Ili,  n.  6.  Sul  pilastro  esterno,  al  disotto  del  trofeo  di  sin.,  in  parte 
coperta  dalla  coda  della  tabella  dealbata  sulla  quale  a  suo  tempo  si  lessero  alcuni 
programmi,  si  è  scoperta  una  piccola  epigrafe  granita 

5.  CASSTVSI  FIERI  .  .  .        (Ca(s}stu(t)  si  fieri...) 

alla  quale  tien  dietro,  più  giù,  quest'altra 

6.  ASIANTICIVS  {Atianticius  ?) 
e  finalmente  quest'ultima 

7.  PR  \(die?) 

Sul  pilastro  opposto,  sulla  guida  di  qualche  lettera  trasparente  attraverso  l' im- 
biancatura che  fa  da  letto  ai  programmi  elettorali,  si  è  restituita  interamente  alla 
luce,  col  nome  Flora,  tracciato  due  volte  con  lo  stilo, 

8.  FLORA     ;      FLORA 
questa  ingiuriosa  apostrofe  granita: 

9.  MARTIALIS    FELLAS    PROCVLVM 

Casa  di  Trebio  Valente.  Sul  pavimento  dell'ambulacro  sud  del  peristilio,  presso 
l'ingresso  delle  fauces,  si  è  trovata  una  catenella  di  bronzo  lunga  m.  0,48,  fatta 
di  maglie  a  cerchio  longitudinalmente  ribattuto  e  ripiegato  su  se  stesso,  e  terminante 
in  un  anello  ovale  ribattuto  sull'ultima  maglia. 

Reg.  II,  ins.  Ili,  n.  4.  A  sin.  dell'ingresso  si  è  scoperto  un  primo  programma: 

10.  QjPOSTVMIWV  Q.VINQ_ 

al  quale  segue,  a  sinistra,  quest'altro 

11.  CNHELVIVM  SABINVM 

AED  •  Cf    ò(ignus  est?) 

mentre,  al  disotto  di  entrambi,  se  ne  legge  un  terzo 

12.  CGAV1VM-RVFVM    D-IDCf 

Sopra  Tunica  anfora,  trovata  nello  spogliatoio  del  bagno  di  Trebio  Valente,  si 
è  letta  l'iscrizione  greca  seguente  (cfr.  Notizie,  1910,  pag.  445,  n.  17): 

13.  K  tj  P 

Il  P 


REGIONE    I.  —    35    —  POMPEI 


Reg.  Ili,  ina.  Iti,  n.  1  Sul  pilastro  di  tufo  a  sin.  dell'ingresso  si  sono  rico- 
nosciuti i  sicuri  avanzi  di  due  programmi  elettorali,  del  primo  dei  quali  nuli' altro 
ora  si  legge  se  non  parte  del  cognomen  del  candidato 

14.  (M.  Licinium)  ROMANV(w); 
ecco  gli  avanzi  dell'altro: 

15.  [^«]  R^VAl  T,CM--         (Tigillus?) 

F  A  C[»7] 

Sul  pilastro  opposto,  poi,  si  è  scoperta  una  piccola  iscrizione  osca,  granita: 

16.  Il    *    IH 

Seguono  le  iscrizioni  graffite  e  dipinte  lette  sull'alta  zoccolatila  nera  della  parete 
esterna  fra  gl'ingressi  nn.  1  e  2,  reg.  II,  ins.  Ili,  rimessa  in  luce  il  mese  scorso. 
Nel  terzo  destro  dell'indicata  parete  sono  tracciate  con  grosse  pennellate  di  calce, 
alte  m.  0,60,  le  iniziali  del  nome  del  candidato  G.  Lollio  Fusco: 

17.  C  •  L  •  F 

Tutti  gli  altri  titoletti  sono  graffiti  e  leggonsi  nell'ordine  seguente,  procedendo 
da  sin.  a  destra.  Quasi  alla  metà  della  parete,  in  lettere  piccolissime, 

18.  SIICVNÒG     ;     19.     MP-L>J,     ;     20.    snCVNÒVS 

Più  a  d.,  in  lettere  grandi,  il  cognomen  di  C.  Lollio  (ved.  sopra,  n.  17): 

21.  F  V  S  C  V  S 
Sopra  la  L  dell'iscrizione  n.  17  si  legge  poi 

22.  V  II  N  II  R  I  A        ff  •  ff  • 

IAN  VARI  A      IMI 

M 

e,  accanto  alla  F  della  medesima, 

23.  D  L  X  ;  24.         M  L  S 

Alla  estremità  d  ,  in  alto,  presso  l' ingresso  n.  1  : 

25.  L  O  C  A  S 

LlC  HI AS 
e,  più  giù,  a  sinistra, 

26.  F  E  l  V  E  N  S 

M.  Della  Corte. 


REGIONE   VII.  —   37    —  VIGNANELLO 


Anno  1916  —   Fascicolo  2. 


Regione  VII  (  ET R  URI  A). 

I.  VIGNANELLO  —  Scavi  nella  città  e  nella  necropoli. 

Alle  falde  orientali  del  massiccio  vulcanico  dei  monti  Cimini  giace  il  paese 
di  Vignanello,  insigne  per  il  castello  Marescotti,  ora  Ruspoli,  sorto  nel  sec.  XVI 
all'estremità  orientale  dell'abitato,  che  appare  in  tutto  una  sua  dipendenza.  Vignanello 
occupa  una  stretta  collina,  degradante,  sia  verso  settentrione  sia  verso  mezzogiorno, 
in  due  profonde  vallette,  in  cui  scorrono  fossati,  che,  riunendosi  poi  insieme  con  altri, 
finiscono  nel  Tevere,  presso  la  stazione  di  Gallese.  Questa  altura,  che  ha  una  tale 
apparenza  principalmente  per  la  profonda  corrosione  dei  fossati  laterali,  si  estende  da 
oriente  ed  occidente,  con  una  larghezza  variante  dai  200  ai  400  metri,  per  una  lun- 
ghezza di  un  chilometro  e  mezzo,  misurandola  dal  castello  all'altezza  della  galleria  da 
Vignanello  a  Vallerano.  Di  essa  la  parte  orientale,  per  circa  mezzo  chilometro,  è 
occupata  dal  moderno  paese;  il  resto  è  coltivato  a  vigneto  e  traversato,  nel  senso 
della  lunghezza,  dalla  via  pubblica  da  Vignanello  a  Vallerano. 

Questa  contrada,  quasi  tutta  di  proprietà  Ruspoli,  è  chiamata  Molesino.  La  val- 
letta dalla  parte  di  mezzogiorno,  in  cui  corre  la  ferrovia  elettrica  da  Civita-Castel- 
lana a  Viterbo,  la  quale  traversa  poi  nella  galleria  su  nominata  (fig.  1,  lettera  A)  la 
collina  del  Molesino,  è  detta  la  Cupa. 

Vignanello  era,  finora,  poco  noto  nei  fasti  archeologici.  Oltre  a  qualche  rinveni- 
mento epigrafico  latino  nel  suo  territorio  (]),  si  lia  solo  ricordo  di  qualche  tomba 
etrusca,  a  camera,  nel  sito  detto  «  la  Valle  » ,  o  «  strada  del  Fosso  »  rinvenuta  verso 
la  metà  del  sec.  XIX,  senza  che  si  abbia  alcuna  precisa  notizia  sulla  suppel- 
lettile funebre  che  vi  fu  raccolta  ('). 

(')  C.  I.  L.  XI,  3075,  3080,  3167,  3176,  3189. 
(2)  Murrini,  Dizion.,  voi.  101,  pag.  231  segg. 

Notizie  Scavi  1916  -  Voi.  XIII.  6 


VIGNANKU.O  —   38    —  REGIONE    VII. 


Il  principe  Ruspoli  mi  fece  anche  vedere  un  permesso  del  1711  rilasciato  ad  un 
certo  Michele  Palco,  dalla  rev.  Camera  apostolica,  probabilmente  anche  per  ricerche 
archeologiche,  delle  quali  per  altro  non  pare  sia  rimasto  ricordo  alcuno  ('). 

La  moderna  strada  da  Fabbrica  a  Vallerano  segna  pressa  poco  il  percorso  di 
una  strada  antica  che  univa  Falerii  (S.  Maria  di  Falleri)  a  Ferento.  La  strada  fu 
rintracciata  per  gran  parte  del  suo  percorso  e  chiamata  via  Ferentana  dal  p.  Ger- 
mano di  S.  Stanislao,  in  un  suo  scritto  sulla  regione  (*).  Per  tutta  la  lunghezza  della 
Cupa,  dal  castello  Ruspoli  procedendo  verso  occidente,  fin  oltre  l' imbocco  della  gal- 
leria della  ferrovia  elettrica,  si  notano  alcune  tombe  a  camera,  esplorate  da  molti  anni 
(alcune  devono  esser  quelle  indicate  nel  Moroni)  e  in  parte  adoperate  ad  uso  di  can- 
tina. Una  di  queste,  di  cui  si  parlerà  a  suo  luogo,  in  gran  parte  interrata  (fig.  1,  lett.  a). 
porta  le  due  iscrizioni  seguenti. 

1.  Incisa  nel  listello  sovrastante  il  primo  loculo  a  destra  entrando: 


[he:  y]  firmi u(:)ltlia 
2.  Sulla  parete  di  fronte  all'entrata,  incisa  nello  spazio  vuoto  fra  due  loculi: 

<\N3)0|):<aU<loq 

poplia  :  cocelia 


Scavi  nella  necropoli.  —  Stavano  così  le  cose,  quando,  alla  metà  del 
luglio  1913,  furono  da  contadini  scoperte  due  tombe  a  camera,  proprio  sull'imbocco 
della  galleria,  in  un  ripiano  a  mezza  costa  della  Cupa  (dove  ora  si  sta  costruendo  un 
tratto  rettificato  della  strada  provinciale),  fiancheggiato  nel  lato  settentrionale,  da 
roccia  a  picco,  in  gran  parte  franata  con  resti  di  tombe  a  camera  (fig  1,  lett.  A),  e 
scendente  dall'altra  per  rapido  pendìo  (tutto  coperto  di  alberi  e  di  rovi)  nella  Cupa, 
il  cui  fondo  è  piantato  di  noccioli. 

(')  Patentes  effodiendi  thesauros.  Il  Falco  poteva  subpteraneas  latebra»,  eaveas  et.  fovea»,  pene- 
trare, aurumque,  argentvm  et  alia  timilia  rnetalla  ne  gemma»  et  lapide»  preciosissimas  hominisi/ue 
acuii»  penitus  incognita»  nee  non  diversorum  lapidum  genera  et  figura»  etiam  pretìosas  exquirere 
et  e/fodere.  Delle  cose  rinvenute  in  luoghi  pubblici  la  Camera  apostolica  doveva  avere  la  terza  parte, 
la  quarta  poi  di  quelle  trovate  in  luoghi  privati. 

(*)  Padre  Germano  di  S.  Stanislao,  Memorie  archeologiche  e  critiche  sopra  gli  alti  e,  il 
cimitero  di  ».  Eutitìo  di  Ferento.  Ruma  188C,  pp.  11  e  segg. 


KKU10NK    VII. 


89 


VIGNÀNE1.L0 


Strada     Provinciale     V/  a/hin  e//o    V^Z/tran 


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Fio.  1. 


VlGN ANELLO  40   —  REGIONE    VII. 

Denunciata  la  scopetta,  S.  E.  il  principe  don  Alessandro  Kuspoli  prese  accordi 
con  il  direttore  degli  scavi  della  Etruria  meridionale,  prof.  G.  A.  Colini,  o  sotto  la 
direzione  di  questo  iniziò  per  proprio  conto  una  razionale  esplorazione  della  necro- 
poli e  poi  anche  dell'area  soprastante. 

Il  prof.  Colini  incaricò  della  direzione  dapprima  il  prof.  E.  Gàbrici  e,  dopo  la 
nomina  di  questo  a  direttore  del  R.  Museo  Archeologico  di  Palermo,  il  sottoscritto. 

Lo  scavo  fu  eseguito  con  molta  abilità  dal  soprastante  G.  Magliulo  e  presen- 
ziato costantemente  anche  dal  principe  Ruspoli  che,  con  questa  sua  iniziativa,  si  è 
reso  veramente  benemerito  della  scienza  archeologica. 

I  rilievi,  le  fotografie  ed  i  disegni  sono  stati  eseguiti,  con  la  nota  maestria,  dal 
valente  artista  sig.  0.  Ferretti,  del  R.  Museo  di  Villa  Giulia  salvo  il  rilievo  della 
tomba  n.  3  che  venne  fatta  dal   bravo  sig.  L.  Giammiti  del  R.  Museo  Preistorico. 

La  esplorazione  continua  tuttora;  ma  credo  doveroso  di  comunicare  intanto  i 
risultati  della  prima  campagna  che  durò  dal  22  luglio  al  7  ottobre  del  1913,  essendo 
ora  terminato  il  lungo  lavoro  di  restauro  e  di  collocazione,  in  una  sala  del  Museo 
di  Villa  Giulia,  di  tutte  le  suppellettili  ritrovate,  dopo  che  lo  Stato  acquistò  anche 
la  parte  degli  oggetti  spettante  al  principe  Ruspoli. 

Tomba  I.  È  segnata  col  n.  1  nella  pianta  (fìg.  1)  ed  era  quella,  delle  due  tombe 
scoperte  dai  contadini  sul  ripiano  nominato,  che  offriva  ancora  possibilità  di  un'esplo- 
razione. È  stata  rinvenuta  distrutta  in  tutta  la  parte  superiore.  Constava  di  un  tra- 
mite, quasi  totalmente  distrutto,  con  l'entrata  dalla  parte  di  mezzogiorno,  e  di  una 
camera,  a  pianta  rettangolare  (lungh.  m.  2,55  ;  largh.  m.  2,20),  con  tracce  di  quattro 
loculi.  Uno  di  questi,  nella  parte  sinistra,  di  piccole  dimensioni,  fu  esplorato  subito 
dopo  la  scoperta.  Le  suppellettili  potute  raccogliere  dal  principe  Ruspoli  sono: 

a)  oinochoe  di  rozza  creta  nerastra  (alt.  mm.  220,  diam.  mm.  110); 

b)  oinochoe  di  bucchero  cenerino,  ad  orlo  trilobato  (alt.  mm.  190); 
e)  piccolo  stamnos  di  creta  giallastra  (alt.  mm.  110); 

d)  due  ollette  a  bulla,   d' impasto,  con  quattro  prominenze  coniche  (altezza 
mm.  110). 

e)  tazza  di  bucchero  su  listello,  alt.  mm.  50,  diam.  mm.  115; 

f)  due  tazzine  emisferiche,  una  delle  quali  con  vernice  nera; 

g)  rozzi  piattelli  di  argilla  giallastra. 

Come  si  vede,  parte  delle  suppellettili  deve  appartenere  ad  un  seppellimento 
assai  posteriore  al  primo  (databile  questo  ai  VI  sec.)  ed  essersi  confusa  in  seguito. 

Nell'esplorazione  regolare  si  rinvennero  numerosi  altri  fittili  sul  piano  del  pavi- 
mento, appartenenti  pure  a  seppellimenti  di  età  diversa.  Infatti  vi  si  notano  due 
tazzine  di  bucchero  su  listello,  del  diam.  di  mm.  100,  e  un'olpe  pure  di  bucchero 
(alt.  mm.  90),  di  forma  insolita,  essendo  fornita  di  un'altra  ansa  dalla  parte  opposta, 
inserita  orizzontalmente  ed  adorna  alla  base  da  due  sporgenze  coniche. 

Si  ritrovarono  poi  altri  vasi  di  bucchero  e  di  impasto,  e,  misto  con  essi,  un 
caratteristico  piattello  su  basso  piede,  con  profilo  femminile  (diam.  mm.  160),  e  un 
altro  con  una  stella  (diam.  mm.  140),  dell'estrema  decadenza  della  ceramica  figu- 
rata; una  tazza  emisferica   di   argilla   rossastra  (diam.  mm.  150),  con  graffito   il 


REGIONE    VII.  —    41    VIGNANEI.LO 

segno  ®;  ed  altri  vasi  di  quel  periodo  (oinochoe,  piattelli).  Inoltre  la  metà  di  un 
braccialetto  di  sottilissimo  filo  eneo,  borchiette  di  bronzo,  e  una  cuspide  di  lancia 
in  ferro  (lungh.  mm.  229). 

Dopo  molti  saggi  infruttuosi  lungo  tutta  la  Cupa  (dei  quali  si  parlerà,  quando, 
ad  esplorazione  compiuta,  si  darà  una  pianta  generale  della  necropoli  con  le  scoperte 
di  tombe  a  camera  già  esplorate),  nelle  immediate  vicinanze  della  tomba  n.  1  se  ne 
rinvenne  un'altra  di  notevole  importanza  (fìg.  I;  tomba  n.  2). 

Tomba  IL  Perfettamente  conservata,  questa  tomba  ha  la  volta  quasi  sotto  la 
tomba  su  menzionata,  e  il  suo  tramite  si  apre  lungo  il  pendìo  della  rupe  ad  una  pro- 
fondità di  più  di  5  metri  dal  ripiano  soprastante,  ed  è  accessibile  dalla  parte  di 
mezzogiorno  ('). 

Questo  drontos,  che  fu  esplorato  in  tutta  la  sua  lunghezza,  si  sviluppa  per 
ben  14  metri,  con  una  larghezza  di  m.  1,28;  e,  addentrandosi  nella  collina,  viene  a 
raggiungere  la  profondità  di  circa  m.  5,  come  già  dissi  (tìg.  2).  Alla  sua  estremità 
si  trova  l'ingresso  alla  camera  sepolcrale,  alla  quale  si  accede  per  una  porta  alta 
m.  2,12  (più  m.  0,20  di  soglia)  e  larga  m.  0,98.  La  porta,  già  chiusa  da  blocchi 
di  tufo,  fu  trovata  aperta,  ma  se  ne  conserva  la  soglia  larga  m.  0,90  e  alta  m.  0,20. 
La  tomba,  del  resto,  in  parte  colma  di  terra  e  di  bozze  di  tufo,  fu  trovata  comple- 
tameute  conservata  nella  sua  parte  architettonica;  ma  interamente  devastata.  Tutti 
i  loculi,  mancanti  delle  tegole  di  chiusura,  erano  stati  vuotati  con  tanta  diligenza 
da  non  lasciar  traccia  alcuna  dello  scheletro  dei  defunti.  I  pochi  oggetti  di  metallo, 
come  i  molti  vasi,  furono  trovati  in  uno  stato  miserando,  rotti  in  minutissimi 
frammenti  e  sparsi  non  solo  tra  la  terra  che  ricopriva  il  piano  della  tomba,  ma 
nel  lungo  tramite;  cosicché  si  rinvenivano  insieme  pezzi  di  vasi  attici  a  figure 
nere  e  rosse  del  VI-V  sec.  av.  Cr.,  e  piattelli  a  vernice  nera,  del  cosiddetto  tipo 
etrusco -campano  del  IV-III  sec.  av.  Cr.  I  frammenti  furono  tutti  diligentemente  rac- 
colti; e  si  procedette  anche  al  lavoro  di  vagliare  la  terra  di  riempimento.  Portati  al 
Museo  di  Villa  Giulia,  furono,  con  opera  di  grande  lena  e  pazienza,  esaminati  e  rag- 
gruppati e  così  i  bravi  restauratori  del  museo,  Pennelli  e  Palessi,  poterono  far  rivi- 
vere alcuni  pregevoli  monumenti  dell'antica  pittura  vascolare,  sia  greca  che  italica, 
che  gli  antichi  TVfiftogvxoi,  impadronitisi  degli  oggetti  di  metallo  prezioso,  avevano 
tanto  disprezzato  da  fracassarli. 

Ritornando  alla  descrizione  dell'architettura  della  tomba,  la  camera  sepolcrale 
presenta  una  pianta  quadrata  di  m.  5,30  di  lato:  tutto  intorno  corre  una  banchina 
alta  m.  0,50  e  larga  altrettanto  (da  47  a  51  cm.).  La  volta  è  in  media  a  m.  2,70 
del  pavimento  ed  è  quasi  perfettamente  piana:  nel  mezzo  è  sostenuta  da  una  co- 
lonna d'ordine  tuscanico,  con  capitello  e  base  e  col  fusto  del  diametro  inferiore  di 
m.  0,64. 

Le  pareti  presentano  dei  loculi,  alcuni  dei  quali  profondamente  incavati,  tanto 
da  poter  contenere  due  defunti.  Nella  parete  di  fronte  all'entrata,  nella  parte  supe- 


ri Per  cura  del  principe  Ruspoli  la  tomba  ò  stata  conservata  aperta,  accessibile  ai  visitatori 
e  difesa  da  una  cancellata. 


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Fio.  2. 


REGIONE    VII.  —    43    —  VIGNANEU.O 

riore,  sono  due  grandi  loculi,  uno  dei  quali,  quello  a  destra,  presenta,  scolpita  a  basso- 
rilievo, nello  spazio  sottostante,  una  kline  con  le  gambe  del  noto  tipo  ionico,  con  il 
fregio  a  doppia  voluta  nella  parte  mediana  (fig.  3).  Inoltre,  lungo  i  margini  del 
loculo  si  nota  un  incastro  ben  lavorato,  di  un  paio  di  centimetri,  atto  a  ricevere  le 
tegolo  o  una  lastra  di  chiusura,  della  quale  però,  come  di  nessun  altra,  non  è  apparsa 
la  più  piccola  traccia. 

La  parete  a  destra  di  chi  entra  lia  pure,  nella  parte  superiore,  due  loculi,  senza 
alcuna  decorazione. 

Due  altri  loculi  sono  nella  parete  dov'è  la  porta  d'entrata,  a  destra  e  a  sinistra 
di  questa. 


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Fio.  3. 


Un  po'  diverso  è  il  caso  della  parete  a  sinistra  di  chi  entra  (ved.  fig.  2.  sezione 
della  tomba).  Originariamente  vi  furono  scavati  due  loculi,  non  dissimili  da  quelli 
della  parete  di  fronte  alla  porta,  ma  più  distanti  tra  loro.  E  sotto  a  quello  a  destra 
si  osservano  minime  tracce  di  un'altra  kline,  nel  mentre  esiste  pure  l' incavo  per  le 
tegole.  Ma  in  questa  parete  furono  scavati  altri  tre  loculi,  evidentemente  per  bam- 
bini, uno  dei  quali,  finamente  lavorato  e  con  l'incastro  per  le  tegole  (lungli.  m.  1,20; 
alt.  m.  0,40),  sotto  quello  di  destra. 

La  tomba  appare  concepita  così  com'è  sin  dal  principio,  perchè  la  colonna  viene 
a  trovarsi  nel  preciso  centro  della  camera  e  in  corrispondenza  con  la  porta.  La  squi- 
sitezza del  lavoro,  accurato  in  ogni  particolare;  la  forma  delle  klinai,  e  i  frammenti 
dei  vasi  più  antichi,  riferibili,  come  vedremo,  al  periodo  della  fine  del  VI  e  principio 
del  V  secolo,  si  prestano  a  dare  questa  data  alla  costruzione  di  questo  ipogeo,  che 
viene  quindi  a  prendere  un  posto  notevole  nella  storia  della  architettura  etnisca,  pre- 
sentando un  esempio  perfettamente  conservato  di  colonna  tuscanica.  Vi  si  osserva 
infatti  un  aSaì;  quadrato,  di  m.  0.62  di  lato;  sotto  il  quale  è  un  grosso  s%h>og,  colle- 
gato, per  mezzo  di  un  vnorqa%ijXiov  ben  marcato,  con  il  fusto  che  va  rastremandosi 


V1GNANBIX0  —    44    —  RKGIONE    VII. 

verso  l'alto  e  misura  così,  nel  totale,  un'altezza  di  m.  2,70  che  corrisponde  a  circa 
quattro  volte  il  diametro  inferiore,  come  nella  colonna  dorica  del  periodo  arcaico. 
Dalla  quale  (cfr.  capitello  del  tempio  di  Poseidone  detto  «  basilica  »  di  Pesto,  del 
VI  sec.)  è  pur  derivata  la  forma  della  base  che  somiglia  a  quel  caratteristico  capi- 
tello arcaico  dal  largo  t'xìvog  schiacciato  (diam.  m.  0,95). 

È  inutile  di  aggiungere  che  la  colonna  è  interamente  scavata  nel  tufo,  facendo 
un  tutto  unito  con  il  piano  e  la  volta  della  tomba. 

Considerando  lo  stato  in  cui  furono  trovate,  occorre  descrivere  le  suppellettili 
sistematicamente. 

1)  Oggetti   d'uso  personale: 

Oro  :  una  rotellina  di  lamina  raffigurante  un  flore,  ornamento  femminile  (parte 
di  una  corona?);  diam.  mm.  10.  —  Ferro:  a)  cuspide  di  lancia  e  resto  del  sau- 
roter;  b)  frammento  di  una  spada;  e)  id.  di  un  coltellino.  —  Bromo:  sauroter  di 
lancia,  lungh.  mm.  125. 

2)  Oggetti   vari  : 

a)  quattro  borchie,  bolloni  e  lastrine  di  bronzo  appartenenti  a  un  mobile  ; 
li)  piedino  di  bronzo,  di  una  cista  decorato  con  palmette;  e)  piattello  di  bronzo; 
>/)  dado  d'osso,  della  forma  comune,  con  l' indicazione  dei  numeri  sulle  sei  facce  ; 
e)  frammenti  di  un  manico  e  di  un  regoletto  d'osso,  decorato  con  cerchietti;  f)  mol- 
lette di  ferro;  g)  due  statuette  di  terracotta,  acefale,  raffiguranti  una  donna  am- 
mantata, verniciate  in  modo  da  offrire  l'illusione  dell'argento  (forse  manichi?); 
Ti)  tronco  di  piramide  di  terracotta  (detto  peso  da  telaio)  con  foro  trasversale  (alto 
mm.  100). 

3)  Vasi  : 

Buccheri:  numerosissimi  frammenti  di  vasi  di  bucchero  greve,  di  varia 
forma.  Nel  restauro  si  sono  potute  ricomporre:  a)  parte  superiore  di  un  cratere  a 
colonnette  (diam.  sup.  mm.  120);  b)  bocca  trilobata  di  un'oinochoe;  e)  quattro  tazze, 
su  listello,  a  tronco  di  cono  ;  d)  tazzina  emisferica  con  orlo  in  fuori  ;  e)  piatto  con 
piede  (diam.  mm.  160). 

Vasi  a   figure  nere  : 

a)  Kylix  attica  che  noi  lati  esterni  presenta  due  grandi  occhi  a  fondo  nero, 
in  mezzo  a  tralci  di  vite.  Nel  centro  è  il  gruppo  di  Teseo  che  uccide  il  Minotauro, 
che  si  difende,  pare,  con  una  pietra.  Nell'interno:  gorgoneion  policromo  della  forma 
caratteristica  di  queste  coppe. 

b)  Kylix  attica,   che   aveva  nell'interno  un  gorgoneion   simile  a  quello  della 
coppa  precedente,  del  quale  restano  poche  tracce.  Ai  lati  esterni  presenta  grandi  occhi 
con  fondo  bianco,  e  tralci  di  vite,  e  tra  essi   il  gruppo   di   un   uomo   e   una  donna 
avvolti  in  un  himation  variopinto,  seduti  sopra  una  kline.  Davanti  a  loro  è  una  tra 
peza  dalla  quale  pendono  fette  di  carne.  La  donna  ha  la  parte  nuda  espressa  in  bianco. 


RkgioNe  vii. 


-  45  - 


VlONANBLt.0 


e)  Frammenti  di  due  piccole  lekythoi  con  figurine  nere  e  rossastre,  di  persone 
ammantate. 

d)  Olletta  con  figurine  di  uomini  nudi,  danzanti. 

e)  Frammenti  di  un'olletta,  decorata  con  occhioni  apotropaici  e  Dionysos  seduto. 

Vasi  attici   a   figure  rosse: 

a)  Grande  kylix   (diara.  mm.  325)  di   stile   severo,  deila   quale  manca  pur- 
troppo il  fondo  col  piede  (fìg.  4).  Non  si  comprende  quindi  bene  l'atteggiamento  della 


Fio.  4. 


figura  che  vi  è  rappresentata  :  un  giovane  coronato  che  tiene  il  mantello  gonfiato  tra 
le  gambe  ed  è  in  atto  di  correre  verso  destra,  leggermente  piegato.  Intorno  l'accla- 
mazione HO    PAI*    KAKM  C1). 

L'esterno  si  è  potuto  invece  ricomporre  quasi  integralmente  da  minutissimi  fram- 
meuti.  Subito  osserviamo  che  la  rappresentazione  è  unica,  perchè  le  scene  dei  due 
lati  sono  collegate  fra  loro  da  una  parte  per  mezzo  di  una  figura  di  guerriero  caduto, 


(')  Un  atteggiamento  non  molto  dissimile  presenta  l'uomo  del  fondo   di  una  coppa  di  Vuki 
al  museo  Britannico  (Gerhard,  A.  V.  B.  179;  Reinach,  Répert.  des  vasti  finti  II,  pag.  89). 
Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  7 


\MONANKU.O  —    4(»    —  RKfilONK    Vii. 

situato  sotto  le  anse  e  stranamente  più  piccolo  dei  compagni.  Un  caso  analogo  è 
nella  coppa  di  Exekias  a  Monaco,  a  occhioni,  con  la  rappresentazione  di  combatti- 
menti (')  in  cui  però  la  sproporzione  è  meno  accentuata.  Il  nostro  quadro  può  de- 
scriversi così:  sul  corpo  di  un  guerriero  caduto,  con  elmo  scudo  e  lancia  (sotto,  un'ansa), 
combattono  due  altri,  pure  nudi,  con  le  armi  ;  uno  di  questi,  al  sopraggiungere  del 
nemico,  volgesi  repentinamente  indietro,  tenendo  per  le  redini  un  cavallo  che  galoppa 
verso  la  parte  opposta.  La  scena  si  può  spiegare  pure  e  meglio  supponendo  che  il 
cavallo  atterrito  tenti  fuggire.  Incontro  ad  esso,  come  per  correre  al  soccorso  del  com- 
pagno, viene  un  altro  guerriero  di  corsa,  che  trascina  per  le  redini  un  secondo  ca- 
vallo, seguito  alla  sua  volta  da  un  terzo  guerriero  a  piedi.  Dall'altro  lato  è  un  secondo 
episodio:  due  combattenti,  difendendosi  coi  grandi  scudi  rotondi  (uno  ha  per  emblema 
un  flore),  si  avventano  con  le  lance,  mentre  tra  loro  un  terzo  combattente  sta  cadendo 
a  terra  e  si  appoggia  a  un  albero.  lutine  sotto  l'altra  ansa,  senza  nessun  rapporto 
con  i  due  episodi,  si  scorge  una  figura  di  morente  che  corrisponde  a  quella  dell'ansa 
opposta,  anche  nelle  proporzioni  assai  rimpiccolite.  Notevoli  il  movimento  della  scena 
che  dà  proprio  l'idea  di  un  corpo  a  corpo  accanito  la  rappresentazione  del  tergo  dei 
combattenti,  alcuni  scorci  arditi.  Ma  in  generale  il  disegno  è  trascurato  :  i  piedi 
sono  appena  accennati;  c'è  secchezza  nei  contorni. 

Il  nome  d'artista  che  è  suggerito  da  quest'opera  è  Chachrylion.  Se  osserviamo 
infatti  alcune  delle  opere  da  lui  firmate,  come  p.  es.  la  coppa  di  Velanidezza  tro- 
vata in  Attica  (*),  troviamole  stesse  caratteristiche,  nel  mentre  crrrispondono  anche 
i  caratteri  secondarii,  quali  la  forma  dell'elmo  e  la  completa  nudità  dei  combattenti. 
Nella  nostra  coppa  però  si  osserva  un'esecuzione  un  po'  affrettata,  che,  mentre  po- 
trebbe essere  conseguenza  di  ima  grande  fabbricazione,  ci  induce  anche  ad  essere  assai 
guardinghi  (come  del  resto  si  deve  essere  sempre  in  queste  identificazioni)  a  fare  il 
nome  di  Chachrylion,  potendo  trattarsi  di  un'opera  di  scuola;  basti  quindi  dire  che 
la  riteniamo  sotto  la  sua  piena  influenza.  L'attività  di  Chachrylion,  che  pare  mae 
stro  di  Buphronios,  dovette  svolgersi  alla  fine  del  VI  secolo. 

b)  Stamnos,  di  stile  severo,  ricomposto  da  moltissimi  frammenti  e  mancante 
delle  anse  (fig.  5). 

La  forma  è  quella  caratteristica  degli  artisti  della  fine  VI  -  principio  V  sec.  : 
il  collo  è  ornato  di  una  serie  di  linguette  (che  poi  si  trasformano  in  ovuli) 
La  rappresentazione  corre  tutto  intorno  e  si  può  dividere  in  due  gruppi  :  anterior- 
mente è  una  scena  di  libazione  tra  un  giovane  guerriero  e  una  fanciulla;  dall'altra 
parte  una  scena  di  tre  persone  di  cui  ora  parleremo,  alla  quale  va  aggiunto  certa- 
mente il  guerriero  barbato  che,  per  mancanza  di  spazio,  fu  messo  dall'altra  parte 
dell'ansa  (3).  Sotto  l'altra  ansa  è  un  albero  che  è  stato  disegnato  con  la  prima  scena, 
ma  torse  appartiene  anch'esso  alla  seconda,  come  vedremo. 

(')  Fnrtw.-Reichh.,  Or.  VasenmaL,  tav.  XMI  (nell'interno  è  rappresentato  Dionysos  in  una  nave). 

(*)  Rayet-Collignon,  ffiit.  dt  la  rér.  grecque.  fig.  17. 

(*)  Il  caso  non  è  raro  nei  vasi  :  cfr.,  p.  es..  lo  skyphos  ili  Hieron  al  Louvre  {Monum.  fnst., 
VI-VII,  tav.  XIX)  dove  il  Diomede  della  7i^enfieia  f>  passato  dalla  parte  della  scena  della  partenza 
di  Briseide. 


KKQIONE    VII. 


—  47  — 


VIGNANELLO 


La  prima  scena  (tìg.  6)  è  semplice:  il  giovane  guerriero,  dalla  barba  appena  nascente, 
vestito  di  chitonisco,  completamente  armato,  con  corazza,  cnemidi,  elmo  corinzio, 
scudo  e  lancia,  tenendo  lo  scudo  infilato  nel  braccio  sinistro  (ne  apparisce  l'interno) 
e  portando  la  lancia  nella  mano  corrispondente,  tende  con  la  destra  una  phiale  verso 
ima  fanciulla.  Questa,  vestita  come  le  xóqcu,  con  bel  chitone  a  largo  bordo,  su  cui 
è  un  mantelletto  ionico  che  ella  solleva  con  la  sinistra,  portando  in   testa  una  cuf- 


ÌIG.    5. 


(ietta  (')  dalla  quale  appariscono  i  capelli  accuratamente  pettinati  (*),  si  volge  gra- 
ziosamente verso  il  giovaue  partente  e  gli  versa,  da  un'oinochoe,  del  vino  rosso  nella 
coppa,  per  la  libazione  augurale.  Tra  loro  è  l'iscrizione  KALOS.  Trattasi  di  una 
delle  solite  scene  di  addio,  sulla  quale  è  inutile  di  intrattenerci.  Né  mancano  i  con- 

(')  Non  dissimile  a  quella  delle  etère  del  vaso  di  Enphronios  a  Pietroburgo.  Cfr.  anche 
Fiirtw.-Reichh.,  Or.   Vasenm.,  tav.  XXXIII  e  LXXI. 

(•)  Come  nelle  xóqoi  arcaiche:  p  es.  nello  Cariatidi  del  tesoro  detto  dei  Sifni  a  Delfi;  nel 
frammento  del  dono  votivo  di  Euthydikos  a  Athena  (Acropoli),  etc. 


VIGNÀNELLO 


48   — 


REGIONE    VII. 


fronti,  come  p.  es.  con  l'anfora  di  Vulci  (Mon.  Inst.  I,  tav.  XXVI,  3)  o  con  un  vaso 
pubblicato  dal  Tischbein  (II,  tav.  XXII,  Athena  e  Herakles). 

A  lei  volge  le  spalle  una  figura  di  guerriero  barbato,  che  è  oollegato,  pel  gesto, 
col  gruppo  della  parte  opposta,  col  quale  va  descritto.  Il  magistrale  disegno  del  Fer- 
retti, ne  dà  tutto  il  bell'insieme  (rig.  7).  La  figura  centrale  è  un  giovane  dalla  barba 
nascente,  seduto  di  profilo  sinistro  su  un  ói<pqog  òxXaàiag;  semplicemente  avvolto 
in  un  himation  che  lascia  scoperta  la  spalla  destra.    La  sua  testa  giovanile,   super- 


■    S  : £flS15Ì5UnSÌS15ISlffi5T5 


Fig.  6. 


bamente  eretta,  è  adorna,  nei  "capelli,  di  una  tenia.  Tiene  sulla  sinistra  un  semplice 
bastone  nodoso,  che  poggia  a  terra  e  termina  in  alto  ricurvo;  protende  la  destra 
in  avanti  con  una  coppa  dalla  quale  versa  in  terra  del  vino.  Davanti  a  lui,  in 
piedi,  guardandolo,  appare  una  possente  figura  di  giovane  guerriero.  In  testa  ha  l'elmo 
con  un  lócpog  di  grande  coda  equina;  veste  un  chitonisco  sul  quale  è  una  corazza 
adorna  di  meandri  e  di  stelle  sui  yvaXa.  Negligentemente  gettato  sulle  spalle  porta 
un  mantello,  forse  la  %Xavk  (').  Imbraccia  nella  sinistra  un  grande  scudo  rotondo  che  ha 
per  emblema  la  parte  posteriore  di  un  felino,  pare  una  pantera  (2),  dietro  al  quale,  tenuta 


(')  Ved.  A.  Della  Seta,  Una  statua  arcaica  di  villa  Borghese;  in  Bull.  Gomm.  arch. 
cnmun.  1908,  pag.  1  segg. 

(')  'Ema^inai a  di  questo  genere  non  mancano;  cfr.  anfora  di  Vulci  (Mon.  Inst.  I,  LI  -  parte 
anter.  di  un  cinghiale);  hydria  di  Vulci  a  Monaco  (Mon.  Inst.  I,  tav.  XXXIV  -  gamba  umana); 
protome  di  leone  (hydria  al  Brit.  Mus.  ;  Arch.  Zeit.  1856,  tav,  XCI)  ;  etc. 


REGIONE    VII. 


49    — 


VIGNANELLO 


g 

£ 


VIONANELLO  —    50   —  REOIONE    VII. 


dalla  mano  sinistra,  è  una  lunga  ancia.  L'eroe,  che  è  rappresentato  di  faccia  e  volge  la 
testa,  come  dicemmo,  verso  la  figura  che  è  alla  sua  sinistra,  tende  dalla  parte  opposta 
la  destra  con  una  coppa.  Viene  ora  la  figura  che  si  trova  dall'altra  parte  dell'ansa, 
sotto  la  quale  è  un'ara  con  grandi  volute  ioniche  (')•  Questo  nuovo  personaggio  si 
volge  tutto  verso  il  primo  giovane  seduto.  È  un  uomo  maturo,  dalla  lunga  barba,  con  i 
capelli  stretti  da  una  tenia.  Sul  chitonisco  veste  una  corazza.  Nelle  mani  ha  armi 
che  tende  vivamente  verso  il  compagno  seduto;  un  grande  elmo  corinzio  con  la  destra, 
con  la  sinistra  una  spada,  dalla  quale  pende  il  balteo  eseguito  con  tinta  rossa.  Com- 
pleta il  quadro  una  quarta  figura  che  sorge  in  piedi  dietro  la  prima.  £  un  vecchio 
calvo,  con  i  capelli  e  la  barba  tagliati  cortissimi  e  espressi  per  mezzo  di  puntini 
rossi  (*).  Ciò  non  ostante,  ha  una  tenia  che  gli  cinge  la  fronte.  Si  presenta  tutto 
avvolto  in  un  himation  e  con  la  destra  tiene  una  coppa  in  alto,  vuota,  di  cui  appare 
l'interno.  La  sinistra,  sotto  il  mantello,  sorregge  un  bastone  col  pomo.  Dietro  a  lui 
(sotto  l'altra  ansa)  è  il  grande  albero,  con  foglioline.  Nel  campo  è  ripetuta  l'accla- 
mazione KAUOS  (»). 

Pur  riserbaudomi  di  trattare  altrove,  in  più  atta  sede,  dell'argomento,  non  posso 
non  accennare  alla  scena  rappresentata  e  alla  cerchia  artistica  di  questo  vaso. 

La  figura  di  giovane  inerme  seduto  e  avvolto  nello  himation  è  ben  nota  nell'aite 
vascolare  attica  della  prima  metà  del  V  secolo  o  spesso  caratterizzata  per  Achille 
dalla  iscrizione,  comparendo  particolarmente  nella  scena  della  ngeofifia. 

11  Brunii,  sin  dal  1858  (4),  e  dopo  di  lui  il  Robert  (*),  ne  trattarono  diffusa- 
mente, mentre  già  se  ne  era  occupato  lOverbeck  nella  sua  raccolta  di  rappresenta- 
zioni del  ciclo  eroico  (6).  Più  recentemente  la  questione  fu  esaurientemente  ripresa 
da  Manuel  Laurent  nella  liéoue  archéoloyique  del  1898  (7).  Non  discuto  ora  le  con- 
clusioni del  Laurent  che  posso  però  dichiarare  sembrarmi  accettabili  nella  massima 
parte.  Egli  ricorda  nove  vasi  con  la  rappresentazione  della  nQea^tia  che  Odisseo, 
Aiace  Telemonio  e  Fenice  compiono  presso  l'eroe  offeso  per  indurlo  da  parte  di  Aga 
meunone  a  prendere  di  nuovo  parte  alla  lotta  {Iliade  IX,  v.  17o  segg.);  monumenti 
che,  disposti  in  ordine  cronologico,  sono: 

A.  Cratere  del  Louvre  {Mon.  fast.  VI,  tav.  XXI). 

D.  Skyphos  del  Louvre,  firmato  da  Hieron  {Mon.  Inst.  VI- VII,  tav.  XIX). 

6'.  Hydria  di  Berlino  {Annali  deli 'Inst.  1849,  tav.  I). 

(')  Cfr.  vaso  della  liibl.  nat.  di  Parigi  (Luynes,  tav.  XXXVII). 

(-')  Cosi  appariscono  Auchi.se  e  Priamo  ucH'hydria  Vivenzio  del  Musco  Nazionale  di  Napoli, 
con  VJliupersis  (Knrtw.-Reichh.  Griech.  Vasenm.,  tav.  XXXIV);  cfr.  pure  Furtw  -Reicbh.,  tav.  XIV. 

PJ  IVr  lo  btato  di  conservazione,  assai  evauido,  non  comparisce  nel  disegno. 

(')  E.  Unum,  L'ira  di  Achille,  negli  Annali  dell'Ut,  di  con:  arch.  1858,  pag.  532. 

(*)  C.  Robert,  Die  Gesandschaft  an  Achìlleut,  i\c\V Arch.  Zeit.  1881,  pag.  138;  vedi  anche  di 
lui:  liild  und  Lied,  pag.  96.  Cfr.  infine  Arthur  Schueider,  Der  troische  Sagenkreit  in  alt-  griech. 
Kunst,  1886,  pag.  19. 

(«)  Overbek,  ffer.  Bildw.,  pag.  408,  tav.  XVI. 

(')  M.  Laurent,  L'Achille  voile  dans  la  peinture  de  vasai  grecs  in  Rev.  arck.  1898,  II, 
pag.  153. 


regione  Vii.  —  51   —  Vkinaneì.Lo 

D.  Kylix  del  Museo  Britannico  (Hartwig,  Meislertch.  XLI;  Perrot  Chipiez  X. 
fig.  420). 

E.  Coppa  del  Louvre  (Gehrard.  Auserles.    Vasenb.  Ili,  239). 

F.  Kylix  del  Museo  Britannico  (  Wien.    Vorlegebl.  e.  Ili,  3). 

G.  Aryballos  del  Museo  di' Berlino  {Arch.  Zeit.    1881,  tav.  Vili). 
//.  Pelike  del  Louvre  {Moti.  Inst.  VI,  tav.  XX). 

I.  Anfora  di  Berlino  (Arch.  Zeit.  1881,  pag.  8). 

Tutti  a  ligure  rosse  di  stile  severo,  tranne  l'ultimo,  a  figure  nere,  ma  con  evi- 
denti caratteri  di  decadenza  e  posteriore  almeno  ai  primi  dei  nominati.  In  tutto,  il 
Laurent  classifica  questa  serie  di  opere  d'arte  tra  il  490  e  il  450  av.  Cr. 

Ora  nessun  dubbio  può  sorgere  sugli  stretti  rapporti  di  somiglianza  della  figura 
di  giovane  seduto  del  nostro  stamnos  con  l'Achille  di  queste  rappresentazioni.  Sia 
che  sieda  con  la  testa  eretta,  come  in  B,  o  resti  avvolto  nello  himation,  come  in  C  D 
e  F;  oppure  porti  la  destra  alla  testa  in  atto  di  dolore,  come  in  A  I)  F  G,  è 
sempre  lo  stesso  giovane  in  preda  all'ira  e  al  dolore,  derivato  certamente  da  uno 
stesso  grande  originale  della  pittura  (').  Le  somiglianze  più  notevoli  son  con  il  vaso  B, 
quello  firmato  da  Hieron;  uè  è  di  ostacolo  la  presenza  del  bastone  da  pastore  che 
si  ritrova  già  nella  coppa  /). 

11  nostro  personaggio,  che  possiamo  chiamare  Achille,  si  distingue  dagli  altri 
principalmente  per  l'aspetto  sereno  e  per  l'atto  della  libaz;one.  Questo  ci  porta  a 
trattare  del  momento  rappresentato.  Come  vedemmo.  Achille  è  circondato  da  tre  per- 
sone. Quella  dietro  a  lui  deve  essere  Penice:  ben  vi  si  adattano  l'età  avanzata  (')  e 
l'abito  da  casa,  per  caratterizzare  che  egli  ha  fissato  ormai  la  dimora  nella  tenda  di 
Achille.  In  piedi,  benché  di  aspetto  diverso,  comparisce  presso  il  suo  discepolo  in  A  H 
e  G.  La  figura  all'estremo  opposto  mi  pare  possa  essere  soltanto  Odisseo.  Ulisse 
infatti  è  il  vero  capo  dell'ambasceria  nella  quale  è  accompagnato  da  Aiace  e  da 
Penice  nell'Iliade,  ai  quali  si  aggiunge  Diomede  (evidentemente  per  una  versione 
posteriore  del  mito)  nei  vasi  A  B  G  ecc.  Ora  il  modo  in  cui  Ulisse  è  più  comu- 
nemente rappresentato  (in  A  C  F  G),  è  quello  seduto  davanti  ad  Achille,  con  il 
ginocchio  sinistro  nelle  mani  (una  posa  che  sarà  poi  fatta  sua  da  Polignoto,  di  poco 
posteriore)  ;  e  tutto  fa  credere,  come  ben  osserva  il  Laurent,  che  così  fosse  nell'ori- 
ginale al  quale  tutti  questi  artisti  vascolari  si  ispirarono. 

Ma  in  altri  vasi  (B,  D,  F)  Ulisse  comparisce  in  piedi,  appoggiato  a  una  lancia. 
Il  nostro  tipo  è  nuovo:  l'eroe  non  parla  ad  Achille,  ma  lo  eccita  a  muoversi,  mostran- 
dogli le  armi,  il  bello  elmo  corinzio  e  la  spada,  quelle  armi  che  negli  altri  vasi 
sono  appese  alla  parete,  quasi  a  ricordare  la  ragione  dell'ambasceria  (spada  e  scudo 
in  A;  elmo  e  spada  in  lì;  elmo  in  G  ed  E;  scudo  in  G;  spada  in  /).  La  mossa 

(')  Non  dissimile  doveva  essere  l'aspetto  dell'eroe  in  una  trilogia  a  lui  dedicata  da  Eschilo, 
benché  a  ragione  ora  dal  Laurent  e  dal  Pottier  (  Catalogne  de  vases  ant.  rfu  Louvre,  pag.  833)  si 
neghi  una  diretta  influenza  della  tragedia  su  queste  opere  d'arte,  che,  anche  per  criterii  cronologici, 
paiono  piuttosto  derivare  da  una  insigne  pittura  che  forse  ispirò  Bachilo  stesso. 

(*)  Egli  appare  calvo,  p.  es.,  nell'anfora  di  Vulci  a  Wiirzburg  (Moti.  Inst.  I,  tav.  XXXV). 


VIGNÀNBI,t,0  —    62    —  RKiilONK    VII. 


di  Ulisse  non  potrebbe  essere  più  espressiva.  Resta  il  giovane  guerriero  tntt'armato  : 
esso  non  può  essere  né  Aiace,  né  Diomede:  ma  in  lui  dobbiamo  riconoscere  Patroclo, 
che  si  prepara  a  partire  per  quella  battaglia  dalla  quale  più  non  dovrà  tornare  ('). 
Egli,  che  comparisce  anche  nell'  Iliade  come  amico  caro  di  Achille,  quando  con  lui 
accoglie  benevolmente  gli  ambasciatori,  e  che  non  si  ritrova  nelle  altre  rappresen- 
tazioni studiate  (*),  e'  illumina  completamente  sul  significato  della  nostra  scena  e 
sulla  libazione.  L'artista  ha  voluto  riunire  nel  suo  quadro  il  ricordo  dell'ambasciata 
di  Ulisse  e  il  momento  in  cui  Patroclo  accorre  a  combattere  pei  Greci  :  ciò  ci  spiega 
come  Achille,  pur  non  inducendosi  ancora  a  impugnar  le  armi  che  Ulisse  gli  mostra, 
siasi  già  rasserenato  dal  suo  tremendo  cruccio  (•). 

Rimane  da  stabilire  l'artista  del  vaso,  che.  se  ha  parecchi  pregi,  non  è  scevro 
di  difetti,  specialmente  nella  parte  posteriore  dove  la  figura  di  Penice  appare 
appena  abbozzata:  le  estremità  inferiori  sono  poi  fatte  sommariamente.  Prima  di  ese- 
guire la  pittura,  ne  fu  granito  a  grandi  linee  uno  schizzo.  Alcuni  motivi  ci  ripor- 
tano ad  altri  vasi:  la  mossa  di  Ulisse  ricorda  quella  di  un  guerriero  di  una  coppa 
del  Louvre  attribuita  ad  Onesimos  (4);  ma  l'artista  con  il  quale  i  rapporti  mi  sembrano 
più  stretti  è  Euthymides  (r>).  Anzitutto  è  noto  che  questo  grande  artista  del  prin- 
cipio del  V  secolo,  emulo  di  Euphronios,  dipinse  solo  grandi  vasi,  disdegnando  le  coppe 
e  che  metteva  due  o.  più  spesso,  tre  figure  da  ogni  lato.  Ma  questo  sarebbe  ben  poco. 
Gli  occhi  sono  da  lui  espressi  con  la  pupilla  all'estremità  interna;  intorno  ai  capelli 
è  lasciato  uno  spazio  per  dividerli  dal  fondo;  s'incontra  spesso  il  caso  (come  in  Pa- 
troclo e  Ulisse)  di  figure  rappresentate  di  faccia  con  un  piede  di  faccia  e  l'altro  di 
profilo;  le  pieghe  sono  ben  espresse:  ma  i  particolari,  sia  nei  mantelli  sia  nei  chi- 
toni, sono  rappresentati  da  linee  di  tinta  chiara.  Tutto  questo  si  riscontra  nel  nostro 
vaso.  A  queste  proprietà,  senza  badare  a  quelle  minori  quali  la  forma  corinzia  del- 
l'elmo; il  mantelletto  di  Patroclo  portato  da  un  satiro  del  vaso  di  Monaco  (Fnrtwan- 
gler-Reichhold,  tav.  XIV);  l'acclamazione  di  KALOS  senza  nome  proprio,  si  devono 
aggiungere  principalmente  la  costituzione  delle  figure  possenti,  con  la  testa  forse 
un  po'  grossa,  il  modo  di  disegnare  i  profili,  la  barba  (coi  baffi  appena  accennati), 
le  mani,  il  panneggio. 

Non  voglio,  con  questo,  concludere  che  possiamo  certamente  attribuire  ad  Euthy- 
mides il  nostro  stamuos;  anzi  le  imperfezioni  già  notate  mi  pare  debbano  consi- 
gliarci a  considerarlo  forse  opera  di  qualche  artista  secondario,  che  però  starebbe  nel 
caso  sotto  la  piena  influenza  del  grande  artista  vascolare  ateniese. 


(')  Patroclo,  nell'arte  di  stile  severo,  è  per  lo  più  un  giovane  imberbe  (cfr.  coppa  di  Epigenes 
al  Cabinet  des  médailles  a  Parigi  =  Annali  Jnst.,  1850,  tav.  H). 

(')  Non  mi  pare  vi  siano  ragioni  convincenti  per  vederlo  nel  vaso  //. 

(J)  Noto,  ancora,  ebe  l'albero  dietro  Peni  comparisce  in  forma  quasi  identica  nello  skyphos 
di  Hieron  (B),  tra  Aiace  e  Diomede. 

(*)  0.  108  (Pottier,  Gat.,  pag.  947)  pubblicata  dal  Collignon,  Mon.  Atsoc.  étud.  grec,  1885, 
tav.  V  e  VI. 

(•)  Vedi  Fnrtwangler,  testo  a  tav.  XIV  della  Qriech.  Vasenmalerei;  C.  Robert  in  Pauly- 
Wissowa,  li.  E.,  s.  v.;  J.  Clark  Hoppiu,  Eulhymidet;  a  study  in  attic  vasepaintiny,  189C. 


REGIONE    VII.  —   53    —  VIGNANBLLO 

Proseguendo  nella  nostra  descrizione  dei  vasi  della  tomba,  abbiamo: 
e)  Frammento  dell'  interno  di  una  kylix  attica  di  stile  severo,  con  meandro, 

tracce  della  testa  e  della  clamide  di  un  giovane,  e  lettere  senza  significato. 

d)  Frammenti  di  rhyton,  forse  a  testa  di  negro.  Restano  purtroppo  solo  l'orlo 

ornato  a  scaccili,  frammenti  dei  capelli  e  l'ansa  con  l' iscrizione 


IEP    piNo^^rioit^S.      N 
B 

Usi»  '      K      °      i     <     A    t>    T     *      K.     A      V     0     5 


~\ixo<;  xctqT«  xotlóg 

Il  nome  dell'artista  è  facilmente  supplibile,  perchè  di  Charinos  noi  conosciamo 
altri  quattro  vasi  firmati,  dei  quali  tre  ricordati  nella  raccolta  del  Klein  ('),  e  il 
quarto,  più  bello  di  tutti,  trovato  nel  1876  (l)  nella  necropoli  tarquiniese.  ora  a  Cor- 
neto  in  quel  Museo,  pubblicato  da  E.  Keisch  (3).  I  rapporti  tra  questo  vaso  e  il  nostro 
dovevano  essere  strettissimi,  benché  là  si  tratti  di  una  severa  testa  femminile  e  qui, 
come  dicevo,  probabilmente  di  un  Etiope,  come  ci  indicano  i  capelli  e  come  si  trova 
in  altri  vasi  (4).  Da  quello  che  resta  però  constatiamo  che  tanto  l'ansa  quanto  la  bocca 
del  vaso  (polos,  nella  testa  di  Corneto)  sono  identici  (5).  L'attività  di  Charinos  —  che, 
come  si  vede,  si  consacrò  specialmente  alle  varie  forme  di  rhyton  —  è  posta  del  Reisch 
tra  il  550  e  il  530  (520)  av.  Cr.,  e  a  quell'età  ben  corrispondono  i  caratteri  epi- 
grafici attici.  Resta  da  completare  il  nome  del  giovanetto  tanto  lodato:  di  quelli 
terminanti  in  ixog  il  Walters  (6),  nella  sua  lista  dei  nomi  con  xakóc,  non  dà  che 
Elpinikos,  che  comparisce  in  alcune  coppe  a  figure  rosse,  di  stile  severo;  quindi  crono- 
logicamente la  cosa  è  possibile.  Non  si  possono  escludere  però  altri  nomi,  p.  es.  Ei&v- 
àixog.  il  nome  del  dedicante  di  quella  statua  dedicata  ad  Athena  sull'acropoli  nel 
primo  ventennio  del  sec.  V,  statua  che  abbiamo  nominato  a  proposito  dello  stanino» 
con  la  scena  di  libazione. 

e)  Frammenti  di  una  kylix  attica  di  lavoro  finissimo,  della  metà  del  V  secolo 
AH'  interno  si  notano  i  resti  di  un  giovane,  avvolto  nello  himation,  che  tende  una 
kylix  davanti  alla  porta  di  un  tempio  (?)  sopra  un'ara  (tig.  8).  All'esterno,  tra  foglie 
di  edera  grandi  e  isolate,  erano  scene  atletiche  ed  erotiche  :  notevole  il  giovane  con 
lepratto  in  mano,  del  quale  si  dà  la  riproduzione  (tig.  9). 

(')  Klein,    Vasen  rn.it  Afeistersig'.,  pag.  214:  sono  un'oinochoe  e  due  rhyta  a  testa  femminile. 
(')  Helbig  in  Bull.  delVInst.,  1879,  pag.  88;  Dasti  in  Not.  d.  scavi,  1879,  serie  3\  voi.  IH, 
p)>.  150  seg. 

(3)  E.  Keisch.    Vasen  in  (jorne'.o;  in   Ròm.  Miti,  1890,  pag.  312,  tav.  XI. 

(4)  Hartwig  in  'top.  deX    1894.  tav.  VI. 

(*)  Anche  nel  diametro  di  min.  120  e  140  (a  Corneto). 

(«)  Walters,  Hist,  of  arie,  pottery,  II,  pag.  278. 

Notizie  Scati  1916  —  Voi.  XIII.  8 


VIONANBLLO 


—  54 


RKGIONK    VII. 


f)  Kylii  attica,  in  frammenti.  Nell'interno,  in  un  cerchio  a  meandro,  due 
giovani  banchettano  su  una  kline;  ai  lati  esterni,  da  ciascun  lato,  tre  giovani  nudi 
con  arnesi  da  palestra.  Lavoro  piuttosto  rozzo,  specialmente  dal  lato  esterno. 


Fio.  a. 


g)  Kylix  attica  di  lavoro  grossolano  e  tardo.   Nell'interno,  in  un  cerchio  a 
meandro,  un  giovane  avvolto  nello  himation  rivolge  un   invito  amoroso  a  una  gio- 


Fia.   9. 


vanetta  pure  ammantata.  All'esterno,  da  ciascun  lato,  tre  giovani  ammantati  in  piedi. 
Sotto  le  anse,  volute  e  palmette. 

h)  Parte  centrale  di  kylii  attica  con  figure  di  due  giovani,  in  piedi,  tutti  av- 
volti nello  himation,  che  si  guardano.  Ai  lati  esterni  erano  figure  ammantate,  di  cui 
resta  la  parte  inferiore. 

»')  Eylix  a  vernice  nera,  senza  decorazione,  mancante  del  piede. 


REG10NK    VII. 


55  — 


VIGNANB1XO 


Vasi   di    fabbrica   fa  lisca. 

Vicino  agli  attici,  col  paziente  restauro,  si  son  potuti  ricomporre  alcuni  vasi  di 
fabbricazione  italica: 


Fio.  10. 


a)  Grande  oinochoe,  alta  ìnm.  550,  dalla  forma  a  becco  d'oca,  caratteristica 
del  tipo  falisco  (tìg.  10).  Nera  inferiormente,  è  decorata,  sul  ventre,  da  una  scena  chiusa 
tra  un  meandro  in  basso  e  una  serie  di  linguette  e  ovuli  in  alto,  mentre  posterior- 


VIGNÀNELLO 


—  56  — 


REGIONE    VII. 


mente,  sotto  la  grande  ansa,  sono  due  palmette.  Le  scena  si  divide  in  due  gruppi  : 
uno,  a  sinistra  (tig.  11),  consiste  in  un  un  giovane  nudo,  dalle  lunghe  chiome,  coro- 
nato di  edera,  seduto  sulla  sua  clamide  posata  su  un  sasso.  Nella  sinistra  ha  un  ba- 
stone; tende  la  destra  verso  una  donna  nuda,  in  piedi,  con  manto  sulle  spalle,  collana 
e  armille,  che  gli  porge  una  coppa  e  tiene   nella  sinistra  il   grande  tirso  con  tenia. 


Fig.  11. 


Ai  piedi  ha  alti  calzari.  Dall'altra  parte  una  donna  che  appare  perfettamente  nuda, 
in  piedi,  con  collana,  si  toglie  il  mantello.  Sotto:  una  patera,  un  cigno,  un  corno 
potorio.  È  chiaro  che  qui  è  rappresentato  Dionysos  tra  due  Menadi.  Egli  è  di  di- 
segno correttissimo  e  del  color  naturale  della  terra;  le  donne  sono  completamente 
dipinte  in  bianco,  sul  quale  sono  segnati  i  monili.  A  sinistra  è  un  secondo  gruppo 
(fig.  12).  Nel  mezzo  una  biga  trainata  da  due  superbi  cavalli  bianchi  :  in  essa  sono 
in  piedi  un  giovane  nudo  con  bimation  sulle  spalle  e  lancia  (Dionysos?),  che  tiene 


REGIONE    VII. 


-  57 


VIGNA NELLO 


tra  le  braccia  una  giovane  donna  nuda  (manca  la  testa),  forse  Arianna.  Sui  cavalli 
si  posa  vibrando  le  ali,  per  restare  in  equilibrio,  un  grande  Amore,  che  tende  una 
corona  aperta. 

Verso  i  cavalli  muove  un  Satiro  nudo  con  in  mano  una  coppa  e  un'oinochoe;  dietro 
alla  biga  è  una  donna  nuda  (Menade)  con  corona  in  mano.  Pel  campo  tre  patere.  Anche 


Fio.  12. 


questa  scena  ha  le  figure  femminili  e  i  cavalli  dipinti  in  bianco;  sul  quale  colore 
sono  i  particolari,  come  i  tìnimenti  dei  cavalli,  rappresentati  con  grande  precisione. 
Le  rappresentazioni  del  vaso  sono  completate  da  quella  sull'alto  collo  (fig.  10), 
terminante  in  un  ornato  a  «  cane  fuggente  ».  Nella  scena  è  riprodotto,  nelle  linee 
generali,  il  primo  gruppo:  un  giovane  nudo  siede  sulla  clamide,  tenendo  nella  de- 
stra il  bastone,  tra  due  donne  nude,  dipinte  bianche,  in  piedi,  una  delle  quali  gli 
offre  un  alabastro  e  l'altra  una  corona  aperta.  Dietro,  altre  palmette  e  volute. 


VIGNANBLI.O 


—    58    — 


REGIONE    VII. 


Questa  oinochoe  fa  parte  di  una  serie  di  vasi  di  questa  forma  del  1V-III  sec, 
tutti  di  fabbricazione  falisca  ben  distinta,  in  cui  il  genio  italico,  pur  ispirandosi 
totalmente  ai  modelli  greci,  ha  saputo  creare  opere  caratteristiche  e  fortemente 
armoniche  (').  I  soggetti  sono  generalmente  dionisiaci.  Questo  di  Vignanello  può  con- 
siderarsi uno  dei  più  notevoli  esistenti,  per  correttezza  di  disegno  e  per  conservazione 
della  policromia. 

/>)  Grande  stamuos  (lìg.  13).  Nella   parte   anteriore   è  un   giovane  nudo,  con 
tirso  e  kantliaros,  forso  Dionysos,  volto  verso  un  altro  giovane  nudo,  seduto,  con  un 


>jfe^Ì 


Fio.  18. 


grande  ramo  d'ailoro  in  mino  e  timpano.  Questo  ricorda  assai  il  tipo  di  Apollo  ('). 
Presso  di  lui  è  una  figurina  di  donna  seduta  in  terra,  con  in  mano  un  corno  potorio. 
Gli  oggetti  e  la  pelle  della  donna  sono  bianchi.  La  parte  posteriore  è  occupata  da 
un  giovane  nudo  e  una  donna  in  piedi.  Questo  stamnos  è  di  tecnica  accuratissima 
e  le  ligure  son  disegnate  con  tratto  tino,  preciso  e  brillante.  Esso  si  ricollega  con  altri 
trovati  nelle  necropoli  di  Falerii,  due  dei  quali,  quelli  n.  2349  e  2340  dell'  inventario 
del  Museo  di  Villa  Giulia,  provenienti  da  una  tomba  in  contrada  Valsiarosa,  rap- 
presentanti l'uno  la  Nike  tra  quattro  giovani,  l'altro  l'episodio  di  Hermes  che  porta 
il  piccolo  Dionysos  davanti  a  lieta  e  a  Zeus  (nella  parte  posteriore  in  tutt'e  due  è  il 


(*)  Vedi  la  mia  relazione  sugli  scavi  di    Rignano  Flaminio,  in  Not.  scavi,  1914,  pp.   276-77. 
(')  P.  cs.  nel  cratere  del  Museo  Britannico,  in   cui   Apollo    appare   in    una    scena   dionisiaca 
(lira.  A/ut-,  cut.  IV,  f.,  77  =  Arch.  Ze'vt,  1865,  tav.  202,  2). 


RK010NE    VII. 


—  59  — 


Vigna  nello 


thiasos  bacchico),  Inumo  con  il  nostro  tali  punti  di  contatto  nella  tecnica,  nel  profilo 
delle  ligure,  nella  composizione  che  non  esito  a  crederli  tutti  della  stessa  mano. 

e)  Piccolo  stamnos  con  anse  ripiegate  sul  corpo.  Anteriormente  è  decorato 
d'una  figura  femminile,  vestita  di  peplo,  seduta,  con  in  mano  una  cista.  Davanti  a 
lei  è  un  Eros  efebico,  nudo,  con  flabello;  dietro,  un  giovane  con  clamide  appoggiato 
a  un  bastone    e  una  donna   in   piedi.   La   parte  posteriore   porta  volute  e  palmette. 


Fig.  14. 


Abbiamo  qui  un  vaso  che,  per  soggetto,  si  aggruppa  con  quelli  dionisiaci,  così  fre- 
quenti nella  pittura  italiota  e  così  enigmatici  ancora.  Per  stile  differisce  notevolmente 
dal  precedente  e  si  raggruppa  con  altri  del  territorio  Falisco.  Citerò,  per  esempio, 
i  nn.  8237  e  8238  del  Museo  di  Villa  Giulia;  con  Dionysos  e  Arianna,  Satiri  e 
Menadi,  rinvenuti  in  una  tomba  di  Fabbrica  di  Roma,  così  vicina  a  Vignanello. 

d)  Kylix  (fig.  14),  che  nell'interno,  tra  un  meandro,  interrotto  da  stelline, 
presenta  un  sileno,  che  pare  alquanto  ebbro,  seduto  su  una  pelle  leonina,  coronato  di 
pampini  e  con  una  corona  di  perline  attraverso  il  petto.  Davanti  a  lui,  in  piedi,  è 
un  Genio  femminile  alato,  nudo,  che  gli  presenta  un  timpano,  a  mo'  di  specchio.  Nel 
lato  esterno  è  da  tutt'e  due  i  lati  il  gruppo  di  un  giovane  nudo,  una  donna  con  peplo 
e  un  uomo  avvolto  nello  himation.  Sotto  le  anse,  palmette  e  spirali. 


VIGNANEM.O 


«0 


REGIONE    VII. 


e)  Kylii  (fig.  15),  in  buona  parte  mancante  ;  nell'  interno  è  una  bella  figura 
di  Diouysos.  con  ricca  veste  talare,  sandali  ai  piedi,  corona  raggiata  in  testa,  lunghe 
chiome  fluenti,  che  siede,  tenendo  la  destra  appoggiata  sul  tirso  a  guisa  di  scettro. 
Darauti  a  lui  è  un  satiro  danzante,  coronato  di  pampini  che  si  appoggia  con  la  destra 
sul  tirso  e  volge  la  testa  in  alto  verso  un  kantharos  che  tiene  sollevato  con  la  sinistra. 
Nel  fondo,  oinochoe  e  tenia.  All'esterno  il  medesimo  gruppo  della  coppa  prece- 
dente. 


l'io.  15. 


/)  Kylii  (fig.  16}  conservata  in  gran  parte,  che  presenta  nell'interno  Poseidon, 
nudo,  barbato,  avvolto  nello  himation,  con  il  tridente  in  mano;  davanti  al  dio  è  una 
giovane  donna  vestita  di  peplo,  con  il  piede  sinistro  poggiato  su  una  roccia  (Amphi- 
trite).  Ai  lati  esterni  il  solito  gruppo. 

g)  Frammento  di  kylix.  di  tecnica  analoga  a  quella  e;  con  la  parte  inferiore 
di  due  figure  sedute  ueil'  interno,  e  all'esterno  tracce  del  solito  gruppo. 

h)  Frammento  di  kylix,  di  tecnica  analoga  alla  d,  con  la  testa  di  un  Sileno. 
Tutte  queste  coppe  appartengono  alla  fabbricazione  indigena  che  le  note  kylikes 
con  l'iscrizione  potoria  (Helbig-Amelung,  Fùhrer  II,  pag.  371)  assicurano  essere 
stata  in  territorio  falisco. 


REGIONE   VII. 


—  61 


VIGNAKBLLO 


Questi  vasi  rinvenuti  a  Vignanello,  pei  quali  sarebbe  lungo  il  far  confronti  con 
l'altro  materiale  Palisco,  presentano  tra  loro  notevoli  diversità  e  sono  tra  i  più  pre- 
gevoli finora  trovati. 

Vasi  a  figure  rosse  sovrapposte  alla   vernice  nera. 

Di  questa  tecnica,  per  la  quale  vedi  le  osservazioni  che  feci  a  proposito  di  una 
coppa  di  Rignano  Flaminio  ('),  si  trovarono  nella  tomba  che  ora  si  descrive:  a)  un 


Fio.  16. 


rozzissimo  esemplare  di  kylix,  nell'  interno  della  quale,  tra  una  corona  di  olivo,  sono 
due  figure  ammantate  che  si  guardano  (ai  lati  esterni,  da  ciascun  lato,  altre  due  roz- 
zissime  figure  ammantate)  ;  b)  altri  frammenti  di  un  vaso  simile  ;  e)  piccola  lekythos- 
ariballica  con  figurina  ammantata. 

Vasi  a  vernice  nera. 

Grande  fu  il  numero  dei  frammenti  trovati  nello  spurgo  della  tomba;  ma  pochi 
che  si  riunissero.  Tra  questi  :  a)  tazzina  emisferica,  su  listello  (diam.  mm.  80)  ; 
b)  frammento  di  un    fondo  di    tazza,    con  l'avanzo  della    iscrizione   granita  I A  Y  A  ; 


(•)  Art.  cit,  Notiti*  1914,  pag.  277. 
Notizik  Soavi  1916  —  Voi.  XIII. 


VIGNANELLO 


(52   — 


REtìlONE    Vii. 


c)  piccolissima  tazzina  emisferica  (diam.  mm.  50);  d)  piatto  del  diametro  di  mm.  125, 
su  basso  piede,  coi  segni  graffiti  VeX;f)  frammento  della  parte  centrale  di  una 
coppa  a  vernice  nera,  con  impressi  un  fiore  stilizzato  e  cinque  palmette  tra  un 
cerchio  di  puntini. 

Vasi  d'imitazione   metallica: 

a)  stamnos,  con  manichi  formati  da  due  cavalli  marini  con  i  corpi  intrecciati. 
È  decorato   con  baccellature,  palmette  e  spirali  che  erauo  espresse  con  colore  giallo 


Fio.  17. 

sul  fondo  argentato  (tig.  17);  rasi  perfettamente  simili  furono  trovati  nella  necropoli 
di  Falerii  (');  b)  coppa  a  imbuto,  con  grande  ansa  e  foro  sul  fondo  (diam.  mm.  145); 
e)  grande  ansa  di  un'anfora  a  volute;  d)  piccolo  skyphos  con  striatimi  verticali. 

Vasi    di   terra   grezza: 

Anche  di  questi  furono    trovati  moltissimi  frammenti,    pochi  dei  quali  furono 
potuti  ricomporre. 

a)  quattro  piattelli,  del  diam.  di  mm.  120-130;  b)  piccola  olpe,  alta  mm.  80; 
e)  piccola  tazzina  emisferica,  verniciata  di  rosso;  d)  ciotola  su  basso  piede,  verni- 
ciata di  rosso;  e)  frammento  di  piattello  con  granita  l'iscrizione: 

*ìéAMV1 


(•)  Helbig-Amelung,  Fùhrer  II,  pag.  372. 


RKU10NK    VII. 


—  63 


VIGNANELLO 


Riassumendo,  i  vasi  che  si  sono  potuti  ricomporre  si  raggruppano  in  due  grandi 
serie,  delle  quali  una  comprendente  i  buccheri  e  i  vasi  greci  che  furono  adoperati  in 
seppellimenti  dalla  fine  del  VI  fino  alla  metà  del  V  sec.  quando  fu  scavata  la  tomba. 
Questa  però  fu  adoperata  ancora  in  seguito,  nel  III-IV  sec.  e  a  questi  nuovi  defunti 
furono  dati,  per  accompagnarli  nel  sepolcro,  i  vasi  dipinti  di  fabbricazione  falisca  e 
tutti  quelli  a  vernice  nera  o  grezzi,  dei  quali  ho  dato  la  lista.  Quanto  ai  vasi  d'imi- 
tazione metallica,  essi  devono  porsi,  se  non  proprio  posteriormente,  certo  almeno  tra 
i  più  tardi  prodotti  della  civiltà  falisca. 

Tomba  III.  Compiuta  l'esplorazione  della  tomba  II,  dopo  alcuni  saggi  infrut- 
tuosi, ai  primi  di  settembre  se  ne  scopri  una  terza  (fig.  1.  n.  3),  poco  discosta  dalle 


Fio.  18. 


altre,  ma  singolarissima,  perchè  orientata  da  est  ad  ovest  e  aprentesi  nel  ripiano  sulla 
volta  della  tomba  II.  La  nuova  tomba  offrì  poi  la  particolarità  di  essere  restata  in- 
tatta, perchè  sfuggita,  per  la  sua  strana  posizione,  alle  ricerche  antiche  e  di  presen- 
tare così  parecchi  loculi  inviolati.  Purtroppo  la  nuova  strada  di  Vallerauo  ha  costretto 
a  rinterrarla  di  nuovo. 

Dopo  un  dromos  lungo  m.  6  (ved.  fig.  18),  si  apriva  l'ingresso  che  fu  trovato 
chiuso  da  un  parallelepipedo  di  tufo;  e  si  accedeva  nella  camera  sepolcrale  per  una 
scala  di  quattro  gradini,  raggiungendo  così  la  tomba  la  profondità  di  m.  4,35.  La 
volta,  semplice,  era  a  doppio  piovente.  Alla  destra  dell'ingresso,  cavata  nel  tufo,  era 
una  banchina,  e  nelle  pareti  erano  scavati  numerosi  loculi  :  6  nella  parete  a  destra 
dell'ingresso,  più  uno  sotto  la  banchina;  9  in  quella  di  faccia,  con  uno  piccolo  in 
alto;  7  nella  parete  di  sinistra,  e  infine  7  in  quella  stessa  dell'ingresso. 


V1GNANELL0  —    64    —  REGIONE    VII. 

Data  la  fortunata  circostanza  dello  stato  d' integrità  in  cui  fu  trovata  la  tomba, 
la  descriverò  topograficamente,  al  contrario  di  quanto  sono  stato  costretto  a  fare  per 
quella  precedente.  Farò  man  mano  la  discussione  delle  piccole  questioni  che  possono 
sorgere. 

I.   Parete  a  destra  di   chi  entra  (fìg.  19). 

Vi  si  scorgono,  come  accennammo,  sei  loculi,  tutti  uguali,  scavati  in  tre  ordini 
sovrapposti.  I  più  bassi  sono  a  m.  1,50  dal  piano  della  tomba.  La  parete  resta  liscia 
a  sinistra;  a  destra  è  occupata  da  una  banchina,  alta  appunto  m.  1..MJ.  larga  e  luDga, 


"*=.* 


mm*if 


Fra.  19. 


presso  le  pareti,  m.  1,25  e  tagliata  obliquamente  nel  lato  anteriore  (ved.  pianta  fìg.  18). 
Di  essa  ci  occuperemo  in  ultimo.  I  loculi  sono  lunghi  m.  1,50,  alti  m.  0,60  e  di 
profondità  varia  da  1  m.  ai  50  cm.  Alcuni  pochi  quindi  possono  esser  serviti  per  un 
doppio  seppellimento.  Cominciamo  a  indicarli  procedendo  in  senso  verticale  : 

A)  Sezione  a  destra:  a)  11°  loculo  (dall'alto). 

In  esso  fu  fatto  il  più  strano  ritrovamento  della  tomba:  uno  scudo  di  lamina  di 
rame,  collocato  nel  loculo  aperto.  Lo  scudo,  quasi  intatto,  misura  mm.  700  di  dia- 
metro ed  è  di  forma  perfettamente  circolare.  Consta  di  un  umbone  centrale  e  di  varie 
zone  concentriche,  in  quest'ordine  :  partendo  dal  centro,  si  alternano  zone  concentriche 
di  trattini  verticali,  o  ornate  di  rosette;  una  pare  abbia  portato  delle  sfingi,  ma  non 
si  può  stabilire,  se  anche  in  questa  non  si  tratti  piuttosto  di  motivi  d'ornato. 

L' interno  dello  scudo  conservava  terriccio  con  tracce  di  legno  ;  lungo  i  margini 
è  conservato  un  vimine.  La  forma  e  l'ornamentazione  caratteristica  dell'oggetto  non 
lasciano  alcun  dubbio  sulla  classificazione  :  è  uno  di  quegli  scudi  rotondi,  di  uso  de- 


REGIONE    VII. 


65  — 


VION  ANELLO 


corativo  delle  tombe,  che  si  rinvennero  nelle  tombe  arcaiche,  così  aNarce('),  come 
nella  Regolini-Galassi  di  Cerveteri,  come  a  Palestrina  (*)  ecc.  L'opinione  più  accre- 
ditata tra  gli  archeologici  è  di  assegnare  ad  essi  la  data  della  seconda  metà  del  VII 
sec.  av.  Cr.  (:1). 

Insieme  con  lo  scudo  (è  da  notare  che  nel  restauro  apparvero  poche  tracce  di 
due  altri  scudi  simili)  fu  rinvenuta  nello  stesso  loculo  una  kylix  di  fabbrica  italica 
con  tracce  di  figure  dipinte  con  ocra  rossa  sul  fondo  nero.  Neil'  interno,  due  giovani 
nudi  ;  ai  due  lati  esterni,  due  giovani  ammantati  per  ogni  lato,  tra  palmette  e  girali. 
Si  tratta  di  uno  di  quei  prodotti  tardi  della  ceramica  italica,  più  del  III  che  non 
del  IV  sec.  av.  Cr.  dei  quali  già  parlammo  descrivendo  la  tomba  precedente. 

Questi  due  oggetti  associati  provano  che  lo  scudo  fu  messo  lì  in  tempo  assai 
posteriore  a  quando  era  stato  fatto.  Anticipando  quanto  si  vedrà,  posso  dire  che  tutla 
la  restante  suppellettile  della  tomba  appartiene  allo  stesso  periodo  tardo  IV-II  sec. 
av.  Cr.  Bisogna  concludere  che  questo  oggetto  così  stranamente  isolato  sia  stato 
rinvenuto  con  ogni  probabilità  nel  fare  lo  scavo  della  tomba,  per  la  quale  fu 
distrutta,  o,  meglio,  ampliata  una  tomba  precedente,  di  cui  si  volle  conservare  l'og- 
getto più  insigne. 

b)  1°  loculo  (immediatamente  superiore  al  precedente),  trovato  privo  di  chiu- 
sura. Vi  sono  stati  rinvenuti  i  frammenti  di  due  sandali  di  legno,  con  parti  di  bronzo, 
sia  per  ornamento  sia  per  trattenere  le  parti  in  cuoio  che  dovevano  assicurare  queste 
suole  di  legno  al  piede.  Erano,  per  la  forma  e  le  dimensioni,  evidentemente  femminili. 
e)  III0  loculo  (immediatamente  sotto  al  loculo  a,  al  livello  della  banchina).  Fu 
trovato  chiuso  con  tegole,  una  delle  quali  portava  la  seguente  iscrizione,  scritta  in 
ocra  rossa: 


rft         20         30  Cen.t 


Fio.  20. 
Cioè  (ilo:  velmineo  \  ti....  fc.  cupa. 


(')  V.  Barnabei  ed  A.  Vasqui,  Arti.  d.  territ.  falisco  in  Man.  ani.  delVAcc.  dei  Lincei  IV , 
col.  396;  Helbig-Amelun>;,  Fùhrer  II,  pag.  75. 

(a)  Montelius,   Vorkl.  Chronol.,  tav.  XLI. 

(3)  Ved.  Della  Seta,  La  collez.  Barberini  di  ant.  prenestine,  in  Bull,  d'arte  1909,  fase.  V  ; 
Helbig-Amelung,  Fùhrer  II,  pag.  313. 


VIONANKI.I.O 


66 


KKOIONE    VII. 


Dei  caratteri  cornimi  a  questa  e  a  tutte  le  iscrizioni  seguenti,  tratterà  breve- 
mente il  eh.  dott.  B.  Nogara  in  appendice  alla  presente  relazione.  A  noi  basti  ricor- 
dare che  siamo  in  presenza  di  un'epigrafe  falisca  o  che  qui  comparisce  quel  nome  di 
Velmineus  che,  ritornando  in  quasi  tutte  le  epigrafi  che  vedremo,  ci  autorizza  a 
crederlo  quello  della  famiglia  che  in  quella  tomba  aveva  sepoltura. 

La  presenza  di  epigrafi  falische  a  Vignanello  è  importante,  perchè  ci  dimostra 
che  lì  arrivava  questo  caratteristico  popolo,  che  doveva  avervi  il  confine  settentrio- 
nale, come  a  Kignano  era  quello  meridionale  (').  Ma  su  ciò  torneremo  in  appresso. 
Il  cupa  è  il  notissimo  verbo  falisco  =  cubai. 

Nel  loculo  non  fu  rinvenuta  alcuna  suppellettile. 

B)  Sezione  sinistra. 

a)  1°  loculo  (dall'alto).  Fu  rinvenuto  anche  esso  chiuso  da  tegole  con  iscri- 
zione, scritta  in  rosso   nel  senso  verticale  della  tegola.  Non  conteneva  alcun  oggetto. 


Fio.  21. 

cioè  :  luna  velmineo  e,  sotto,  litio. 


La  particolarità  della  prima  di  queste  tegole  è  che  era  già  stata  adoperata  pre- 
cedentemente. Studiandola  con  attenzione,  riuscii  infatti  a  scoprire  che  sotto  alla 
prima  riga  rossa  ce  n'era  un'altra  scritta  con  della  calce  (sistema  molto  usato,  come 
vedremo,  anche  in  altre  tegole).  Si  legge  chiaramente  la  parola  cavia:  sotto  restano 
minime  tracce  di  lettere  indecifrabili  di  una  seconda,  e,  forse,  di  una  terza  riga  ('). 
I>)  11°  loculo.  Fu  trovato  aperto  e  presentava  un  seppellimento  e  cremazione. 
Si  rinvenne  infatti: 

1)  olla  cineraria  (alta  inni.  245;  diain.  della  zona  mm.  125)  di  rozza  terra 
gialla;  colma  di  osse  combuste  e  senza  coperchio; 


(')  E.  Gabrici  in  Noi.  Scavi  1912,  pag.  75. 

(*)  Esempi  simili  già  si  conoscevano  di  S.  M.  di  Fallesi  {C.  I-  E.,  8345,  8848  ecc.). 


REGIONE    VII. 


07    — 


VIGNANELLO 


2)  oinochoe  di  bronzo,  a  forma  ovale,  panciuta;  alta  mm.  210,  con  ansa  a 
nastro,  rialzata  nell'orlo; 

3)  olpe  di  bronzo  di  forme  ovoidale,  alta  mm.  85.  Questo  seppellimento  si 
presenta  con  caratteri  tardi,  non  certo  anteriori  alla  metà  del  II  secolo. 

e)  III0  loculo.  Fu  trovato  aperto,  con  avanzi  dello   scheletro    Non  conteneva 
vasi;  ma  solo  oreficerie  personali,  e  precisamente: 
All'altezza  della  testa: 

1)  pendente  a  cerchietto,  di  sottile  filo  di  argento,  con  capi   attortigliati; 

2)  tre  cerchietti  di  argento  (diam.   mm.  30),  probabilmente  eliche   per  le 
trecce. 

Presso  la  mano  sinistra: 

3)  anello  di  argento  con  castone  per  sigillo,  privo  d' incisione. 

II.  Parete   di  faccia  a  chi  entra   (fig.  22). 

Vi  si  scorgono  dieci  loculi,  trovati  intatti;  dei  quali,  nove  per  adulti  e  uno  per 
bambino.  Questo,  lungo  m.  1.25,  largo  m.  0.60  e  alto  in.  1,  non  lasciò  tracce   del 


Fig.  22. 


seppellimento.  Gli  altri  sono   disposti   in  due  serie:  cinque   a   sinistra  e  quattro  a 
destra,  guardando  la  parete. 

A)  Sezione  destra. 

a)  1°  loculo,  dall'alto,  per  adulti.  Lungo  m.  1.75,  alto  m.  0.50,  largo  m.  0.75  ; 
fu  trovato  chiuso  da  tegole,  una  delle  quali  portava  l' iscrizione  scritta  in  corsivo, 
con  colore  bianco  di  calce  sul  coccio  (fig.  23). 


VlGNANELt.O 


—   68 


REGIONE    VII. 


Fio.  23. 


La  linea  prima  è  chiara,  cavio  vel[m?~\ineo,  della  seconda  si  legge  poplia  e 
poi,  pare,  un  i;  e  un  file,   quindi   verisimil mente  popliai  filerai"]  =  Publiae  filiae. 
Il  loculo  conservava  intatta  la  forma  dello  scheletro  e  un  grazioso  corredo. 
Dalla  parte  della  testa: 

1)  alabastron  di  alabastro,  privo  del  beccuccio,  di  forma  panciuta,  alto 
mm.  230; 

2)  figurina  di  bronzo,  unita  a  un'asta  di  ferro.  Nel  restauro  questa  venne 
a  unirsi  a  dei  frammenti  di  spiedo  di  ferro,  trovati  più  verso  le  gambe  del  defunto 
(tìg.  24). 

Trattasi  probabilmente  di  un  candelabro  in  ferro,  sormontato  dalla  graziosa  sta- 
tuetta. Questa,  che  misura   mm.  35  d'altezza,  rappresenta  Herakles  nudo,  che   ha 


REGIONE   VII. 


-  69  — 


VIGNANELLO 


la  pelle  leonina  sul  capo,  annodata  con  le  zampe  sul  petto  e  la  tiene  a  guisa  di 
clamide  avvolta  al  braccio  sinistro  che  poggia  sulla  clava  puntata  a  terra;  mentre 
tiene  la  destra  appoggiata  all'anca.  La  figurina,  discretamente  conservata,  ci  offre  un 
tipo  dei  più  interessanti.  Herakles  con  il   capo  coperto  dalla  pelle  della  testa  del 

leone  è  tipo  comune  nella  statuaria  greca.  S.  Reinach, 
nel   suo    Répertoire   de   le  statuaire,    ne    offre    molti 
esempì  ('):  ma  i  più  vicini  alla   nostra  statuetta   sono 
quelli  di  tre  altre  statuette  di  bronzo  (2),  specialmente 
quelle  già  nelle   collez.  Rome  e  Ferroni.  Il  tipo  risale 
certo  a  Policleto  ;  ma  fin  quanto  riproduca  un  capolavoro 
del  grande  scultore,  non  è  questo  il  luogo  di  discutere  (3). 
3)  figurina  muliebre  ammantata,  di  bronzo,  alt. 
mm.  110,  pure  saldata  alla  sommità  di  un'asta  di  ferro 
che  termina  con  un  capitellino 
(fig.  25).  Veste  un  chitone,  sul 
quale  porta  lo  himation  ;  ha  la 
chioma  lunga,  con  stefane;  al 
collo   una    collana.    Tiene    la 
destra  al  fianco  e  nella  sinistra 
un   oggetto   indeterminato  ('*). 
Di   lavoro  piuttosto    fine,   con 
un  aspetto  leggermente  arcai- 
cizzante ; 

4)  alabastron  di  ala- 
bastro, di  forma  slanciata,  con 
orlo  piano  e  sporgente. 

All'altezza  della  mano  si- 
nistra: 

5)  anello  di  filo  d'ar- 
gento con  scarabeo  mobile  di 
sardonice,  portante  nella  parte 
piana  inciso  un  felino  (?).  E  la- 

Pia.  24.  vorato  a  «perle  »  con  la  tecnica  Fio.  25. 

caratteristica  per  gli   scarabei    etruschi   del    IV-III   sec.   av.   Cr.  (fig.  26-a); 


(■)  Alcuni  più  notevoli:  Torlonia  242  (Rein.  II.  pp.  217,  n.  7)  Ny-Carsberg  (Rein.II,  222.  n.  9  ; 

223  n.  1).  1M 

(■)  Della  coli.  W.  Rome  a  Londra  (Rein.  TV,  128,   n.  8)  della  vend.  Ferroni  (Rein.  IV,  128, 

n.  4)  ;  di  Narbona  (Rein.  IV,  128,  n.  5). 

(»)  Ved.  Maler,  Polyklet,  pag.  143;  Révue  et.  ancienne»  (1910). 

(«)  Potrebbe  darsi  che  si  trattasse  di  una  civetta:  avremmo  allora  nn'Athena.  È  nota  l'esi- 
stenza, nell'arte  arcaica,  di  un  tipo  di  Athona  pacifica,  inerme,  con  la  civetta  nella  mano  sinistra: 
p.  es.  una  statuetta  di  bronzo  del  Museo  di  Napoli  (Collez.  Santangelo)  pubbl.  da  A.  Furtwangler 
nelle  Sitzungsber.  der  Mundi.  Akad.  1900,  pag.  589. 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  N> 


VIGNANELLO 


—    70    — 


RKGIONE    VII. 


6)  anello  di  argento,  portante  incisa  nel  castone  (vicino  ad  una  stella  e  ad  una 


a  Fio.  26.  // 

mezzaluna)  una  dea,  vestita  di  peplo,  con  elmo  e  che  pare  tenga  nella  sinistra  lo  scettro 


Fio.  27. 

con  un  emblema  e  la  destra  sullo  scudo  appoggiato  a   terra   (Athena?)   (fìg.  26  b) 


REGIONE    VII. 


—  71  — 


VIQNANELLO 


7)  vari  frammenti  di  ambra,  formanti  una  collanina. 
Dalla  parte  dei  piedi: 

8)  candelabro  di  bronzo,  alto  mm.  390.  Consta  di  un'asta  cilindrica  con  una 
spirale  granita;  a  metà  è  una  figura  di  fai  nella.  I  tre  piedi  bovini  si  riuniscono  intra- 
mezzati con  palmette.  Il  profumiere,  quadrato  (lato  di  min.  70),  ha  nel  mezzo   una 

cunetta  circolare  con  l'orlo  sporgente  per  l'olio. 
Ai  quattro  lati  erano  quattro  colombelle,  lavorate 
a  parte;  ma  tre  di  esse  mancano  (fìg  27).  È  un 
tipo  comunissimo  nelle  tombe  etnische  del  IV  e 
III  sec.  (');  trovato  anche  nella  necropoli  di  Val- 
siarosa  a  Palerii  (p.  es.  nel  Museo  di  Villa  Giulia, 
nn.  1521-22-23); 

9)  Due  figurine  fittili  muliebri  (fìg.  28), 
d' identica  fattura,  coperte  di  una  vernice  argen- 
tata, imitante  il  metallo.  Dovevano  essere  inserite 
come  manichi.  Su  una  base  a  forma  di  capitello 
si  ergono  in  piedi,  con  chitone  e  himation  nel 
quale  sono  avvolte.  Alt.  mm.  120;  si  trovano  fre- 
quentemente nelle  tombe  e  sono  di  uso  sconosciuto 
ancora  ; 

10)  alabastron  di  argilla  giallastra  con 
due  prese  sotto  l'orlo,  alto  mm.  240; 

11)  lekythos  panciuta,  di  creta  giallastra, 
con  decorazione  di  fasce  rosse,  poste  in  senso 
orizzontale  ; 

12)  una  coppia  di  due  oinochoài;  della 
forma  a  base  cilindrica,  caratteristica  della  cera- 
mica dell'Italia  meridionale,  da  alcuni  identificata 

Via.  28.  con    la  epickysis  (fig.  29,   1  e  3)  e  già  trovata 

in  più  di  un  esemplare  nelle   tombe    falische.   Le  nostre   sono   verniciate  di  nero  e 
decorate  sul  collo  da  un  «  cane  fuggente  »  nero,  sul  fondo  giallo  del  vaso; 

13)  askos  a  ciambella  con  ansa  traversale,  e  decorazione  simile  a  quella  dei 
vasi  precedenti  (fìg.  29,  a  )  ; 

14)  lekane  con  coperchio,  comunissima  nella  ceramica  tarda:  è  decorata 
di  tralci  di  foglie  di  olivo  stilizzate  (fig.  29,5)  (diam.  mm.  115); 

15)  oinochoe  locale,  di  forma  graziosa,  alta  mm.  160,  col  becco  trilobato. 
È  decorata  di  meandri,  ovoli  e  palmette,  e  presenta  davanti  un  cigno  bianco,  star- 
nazzante le  ali,  espresso  con  quella  maestria  che  in  questi  tipi  aveva  acquistato  la 
pittura  vascolare  falisca  (2)  (fìg.  29,  2  )  ; 


(')  Martha,  L'art  étrusque,  fig.  363. 

(*)  Vedi  altri  animali  dipinti  su  vasi  falisci,  trovati  a  Rignano  Flaminio  (scr.  cit,  Notizie,  1912, 
pag.  276,  figg.  9,  10,  11). 


VIGNANELLO 


—  72  — 


REGIONE    VII. 


16)  quattro  tazzine  emisferiche,   interamente   verniciato  di  nero,   del   diam. 
di  mm.  85. 

La  suppellettile  di  questo  loculo  presenta  veramente  un  insieme,  che  raramente 
si  trova  più  armonico.  Anzitutto  è  chiaro  che  la  tomba  è  femminile;  e  quindi  la 
defunta  deve  essere  Poplia   (=  Publio)  e  Cacio    Velmineo   (=  Gaius    Velmineus) 


Fio.  29. 


deve  averla  collocata,  con  commovente  affetto,  nella  tomba  accompagnandola  di  tutto 
l'occorrente  per  l'abbigliamento  di  una  signora  raffinata.  Lascio  al  prof.  Nogara  di 
indagare  la  sicura  lettura  della  epigrafe,  limitandomi  a  dire  ciò  che  mi  suggerisce 
il  materiale  archeologico. 

Quanto  alla  data,  siamo  ancora  in  un  periodo  anteriore  all'uso  generale  della 
ceramica  a  vernice  nera  ;  ma  i  vasi  dipinti  di  tipo  falisco  vi  appaiono  in  forme  della 
decadenza.  Con  le  debite  riserve,  in  un  campo  ancora  così  incerto,  assegnerei  a  questo 
insieme  la  data  della  prima  metà  del  III  sec.  av.  Cr. 

b)  11°  loculo,  identico  al  precedente  ;  ma  un  po'  meno  largo  ;  di  cm.  50.  Fu 
trovato  aperto,  con  tracce  dello  scheletro   del  defunto,   presso  la  mano  sinistra   del 


REGIONE    VII. 


—    73 


VIGNANELLO 


quale  era  nn  anello    di   argento,   portante  incisa  una  figura    virile    nuda,    in    piedi 
(tig.  33):  Herakles  con  la  clava  nella  sinistra  e  la  pelle  leonina  nella  destra. 

e)  III0  loculo.  Era  chiuso  da  tre  tegole,  poste  nel  senso  orizzontale,  due  intere 
e  un  pezzo  di  un'altra,  tutte  occupate  dall'  iscrizione,   scritta  con  calce  bianca, 


\ 


ad  VtO 


» 


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io  ?a         j0         4f         30         6ff  Cf/it 


Fio.  30. 


cioè  ti  toi  vel  |  mine  |  o  e,  sotto,  una  parola  che  termina  con  la  nota  terminazione 
ice;  prima,  traccia  di  quattro  lettere,  la  prima  delle  quali  parrebbe  un  ;;. 

Il  loculo,  leggermente  più  lungo  e  largo  del  precedente,  mostrò  due  gruppetti 
d'ossa,  tanto  sminuzzate  da  ritenersi  combuste. 

In  un  angolo,  rovesciati,  erano  i  seguenti  vasi: 

a)  grosso  skvphos.  alto  mm.  195,  del  diametro  alla  bocca  di  mm.  180,  pre- 
sentante, tra  palmette.  una  grande  testa  maschile  di  piotilo,  da  un  lato,  e  una  fem- 
minile dall'altro; 

b)  olla  ovoidale  di  rozza  creta  rossastra,  alt.  mm.  155. 

IV0  loculo;  lungo  come  i  precedenti,  ma  alto  m.  0,40  e  largo  altrettanto,  era 
chiuso  con  tre  tegole,  sulle  quali,  posta  in  senso  orizzontale,  è  l' iscrizione  seguente, 
fatta  con  stucco  bianco,  in  gran  parte  caduto,  ma  che  ha  lasciato  una  leggera  orma 
sul  coccio: 


imiiinmii!imi,i.iiiiMi,i,r,;,n.|.|l,ll.ll, IIM- 

fff       li      se       40      je       tff  crnl 
Fio.  31. 


^.in^iiiiiÉi^iilflìiiiliiilllìlìiillll" 

— vrnffl!  imi-i-iiTi-iii ■ ,  „ ;■ 


La  prima  riga  porta  scritto  :  cuicto  velmineo  (=  Qui(n)ctus  Velmineus)  ;  del  nome 
della  seconda  si  legge:  voxie  eai.  Aperto  il  loculo,  si  rinvennero  solo  avanzi  dello 
scheletro,  ma  nessun  oggetto. 


VIGNANELI.O 


—  74 


REGIONE    VII. 


B)   Spione  sinistra. 

I  loculo  in  alto.  Approfittando  del  vicino  loculetto  per  bambino,  che  quindi 
doveva  essere  anteriore,  lo  scavatore  del  presente  loculo  diede  ad  esso  la  lunghezza  di 
ben  m.  2.80;  l'altezza  e  la  larghezza  sono  proporzionate,  rispettivamente  di  m.  0,60 
e  0.90.  Era  chiuso  da  tegole,  sulle  quali  non  si  scorgeva  traccia  di  iscrizione.  Aper- 
tolo, vi  si  rinvennero  gli  avanzi  di  uno  scheletro,  e.  dalla  parte  della  testa, 

1)  specchio  di  bronzo,  circolare,  con  punta  da  inserire  nel  manico  (diam. 
inni.  130),  senza  decorazione. 

II  loculo.  Presentava  le  dimensioni  normali  (lungh.  m.  1,50;  alt.  m.  0,50; 
largh.  m.  0,65).  Era  chiuso  con  tegole,  su  una  delle  quali  si  legge  la  seguente 
iscrizione,  che  presenta  il  nome  sextia: 


!%iiiil)rilliif.lliil!-iii 


MSBmBL 

(11)|ii|iii|i«.illllll||||n min mimmill—r 

j  //      ,  te       je    Cent 

Fio.  32. 

Come  nel  III  loc.  della  sezione   destra,  non    fu   rinvenuto   lo  scheletro;  ma  il 
piano  era  sparso  di  ossa,  che  sembravano  combuste. 
In  un  angolo,  rovesciato,  si  rinvenne: 

1)  grande  skyphos  locale,  alto  urna.  220,  diam.  mm.  210,  decorato  di  pal- 
mette  a  spirali,  tra  le  quali,  da  una  parte,  è  una  grande  testa  femminile  di  profilo 
e  dall'altra  una  figura  virile  ammantata.  Questo  skyphos,  come  l'altro  rinvenuto  nel 
loculo  sopra  ricordato,  ha  tutti  i  caratteri  di  opera  dell'estrema  decadenza  della 
pittura  vascolare  falisca; 

2)  piattello  di  rozza  creta  giallastra  (diam.  mm.  115). 
Tra  le  ossa  furono  rinvenuti: 

3)  anello-sigillo  di  rame,  nel  cui  castone  per  la  corrosione  non  si  riesce  a 
determinare  la  figura 


Fio.  33. 


Fio.  34. 


4)  anello  di  argento  (diam.  mm.  20)  portaute  incisa  nel  castone  una  testina 
di  Mercurio  con  petaso  alato  (tìg.  34)  ; 


REGIONE    VII. 


—  75 


VIQNANEI.LO 


5)  orecchino  a  cerchio  d'argento  con  una  pallina  all'estremità  dei  capi  (diam. 
mi,  25). 

Tutti  questi  oggetti  ben  si  convengono  a  un  nome  femminile. 

Ili  loculo.  Lungo  e  alto,  come  il  precedente,  era  meno  largo  (m.  0,50).  Fu 
trovato  chiuso  da  tegole,  due  delle  quali  portano  in  senso  orizzontale  la  seguente 
iscrizione  scritta  con  calce  bianca,  in  parte  caduta  (rìg.  35)  : 


af'.''iHiMf  ~ 


««ìli 


'iSiililJiiifcS 


WM-.m,-'M-\m«ai 


nsa 


1  II         IO        le        40       Si        te  Cent 


Fio.   35. 


che  si  legge:  volito  velmineo  e,  sotto,  litio  sce\  va,  rimanendo  dubbi  sull'ultima  parola. 

Apertolo,  vi  si  rinvennero  ossa  combuste,  senza  alcuna  suppellettile. 

IV  loculo.  Era  il  più  basso  di  tutti,  di  appena  30  cm.  di  altezza;  per  il  resto, 
delle  dimensioni  normali.  Si  mostrava  chiuso  da  tegole,  su  due  delle  quali  è  chiara- 
mente leggibile   questa    iscrizione,  in  senso  orizzontale,  dipinta    con    calce    bianca: 


.Mi 


■mi 

"'""'"""""•■"|j" 


IliiÉI 


iiiJMIUlllllllliliiiiiìiliiii 

mJJHa.»i:rii|l|.n|;ir...lM||B  Tl|-'l M>  


tu  !{/  JO 


«e       sff       off  Cent 


Fio.  36. 


cioè  volta  v\elmineo  e,  sotto,  fui  orti  \acue  [=<?/  Fulonia~\  (fig.  36). 

Nell'interno  del  loculo  erano  avanzi  scheletrici  e  i  seguenti  oggetti: 

1)  piccola  olpe  di  terracotta  verniciata  di  nero  (alt.  mm.  78); 

2)  ansa  di  vaso   di   bronzo,   terminante   con   un  animaletto   (leoncino?)   sti- 
lizzato. 


VIONANE1.L0 


—   76   — 


REGIONE    VII. 


Dovette  essere  adattata  a  un  vaso  di  legno,  del  tutto  sparito  nei  più  di  duemila 
anni  che  quella  tomba  rimase  inviolata. 

V  loculo.  Delle  dimensioni  comuni,  ma  poco  largo  (m.  0,40),  fu  trovato  aperto. 
Conteneva  tracce  dello  scheletro,  tra  le  quali,  all'altezza  del  petto,  era  un  anello  di 
ferro,  tutto  coperto  di  ossido. 

Sotto  a  questo  loculo,  in  terra,  appoggiata  alla  parete,  era  una  tegola  con  la 
seguente  iscrizione: 


ìru'ì'f"r""'ff'ìì"M':n'V"":lt""ìlf":"'w"  i"'!'!!!'"*!1!"8*; — 

.oA  Aiva\ 


5F 


-, '■■-'-• irn'Hi^-inri'iii' 


m 


io      3ù       4ù  cent 


Fio.  87. 


la  prima  parola  cavia  è  chiara;  l'altra  si  legge  loriea  (fig.  37). 

II F.  Parete   a   sinistra   di   chi   entra   (fig.  38). 

Questa  parete  presentava  sette  loculi  :  quattro  nella  sezione  destra  e  tre  nella 


sinistra,  tutti  per  adulto. 


Fio.  38. 


A)  Sezione  di  destra. 

Il  loculo  (dall'alto).  Era  chiuso  con  tegole,  una  delle  quali  aveva  la  seguente 
iscrizione  (fig.  39): 


RKOIONK    VII. 


—  77  — 


VIONANBLLO 


Fio."39. 


cioè  tito  vel  |  mirteo  :  iurì\  cTluaice. 

Aperto  il  loculo,  si  constatò  non  contenere  esso  alcuna  suppellettile. 
Le  sue  dimensioni  erano:  lungh.  m.  1,55,  largh.  m.  0.75,  alt.  m.  0,50. 
Gli  altri  tre  loculi  di  questa  sezione,  avevano  le  seguenti  dimensioni: 

1     (dall'alto):  lungh.  m.  1,60;  largh.  m.  0,55;  alt.  m.  0,50 

III  »  »         »     1,65;      «         »    0.50;    »       »    0,45 

IV  »  »       »    1,75;      »        »    0,30;    »      »    0,50 

e  i  tre  della  sezione  sinistra  erano  delle  seguenti  : 

I  (dall'alto):  lungh.  m.  2,00;  largh.  m.  1,00;  alt.  m.  0,70 

II  »  »        »    1,75;      »        »    0,30;    »      »    0,25  (per  giovanetto?) 

III  »  »        »    1,75;      »        >    0,50;    »      »     0,40 


Non  dettero  alcun  oggetto  di  suppellettile.  Anche  le  tegole  di  quelli  rinvenuti 
chiusi,  non  possedendo  traccia  evidente  d'iscrizione,  non  furono  contrassegnate.  Quando, 
durante  il  restauro,  furono   riesaminate,   in  quattro  di   esse  si  riscontrarono  tracce 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  11 


VltìNANELLO 


78 


KKUIONK    VII. 


di  lettere;  e  precisamente  (una  dovette  appartenere  certamente  al  loculo  li  seziono 
sinistra)  (figg.  40-43)  (»): 


mmmam 

—umiiiiimiimiiii ;ii.iui„iii„.„- ; ' 


6  ie        2t      Je       *0  cent 


no... ,  |  0 . 
Fio.  40. 


r  l  J    e  ent 


pojili  |  [v  f]  elmi  |  ..no 
Fio.  41. 


/  2  J  c&/it 


popi . .  |  . .  elei 
Fio.  42. 


NMUNiiiMinmnr,,,,,,  ,„■,!,,„  .,-„„r||||| |||t 

J  e  eni 


cavio  |  ruso 
Fio.  43. 


IV.  Parete  dell'ingresso  (fìg.  44). 

Anche  la  parete  in  cui  si  apre  la  porta,  a  destra  e  a  sinistra  di  questa,  aveva 
dei  loculi  e  una  banchina. 

.4)  Sezione  destra  guardando  la  porta. 
Conteneva  cinque  loculi,  delle  seguenti  dimensioni  : 

I  loculo  dall'alto:  lungh.  m.  1,10;  alt.  m.  0,80 

II  «  »  *  1,10;  »  »  0,50 

III  »  »  0,75;  -  .  0,25 

IV  »  »  »  1,25;  »  »  0,50 

V  »  »  »  1,10;  »  »  0,25 

(')  Per  errore  grafico  la  scala  metrica  delle  figure  41,  42  e  43,  invece  di   cento,   0,  1,  2  e  3 
deve  essere  0,  10,20  e  30,  qnindi  le  proporzioni  delle  tegole  sono  perfettamente  identiche  alle  altre. 


RBGHONK    VII.  —    79    —  VIGNANBLLO 


Quindi  nessuno  di  essi  poteva  contenete  un  defunto,  inumato,  se  non  un  bam- 
bino. Solo  nel  II  furono  rinvenuti  frammenti  di  lastra  di  bronzo. 
E)  Sezione  a  sinistra. 

1  loculo  (lungh.  m.  1,25,  alt.  m.  0,60).  Di  suppellettile  non  si  raccolse  che  il 
profumiere  di  un  candelabro  di  bronzo,  di  forma  identica  a  quella  del  loc.  I,  sezione 
destra  della  parete  di  fondo.  Mancava  una  delle  quattro  colombelle. 


PÉ&jfÈfà 


II  loculo  (lungh.  m.  1,20,  alt.  m.  0,60).  Vi  si  rinvennero  i  seguenti  oggetti: 

1)  candelabro  di  bronzo,  della  solita  forma,  e  tre  piedi  bovini;  alto  mm.  380 
e  mancante  del  profumiere; 

2)  askos  a  otre,  di  argilla  giallastra,  alt.  mm.  130; 

3)  tronco  di  piramide  di  terracotta  con  foro  trasversale,  alt.  mm.  1,5. 
Sotto  a  questi  loculi  era  la  banchina,  già  nominata  al  principio  di  questa  descri- 
zione. Vi  si  trovarono  gli  avanzi  di  due  scheletri,  presso  i  quali  si  rinvennero  aggrup- 
pati i  seguenti  oggetti: 

1)  specchio  di  brouzo  di  forma  ovale  (diam.  trasversale  mm.  155),  con  punta 
da  inserire  nel  manico.  È  decorato  di  una  rozza  figura  graffita  di  Genio  alato,  di 
corsa,  nudo,  con  scarpe,  tenente  in  mano  un  alabastro; 

2)  altro  specchio  di  bronzo  (diam.  mm.  160)  con  tracce  di  restauro  in  ferro. 
È  decorato  con  due  figure  in  piedi,  nude,  che  si  guardano,  tutte  corrose  dall'ossido 
(Menade  e  Sileno?): 

3)  specchio  di  bronzo,  della  forma  degli  alti  due  (diam.  mm.  165).  Vi  si  vede, 
inciso  di  profilo  un  gióvane  guerriero  (rig.  45),  nudo,  con  clamide  legata  al  collo  e 
cadente  dietro  le  spalle.  In  testa  ha  un  elmo  attico,  con  grande  cimiero  e  naQayvà- 
riàsc  rialzate.  Egli  è  a  cavallo  di  un  toro  marino,  fornito  di  grande  pinna  pettorale 
e  di  una  coda  terminante  in  una  pinna  analoga.  Sotto  guizza  un  delfino  per  carat- 


VIGNANBLLO 


—   80   — 


REGIONE    VII. 


terizzare  il  mare,  come  in  tante  opere  della  scultura  antica.  Il  gruppo  potrebbe  essere 
di  genere;  ma  viene  spontaneo  di  pensare  ad  Achille,  quando  con  la  scorta  del  corteo 
di  sua  madre  Teti,  va  all'isola  dei  beati.  Il  disegno  robusto,  la  perfetta  modella- 
tura del  corpo,  la  fantastica  forma  del  mostro  marino,  fanno  di  questo  specchio,  di 
tipo  nuovo,  un  bell'esemplare  di  incisione  nel  bronzo,  di  arte  greco-etrusca  del  IV 
sec.  av.  Cr. 

4)  altro  specchio  (diam.  mm.  150)    di  bronzo,  decorato  da  un  genio  fem- 
minile alato,  di  corsa,  nudo,  con  in  mano  l'alabastro,  rozzamente  disegnato; 

5)  altro  specchio  simile  al  precedente  (diam.  mm.  165);  ma  il  genio  fem- 
minile ha  in  testa  un  berretto  conico; 


Pio.  45. 


6)  specchio  di  bronzo  (diam.  mm.  165)  con  figura  di  genio  femminile  ana- 
loga alle  due  precedenti,  con  berretto  conico,  collana,  armilla  e  scrofa  e.  in  mezzo, 
un  alabastro. 

Tranne  il  n.  3,  trattasi  di  tutti  prodotti  d'arte  dozzinale  del  IV-II1  sec.  av.  Cr., 
con  tipi  comunissimi  negli  specchi  di  quel  periodo; 

7)  due  lebeti  di  sottile  lamina  di  rame  (diam.  mm    190  e  220); 

8)  due  olpai  della  stessa  lamina  (alt.  mm.  130  e  120); 

9)  striglie  di  bronzo,  in  perfetto  stato  di  conservazione,  con  nel  manico  l' ini 
pronta  di  un  sigillo  (un  delfioetto)  e  il  nome  (inintelligibile)  del  fabbricante  (lun 
ghezza  mm.  260); 

10)  altro  strigiie  simile,  ma  col  manico  espanso  in  senso  verticale; 

11)  frammenti  di  un  terzo  striglie; 

12)  coppa  ombelicata  di  lamina  enea  (diam.  mm.  90)  ; 


REGIONE    VII.  —    81    VIONANEI.I.O 

13)  candelabro  di  bronzo,  della  forma  degli  altri  già  studiati;  sull'asta  è 
adorno  di  una  faina  che  insegue  un  galletto.  I  tre  piedi  sono  a  zampa  bovina  (manca 
il  profumiere); 

14)  altro  candelabro  di  bronzo,  puro  mancante  del  profumiere,  con  gambe 
umane,  e  la  sola  faina; 

15)  due  simpula  di  bronzo,  col  manico  foggiato  a  testa  d'oca  (luugh. 
mm.  310  e  260). 

lerrecotte  : 

16)  strigile  di  terracotta  gialla,  con  ansa  ad  occhiello   (lungh.  mm.  220)  ; 

17)  alabastron  di  creta  giallastra  con  orlo  sporgente,  alto  mm.  .260; 

18)  cinque  piatti  su  basso  piede,  con  decorazione  di  cane  fuggente  e  di 
stelle  a  quattro  raggi,  dipinte  in  nero,  prodotti  tardissimi  della  ceramica  indigena; 

19)  nove  coppette  emisferiche  verniciate  di  nero,  varianti,  nel  diametro, 
dagli  85  ai  35  mm.  ; 

20)  lucerna  fìttile,  monolicne,  con  ansa  ad  occhiello,  verniciata  di  nero 
(lungh.  mm.  90). 

21)  piatto  piano,  ombelicato,  con  orlo  sporgente  in  basso,  su  listello,  verni- 
ciato di  nero  (diam.  mm.  150):  porta  granite  le  lettere  3); 

22)  altro  piatto,  verniciato  di  nero,  con  sul  fondo  una  stella  a  raggi  e 
quattro  palmette  e  le  stesse  lettere  3); 

23)  tazza  emisferica  a  vernice  nera,  con  graffito  il  seguo  V. 
Ferro  : 

24)  frammento  d'una  spada  di  ferro  (lungh.  mm.  310); 

25)  cuspide  di  lancia  e  altre  due  lance,  corrose  dall'ossido. 

È  chiaro  che  sulla  banchina  doveva  esser  sepolta  una  coppia  di  coniugi;  abbiamo 
Buppellettili  maschili  e  femminili;  il  materiale  è  abbastanza  omogeneo  e,  tranne  lo 
specchio  n.  3,  si  può  datare  al  III  secolo. 

Completata  così  la  descrizione  dei  vari  seppellimenti,  resta  da  dare  un  lapido 
sguardo  alle  suppellettile,  del  resto  assai  umile,  raccolta  sul  piano  della  tomba,  tra 
la  terra  che  vi  era  penetrata: 

1)  due  anfore  di  argilla  rossastra,  di  forma  ovoidale,  alte  mm.  4  70  e  210; 

2)  guttus  su  piede,  con  ansa  a  occhiello.  Porta  una  testa  muliebre  impressa 
nella  parte  superiore  e  ha  una  decorazione  a  ghirlande  dipinte  in  bianco; 

3)  askos  a  otre,  verniciato  di  nero; 

4)  parte  superiore  di  un  olpe  di  lamina  di  rame; 

5)  alabastron  di  terracotta,  della  forma  degli  altri  studiati; 

6)  due  lucerne  fittili  verniciate  di  nero; 

7)  rozzo  vaso  cilindrico,  con  stretta  bocca,  di  creta  giallastra  (alt.  mm.  17U); 

8)  olletta  ovoidale  di  creta  giallastra; 

9)  settantacinque  vasi  di  tecnica  cosiddetta  etnisco-campana,  interamente 
verniciati  di  nero,  dì  varie  forme  e  dimensioni;  piatti  ombelicati,  concavi  o  pieni; 
tazze  su  alto  piede,  con  grandissima  prevalenza  di  tazze  e  tazzine  emisferiche,  tutte 
di  mediocri  o  piccole  dimensioni.  Noto  soltanto  i  segni  graffiti  : 


VIGNANEM.O  —    82    —  REGIONE    VII. 

a)  CX) ,  ueir  interno  di  uu  piatto  ombelicato;  b)  3V  ,  di  un  altro  simile; 
e)  V  ,  su  tre  piatti  concavi  e  tre  tazzine  emisferiche;  d)  -r- .  su  cinque  tazzine  emisfe- 
riche; e)  y ,  su  piatto  concavo;  /")  V  ,  su  una  tazzina  emisferica; 

10)  quattro  tazze  e  un  piatto  di  argilla  rossastra,  una  col  segno  +■  graffito 
sul  fondo  interno; 

11)  dieci  piattelli  e  un  coperchio  di  rozza  argilla  giallastra:  uu  piattello 
ha  il  segno  X  graffito; 

12)  tredici  piattelli  su  alto  piede,  di  terra  gialla,  i  più  con  cerchi  concen- 
trici, quattro  con  croce  e  «  cane  fuggente  »,  uno  con  profilo  femminile; 

13)  tazza  d'impasto  assai  simile  al  bucchero,  a  forma  di  tronco  di   cono, 
su  listello,  certo  anteriore  a  tutta  la  restante  ceramica  della  tomba; 

14)  poculum  con  vernice  d'argento; 

15)  tronco  di  piramide  di  terracotta; 

16)  frammenti  di  alcune  lance  di  ferro. 
Spurgandosi  infine  il  tramite  delle  tombe,  si  rinvennero: 

1)  tazzina  emisferica  a  vernice  nera  (diam.  mm.  90); 

2)  due  bottoni  in  terracotta  giallastra,  di  forma  lenticolare,  per  giuoco; 

3)  puntale  d'una  lancia  di  ferro; 

4)  ghiera  di  bronzo,  con  foro,  dentellata  superiormente; 

5)  frammento  di  una  testina  in  terracotta,  forse  appartenente  alla  decora- 
zione di  un  edificio  vicino  e  caduta  nel  tramite:  pare  piuttosto  arcaica. 

Con  questo  è  compiuto  l'esame  della  tomba  dei  Velminei,  che,  come  dicevo  al 
principio,  ad  eccezione  dello  scudo,  presenta  un  insieme  che  si  aggira  dalla  fine  del  IV 
al  principio  del  II  sec,  av.  Cr.,  e  la  cui  suppellettile  ha  per  di  più  il  pregio  di  essere 
stata  scavata  direttamente  dall'Ufficio  scavi  e  integralmente  trasportata  nel  Museo  di 
Villa  Giulia,  dove  già  è  esposta,  divisa  topograficamente. 

Ricerche  nell'area  dell'antica  città.  —  Ho  detto,  al  principio  di  questa  rela- 
zione, che,  ad  occidente  di  Vignanello,  si  estende  un  piccolo  altipiano,  largo  in  media 
300  m.  e  limitato  dai  fossi  a  nord  e  a  sud  e,  ad  occidente,  dalla  strada  di  Vallerano. 
Ci  sono  forti  ragioni  per  credere  che,  a  circa  un  chilometro  dalla  porta  di  Vignanello 
in  tempo  etrusco,  il  colle  sia  stato  artificialmente  scavato,  a  guisa  di  vallo. 

In  questa  località  —  detta  Molesino  —  vari  indizi  facevano  sospettare  l'esistenza 
del  centro  abitato  da  coloro  i  cui  sepolcri  si  estendevano  nella  sottostante  Cupa. 
Lunghe  e  pazienti  ricerche,  rese  difficili  dai  vigneti,  ci  hanno  in  questi  ultimi  mesi 
dato  la  certezza  che  ivi  sorgesse  una  cittadina,  che  finora  dobbiamo  lasciare  anonima. 
Delle  osservazioni  e  scoperte  fatte  si  darà  presto  relazione,  non  appena  sarà  reso  più 
preciso  il  quadro:  intanto  accenno  a  due  piccoli  saggi  compiuti  durante  il  1913. 

All'uscita  di  Vignanello,  a  destra  della  via  verso  Vallerano,  poco  prima  di  giun- 
gere al  punto  dove  comincia  la  pianta  dello  scavo  (tìg.  1),  è  stata  recentemente  co- 
struita una  chiesa  con  annesso  convento  di  monache. 

Il  31  luglio  1913,  nel  corso  dei  lavori,  fu  scoperto  un  pozzo  del  diametro  di 
ra.  0,92,  ricolmo  di  terra.  Iniziato  lo  spurgo  dal  soprastante  Magliulo  alla  presenza 
del  principe  Ruspoli,  tra  bozze  di  tufo  e  pezzi  di  tegole,  vennero  alla  luce: 


REGIONE    VII. 


—    88    — 


VltìNANEI.I.O 


1)  frammenti  di  rozzi  vasi  romani  ; 

2)  chiodi  in  ferro; 

3)  frammenti  di  lance  di  ferro; 

4)  una  lastra  fittile,  quadrata,  di  m.  0.19  di  lato,  rotta  all'estremità  sinistra 
in  basso. 


»tr  rrrtiim  iri& 


•'io    40. 


Lo  spurgo  fu  approfondito  lino  a  ">  metri,  quando,  più  non  rimettendosi  in  luce 
alcun  frammento  e  divenendo  assai  pericoloso  il  lavoro,  fu  abbandonato. 

La  lastra  fittile,  ora  al  Museo  di  Villa  Giulia,  merita  di  essere  brevemente 
illustrata  (fìg.  46).  In  uno  spazio  compreso  tra  due  margini  sporgenti,  appare  un 
guerriero  a  cavallo,  andante  verso  destra.  Armato  di  un  grande  scudo  rotondo,  Sbrac- 
ciato con  la  destra,  che  protegge  tutto  il  corpo,  il  giovane,  che  ha  in  testa  un  elmo 


VIONANEIXO  —   84   —  REGIONE   VII. 

attico,  squassa  con  la  sinistra  la  lunga  lancia.  11  cavallo,  di  una  snellezza  di  linee 
quasi  grottesche,  alza  la  gamba  destra  davanti  e  procede  di  rapido  passo;  sotto  c'è 
una  voluta,  per  riempire  lo  spazio.  Le  briglie  sono  plasticamente  espresse. 

Quattro  grossi  buchi  equidistanti,  servivano  per  fissare  la  lastra  come  rivestimento 
al  trave  di  legno  di  quel  piccolo  edilìzio  che  se  ne  adornava.  Lo  stile  severo  e  pur 
così  espressivo  e  forte,  le  imperfezioni  formali  ci  rendono  sicuri  che  l'umile  tavoletta 
è  uno  dei  prodotti  antichissimi  dell'arte  figulina  etnisca,  da  datare  verso  la  metà  del 
VI  sec.  av.  Cr.  La  figura,  del  resto,  è  di  tipo  già  noto  nella  coroplastica  etnisca 
e  laziale  arcaica. 


Km.  47. 


Il  Pellegrini,  il  Savignoni,  il  Moretti  (')  studiarono  questa  importante  produ- 
zione indigena.  A  noi  basti  per  ora  ricordare  che  la  lastrina  di  Vignanello  viene  pro- 
babilmente, per  cronologia,  a  prendere  il  primo  posto  tra  i  rilievi  conosciuti. 

Di  muri  formati  di  blocchi  di  tufo  e  di  fondazioni  di  edilìzi  antichi  furono  rinve- 
nuti alcuni  esempì,  dalla  parte  del  Molesino  che  guarda  la  Cupa  (fig.  1,  lettera  C), 
anche  nel  1913;  ma,  trattandosi  di  resti  che  non  hanno  importanza  intrinseca,  sarebbe 
prematuro  parlarne.  Solo  ricorderò  che  nello  spurgo  di  una  fossetta  rettangolare,  lunga 
m.  1,12  e  larga  m.  0,67,  ma  profonda  m.  1,78,  costruita  di  blocchi  di  tufo,  tra  una 
quantità  di  rozzi  frammenti  fìttili  senza  importanza  e  insieme  con  una  fusaruola  d' im- 
pasto nerastro  a  tronco  di  cono,  venne  raccolto  un  piccolo  frammento  di  vaso  greco, 
a  figure  rosse  (fig.  47),  appartenente  a  un  cratere  poiché  è  verniciato  anche  dalla 
parte  interna.  Vi  appaiono  un  profilo  barbato  e  una  mano,  che  tiene  un  fiore  campa- 
nulato. Nel  campo  si  leggono,  con  caratteri  attici,  le  lettere  M-A  VK  che  facilmente 
si  comprende  essere  il  nome  Glauco. 

(')  G.  Moretti,  Rilievo  greco-arcaico  rappresentante  una  corsa  di  cavalieri;  in  Ausonia,  VI, 
(ivi  è  la  preced.  bibliogr.). 


RAGIONE   VII.  —   85   —  VIONANBLLO 

Ora  è  noto  che  questo  nome  è  quello  del  celebre  fanciullo  detto  xaXóg  nei  vasi 
di  Buphronios  (');  e  avendo  il  disegno  della  mano  molte  delle  caratteristiche  di  lui, 
si  potrebbe  venire  alla  conclusione  di  avere  un  purtroppo  irrisorio  frammento  di  una 
sua  opera.  Ma  il  profilo  sembra  veramente  un  po'  rozzo  e  incerto  per  Buphronios,  e 
quindi  viene  il  dubbio  che  sia  un'opera  di  scuola.  D'altra  parte,  nulla  ci  dice  che 
non  debba  leggersi  rXavxog,  anziché  rXcevxmv,  e  che  qui  abbiamo  il  nome  del  dio 
marino,  a  cui  non  disconviene  l'aspetto  barbato  di  uomo  maturo.  In  ogni  modo  ho 
pensato  che  il  frammentino  meritasse  di  esser  segnalato. 

Epigrafe  latina.  —  In  un  tinello  di  Frane.  Sacrimanti,  in  Vignanello,  ho  tra- 
scritto la  seguente  epigrafe  sepolcrale,  che  mi  sembra  inedita  (lunghezza  mm.  965  ; 
larghezza  mm.  560;  altezza  delle  lettere  mm.  60): 


■ 


P-  MARI  VS-  L-  L-  HOSPES 
MARIA    FAVSTA    VXOR 


Trattasi  di  un  modesto  titolo  sepolcrale  di  due  coniugi,   notevole  per  il  genti- 
lizio e  per  la  severa  semplicità  della  formula. 

G.   Q.   GlGMOLI. 


Alcuni  appunti  intorno  alle  iscrizioni  di   Vignanello. 

Le  iscrizioni  della  tomba  ultimamente  scoperta  a  Vignanello  si  collegano  con 
tutte  le  altre  già  rinvenute  nel  territorio  falisco,  e  confermano  quanto  è  comunemente 
riconosciuto,  dal  Deecke  in  poi,  intorno  ai  caratteri  della  lingua  e  dell'onomastica  degli 
antichi  Falisci,  i  quali  ci  appaiono  come  una  popolazione  latina  che  ha  subito  forte- 
mente l'azione  della  civiltà,  dell'arte  e  della  lingua  etrusca. 

Per  ciò  che  riguarda  i  segni  grafici,  notiamo  anzitutto  la  presenza  normale  della 
o  latina  nel  suo  proprio  valore  di  vocale,  in  luogo  della  comune  u  etrusca;  mentre 
il  segno  grafico  della  u  (V)  ha  come  in  latino,  a  seconda  della  posizione,  o  il  valore 
di  vocale  (u)  o  di  semivocale  (v  —  F)  ;  in  secondo  luogo  il  segno  caratteristico  della 
spirante  /  (^),  il  quale  non  è  altro  che  la  xp  greca  (=_ch  etr.)  capovolta;  in  terzo 
luogo  i  due  segni  cu  in  luogo  del  qu  (coppa);  da  ultimo  il  segno  della  r  che  si 
pareggia  con  la  r  (R)  dei  Latini  e  degli  Osci,  in  contrapposto  alla  r  (P)  dei  Greci 
degli  Etruschi  e  degli  Umbri. 

Gli  altri  segni  offerti  da  questo  gruppo  d' iscrizioni  non  si  allontanano  dai  tipi 
comuni  agli  alfabeti  latino-umbro- etruschi. 

(*)  Walters,  op.  cit.,  I,  pag.  404. 

Notizie  Scati  1916  —  Voi.  XIII.  12 


V1GNANK1X0  —    86    —  RKOIONB    VII. 

Per  ciò  che  riguarda  gli  elementi  lessicali,  si  osserva  che  in  queste  iscrizioni 
compaiono  tre  voci  comuni  già  note:  fig.  20  cupa  =  ì&t.  cubai;  fig.  23  filerai]  = 
lat.  filine;  e  tìg.  36  l'enclitica  -cue,  -ce  =\&t.  -que.  A  queste  tre  voci  se  ne  può 
aggiungere  una  quarta:  fig.  20  /"«  —  lat.  heic,  hic;  a  meno  che  si  voglia  intendere 
fé  di  quella  iscrizione  come  abbreviazione  di  felius,  alla  foggia  umbra,  in  luogo  di 
lat.  /ilius. 

Gli  altri  elementi  lessicali  sono  nomi  proprii  di  persona,  che  riflettono  il  tipo 
comune  di  due  elementi  :  prenome  e  nome,  o  gentilicium  nomen. 

Il  gentilizio  più  comune  in  questo  gruppo,  anzi  quello  da  cui  si  può  dire  che 
s' intitolasse  la  tomba,  è  Velmineo,  che  su  quattordici  iscrizioni  (fra  intere  e  fram- 
mentarie) comparisce  nove  volte,  e  si  ritrova  nel  lat.  Volminius  (C.  I.  L.  I.  1062  — 
VI,  21470)  ed  è  strettamente  affine  a  Volumnius  =  etr.  velimna  ;  perchè  si  sa  che 
il  latino  risponde  per  lo  più  con  voi-  all'etimo  etrusco  vel-. 

Vengono  poi,  in  posizione  di  gentilizii,  altri  nomi: 
Fulonia,  che  sembra  moglie  di  un  Volta  Velmineo  ((fig.  36); 
Loriea  (cfr.  lat.  Lorius,  Loreius,  Lorenius  ;  etr.  laursti)  che  si  accompagna  col  pre- 
nome femminile  Cavia  (fig.  37); 
Sceva   (=  lat.  gentilizio  Scaevius,  cognome  Scaeva  ;   etr.  sceva,  seva),  che  va  col 

prenome  Tilio  (fig.  35); 
Ruso  (=  lat.  gentil.  Humus,  cognome  Ruso  ;  etr.  ruzna,  rusrì),  che  va  col  prenome 

Caino  (fig.  48). 

Fra  i  prenomi  maschili  si  trovano  tre  volte  Tito  (figg.  20.  30,  39),  due  Titio 
(figg.  21  e  35),  due  volte  Cavio  (figg.  23  e  43),  due  luna  (figg.  21  e  39).  una 
volta  Cui\n\cto  (fig.  31),  una  Volta  (fig.  36)  ed  una  Voltio  (fig.  35);  e,  tra  i  fem- 
minili, tre  volte  Poplia  (figg.  23,  41,  42),  una  volta  Sextia  (fig.  32)  e  due  Cavia 
(figg.  21  e  37). 

Questi  prenomi,  ad  eccezione  forse  di  Sextia,  si  sono  incontrati  già  nelle  iscri- 
zioni falische  pubblicate:  risultano  nuovi  nel  territorio  il  gentilizio  Velmineo  e  i  nomi 
Loriea,  Sceva  e  Ruso. 

Le  due  iscrizioni  della  tomba  a  cui  si  accenna  sopra  a  pag.  38:  [he:  f]  firmia(;.) 
titia  e  poplia: cocelia ,  mostrano  nomi  femminili  di  due  elementi  ciascuno.  La  prima 
di  esse  dinanzi  a  firmia  presenta  nei  tratti  superiori  (gran  parte  del  tufo  in  quel 
punto  si  è  staccato  dalla  parete),  le  tracce  di  due  lettere,  le  quali  si  potrebbero 
interpretare  he  =  heic,  hic.  Il  gentilizio  Firmia  si  legge  in  tre  altre  iscrizioni  fa- 
lische:  C.  I.  E.  8074,  8171,  8343;  Titia  e  Poplia  sono  abbastanza  comuni;  Cocelia, 
che  appare  qui  tra  le  iscrizioni  falische  per  la  prima  volta,  trova  d'altra  parte  im- 
mediato riscontro  nell'onomastica  latina  in  (p.  es.)   Caucilia  (C.  I.  L.  VI,  21172)   e 

Cocilius  (CI.  L.  VI,  15945). 

B.    NOGARA. 


REGIONE    I.  —    87    —  POMPEI 


Regione  I    (LATIUM  ET  CAMPANIA) 

CAMPANIA. 

II.  POMPEI  —  Rinoenimenlo  di  quattro  sepolti  dal  lapillo  nel  pe- 
ristilio della  casa  di   Trebio  Valente. 

Keg.  Ili,  ins.  II,  n.  1. 

Il  giorno  12  del  dicembre  scorso,  continuando  i  lavori  di  disterro  e  di  sgombero 
del  lapillo  nel  peristilio  della  casa  di  Trebio  Valente  e,  più  precisamente,  nell'angolo 
sud-est  dell'ambulacro  di  quel  peristilio,  apparvero,  ad  una  altezza  media  di  m.  0,70 
dal  suolo,  quattro  teschi  umani. 

Cessato  lo  scavo  coi  picconi  e  le  vanghe,  si  iniziò  quello  adatto  a  rilevare  le 
posizioni  dei  quattro  sepolti  pompeiani,  raggiunti  dalla  morte  prima  che  riuscissero 
a  mettersi  in  salvo. 

Essi  si  tenevano  appiccicati  al  muro  per  ripararsi,  come  era  loro  meglio 
possibile,  dalla  pioggia  del  lapillo  e  delle  scorie  che,  entrando  nel  grande  vano  del 
peristilio,  andavano  colmando  il  giardino  centrale  e  divenivano  già  alti  nell'ambulacro 
pel  quale,  uniti  e  stretti,  cercavano  forse  di  raggiungere  il  passaggio  ad  est  del 
tablino  che  doveva  condurli  nell'atrio  e,  di  là,  in  istrada.  Ma,  pervenuti  all'angolo  sud- 
est del  peristilio,  un  avvenimento  inatteso  venne  a  causarne  la  morte.  La  fotografìa 
che  qui  riproduco  (tìg.  1),  presa  avanti  di  continuare  lo  scavo,  li  rappresenta  allineati 
lungo  il  muro,  e  due  dei  loro  teschi  sono  di  fronte  e  due  rivolti  alla  parete.  La  co- 
lonna angolare  di  quell'angolo  sud-est  del  peristilio  è  in  piedi,  e  dall'altezza  del 
lapillo  che  li  copre,  parrebbero  quasi  a  sedere.  La  massa  del  lapillo  scende  ed  invade, 
ora  come  allora,  dallo  spazio  aperto  del  peristilio,  l'ambulacro;  e  minaccia,  se  non 
frenata,  di  riseppellire  gli  scheletri.  Ma,  mentre  tino  sulla  colonna  angolare,  per  buon 
tratto  del  lato  est,  è  rimasto,  anche  se  molto  danneggiato,  e  si  è  potuto  tener  su, 
l'epistilio,  e  mentre,  ancora  in  situ,  una  fila  di  tegoli  e  di  embrici  è  venuta  a 
mostrare  che  la  copertura  dell'ambulacro  poggiava  su  detto  epistilio  direttamente; 
questa,  per  tutta  la  sua  larghezza  e  lunghezza,  non  si  è  trovata  al  suo  posto,  che 
anzi  tegoli  ed  embrici  si  sono  rinvenuti  infranti  fin  sulle  ossa  dei  sepolti.  È  chiaro, 
quindi  —  come  può  rilevarsi  ancora  dai  tegoli  che  appaiono  in  atto  di  cadere  e  in 
posizione  verticale  nell'angolo  a  sinistra  della  nostra  fotografia  —  che  il  tetto  del- 
l'ambulacro, non  avendo  resistito  al  peso,  è  piombato  sul  piano  sottostante  seppellendo 
i  fuggiaschi  che,  lungo  il  muro,  andavano  scansando  il  lapillo. 

Il  tetto  —  qui  còme  altrove  —  ha  formato  un  vero  piano  di  slittamento  da  cui 
lapilli  e  ceneri,  scivolando,  sono  penetrati  sulla  massa  di  lapilli  e  ceneri  piovuta  nel 
piano  del  peristilio:  ciò  che  è  pure  visibile  nella  nostra  fotografia.  I  tegoli  e 
gli  embrici  piombati  dall'alto  si  sono  trovati   al  livello   dei    sepotti,   alcuni,  pesau- 


POMPEI 


—  88  — 


REGIONE    1. 


tosimi  accanto  alle  loro  ginocchia  rattratte,  poiché  «li  infelici,  coperti  dal  tetto  ca- 
duto, o  furono  sbattuti  a  terra  o  si  piegarono  su  loro  stessi,  nella  qnal  posizione  sono 
rimasti  per  sempre  colti  dall'asfissia.  Uno.  il  primo,  a  sinistra,  caduto  in  terra,  è 
seduto  colle  gambe  distese  dietro  il  suo  compagno  di  sventura,  col  corpo  e  la  testa 
eretta  :  due  orecchini  di  oro,  trovati  ancora  all'altezza  degli  orecchi,  ne  hanno  indicato 


Fio.  1. 


il  sesso  (fig.  2).  Consistono  in  una  sprangherà  orizzontale  ornata  di  minuscoli  ovo- 
letti  a  rilievo,  tenuta  da  un  lungo  uncino  ricurvo:  una  mezza  sferetta  orna  il  punto 
di  attacco;  pendono  dalla  estremità  della  spranghetta  due  piccoli  sottili  bastoncelli 
a  vite  e,  da  questi,  pendevano  due  perle  andate  distrutte;  in  tutto  non  sono  più 
alti  di  m.  0,026.  Alle  dita  aveva  due  anellini  doro  (uno  di  m.  0,020,  l'altro  di 
0,016):  il  primo  con  una  pietrina  gialliccia  del  tutto  disfatta  nel  castone,  l'altro 
con  una  palmettina  incisa  nell'oro  della  piastrina  centrale.  Le  mani  erano  all'al- 
tezza del  petto  contro  il  muro;  e,  quando  essa  cadde,  il  letto  di  lapillo  era  già  alto 
più  di  0,20  centimetri.  Il  secondo  scheletro  era  di  un  adulto,  che  erasi  piegato  sulle 
ginocchia  così  come  l'abbiamo  rinvenuto  e  come  è  visibile  nella  nostra  fotografia 
(ftg.  2),  dove  appaiono  il  teschio  e  le  articolazioni  delle  ginocchia.  E  così  era, caduto, 


REGIONE    1. 


—  89 


POMPEI 


rivolto,  come  l'altro,  verso  destra  e,  come  l'altro,  piegatosi  sulle  ginocchia,  il  terzo  dei 
sepolti,  che  ha,  come  l'altro,  le  mani  all'altezza  del  petto.  Ad  uno  dei  diti  della 
destra  aveva  un  anellino  di  ferro  nel  cui  castone  era  —  ed  è  sopravvissuta  —  una 
corniola  circolare  (tìg.  3)  del  diametro  di  in.  0,012,  con  una  interessante  incisione: 
una  figura  virile  barbata   con  copricapo,   che,   piegata   sulle  ginocchia,  col  martello 


Fio.  2. 


nella  mano  dritta  levata  e  lo  scalpello  nella  sinistra,  è  in  atto  di  scolpire  uno  scudo 


Fio.  3. 


già  lavorato  a  grandi  fasce  orizzontali  (ved.  in  Fiirtwàngler,  Ani.  Gemm.,ta\.  LXI, 
55;  la  gemma  ha  però  qui  due  lavoratori;  nell'altra,  XXVI  1(5,  il  bronzista  è  se- 
duto e  lavora  ad  un  elmo).  Sotto  il  bacino  fu  rinvenuta  una  piastrina  di  osso  ret- 
tangolare forato,  di  in.  0,02  X  0,116,  forse  serratura  di  un  piccolo  portamonete  e,  con 


POMPEI  —    f>0    -  RF.OIONF. 


essa,  cinque  monete.  Sono  medi  bronzi,  di  cui  due  di  Agrippa  —  uno  del  tutto  con -s 
servato  —  (Cohen,  l8.  Agrippa.  ò)\  uno  di  Augusto,  battuto  sotto  Tiberio  (Cohen, 
1*,  Od.  Augualus,  272);  uno  di  Claudio  (Cohen,  1\  Claud.  73)  ed  uno  di  Vespasiano 
(Cohen,  1*    Vesp.  270). 

Il  quarto  scheletro,  che  pare  quello  di  un  giovinetto,  era  accovacciato  di  faccia 
al  muro;  aveva  le  mani  all'altezza  delle  spalle,  e  presso  l'addome  una  chiavetta  lunga 
in.  0,08,  e  sotto  il  bacino  una  moneta:  un  medio  bronzo  di  Domiziano  Cesare  (Cohen, 
1»,  Domit.  399). 

Ora,  il  gruppo  dei  quattro  familiari  (poi  che  credo  non  possa  trattarsi  dei  padroni 
della  bella  casa)  è  dissolto  nei  molti  frammenti  delle  sue  ossa;  ma  lo  scavo,  diligen- 
temente eseguito,  ha  permesso  di  fermarne  la  immagine  e  ricostruirne  il  dramma 
tinaie. 

V.  Spinazzoi.a. 


CARRARA  —    92    —  REGIONE    VII 

Gattini  ed  il  sig.  Cirillo  Muraglia;  in  questa  vecchia  tagliata  vennero  raccolti  circa 
quattro  anni  or  sono  i  ferri  dei  quali  è  oggetto  la  presente  nota. 

Sulle  circostanze  della  scoperta  non  si  posseggono  notizie  particolareggiate; 
inoltre  dopo  V  intenso  lavoro  di  questi  ultimi  anni  in  quella  cava,  ogni  elemento  di  fatto 
deve  supporsi  sparito.  Trattavasi,  come  ho  detto,  di  una  delle  tante  antiche  tagliale 
sul  versante  occidentale  della  catena  marmifera,  che  i  nuovi  potentissimi  e  rapidi 
mezzi  adoperati  oggigiorno  per  staccare  i  candidi  blocchi  dalla  montagna,  come  la 
dinamite  e  il  filo  elicoidale  mosso  dall'elettricità,  vanno  —  pur  troppo  —  ad  una 
ad  una  distruggendo. 

Dunque  gli  istrumenti  in  questione  erano  stati  adoperati  —  con  tutta  probabi 
lita  —  in  una  di  codeste  primitive  tagliate  del  periodo  romano  nella  località  dei 
«  Pantiscritti  » ,  e  poscia  per  effetto  di  un'  improvvisa  frana  o  per  altra  causa  rima- 
sero seppelliti  sul  posto,  finché  ai  nostri  giorni  vennero  rimessi  in  luce  dal  Gattini 
e  dal  Muraglia  «  rimuovendo  antichi  detriti  » .  È  certo  intanto  che  i  ferri  stessi  depo- 
sitati dai  predetti  signori  nell'Accademia  e  che  qui  sotto  si  descrivono,  formavano 
un  unico  ripostiglio;  e  —  circostanza  assai  più  importante  e  rara  —  un  ripostiglio 
databile  per  una  moneta  di  Traiano  trovata  insieme  (*). 

Poiché  il  gruppo  era  stato  diviso  all'epoca  della  scoperta  fra  il  sig.  Cirillo  Mu- 
raglia e  i  fratelli  Giovanni  e  Andrea  Gattini,  tutti  comproprietari  della  cava  dei 
«  Pantiscritti  »,  il  primo  —  per  l'interessamento  dell'Ispettore  Mariotti  —  consegnò 
i  seguenti  oggetti: 

a)  la  moneta  traianea  predetta; 

b)  un  cospicuo  frammento  di  malleus  (fig.  1-B),  con  gli  angoli  scantonati  e 
di  grosse  proporzioni.  È  circa  la  metà  del  martello,  spezzato  al  foro  circolare,  della 
lunghezza  di  m.  0,26;  di  larghezza  variabile  tra  0,12  e  0,07  alla  punta,  e  pesa 
ben  13  Kg. 

E  i  sigg.  Gattini  a  loro  volta  consegnarono  questi  altri  oggetti: 
e)  specie  di  piccozza  di  tipo  ovale,  a  punta  da  un  lato  e  a  punta  smussata 
dall'altro,  con  foro  circolare  per  il  manico  ligneo,  e  in  buono  stato  di  conservazione. 
Lunghezza  m.  0,19'/,;  peso  gr.  2800  (fig.  1-A). 

Un  simile  istrumento  viene  adoperato  da  un  minatore  sopra  un  celebre  basso- 
rilievo di  una  grotta  dell'  Inietto  (*). 


(')  È  un  G.  B.  alquanto  deteriorato  ma  sempre   riconoscibile,    che   risale  agli    anni  104-110 
d.  Or.  Cfr.  Cohen,  2»  ed.,  II.  pag.  65,  n.  463: 

Imp.  Caet.  Nervae  Traiano  Aug.  Qer.  Dae.  P.  M.  Tr.  P.  Cos.  V.  P.  P. 

Busto  laureato  a  destra: 

S.  P.  Q.  R.    optimo    principi 
S      C 

L'Equità  in  piedi  a  sin.,  tenendo  una  bilancia  e  un  corno  d'abbondanza. 
(2)  Cfr.  Bliimner,  Technologie  und  Terminologie,  III,  pag.  217,  fig.  25;  cfr.  anche  Daremberg- 
Saglio,  Dict.  des  antiquités,  I1I-2,  pag.  1852  (Metalla),  fig.  4978. 


REGIONE    VII. 


—    93 


CARRARA 


d)  Grosso  e  pesante  martello  (malleus)  foggiato  a  taglio  da  un  lato  (cuneut), 
e  con  foro  circolare  per  il  manico  ligneo  (l).  In  buono  stato  di  conservazione;  lungo 
0,20;  pesante  gr.  2035  (fig.  I-C). 

e)  Paletto  di  ferro  (latino:  vectis)  con  la  punta  foggiata  a  grossa  zeppa  o  scal- 
pello   piramidato  (cuneus);  rotto    in    tre    pezzi  e  lungo    complessivamente  m.  1,28 


Fio.  1.  —  Carrara,  Utensili  in  ferro  romani  trovati  nella  cava  di  marmo  dei  «Fanttscritti  ». 


(fig.  1-D).  Esso  è  un  istrumeuto  adattissimo  non  tanto  per  staccare,  quanto  per  age- 
volare il  trasporto  dei  grossi  blocchi.  E  per  questa  sua  funzione  non  differisce  gran 
fatto  dagli  analoghi  utensili  usati  al  nostro  tempo  dai  cavapietre. 

Non  è  la  prima  volta  che  nel  territorio  carrarese  si  è  verificata  una  scoperta  di 
tal  genere  ;  specialmente  presso  il  ceto  dei  marmorari  è  vivo  il  ricordo  di  passati 
rinvenimenti  di  vecchi  ferri,  fatti  in  altre  cave  e  in  epoche  varie.  Però  quasi  sempre 
i  materiali  raccolti  furono  trascurati  e  dispersi.  Fra  le  scoperte  di  simili  istrumenti 


(l)  Si  tratta  di  un  tipo  di  malleus  adoperato  forseja  guisa  di  zeppa  particolarmente  nelle 
cave  di  pietra,  per  fenderò  i  massi,  come  si  rileverebbe  dall'arricciatura  del  metallo  prodotta  dai 
colpi  di  maglio  sulla  parte  ottusa:  cfr.  Saglio,  loc.  cit,  fig.  4979. 


CARRARA  —    94   —  REGIONE   VII. 

più  ricordate  in  Carrara  deve  annoverarsi  quella  di  cava  «  Gioja  »,  dove  scavò  —  nel- 
l'anno 1840  —  il  prete  don  Pietro  Pelliccia  i1).  Questa  cava  trovasi  nel  comune  di 
Colonnata,  distante  da  Carrara  Km.  5'/i  e  a  m.  568  sul  livello  del  mare;  ne  è  pro- 
prietario attualmente  lo  stesso  sig.  Pietro  Pelliccia  ricordato  in  nota,  il  quale  —  a 
richiesta  dell'  Ispettore  Mariotti  —  ha  liberalmente  donato,  nell'  interesse  degli  studi, 
per  la  sezione  lunense  del  R.  Museo  Archeologico  di  Firenze,  n.  3  piccozze  del  tipo  A 
(cfr.  fig.  1)  e  un  cuneo  del  tipo  C  (2),  provenienti  dallo  scavo  del  1840.  e  che  egli 
lodevolmente  conservò  per  tanti  anni  presso  di  sé. 

Tutte  le  notizie  che  ho  qui  riportato  concorrono  a  dimostrare  la  necessità  di 
non  perdete  d'occhio  il  lavoro  dell'escavazione  dei  marmi,  da  cui  possono  scaturire 
importanti  elementi  per  lo  studio  dell'antica  industria  nella  regione  lunense.  Esse 
inoltre  servono  a  chiarire  l' interesse  tutto  speciale  che  deriva  al  ripostiglio  dei 
«  Fantiscritti  »  dalla  moneta  bronzea  di  Traiano  che  ne  fissa  l'epoca;  sicché  appare 
desiderabile  che  tanto  questa,  quanto  gli  utensili  sopra  descritti,  con  i  quali  era  asso- 
ciata, rimangano  conservati  a  Carrara  nel  massimo  Istituto  artistico  locale,  quale  è 
l'Accademia,  per  mantenere  ad  essi  —  sul  posto  —  tutto  il  loro  valore  documentale. 

E.  Gai-li. 


(*)  Da  un  estratto  nnn  datato  della  pubblicazione  ISItalia  nell'America  del  nord  —  Inghil- 
terra e  Colonie  inglesi  (Milano,  Augusto  Boccara  editore)  tolgo  le  seguenti  notizie  sulla  cava 
«  Gioja  »: 

«  Nell'anno  1840  il  prete  don  Pietro  Pelliccia,  zio  dell'attuale  proprietario  (Pietro  Pelliccia 
fu  Santino),  volle  riprendere  detti  scavi  (interrotti  dal  periodo  romano),  ormai  coperti  da  immensi 
cumuli  di  materie  detritiche:  nell'impresa  si  rinvennero  attrezzi  del  mestiere  di  quell'epoca,  iscri- 
zioni, marmi  scavati  e  riquadrati    con    cifre  e  numeri  progressivi,  tronchi    di    colonne  e  vasche  ». 

(2)  Rispettivamente  :  • 


0,25  X  0,09 

Kg.  4,600 

0,17X0,06 

»     1,600 

0,23  X  0,08 

»     3,100 

0,17X0,06 

»     2,100 

ROMA 


—  95  — 


ROMA 


II.  ROMA 

Nuove  scoperte  di  antichità  nel  suburbio. 

Via   Salaria.    Un  ampio  sterro,   praticato  fra   gli  ultimi  mesi  del  1(J15  e  i 

primi  del  '16,  per  la  costruzione  di  un  villino,  per  conto  della  impresa  Sleiter,  sulla 

odierna  via  Po,  ha  messo  in  luce  parecchi  avanzi  di  costruzioni  antiche  ed  ha  dato 
larga  messe  di  materiale  epigrafico. 


S 

% 


j/ 


Villino 

/irò/,    CjttrjgÙerì 


20 


A 


*■&*%. 


Vi 


J>o 


FlG.    1. 


L'area  sterrata  è  attigua  a  quella  su  cui  sorse  il  villino  Cavaglieli,  all'angolo 
fra  le  vie  Po  e  Tevere,  ove  si  rinvenne  un  considerevole  avanzo  di  sepolcro  in  tufo 
con  fasces  {A  nella  pianta  tìg.  1),  di  cui  si  rese  già  conto  in  queste  Notizie  (1914, 
pag.  424). 

Noterò  prima  brevemente  i  resti  più  considerevoli  di  costruzioni  e  poi  darò  le 
epigrafi. 

Il  primo  rudere  che  si  incontra,  procedendo  dal  villino  Cavaglieri,  è  un  pozzo 
(pianta,  B)  scavato  nel  vergine  e  rivestito,  nella  parte  superiore,  con  muratura.  La 
bocca  circolare,  che  misurava  m.  0,70  di  diametro,  si  trovava  a  pochi  centimetri 
sotto  l'odierno  piano  stradale.  La  profondità  del  pozzo  era  di  circa  12  metri. 

A  sud-ovest  del  pozzo  si  videro  gli  avanzi  (C)  di  un  colombario  in  cattivo  stato 
di  conservazione.  Costruito  in  opera  reticolata,  con  muri  dello  spessore  di  m.  0,60, 
presentava  l'aspetto  di  una  cameretta  rettangolare  di  m.  5  X  4,36.  L'altezza  origina- 


ROMA  —    96    —  ROMA 

ria  delle  pareti  non  si  potè  riconoscere,  né  ci  è  dato  sapere  quanti  ordini  sovrapposti 
di  loculi  contenesse.  La  parete  che  guardava  verso  via  Po  era  distrutta;  le  altre  tre 
avevano  ciascuna  sette  loculi  per  due  olle,  uno  centrale  a  sezione  rettangolare,  col 
piano  di  m.  0,65  X  0,65,  sei  laterali  con  volticina  emisferica  col  piano  di  m.  0,40 
X  0,35.  La  parete  a  destra  di  chi  entrava  nel  colombario  era  intonacata  in  bianco, 
quella  di  sinistra  in  giallo,  quella  di  fondo  in  rosso. 

All'esterno  del  colombario  si  vedevano  addossati  miseri  avanzi  di  muri  reticolati 
e  laterizi,  che  forse  facevano  parte  di  qualche  altro  colombario. 

Il  resto  più  considerevole  di  quanti  ne  siano  venuti  alla  luce  in  questa  località 
era  il  basamento  di  sepolcro  in  tufo,  segnato  nella  pianta  con  lettera  D.  Consisteva 
in  un  alto  zoccolo  rettangolare  (4,76  X3.36)  liscio  nella  parte  inferiore  e  scorniciato 
nella  superiore.  La  facciata  della  edicola  soprastante  doveva  trovarsi  dal  lato  che 
guardava  l'odierna  via  Po,  alle  due  estremità  del  quale  la  parte  scorniciata  del  ba- 
samento presentava  l' impostatura  dei  due  pilastrini. 

Attaccati  al  basamento  erano  alcuni  avanzi  di  costruzioni  in  reticolato  in  pes- 
sime condizioni. 

A  m.  5,90  dal  suddetto  basamento,  tra  questo  e  la  linea  di  via  Po,  si  incontrò 
per  la  lunghezza  di  oltre  15  metri  uu  muro  (E)  costruito  con  piccoli  parallelepipedi 
di  tufo  ad  un  solo  filare  dello  spessore  di  m.  0,45. 

Tra  questo  muro  e  via  Po  si  videro  gli  avanzi  di  alcuni  muri  di  fondazione  (F) 
il  cui  spessore  variava  da  m.  1,10  a  m.  0,60.  Forse  si  trattava  di  fondazioni  di 
colombari. 

Nel  punto  G  si  vide  a  posto  un  cippo  di  travertino  centinato  (0,75  X  0,33  X  0,12) 
con  la  seguente  iscrizione: 

LHEIVSLL 

CAEREA 

MARVLVS 

TERTI AE 

COLI  A-AL 

GALLA 

1NFPXIHN  AG 

PXX 

In  //,  in  un  avanzo  di  muro  reticolato,  si  trovò  il  cippo  di  tufo  rotto  (0,83 
X  0,38  X  0,27)  con  i  seguenti  resti  di  iscrizione: 

L  •  A    M 

RE  NTL 

IN   FR  •  PVIII 

I  N  •  AC  RYI  I 


ROMA 


97  — 


ROMA 


Fra  la  terra  smossa  si  raccolsero  le  seguenti  iscrizioni  ('): 

1.  (0,32  X  0,43  X  0,03)  scorniciata  :  2.  (0,38  X  0,28  X  0,02)  in  tre  pezzi  : 


D  M 

TI  CLAVDIODIONYSIO 
V1X  ANXIIIIDXVIIET 
CLAVDIAEFRVCTVOSA 
TF  CLAVDIVSDIONYSIVS 
ET  CLAVDIA*  RESTI TVTA 
FILIISBENEMERENTBFECERVNT 
ETSIBIPOSTERISQVE^SVIS- 
V1XIT-  MENSIBVSXl-  DIEBVS  ■  XVI 
I N  •  F  •  P  •  I V  •  I N  •  A  •  P  •  1 V  ■ 


In  origine  la  iscrizione  doveva  rife- 
rirsi solo  a  Claudia  Fructuosa,  poi  furono 
aggiunte  le  due  linee  che  riguardano 
Tiberio  Claudio  Dionisio,  sotto  le  quali 
si  vedono  tracce  di  scalpellature.  Al 
rigo  7  fu  corretto  fìliae  in  filiit,  ed 
attaccato  un  b  all'  i  di  benemerenti. 


D       v       M 
ASCLEPIADES AVG 
NSERFECIT  ANIN 
IAEHILARITAT1VX 
OR  ISVAE    B  ■  M 

3.  (0,18  X  0,15  X  0,02)  scorniciata 
e  con  due  fori  per  le  grappe: 

C    CAESONI 

o       TACITI       o 

CINERES 

4.  (0,30  X  0.19  X  0,02)  in  tre  pezzi  : 

D         a  M 

CPTOLEMAEO 
NEPOTMViX  *  ANN- 
UI   OTIM1NIVS 
NEPOS^V^VIC-  PATER 
FIL^KAR- F* 


5.    Frammentaria,    in    due    pezzi 
(0,26  X  0,18  X  0,025)  : 

D      •      M 
T  •  FL  •  FLAVIANVS 
M-C-P    M-TTI-  APOL 
NATAL  'VA' 

LVMIL-AN 
H     •  B 


6.  Frammento  (0.24  X  0,1 8  X  0,03)  : 

D  M 

TELESPHORO 
B  M 

nnyF    CONSF 

7.    Id.  (0,25X0,14X0,02): 


Il  nome  di  Apollo  per  una  trireme 
della  flotta  misenate  è  noto  dalle  epi- 
grafi {CI.  L.  VI,  3139;  X,  3383  e 
3471). 


AEL-PRIM' 
CONIVGI  OPTIMI 
IVLMETIOCHVS 
B  •  M 


(')  Le  iscrizioni  sono  inciso  in  marmo  bianco;  le  poche  eccezioni  sono  da  me  notate  caso  per 


ROMA 


—    98    — 


KoMA 


8.  Frammento  (0,09  X  0,07):         9.  Id.  scorniciato         10.  Id.  (0,22X0,11  X  0,02): 


C  ALLI 
ATTAL 
CONI 


(0,18X0,14X0,02): 

CN  -SENTH 
o        S  IB  I 
VOLVSIAE  •  SE 


11. Id.  (0,19X0,18X0,02):       12.Id.(0,15X0,13X0,03): 


VALE 
DI  N  VS 
X1T  ANN 
BVSMEN 
SEPTEM 


OILVS 
CFVXORI   o 
APFlLIAE 
XX  I II I 


EPA 

ONi 

MEM 

13.  Id.  scorniciato 
(0,22X0,10X0.15): 

VILLIVS-EROS 
SIBI • ET 


14. Id.  (0,17X0,10X0,02):       15.  Id.(0. 14X0,09X0.02):  16.  Id.  scorniciato 

(0,17X0,11  X0,02): 

VLENVS 


AMANVS 
SAMNER 
V-I1IOII 


17.  Id.  (0,21X0,28X0,01  '/»): 

L I  A  E  G  V .  = 
ONIV-B-M-FE 

C-GRAECIVS 
V  B  I  N  V  S 


M 

MA  ONIODIVO 

I    BMFEC 

18.    Id.  scorniciato 
(0,30  X  0,18  X  0,03  Vi): 

D  M 

ION1SIADICO 

/AEFILIAEDVLCIS 
MARITVS 


19.  Id.  (0,28X0,08X0,02): 

ivIISIB 
VI  ■  FECIT 
ATTEIVSEPICTETVS 

22.  Id.  (0,26X0,23X0,03): 

D 
TICIA  V 

FECITCVS 

CONIVGlSVODFÀ 
VIXIT     ANNIS 


20.  Id.  scorniciato 
(0,11  X  0,10X0,02): 

AECDO 

SSIMA-C 


23.  Id.  in  pezzi 
(0,26X0,24X0,015): 

D      >      M 
iCEPHORLDIS 
~R  ATI  ANVS 
VGI BENE 
TIQV 
MIII 
I  I 


21.  Id  (0,16X0,13X0,02): 

IPELORI 
VO- SEVI  VA 
FEC 

24.  Id.  (0,16X0,13X0,025): 


ERVN 
VRTIA 
ÌNILIS 

25.  Id.  (0,12X0,09X0,02): 

ORE   /  T 

LIACAE 

D 


ROMA 


99  — 


ROMA 


26.  Frammento 

27.  Id. (0,20X0,15X0,02): 

28.  Id 

.(0,12X0,09X0,04): 

(0,14X0,11X0,02): 

Jin.  ■ 

iXIETTIOL 

D 

VIXIT  AN 

EDISIE-^LIBER 

IVLVA 

PROCVLVMMILCO 

FECIT  SIBI  ET  SV 

COH-X 

MSVVMSIBIET 

EORVA 

CES    A 

LIBERTAB 

29.  Id.  in  due  pezzi 

30.Id.(0,09X0,08X0,02): 

31.Id.(0,llX0,09X0,02) 

(0,16X0,10X0,04): 
M 

CENI 

CTVSPO 
POILIAEc 

ME  SS 

X  •  AI^ 

IDI-SEI 

>MVIII 
S>RVFI 
K>F 

32.Id.(0.21X0,17X0,03): 
lCITATI 

33.  Id. 

BI-  ET 

(0,08X0,13X0,025) 
ANXXXV 

34.  Id.  (0,37X0,20X0,02): 

M  ■  M« 

MARCEL- [o  mil(iti)'] 
COHVÌ-PR-MMA 
CEDO- SEVERVS 
MILCOH-VÌPR* 
FRATRI  •  PIISSIMO 
FECIT 


35.  Id.  ansato  (0,39  X  0,33  X  0,02)  : 

CLiATRIVS-Q^F-CLA 

mLENS-NOVAR 

COH>XIIMILITAT 
S  VlIIVIXITANXXIiX 
DA  m  '  ECIT' 

FÉ  R  • 


36.  Id.   scorniciato 
(0,17X0,15X0,02) 

L  I  C  I  V  S 
1LANIDISP 

QVANTVS AMOR 

VM  •  MERITO 

iPOTVI 


37.  Id.  in  cinque  pezzi 
(0,35X0,22X0,015): 

A-PON  Q_;L 

PER  MIS 

Q  ■  A  L I  S-  QjL 

A  "VS 

A  A-QAVCTI-L 

TR  ALIS 


38.   Id.  (0,22X0,12X0,03): 

D  •  M 
\MERAMICO 
IVGI-BENEME 
r  ENTI  *  FECIT 
VIARCIVS 
SIMVS 

Norma  Scavi  1916  —  Voi.  XIII. 


39.  Id.  (0,18X0,08X0,02): 


PTEBANI-  ST 
NOMENCL 


14 


ROMA 


—    100 


ROMA 


40.  Frammento  (0,22  X  0,13  X  0,02)  : 

CARGENNIVS 
ARISCOCON 
I  VCI  •  BMF 
MILCLASPRAE 
MIS-VAN    XXVI 


41.  Id.  (0,23X0,12X0,02): 


D  *  M  * 
AVRE^LIAE 
SVCESS 


(tic) 


42.    Id.  (0,28X0,19X0,07): 

IV  •  IC 
CO  IDF 
ET     A  M 

(molto  logoro) 


43.  Id.  ansato  (0,38  X  0,15  X  0,03)  : 

iVS*P*L*BVCCIO 
LLIVSPLAIAX 
SIBMETSVEIS 


Le  iscrizioni  seguenti   (nn.  44-67)  sono   state  trovate,  sempre   fra  il  terriccio, 
nelle  vicinanze  del  colombario  C. 


44.  (0,28  X  0,27  X  0,025)  : 

D    a  Me 

MPINNIVSVALES* 
MIL    CL    PR  •  MIS* 
EX  TU-  LVC1FERO-  N- 
AEGYPVIXANXLV 
MIL  *AN-  XXIV- 
B-  M  •  F  • 

Il  nome  Lucifero  per  una  trireme 
della  flotta  misenate  è  noto  dalle  epi- 
grafi (C./.i.  X,  3384,  3394, 3395, 3579). 


45.  Id.  scorniciato  e  cuspidato 
(0,28  X  0,26  X  0,02)  : 

D  M 

G^BIRIOONESIMO 
MIL  COHIIIBIG 
>BER ATI  ANI  • 
VIXANNXXX 

MILANN  «  " 


46.  Opistografa,  frammentaria  (0,40X0,16X0,025): 
a)  b) 


t-mettivs    igalmode 
specmilitat^annisxiiIetcast 
vixit    annis    xxiix 


R  EI  A  •  EPI<~TESIS 

V- AXX    ET • 

SCHENIASYMPHERVS  A 

SOROR  oElVSVAIX 

DAPHNVS •    FECIT 


47.  (0,16  X  0,12  X  0.02)  :        48.  (0,20  X  0,12  X  0,02)  : 


SP AT I  A 

CLEOPATRA 

V   A   LXXXXVI 

FECI  -Qj  P • 


SALVIVS 

THESPESIVS 

H    S-E 


49.  Id.  scorniciata 
(0,21X0,12X0,04): 

ALBIA    T-L- 

STAPHYLE 

VIX  ANN-X 


ROMA 


—    101 


ROMA 


50.  Frammento 
(0,18X0,75X0,02): 

POMPONIAACAL 
PRIMA 


53.  Id.  scorniciato 
(0,23X0,11  x  0,02): 

LIATRYPHAENA 
IBI  •  POSTERISQ_ 
SVIS 


51.  Id.  scorniciato 
(0.34X0,18X0,02): 

VSCFAR 
IROCVLVS 
IXIT  ANNOSXXXV 

54.  Id.  (0,19X0,1  IX  0,03): 

POMPEIAPELACIA 
AN  •  Villi 


56.1d.  (0,21X0,14X0,025):     57.  Id.  (0,21  X 0,15X0,025): 


LPlTVANlVSOL 

CLEMENSPICTOR 

V  IX  ANN 

XXIII 


MCAEPARIVS 

FIRMVS 
VIX-AN-VII 


52.  Id.  scorniciato 
(0,19X0.10X0,02): 

CLVSIENT' 

P  r 


55.Id.(0,17XO,OGXO,02): 
AOFILLIVS 


58.  Id.   ansato 
(0,20X0,16X0,03): 

lROS 
DI-EVTONISER 
HESYCHI • F 
sili 


59.  Id.  scorniciato,  in  alto  corona  bendata 
(0,23X0.13X0,03): 


>       M 
•IVCVNDO 
SILV1NA- 
V    G    I 

M 

(il.Id.(0,21X0,23X0,02):      62.  Id. (0,24X0,17X0,03): 

M  MANI 

ERIVSRO  EVTHY 

OVIVI  FAEOP 

vo 

SIBVS 
IFECIT 


60.  Id.  (0,16  X  0,13  X  0,03)  : 

OMPE1VS 

NAE-L 

VVESTEM 


63.  Id.  (0,15X0,1 1X0,015): 

COMIN 
ABA 
TITINIAE 
DE 


65.  Travertino.  Frammento  in  due  pezzi 
(1,10X0,45X0,07): 

D  M 

VLPIAZOTECE 
NI- VIVAS1BI 
CIT 


64.  Id.  (0,23X0,25X0,02): 
ITE-  I  -SVE 

66.  Travertino.  Frammento  di  cippo 
(0,33X0,35X0,13): 

LSEST1VSL-LCERDO 
SESTIALLFLORA 
VSESTIALL-AMIA 
VISESTlVSLLAlSriOCH! 

visestivsll-  rileros 
Iva  Pxvi 


ROMA 


—   102   — 


ROMA 


67.  Travertino.  Frammento  (0,63X0,51X0,20): 

A  1 

NICAJV 

MED 
NFR-P 
INAGR 

Le  iscrizioni  seguenti  (nn.  68-81)  sono  state  trovate,  sempre  fra  il  terriccio,  nel- 
l'interno del  colombario  C. 


68.  (0,63X0,14X0,03): 

AGATHEMERIS 

VA'VI 


CALYBEVAXVI 

PLACVITPARENTIBVS 

ETCONIVGISVO 


SORO     RES 

69.  Frammento  (0.24  X  0,28  X  0,03)  : 

D  M 

OCRVDELEN 
PATER- FILIOFE 
QlCAECILIOPA 
QVIVIXITANN 
MENSIBVSXI-DI 
XXVI  •  FECI 
Q^CAECILIVS 
NV  S 


70.  Id.  (0,35X0,14X0,03): 

LCORNELIVS  * 
•       M 
AGRORVL-LCOMMILITO 


71.  Id.  ansato  (0,20X0,13X0,02): 

elviaeOl 

IVLIAE 


72Id.(0,26X0,19X0,03):       73.  Id.  (0,18X0,09X0,02): 


CNMANLIVSBASSVS 
CITHARISLIBERTFECIT 


VARV 
PR1NCIIPS 


74.  Id.  scorniciato 
(0,22X0,14X0,025): 

hvssib1  et 
lvcicarOiae 


75.  Id.  (0,21X0,12X0,015): 

CIOIENVS-  CES 
CORYMBIL-     PASC 
BARNAEVS  MA 

PATER 


76.  Id.  (0,10X0,09X0,015): 

/LLONIO 

SCARIPHO  FECIT 

VLLONIALITE 

COLL1BERTO 


ROMA 


—    103 


KOMA 


77.  Frammento  78.Id.(0,15X0,llX0,03):     79.  Id.(0,14XO,llX0.02): 

(0,19X0,10X0,025): 

ORTVNAT  IBIVSPEI^  D  •  M 

ìLI-FELICISL  V1XITAN  GINO' 

LAT 
A"» 


80.  Id.  scorniciato  (0,1 3  X  0,08  X  0,03)  : 

r  1 1 

NIB 
IXIT 


81.  Id.  scorniciato  (0,18  X0,1 8  X  0,08)  : 

AMAR A  N 
FR  AT  R  1  •  SV 
CI  PAR  E    FÉ 


82.  In  tre  pezzi  (0,31  X  0,24X0,02): 

D  M 

DECIMIAEMAXIMI 
NAE  -L-DECIMIVS 
MAXIMIJWVS  ET  (sic) 
SECVNDA  PAREN 
TESFILIAEDVLCIS 
SIMAE-VA-VII-MV 

D         VI 


83.  Scorniciata.  In  alto  un  vaso  fra 
due  teste  (0,48  X  0,30  X  0,08)  : 

DIS  ■  MANIBVS 
VELINNAE-  SABI 

NAE  -  POSIT' 
I  -  VELINN  A  •  MA 

XIMVSL1BERTAE 
SVAE-BENEMERENTI 


84.  In  pezzi.  Scorniciata.  In  alto 
una  corona  bendata  in  una  centinatura  ai 
lati  delle  quali  DM-  (0,45X0,29X0,02): 

D  M 

L-MVNATIO 

PRISCIANOFILIO 

DVLCISSIMO  •  QVI 

VIX-AN-V-MII-D-XIX 

FECIT-MVNATIA 

FELICLA-MATER 


85.  Scorniciata.   In  alto  una  centi- 
natura  con  DM  (0,32X0,24X002): 


D         M 

OCTAVIO 

FABATO 

OCTAVIA 

HELPIS-MATER 

FILIO  PIISSIMO 


86.  (029X0,25X0,03): 


D  >■  M 
VERNACLAPIA 
DVLCISSIM  A 
VIXIT-ANNIS-  XX 
SOPHRONVXORI 
BENE-MERENET 
INCONPARABILI 


ROMA 


—  104  — 


ROMA 


87.  Opistografa  (0,80X0,27X0,25): 

a) 

DlS  •  MANIB 
CIARTIAEAPoL 

LONIAE 
MRVTILIVS-ZOSIMVS 
CONIVGIKARISSIMAE 

r>  1  S    AAfy 


*) 

D        corona        M 
CNMVNATIO- 
ADRASTO-MALIA 
SPES  COlVGlSVOBENE 
MERENTI   FECIT  ■  Q_VIX 
ANLETSIBIET^SVIS 


88.  Opistografa;  scorniciata  (0,40  X  0,30  X  0,03): 

a)  b) 

DISMAN1BVS  DM 

MCONSIOMLDONATO  LBOMANIO 

FECITCLODIA   ML-  TROPHIMO 

PRIMIGENIACONIVGI  RARISSIMO  ■  PHOlBAS- 

ETSIBIETL1BERTISLIBERTABVSQVE  PATRONO  ■ 

SVISPOSTERISO^VE- EORVM  B               M 

89.  Scorniciata.  In  alto  corona  (0,52X0,31  X0,03): 

D  M 

CALLITYCH 
ENI-TFLAVIVS 
HERACLA 

VXORI 

B  •  M  •   F 


90.  Scorniciata  (0,46  X  0,25  X  0,04)  : 

D     •      M 
TICL  AVDIO 
TI  FMENESTRATO 
TICLAVDIVS 
P  A  M  P  H  I  LV  S  • 
PATER -FECIT 
ANNOI  MXDXXII 


91.  (0,44X0,19  X0,04): 

DIS     ■    MAN1BVS 
APOLLINI-L'OCTAVIVS  AMPLIATVS 
VIRNAE  •  SVO  BENEMERENTI  •  FECIT  • 

92.  Frammento  (0,15  X  0,13  X  0,02): 

VI  NI VS 
RACLIDA 


93.  Id.  scorniciato  (0,30  X  0,16  X  0,025)  : 

DIS  ■   MANIBVS 
C-MECENESPEKMES 
POSVITC-MECENAS 

PICVS  LIBERTVS 

NOBENE 


94.  Id.  (0,32  X  0,24  X  0,02)  : 

v  1 
lii\iROI 
TVSCONIV 
GIB-M-FEC 


ROM'A 


—  105  — 


ROMA 


95.    PrammeDto    opistografo 
(0,16X0,18X0,03): 


a) 


b) 


VA1ERIAL 

SFO 

VIXI 

NNV 

ANN  IS 

ENAV 

96.  Id.  (0  26X0,13X0,03): 

CCAMMAEOCLIBPR 
V I X  A  N  N  ■  XXXVII  •  PVBLICI 
TERTVLLA  •  COIVCI  •  OPT1M 
DESE-BENE  MERENTIETS 
ETSVISPOSTERISQVE 
FEC 


97.  Id.  (0,25X0,19X0,02): 

M 
IBONIA 

IfGENIA 


OCONIVGI 
M 
SIBI 


98.  Id.  (0,27X0,20X0,02): 


V  M    D  t\  I 

NEMEREN 

ECIT  PATER 

AE- VIX IT 

II    VI 


99.  Id.  (0,31  X  0,25  X  0,03)  : 

D     ■     M 
MVMIDIDAT 

FEC-PRIMITIVA 
ATRONO 


100.  Id.  (0.40X0  28X0,04): 

S  •         MAN  ■ 
'SHYPATVS      ó 
BI  ETSVIS 
3  I  S  CO'  E  •  E  O  RV  M 


101.  Id.  (0,39X0,33X0,35): 

D  M 

PVBLICIE   EPIGO 
ENI-FCITPVBLI 
VELENTINAEL 
RESETMEST 
PROCVLVS 
AVS AVGV 
E 


102.  Id.  (0,22X0,10X0,02): 


SIENI 
PHILIPP! 


103.  Scorniciata;  con  acroteri.  In  alto, 

in  centro,  corona  e  bende 

(1,05  X  0,45  X  0,06)  : 

D  M 

CPROCVLEIOCF 
POM- RVFO  ASTVRICA 
MILCOH  TlTi  PR> 
FESTI-MIL- ANN-VI 
VIX  ANN   XXV 


104.  Scorniciata  (0,42  X  0,28  X  0,03): 


D  M 

LMAGIO-  MARCELLINO 
MILCOHIII-PR>HERENr4 
TVB1CE- ORDINATO 
M  ■  VOLVSIVS  •  MAXIMINVS 
H       F        C 


ROMA 


—  106  — 


ROMA 


105.   Frammento   scorniciato 
(0,28X0,14X0,02): 

Q^SALVIO-  LON 
GINO-NOVA  RIA 
MILITI-  COH»mT 
PR 


107.  Scorniciata  con  acroteri 
(0,35X0,27X0,08): 

D  M 

CAEC1LIAE 

EVHODIAE 

CONIVGIBM 

MVMMIDlVS 

DATVS 

FECIT 


106.  Frammento  scorniciato. 
In  alto  corona  (0,28  X  0,17  X  0,03): 

D     corona     M 
C VEHELIO 

ERALIMI 
COHIIIV1G 
MIL-AIII-VU 
AXXVFAC-C 
CLABERIVS 
THYMELICVS 
S    TRCOH 

L'ultima  linea:  s(eculor)  tr(ibuni) 
coho(rtis). 

108.  (0,45  X  0,38  X  0,03  : 

D        ■»■         M 
1VLIAE- DORIDI -CON 
IVGI  •  PIENTISSIMAE 
FECIT      P-ACILIVS 
MERCVRIALIS 


109.  (0,33X0,17X0,05): 

D  M 

COCCEIO 
COSMO 
COR-  CV 
P I TA • C  O I 
V  C I  •  V  •  M  {tic) 


110.  Scorniciata  con  acroteri 
(0,23X0,23X0,03): 

D  M 

•  F ABI AE • 
VENERIAECON 
KAR> >CN> 
LVCRETIVS 
LVCRIO  •  ET 
SIBI  »  FECI 


111.  Scorniciata,  a  cuspide 
(0,40X0,32X0,06): 

D  •  M 

T    PVBLICIO 

VITALI 
•  CORNELIA- 

•  CVPITA  • 
CONIVGI  •  B  •  M  • 
ET  •  CORNELIAE  •  SECVNDINA 
SORORI  •  PIENTISSIMAE 


112.  Scorniciata  con    decorazione 
a  dente  di  lupo  (0,16  X  0,12  X  0,03): 

M  E  RO  P  HE 
VA-  IIII  • 
MENSE- UH 

113.(0,23X0,17X0,05): 

D  M 

AMAZONICO 
FIL-PARENTES 

•  B  •  M  • 


ROÌMA 


—    107 


ROMA 


114.  Ansata  e  scorniciata  (0,21  X  0,08X0,02): 

FVLCINIA    C-F 

SABINA 
VIX-  ANN  •  Vili 


115.  Scorniciata  con  cuspide  e  corona 
(0,48X0,29X0,05): 


116.  (0,27X0,33X0,03): 


D  M 

PORClAli- PRIMI 

TIVAEMPORCI 

VS  •  PATROBIVS  • 

LIB    FEMINAE 

INCOMPARABILI 

CVM-QVAV1XI- 

ANNXLMES-II!- 

SINE  VLLODELIC 

TOEIVS-ETPAELI 

VS-AVTOLICVS 

COWlVX   •  EIVS 


D    >    M 

>  MARCO  > 

>   FIL  > 

117.    Frammento  scorniciato 
(0,17X0.10X0,03): 

D 
TFLAVIO 
BABILIA 
CON 
B 


L'espressione  sine  ullo  delieto  eius 
(senza  nessuna  mancanza  da  parte  sua) 
non  è  nuova.  Cfr.  con  significato  analogo: 
sine  ula  (sic)  criminis  sorde  (C.  I.  L.  XIII, 
1983  =  Dessan,  1.  L.  S.  8158). 


118.  Id.  ansato  (0,21  X  0,17  X  0,025): 

BITHYNIC 

ANNIS-V-ET 
MVCIA-  PRIM 
DELICO 


119.  Id.  scorniciato  (0,20  X  0,20X0,03): 

AAPPVLElVS 

MALCHIO 

FECIT-SIBI-E 
ANCHAR1N 

CLITENI 


120.  Id.  (0,26X0,15X0,02): 

A    TRYPERA 
OIVCI-SVO 
HRONIO- 


121.  Id.  ansato  (0,13X0,13X0,02): 


122.  ld.scorniciato(0,15X0,HX0,02): 


L-CAS 
CASS 
FEC 


NI REVS 
VS-SIBI 
AL1CHORE 
AE 


Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII. 


15 


ROMA 


—  108  — 


ROMA 


123.  Frammento  (0,22X0,08X0,05): 


SVBÀT 

TVS 

ÀLIATOR 


FEL1CIÀ 

NVS 

NICA 


124.  Id.  (0,29X0,20X003): 

iCIA 

iLIAE 

1RIVS 

dVETER 

STICOER 


125.  Frammento  scorniciato.  A  destra  alberello  (0,32X0.14X0,03): 

MESSIAE 
CHRESTE 


126.  Id.  acorniciato  (0,17X0,12X0,03): 

N  APOSIS 

ET 
OVIROSVO 


127.  Frammento  (0.24X0,09X0,03): 


OSSA 
CVARATRONI 
rrAPwcciFRis 


128.    Frammento   (0,38X0,21X0,02).    In   mezzo   una   specie   di   clipeo  assai 
rovinato: 

I  S     LIB 

LIBERTABVSQ^S  VIS-  POSTE 

RISQ_  EORVM 
IN-F-PII1  IN-AG-PII 


129.  Id.  scorniciato 
(0,17X0,08X0,02): 


ARTICVLEIVS 

PFAS 

CLA  L  * 

CIT 

O  T  I  N  V  S 

VLINO 

S- V- 

fS- 

130.  Id.  (0,17X0,14X0,03)  :     131.  Id.  (0,17X0,08X0,02)  : 


D 
FIRMO 


132.  Frammento  scorniciato  (0,18X0,18X0,03)  opistografo  : 

a)  b) 

/orRTVNA 


VALE 
T 


ACAENA 
T 
XI 


ROMA 


—  109  - 


ROMA 


133.  Framm.  con  acroterio  134. 1(1.(0,15X0,10X0,025):  135. Id. (0,1 8X0,18X0,03): 
(0,11  X  0,10X0,05): 

TLVTAT  VS-M-F  poSterlSQVE 

F  I  L  "IMA 


13G.  In  quattro  pezzi  (0,30X0,26X0,018):         137.  Id.  scorniciato  (0,17  X  0,14  X 0,02): 


D  M 

M-MM1SATVRN 
INIAGRIPPINE 
ENS1SFECITPRI 
MVS ■ PATER • BE 
NE  •  MERENTi 


(sic) 


M 

NT1  A 

ME 

TIOHERMETl 


138.  Frammeuto  opistografo  (0,17X0,10X0,025): 

a)  b) 

ANT  XI  1 

COM 
FELIX 
T 


139.  Id.  (0,19X0,10X0,025): 

E  R  i 
>  EI  VS 
(<?0«)TVBERNALI 
M 


140.  Id.  (0,13X0,08X0,03): 


S  V 


141.    Frammento  di  travertino 
(0,22X0,13X0,0(5): 

RVA 
ATO 
vq  V 


142.  Id.  id.  (0,20X0,21  X0.12): 

HILAi 

ESVEIS 
TEIS 


143.  Id.  scorniciato  (0,21X0,17X0,03): 

AVONIAXPREPVSAVI    . 
jalESCIT-CONIVXANXX 

-XTISPARVAEMEAPSTVLIT'  ILLA'  DI 

il  •  apstvlit  Atra  dies 

ICIVMSECVMHABETILLA-  DIES 
HORAE-FATVSETILL.VDIES 
REEGOHIC-IACEO 
RPORISOFFICIVM 


CORI  —    110   —  REGIONE   I. 

La  seconda  parte  dell'  iscrizione  è  metrica,  ed  è  composta  di  sei  pentametri. 
Come  è  noto  l'uso  di  una  serie  di  soli  pentametri  è  raro,  ma  non  senza  riscontri 
nella  poesia  latina  tarda  (1).  Notevoli  i  ricordi  vergiliani,  frequenti  nelle  epigrafi  me- 
triche. Il  secondo  emistichio  del  v.  secondo,  riproduce  il  principio  del  celebre  verso 
dell'Eneide  (VI,  429)  abstulit  atra  dies  et  funere  mersit  acerbo.  Nel  verso  4, 
fatus  =  fatunt  che  non  è  senza  esempi  (cfr.  Forcellini-De  Vit,  Lex.  ;  e  Du  Cange, 
Gloss.  s.  v.). 

Il  primo  verso  si  può  supplire  con  molta  probabilità: 

\aef\atis  parvae  me  apstulit  Ma  dies. 

Fra  il  terriccio  (*)  si  sono  rinvenuti  pure  alcuni  mattoni  coi  bolli  C.  I.  L.  XV,  65 
e  482.  Si  sono  trovati  anche  un  frammentino  di  vaso  di  vetro,  e  un  piccolo  fram- 
mento di  anforetta  di  terracotta  rossastra,  decorato  con  festoncini  a  tenuissimo  rilievo 
e  bottoncini  di  smalto  di  colore  azzurro  e  giallo,  in  una  tecnica  della  quale  si  hanno 
altri  esemplari  (3). 

F.  Fornari. 


Regione  I  (LA  TIUM  ET  CAMPANIA). 

LAT1UM. 

III.  CORI  —  Scoperta  di  un  avanzo  di  muro  di  cinta,  e  di  due 
ambienti  con  mosaici. 

In  contrada  «  Le  Piagge  »  sulla  via  che  da  Cori  a  valle  sale  a  Cori  a  monte, 
facendosi,  nell'ottobre  dello  scorso  anno,  i  lavori  per  la  costruzione  di  una  casa  di 
proprietà  dei  signori  Costantino  e  Luigi  Scarnicchia.  è  venuto  in  luce  un  avanzo 
di  muro  di  cinta  a  sistema  poligonale. 

Il  tratto  scoperto  è  lungo  m.  3,  alto  in  media  m.  2.  I  massi  di  pietra  locale,  squa- 
drati in  forma  poligonale  non  perfettamente  regolare,  misurano  circa  m.  1,10X0,53; 
ve  ne  sono  però  anche  di  più  piccoli.  Sotto  il  muro,  in  direzione  normale  ad  esso, 
passa  un  piccolo  cunicolo,  di  sezione  quadrata,  col  lato  di  m.  0,32. 

(')  Cfr.  Auson.,  Lud.  sept.  >ap.,  VII;  Paulin,  canti.  XXV,  v.  238-241. 

(*)  Alcuni  mesi  dopo  finito  lo  sterro,  quando  questa  relazione  era  già  composta,  nel  rivoltare 
un  pezzo  di  travertino  che  era  servito  da  paracarro,  vi  si  è  letta  la  iscrizione  seguente: 

0-cocTavic  l 

philades- 
vc-  octavi  •  c  •  l 

FELICIS 
INFRPXVHN  AGRPXll 

(•)  Cfr.  Studi  romani,  I,  pag.  384,  fìg    10  (Kornari). 


REGIONE    I.  111    —  AMFE 

L'avanzo  venuto  ora  in  luce  è  la  continuazione,  a  sinistra  della  via  sopradetta. 
della  grande  muraglia  (2'  cinta)  che  domina,  a  guisa  di  terrazza,  la  piazza  del  Mu- 
nicipio, e  guarda  verso  S.  Oliva. 

Nello  stesso  comune  di  Cori,  facendosi  alcuni  lavori  di  sistemazione  nella  piazza 
del  Municipio,  si  sono  scoperti  gli  avanzi  di  due  ambienti  che  avevano  pavimenti 
a  mosaico. 

Il  primo  è  a  fondo  bianco,  decorato  nel  centro  da  un  quadrato  a  disegno  geome- 
trico. Il  secondo  è  a  tessere  alternate  bianche  e  scure. 

Merita  lode  il  Municipio  che  ha  provveduto,  col  permesso  della  Direzione  degli 
scavi  di  Roma,  a  far  distaccare  il  quadrato  centrale  del  primo  ed  una  parte  del  se- 
condo mosaico,  e  a  custodirli  nella  chiesa  di  S.  Oliva. 

F.  Fornari. 


IV.  ALIFE  —  Statuetta  in  bronzo  rappresentante  Eracle  Bibace 
trovata  nel  territorio  di  Alife. 

Il  bronzetto,  di  cui  dò  notizia,  fu  rinvenuto,  mancante  della  gamba  sinistra  dal 
ginocchio  in  giù,  da  alcuni  ragazzi  nel  territorio  di  Alife,  cioè  nel  cuore  del  Sannio, 
in  un  terreno  di  proprietà  del  duca  Onorato  Gaetani  di  Roccamondolfi  Un  anno  prima, 
nello  stesso  sito,  era  stato  trovato  il  pezzo  di  gamba  mancante,  che  venne  venduto 
dal  suo  inventore  ad  un  tabaccaio  per  due  sigari  napoletani  e  un  pacchetto  di  ta- 
bacco da  dieci  centesimi.  Dopo  la  scoperta  della  statuetta  questo  frammento  venne 
richiesto  al  suo  possessore  e,  avvicinato  alla  gamba  mutila,  si  potè  constatare  che 
realmente  le  apparteneva  ('). 

Il  bronzetto  (fig.  1  e  2),  è  alto  mm.  312.  La  gamba  sinistra  è  stata  restaurata; 
del  piede  destro  manca  la  parte  anteriore;  nella  mano  sinistra  semiaperta,  che  do- 
veva reggere  la  clava,  il  pollice  e  l'indice  sono  frammentari.  È  una  aitante  e  asciutta 
figura  di  giovane,  che  poggia  sulla  gamba  destra;  la  sinistra  è  piegata  al  ginocchio 
e  lievemente  scostata;  la  parte  posteriore  del  piede,  non  nudo,  ma  calzato  di  leg- 
gero sandalo,  è  alquanto  sollevata  da  terra.  Nella  mano  sinistra  regge  un  cantaro  a 
lungo  piede,  un  po'  inclinato,  che  sta  per  portare  alla  bocca,  mentre  la  flessione  al- 
l' indietro  della  parte  superiore  del  corpo  accompagna  quest'atto  col  gioco  di  tutti  i 
muscoli.  La  lavorazione  delle  forme  è  secca  e  nervosa  ;  le  proporzioni,  dal  basso  ventre 
in  su,  un  po'  esagerate  rispetto  alla  lunghezza  delle  gambe.  Una  pelle  di  leone  è  le- 
gata alla  vita,  il  muso  cade  sul  davanti,  dietro  pende  la  coda,  le  zampe  aderiscono 
ai  fianchi.  La  testa,  dai  capelli  corti  e  ricciuti,  è  adorna  alla  sommità  di  una  foglia 
d'edera,  che  sta  a  rappresentare  schematicamente  l' intera  corona.  La  fronte  solcata 
di  rughe  dà  al  volto  una  espressione  un  po'  triste  e  un  po'  dura,  ma  negli  occhi  e 
nella  bocca  semiaperta,  a  cui  sta  per  essere  accostato  il  bicchiere,  ride  la  gioia  del 
vino.  È  un  Brade  bibace,  un  altro  esempio  di  quella  «  contaminatio  »,  che  avviene  dal 

(,')  Il  bronzo  in  questione  6  ora  depositato  presso  il  Museo  Nazionale  di  Napoli. 


•7V0 


AI.IFB 


112  — 


REGIONE    I. 


Ili  secolo  in  noi,  tra  il  tipo  di   Dioniso  e  quello  di    Brade,  che  merita  di  essere 


Fio.  1. 


posto  accanto  a  molte  altre  rappresentazioni  simili,  e  per  alcune  sue  singolarità  è 
forse  degno  di  speciale  rilievo. 


REGIONE    I. 


113 


A  LIFE 


Lasciando  da  parte  le  rappresentazioni  di  Eracle  bibace,  stante,  dell'epoca  romana 


Fio.  2. 


imperiale,  in  cui  l'eroe  barbato,  di  aspetto  maturo,  di  forme  spesso  tozze  e  sgraziate, 
tenendo  in  una  mano  lo  scifo  e  nell'altra  la  pelle  di   leone  e  la  clava,   appoggia 


ALIFE  —    114   —  REGIONE   I. 

il  peso  del  corpo  sulle  gambe  malferme  (')/  vediamone  alcune  di  arte  etnisca  che 
ci  mostrano  Eracle  giovane  e  che  hanno  maggiore  attinenza  col  nostro  bronzetto. 

La  figura  di  Eracle  in  forine  giovanili  è  frequentissima  negli  specchi  graffiti  ('), 
nei  quali  quella  dell'eroe  barbato  appare  solo  eccezionalmente.  Uno  di  essi  dato  da 
Gerhard  (:ì).  esibisce  l'eroe  in  posa  e  in  atteggiamento  assai  simili  alla  statuetta  di 
Alife,  mentre  la  disposizione  della  pelle  leonina,  cinta  alla  vita,  che  è  la  particola- 
rità più  notevole  di  essa,  e  che  non  esiste,  per  quanto  mi  consta,  in  nessun'opera 
a  tutto  tondo,  si  rinviene  in  uno  specchio  (4).  che  mostra  Eracle  e  Atena  nel  giardino 
delle  Esperidi  (fig.  3).  Delle  rappresentazioni  a  tutto  tondo,  che  possono  offrire  materia 
di  più  sicuri  confronti,  citerò  in  primo  luogo  una  statuetta  della  collezione  Pour- 
talès,  che  presenta  somiglianze  grandissime  colla  nostra  nella  fattura  del  corpo  e 
soprattutto  nel  profilo  del  volto  (5).  È  un  Eracle  del  tipo  bibace,  di  forme  giovanili 
e  muscolose,  ma  più  fiacche  e  meno  slanciate  del  nostro,  che,  stante  sulla  gamba 
sinistra,  la  destra  piegata  e  scostata,  regge  nella  mano  sinistra  un  corno  potorio,  il 
quale  però,  essendo  ripieno  di  oggetti  vari,  assume  l'aspetto  di  un  corno  della  abbon- 
danza. Nella  destra  protesa  doveva  tenere  la  clava  ;  buttata  sul  braccio  sinistro  è  la 
pelle  di  leone.  1  capelli  corti  e  ricciuti  sono  cinti  da  un  diadema  a  nastro  che 
culmina  nella  estremità  superiore  e  nella  inferiore  in  due  sporgenze  che  il  suo  editore 
chiama  «  croissants  ■  lunari,  e  che  invece  stanno  a  rappresentare  una  foglia  in  forma 
rudimentale. 

Un  bronzo  edito  dal  Middleton  (6),  se  ha  nella  espressione  intenta  e  triste  del 
volto  e  nei  capelli  ricciuti  affinità  notevoli  col  nostro,  ma  minori  di  quello  della 
Collezione  Pourtalès,  ne  presenta  più  strette,  per  quanto  riguarda  il  movimento 
del  busto  e  la  posizione  delle  braccia.  Il  destro  è  alquanto  piegato  al  gomito  e  regge 
il  corno  potorio  ;  il  sinistro  è  piegato  più  sensibilmente,  e  la  mano  doveva  tenere  la 


(')  Raccolgo  qui  le  principali.  —  Bronzetto  di  Parma:  Moti.  dell'Ut.,  I,  tav.  44  e.  ; 
Annali  dell'ht.,  1832,  pp.  68-75  (nella  destra  reggeva  il  corno  potorio).  —  Due  bronzetti  di 
Ercolano:  Houx  et  Barre,  VI,  19,  3;  Reinach,  Rep..  II,  218,  7;  Roux  et  Barre,  VI,  17,  2; 
Reinach,  Rep.,  II,  219,  2.  —  Bronzo  di  Vienna:  E.  Freih.  von  Sacken,  Die  antiken  bron- 
zen  des  K.  K.  Mùnz-  und  Antiken-Gabinete»  in  Wien,  I,  tav.  38,  n.  8.  —  Bronzetto  della 
raccolta  Fejervary:  Mon.  dell'ht.,  1854,  Braun,  pp.  114-115,  tav.  34.  Ercole  ha  qui  aspetto 
quasi  silenico. —  Due  bronzetti  di  Vienna:  Gazette  arehéologique  1877,  Bazin,  pp.  178- 
179,  tav.  26. — Bronzo  del  Cabinet  des  medailles  :  Daremberg,  Dictionnaire,  fig.  3786.  — 
Marmo  della  Bibl.  reale  di  Parigi:  Clarac,  801,  n.  2012;  Reinach.  Rep.,  I,  472.  — 
Bronzetto  greco  del  II  sec.  av.  Cr.  trovato  a  Costantinopoli,  appartenente  alla  Coli.  Nelidow 
(Coli  Nelidow,  tav  Vili,  pag.  12,  n.  41). 

(')  Gerhard,  Etruskische  Spiegel,  tavv.  da  134  a  137,  da  139  a  144,  da  147  a  156,  (Cfr.  anche 
le  tavv.  158,  163,  164,  165,  168,  181,  e  da  335  a  347). 

(')  Op.  cit,  tav.  148. 

(*)  Op.  cit.,  tav.  140.  Una  disposizione  simile  della  pelle,  ma  alquanto  diversa,  ritoma  negli 
specchi  dati  alle  tavv.  340  a  347. 

(6)  Gaiette  arehéologique,  1877,  Colson,  pag.   168  e  seg.,  tav.  26;  Reinach,  Rep.  II,  218,  4. 

(*)  Germana  quaedam  antiquitatis  eruditae  Monumenta.  Londinii  1745,  tav.  XIII,  1;  Reinach, 
Rep.  II,  219,  5. 


AI.IFE 


—  115  — 


REGIONE   I. 


clava.  La  posizione  delle  braccia  è  simile;  soltanto  è  invertita,  in  una  statuetta  edita 
dal  Caylus  (l).  di  forme  assai  giovanili,  che  tiene  nella  sinistra  lo  scifo. 

Tutte  le  variazioni  possibili  nel  tipo  di  Eracle  giovane,  che  già  semiebbro  pre- 
gusta i  nuovi  piaceri  del  vino,  ci  sono  date  poi  da  una  serie  di  bronzi  nei  quali  la 


Fio.  3. 


pelle  di  leone,  come  nei  tre  già  citati,  è  però  sempre  gittata  sull'avambraccio  destro 
o  sul  sinistro.  In  uno,  trovato  nei  dintorni  di  Napoli,  l'eroe  ha  il  capo  coperto  di 
pilos  (*),  un  altro  (3),  con  volto  quasi  efebico,  la  testa  adorna  di  studiata  acconcia- 
tura, che  ricade  in  doppio  ordine  di  riccioli  sulla  fronte,  guarda  con  occhio  tranquillo 
il  vaso  che  doveva  reggere  nella  destra. 

Due  bronzetti  di  Vienna  (4)  ci   mostrano  l'eroe  giovane,  col   capo  cinto  da  un 


(')  Recueil  d'Antiquités,  V,  46,  III  e  IV  ;  Reinach,  Rep.  II,  221,  2  e  7. 

(•)  Caylus,  op.  cit.,  V,  46,  I  e  II. 

(»)  Caylus,  op.  cit.,  III,  28,  I  e  II;  Reinach,  Rep.  II,  223,  8.  A  pag.  89  il  Caylus  osserva  che 
la  parte  inferiore  dalle  anche  in  giù  è  troppo  corta  rispetto  alla  parte  superiore.  V.  anche  Caylus 
ihid.  22,  V. 

{*)  Freih.  von  Sacken,  op.  cit.,  pag.  96,  tav.  40,  4  e  tav.  38,  11  ;  Reinach,  Rep.  II,  216,  4. 


Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII. 


16 


Al. IKK 


Ìl6    —  REGtONB   1. 


ampio  nastro,  nel  solito  atteggiamento,  con  la  pelle  di  leone  sul  braccio  sinistro  e 
nella  mano  destra  il  corno  potorio,  mentre  in  uno,  edito  dal  Gori  (1),  assai  simile  a 
questi,  un  berretto  aderente,  a  casco,  ricopre  il  cranio. 

Più  si  discosta  da  tutte  le  rappresentazioni  citate,  per  le  forme  piene  e  quasi 
femminili  del  volto  e  per  la  disposizione  della  pelle  di  leone,  cbe  sale  col  muso  a 
coprire  il  capo  dell'eroe,  mentre  le  zampe  anteriori  gli  si  annodano  sotto  il  collo  e 
il  resto  si  attorciglia  capricciosamente  intorno  al  braccio  sinistro,  la  statuetta  del 
Museo  Archeologico  di  Firenze  (*).  Ma  se  questa  disposizione  della  pelle  è  insolita 
noi  tipo  dell' Eracle  bibace,  essa,  come  è  ben  noto,  è  comunissima  nelle  rappresen- 
tazioni dell'eroe,  tanto  nelle  opere  a  tutto  tondo,  quanto  negli  specchi  graffiti. 

Ritornando  al  nostro  bronzetto,  a  parte  le  sue  singolarità,  e  cioè  la  disposizione 
della  pelle  alla  vita,  il  cantaro,  attributo  proprio  di  Dioniso,  i  graziosi  sandali  ai 
piedi,  la  corona  d'edera  schematicamente  indicata,  esso  mi  sembra  degno  di  nota, 
perchè  compendia  in  uno  i  caratteri  delle  numerose  rappresentazioni  di  questo  tipo 
di  Brade.  Il  corpo  slanciato  ed  atletico,  in  cui  alla  flessione  del  busto  verso  l' in- 
terno contrasta  il  movimento  delle  braccia  in  avanti,  tesi  i  muscoli  e  i  nervi,  vibra 
e  freme  nella  attesa  dei  piaceri  del  vino;  sul  volto,  piccolo  rispetto  alla  altezza 
della  intera  figura,  sulla  fronte,  incorniciata  dai  capelli  lavorati  con  cura  minuziosa, 
e  profondamente  corrugata,  è  soffusa  una  tristezza  che  ha  qualche  cosa  di  energico.  Non 
è  il  mesto  trasognamento  di  Dioniso,  proprio  delle  numerose  statue  che  ripetono  lo 
schema  del  cosidetto  Apollo  Liceo,  ma  è  una  ebbrezza,  per  la  quale  l'eroe,  che  con 
una  mano  leva  il  bicchiere  e  con  l'altra  brandisce  la  clava,  non  perde  il  suo  inge- 
nito carattere  forte  e  risoluto.  E,  se  vogliamo  pensare  a  una  corrente  artistica  dalla 
quale  questo  tipo  di  Eracle  giovane  derivi,  ci  sale  spontaneo  alle  labbra,  col  nome 
dell'eroe  che  fu  il  prediletto,  il  nome  del  maestro  che  lo  predilesse:  Lisippo. 


Alda  Levi. 


(*)  Muteum  Etruseum,  I,  71  ;  Reinach,  fìep.  Il,  220,  5. 

(*)  Clarac,  802  D,  1964  C,  tomo  V,  pag.  8;  Reinach,  Rep.  I,  pag.  474;  Milani,  Il  R.  Museo 
archèol.  di  Firenze,  tav.  XXVIII. 


REGIONE    I.  —    117    —  POMPEI 


CAMPANIA. 

V.  POMPEI  —  Relazione  degli  scavi  eseguili  nel  gennaio  1916 
(cfr.  Notizie  1916,  pag.  30  e  87).  Continuazione  dello  scavo  della  via 
dell'  Abbondanza. 

a)    Scavo  della  via  propriamente  detta. 

Questa  è  stata  scavata,  giungendosi  tino  allo  scoprimento  del  lastrico,  per  altri 
dieci  metri  circa,  tra  l'isola  111  della  reg.  Ili  a  sin.,  e  l'isola  III  della  reg.  Ila 
destra  (mezzogiorno).  Per  questo  scavo  sono  stati  completamente  liberati  dal  mate- 
riale eruttivo  il  vano  n.  5  della  prima  delle  due  isole  mentovate  e  i  vani  nn.  5  e  6 
della  seconda. 

Iscrizioni. 

Su  la  parete  a  destra  del  vano  n.  5,  III,  II,  sopra  uno  strato  di  calce,  in  grandi 
lettere  rosse: 

1.  L?0?\(dium  L.f.  Ampliatu?) M.>AED>0>V>F> 

TA//MD  /n»'</SECVNDA>CVPIENSANIA>ROG>ET  FECIT 

Questa  iscrizione  è  dipinta  dinanzi  ad  altre  più  antiche,  che  forse  saranno  leg- 
gibili in  seguito  per  la  caduta  dello  strato  di  calce  ad  esse  sovrapposto.  Di  queste 
iscrizioni  più  antiche  leggibile  è  solo,  verso  destra,  in  grandi  lettere  rosse: 

2.  P>VETTIV[w  ce]LEREM 

Più  a  destra,  in  grandi  lettere  nere: 

3.  LOLLIVM 

a->  >  cp  >  tegella  pi         (  Tegella  per  Tigella?) 

Immediatamente  al  disotto,  in  grandi  lettere  nere: 

4.  POPIDIVM>L»F»AMPLIATWL 

A5>0>V>D>a>P> 

Più  sotto,  a  destra,  in  lettere  non  molto  grandi,  quasi  svanite,  forse  rosse: 

5.  POP1DIVM.DVF 

Su  lo  zoccolo  rosso,  sotto  la  iscrizione  n.  1,  immediatamente  a  destra  del  vano 
n.  5,  III,  II,  in  grandi  lettere  rosse  quasi  svauite,  sopra  pennellate  di  calce: 

6.  CÀSELLIVyv9 


POMPEI  —    118   —  REGIONE   I. 

Sul  pilastro  a  sin.  dello  stesso  vano,  sopra  uno  strato  di  calce,  in  grandi  let- 
tere rosse  quasi  svanite: 

7.  T  R  E  B  I  W\ 

AED 

Su  la  parete  a  sin.  del  vano  seguente,  n.  6,  immediatamente  al  disotto  del  pro- 
gramma n.  1,  del  rapporto  di  ottobre  1915,  in  grandi  lettere  nere: 

8.  M>HOLCONIVM>D>l>D>Cf 
Immediatamente  al  disotto,  in  lettere  rosse: 

9.  ASVETTIVM.VERVM 

A   E  D  >       D  >  R  <•  P  >       O3 

Dietro  lo  strato  di  calce,  sopra  cui  è  dipinta  questa  iscrizione,  compariscono  qua 
e  là  le  lettere,  pare,  di  due  altre  iscrizioni  sovrapposte,  una  in  lettere  rosse  e  un'altra 
in  nere,  quella  più  in  dietro  di  tutte. 

Al  disotto  di  9,  sulla  parte  alta  dello  zoccolo  di  signino,  in  lettere  rosse  pochis- 
simo conservate: 

10.  QjPOSTVMIVM 

Su  la  estremità  destra  del  muro  orientale  del  vico  tra  le  isole  III  e  IV  (non 
ancora  scavata)  della  reg.  Ili,  in  granii  lettere  nere,  sopra  le  solite  pennellate  di 
calce  : 

11.  M>EPIDIVM 

SABINVM*™ 

DIG  EST     Cf 


Trovamenti. 

Sull'ingresso  della  bottega  n.  6,  is.  Ili,  reg.  II,  il  3  del  mese:  Bronzo  e  ferro. 
Morso  di  cavallo,  in  bronzo,  con  freno  di  ferro  girevole,  lasciante  intiera  libertà  di 
lingua.  Il  giorno  1 1  :  Ferro.  Rastrello  conservante  solo  quattro  denti,  lungo  m.  0,23.  — 
Il  giorno  14.  Bromo.  Piccolo  recipiente  emisferico  senza  piede  e  senza  anse, 
largo  m.  0,063.  Due  ordigni  di  bronzo  con  tracce  di  argento,  ciascuno  dei  quali  consiste 
in  una  specie  di  mezzaluna  capovolta,  alle  due  estremità  della  quale  è  attaccato  un 
anelletto.  a  cui  sono  sospese  due  sottili  laminette  ripiegate,  a  ciascuna  delle  quali 
era  evidentemente  sospesa  qualche  altra  cosa.  Sulla  parte  alta  della  mezzaluna  una 
sporgenza  superiormente  slargata,  con  due  piccole  appendici  laterali,  forse  un  fallo. 
Lunghezza  complessiva  m.  0,075.  Giogo  di  bilancia,  lungo  m.  0,29  con  ansa  e  uncino 


REGIONE    I.  —    119    —  POMPEI 

in  una  delle  estremità.  Gol  giogo  una  lanx,  larga  m.  0,08,  decorata  con  cerchi  con- 
centrici impressi  nello  interno  e  munita  di  quattro  fiorellini  di  sospensione.  —  Ferro. 
Avanzi  di  un  piede  di  mobile,  decorato,  come  al  solito,  di  un  cilindro  slargato  in 
alto  e  in  basso  e  di  un  grosso  corpo  di  forma  lenticolare.  —  Il  giorno  15.  Bronzo. 
Maniglietta,  larga  m.  0,045,  a  corpo  quadrangolare,  rastremata  da  una  parte  e  dal- 
l'altra, con  uno  dei  due  anelli  nei  quali,  sospesa,  girava.  Anelletto,  lungo  m.  0,02,  so- 
speso a  un  anello-perno,  appartenente,  come  la  maniglietta,  a  qualche  cofanetto  di 
legno,  del  quale  legno  gli  avanzi  intorno  al  perno.  Laminetta  rettangolare,  attra- 
versata da  un  largo  foro,  con  chiodetti  in  due  angoli  e  perno  munito  di  piastrina 
circolare,  forse  anch'essa  appartenente  al  cofanetto  in  parola  e  del  cui  legno  porta 
molti  avanzi.  —  Marmo.  Testina  virile  a  tratti  ideali,  alta  m.  0,15,  terminante 
inferiormeuto  e  nella  parte  posteriore  con  taglio  piatto  :  ciò  che  fa  credere  che  abbia 
appartenuto  al  piede  di  qualche  mensa.  Intorno  al  capo  è  avvolta  una  benda 
con  le  estremità  cadenti  su  le  spalle;  i  capelli  sono  ondati,  e,  partendo  da  una 
parte  e  dall'altra  della  scriminatura  mediana,  incorniciano  la  fronte  e  le  tempie. 
Piattello  bassissimo,  largo  m.  0,155,  munito  di  quattro  sporgenze  opposte,  rettan- 
golari, una  delle  quali  con  incavo  per  versare  il  liquido.  La  superficie  esterna  è 
greggia.  —  Il  giorno  17.  Legno.  Quattro  frammenti  di  uno  o  più  ordigni  di  legno, 
di  forma  allungata,  rastremati  e  ricurvi,  dipinti  in  azzurro  e  decorati  con  chiodetti 
a  testa  di  bronzo  larga  e  piatta.  Questi  frammenti  sembrano  molto  importanti  avendo 
potuto  appartenere  alla  bardatura  di  un  cavallo.  E  questa  ipotesi  viene  in  certo  modo 
convalidata  dal  morso  di  cavallo  trovato  allo  stesso  posto.  —  Bromo.  Dischetto, 
largo  m.  0,06,  già  parte  anteriore  di  una  serratura,  con  relativo  paletto,  appartenente 
a  qualche  mobiluccio  di  legno,  del  quale  pare  che  facessero  parte  pure  gli  ogget- 
tini  seguenti:  Guardaspigoli,  ovvero  piastrina  rettangolare  piegati,  ad  angolo  retto. 
Piastrina  rettangolare,  lunga  m.  0,055,  munita  di  quattro  chiodetti  nei  quattro  angoli, 
che  la  tenevano  salda  al  legno.  Anelletto,  al  quale  sono  sospesi  tre  frammenti  di 
catenelle.  Anelletto,  largo  m.  0,03,  a  stilature  longitudinali. 

b)    Casa  di  Trebio  Valente. 

In  questa  casa  si  è  proceduto  a  togliere  la  parte  alta  del  materiale  eruttivo  a 
settentrione  del  peristilio  per  rendere  possibile  il  completo  scavo  di  questo  e  degli 
ambienti  che  possono  trovarsi  a  settentrione  dello  stesso.  Inoltre  è  stata  quasi  comple- 
tamente messa  in  luce  un  t  stanzetta  presso  a  poco  rustica  —  pareti  bianchicce  con  alto 
zoccolo  formato  da  semplici  fasce  nere  —  ,  prima  nel  lato  sinistro  (occidentale)  del 
peristilio,  e,  nella  parte  alta  soltanto,  un  piccolo  ambiente  seguente  immediatamente 
a  destra,  che  a  mo'  di  ala  si  apre  interamente  sul  peristilio.  Le  pareti  di  questo  sono 
decorate,  nella  parte  principale,  con  grandi  riquadrature  nere,  alle  quali  seguono 
superiormente  delle  piccole  riquadrature  a  fondo  bianco,  rettangolari,  collocate 
per  lungo. 

Al  primo  di  questi  due  ambienti  si  accede  per  una  piccola  porta  nel  prolunga- 
mento che  forma  l'ambulacro  anteriore  del  peristilio  verso  sinistra  (occidente),  por- 


POMPEI 


—  120  — 


REGIONE 


ticina  che  viene  a  stare  di  fronte  al  noto  salone  decorato  nel  3"  stile,  a  sinistra  del 
tablino.  In  questa  stanzetta  sono  stati  rinvenuti  molti  oggetti,  e  primo  fra  tutti,  il 
giorno  11,  un  elegante  monopodio  marmoreo,  rotto  in  più  parti,  il  quale  fu  fatto  subito  re- 
staurare (tìg.  1).  Questo,  alto  m.  0,!'3,  con  piano  rettangolare  misurante  m.  0,79X515, 
è  sorretto  da  uno  svelto  pilastrino  a  corpo  rettangolare,  al  quale  è  addossato  un  erma 
con  corpo  di  marmo  grigio  venato,  a  testa  di  Dionysos  barbato  Jai  tratti  ideali,  in 
marmo  giallo.  Questa,  priva  degli  occhi,  che  furono  già  di  pasta  vitrea,   ba  la  barba 


Fig.  1. 


a  riccioli  stilizzati,  i  capelli  ondati  cadenti  su  le  spalle,  e,  su  la  fronte  e  su  le 
tempie,  ravvolti  intorno  a  un  cercine.  Pilastro  ed  erma  posano  sopra  un  plinto  di 
marmo  lunense  misurante  m.  0,255  X  0,24.  Gli  altri  oggetti  rinvenuti  sono  i 
seguenti:  Vetro.  Bottiglia  a  pancia  larga  e  depressa,  lungo  collo,  ansa  verticale 
con  doppia  attaccatura,  alta  m.  0,12.  —  Terracotta.  Lucerna  monolychne  a  smalto 
vitreo,  larga  m.  0,13.  Patera  aretina  con  recipiente  a  fondo  imbutiforme,  basso  piede 
circolare,  labbro  cilindrico  moJanato,  con  sul  fondo  interno  la  marca  impressa,  consi- 
stente in  due  piedi  umani  accostati,  con  sopra  le  correggiole  dei  sandali.  Diam.  0,18. — 
Bronzo.  Forma  di  pasti  ceria  di  forma  ellittica,  lunga  m.  0,11.  Statuetta  di  Venere 
(tìg.  2),  di  mediocre  esecuzione,  tutta  nuda,  stante,  insistente  su  la  gamba  sin.,  coronata 
con  alta  stepliane,  stringente  le  chiome  con  ambo  le  mani  ;  alta,  senza  base,  m.  0,085, 
con  questa,  m.  0,108.  Statuetta  di  Mercurio  (tìg.  3),  stante,  insistente  su  la  gamba  dr., 


REGIONE   l. 


121    - 


POMPE) 


con  l'altra  alquanto  scostata  verso  destra,  mulo,  tranne  una  clamide  che  cade  sul  braccio 
sinistro;  cou  la  mano  di  questo  stesso  braccio  alquanto  abbassata  regge  il  caduceo, 
con  l'altra,  portata  verso  destra,  la  borsa  ;  ha  cappello  alato  a  stretta  falda,  cou  un 
corpo  elevantesi  su  la  parte  anteriore,  e  che  non  so  definire;   presso  la  sua    gamba 


Fio.  2. 


Kig.  3. 


dr.  pare  accovacciato  un  animale,  irriconoscibile  nei  particolari  ;  altezza  m.  0,074,  con 
la  base  m.  0,098.  Statuetta  di  Ercole  (fig.  4),  stante,  insistente  su  la  gamba  dr.  mentre 
l'altra  è  portata  un  po'  indietro;  tutto  nudo  tranne  la  pelle  leonina,  che  gli  copre  il 
capo  e  le  spalle,  e  svolazza  verso  destra  coprendogli  parte  del  braccio  sin.  strin- 
gente con  la  mano  la  clava  appoggiata  con  la  parte  grossa  a  questo  stesso  braccio  ; 
l'altra  mano,  portata  innanzi,  tiene  una  coppa;  esecuzione  trascurata,  come  pure 
quella  del  Mercurietto;  altezza  m.  0,08,  complessiva,  cioè  con  la  base,  m.  0,11.  Le 
basi  delle  tre  statuette  sono  tutte  di  forma  cilindrica,  slargate  in  alto  e  in  basso.  Le 
tre  statuette  formavan  parte,  evidentemente,  di  un  larario.  Bacinella  con  corpo  a  segmento 
sferico,  con  due  anse  opposte  a  maniglia;  diam.  m.  0,32.  Grande  bronzo  di  Galba, 
cfr.  Cohen  255?  Grande  bronzo  di  Vespasiano,  Cohen  336?  Grande  bronzo  di  Vespa 


POMPEI 


—  122  — 


REGIONE    1. 


siano  con  la  Pax.  Medio  bronzo  di  Vespasiano,  Cohen  41 1  ?  Medio  bronzo  di  Vespasiano 
con  l'Aequitas?  Medio  bronzo  di  Vespasiano,  riconoscibile  appena  dai  tratti  della 
sua  testa.  —  Il  giorno  13:  Ferro.  Lama  rettangolare  di  coltello,  oon  sporgenza 
laterale  già  intromessa  nel  manico  di  legno.  È  lunga  m.  0,12. —  Bronzo.  Reci- 
piente quasi   emisferico  senza  piede  e  senza  manichi,  largo  m.  0,07.  Ansa  piatta, 


Fio.  4. 


probabilmente  di  casseruola,  munita  di  foro  semicircolare  di  sospensione  nella  estre- 
mità, la  quale  è  pure  decorata  con  un  filare  di  ovoletti  incisi;  lunga  m.  0.10. 
Ansa  lunga  e  sottile,  priva  della  estremità,  forse  di  un  colabrodo,  lunga  m.  0,15. 
Frammento  di  ansa  quasi  analoga,  lungo  m.  0,075.  Moneta  repubblicana  romana, 
come  può  argomentarsi  dalla  doppia  lesta  di  Ianus  o  di  Fontus.  Piccola  moneta 
imperiale,  ove  rimane  solo  CAES.... —  Terracotta.  Vasettino  quasi  ovoidale,  con 
due  anse  a  nastro;  altezza  m.  0,105.  Altro  vasettino  simile  a  corpo  ovoidale. 


G.  Spano. 


ROMA 


—  128  — 


ROMA 


Anno  1916  —    Fascicolo  4. 

I.  ROMA. 
Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 


Via  Ostiense.  Scavi  nel  cimitero  di  S.  Ciriaco  a  Mezzocammino.  Nei  primi 
giorni  del  dicembre  1915,  durante  i  lavori  per  il  rialzamento  e  l'allargamento  della 
via  Ostiense,  in  località  Mezzocammino,  ad  undici  chilometri  dalla  porta,  tagliandosi 
la  roccia  sulla  sinistra  della  via,  in  proprietà  del  sig.  Paolo  Giuliani,  si  rinvenne 
per  caso  una  tomba  contenente  un  sarcofago  marmoreo. 


Fig.  1. 

La  tomba,  normale  alla  via,  misurava  m.  2,54  di  lunghezza  per  m.  0,96  di 
larghezza.  Scavata  nella  roccia,  a  circa  2  m.  sotto  il  piano  di  campagna,  e  rivestita 
internamente  da  cortina  di  mattoni,  era  coperta  da  una  volticina  sostenuta  da  un 
trave  centrale  di  ferro  con  tre  sbarre  trasversali  piombate,  sulle  quali  posavano  i 
tegoloni  che  reggevano  il  massello.  Neil'  interno  della  tomba,  posato  sopra  due  so- 
stegni di  marmo,  era  un  grande  sarcofago  marmoreo  (fig.  1)  col  coperchio  a  posto 
(lunghezza  m.  2,10;  altezza  del  corpo  m.  0,56,  del  coperchio  m.  0,36;  larghezza  del 
corpo  m.  0,58,  del  coperchio  m.  0,60).  Il  coperchio,  col  fronte  rialzato  di  m.  0,30, 
ha  nel  mezzo  una  targa  squadrata  anepigrafe,  tra  due  puttini  ;  a  destra  la  storia  di 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  17 


ROMA 


—  124  — 


ROMA 


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30 


40 


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Fio.  2. 


ROMA 


—  125  — 


ROMA 


Giona,  ingoiato  dal  mostro  e  in  atto  di  dormire  sotto  la  cucurbita;  a  sinistra  l'ado- 
razione dei  Magi.  Sulla  faccia  principale  del  corpo  del  sarcofago  è  scolpita  in  mezzo 
l'orante  tra  due  apostoli  ;  a  destra  i  miracoli  di  Gesù  Cristo  :  il  paralitico,  il  cieco 
e  la  risurrezione  di  Lazzaro  ;  a  sinistra  s.  Pietro  che  rinnega  Gesù  Cristo,  s.  Pietro 
portato  in  carcere  e  Mosè  che  batte  la  rupe.  Nell'interno  del  sarcofago  è  il  morto 
col  capo  avvolto  nella  lana. 

Questa  prima  scoperta  attirò  subito  l'attenzione  della  Soprintendenza  agli  scavi 
di  Roma,  la  quale  decise  di  fare  alcune  esplorazioni  in  quella  località  per  trovare 
il  posto  preciso  del  cimitero  cristiano  di  s.  Ciriaco,  del  quale  si  sapeva    l'esistenza 


5    t . 

_j  metri 


Pia.  3. 


in  quel  tratto  della  via  Ostiense  e  col  quale  la  tomba  cristiana  rinvenuta  doveva 
senza  dubbio  avere  relazione.  Gli  scavi  si  sono  compiuti  fra  il  dicembre  1915  e 
l'aprile  1916,  e  ne  espongo  qui  i  risultati. 

Appena  iniziati  i  lavori  si  scoprì  un  piccolo  edificio  absidato  (A,  pianta  fig.  2 
e  fig.  3)  disposto  parallelamente  alla  via  Ostiense  e  con  l'abside  rivolta  ad  ovest. 
Il  corpo  rettangolare  di  esso  misura  m.  6,10X5,95,  l'abside  ha  la  corda  di  m.  5.60. 
L'edificio  è  costruito  in  buona  muratura  di  laterizio,  dello  spessore  di  m.  0,73,  che 
nella  parte  esterna  si  appoggia  alla  roccia,  nella  quale  il  vano  è  stato  scavato.  Ester- 
namente ad  esso  (v.  fig.  4)  corre  un  cordone  a  spiovente  rivestito  di  cocciopesto,  che 
ha  lo  scopo  evidente  di  salvare  l'interno  dalle  infiltrazioni  delle  acque.  Dell'antico 
edificio,  che  era  senza  dubbio  destinato  al  culto,  rimane  un  piano  inferiore  a  quello 
dell'ingresso,  del  quale  non  s'è  rinvenuta  alcuna  traccia.  Evidentemente  non  è  la 
chiesetta,  ma  il  sepolcreto  sottostante  al  pavimento.  Infatti  non  appena  si  è  comin- 


ROMA 


—    126 


ROMA 


ciato  a  togliere  la  terra  di  cui  la  costruzione  era  piena,  si  sono  rinvenuti  due  piccoli 
sarcofagi  di  marmo. 

Il  primo  di  essi,  nel  punto  d  (fig.  3),  posava  sulla  terra  smossa.  Misura,  nel  corpo, 
m.  1,28  X  0,45  X  0,35;  nel  coperchio  m.  1,30  X  0,46  X  0,23.  Nel  corpo  è  rappresen- 
tato (fig.  5)  nel  mezzo  l'orante,  dietro  il  quale  è  la  cortina,  sorretta  da  due  geni 
volanti;  ai  piedi  dell'orante  è  un  piccolo  scrigno;  sotto  ai  putti  due  pavoni  che 
beccano  su  cesti  ricolmi.  Alle  due  estremità  si  ripete  la  figura  del  Buon  Pastoie. 
Ai  piedi  del  Buon  Pastore  di  destra  sono  un  asinelio  e  un  cane;  presso  a  quello  di 


I 


Fig.  4.  IB 


sinistra  l'asinelio  manca.  Sul  coperchio   sono  otto  delfini  a  coppie  che  vanno  verso 
il  centro,  ove  si  vede  la  targa  con  la  epigrafe  seguente  incisa  in  cinque  righe. 

HiC  OPTATA  •  SITA   EST  QVAM 
TIRTIA   RAPVIT  AESTAS  ("') 

L1NGVA  •  MANV    NVNQVAM 
DVLCIOR  •  VLLA  FVIT  • 
IN   PACE 

Si  tratta  di  un  distico,  il  cui  pentametro  ha  nel  primo  membro  una  sillaba  di 
più;  l'errore  è  prodotto  dall'aver  considerato  come  una  sillaba  sola  la  finale  di  marni 
e  il  principio  di  nunquam. 

L'altro  sarcofago,  più  vicino  all'abside  nel  punto  e,  era  murato  in  una  grande 
massicciata  di  cui  parlerò  in  seguito.  Il  corpo  strigliato  con  mandorla  nel  mezzo  e 
due  colonnine  alle  estremità,  misura  m.  1,18  X  0,46  X  0,40.  Sul  coperchio,  col  fronte 


ROMA  —    127    —  ROMA 

rialzato,  che  misura  m.  1,10  X  0,45  X  0,12,  sono  scolpiti  otto  delfini  a  coppie   che 
nuotano  verso  il  centro  ove  è  la  targa  anepigrafe. 

Liberato  interamente  dalla  terra  che  lo  riempiva,  l'ambiente  presentava  l'aspetto 
dimostrato  dalla  figura  3.  Tre  poderose  massicciate  erano  una  (a)  nell'abside,  e  le 
altre  avanti  a  questa,  a  sinistra  (b)  e  a  destra  (e).  Di  fronte  all'abside  un  masso 
di  roccia  lasciato  intatto  nella  costruzione  dell'edificio;  tra  le  massicciate  un  vuoto  (e). 
Alla  massicciata  di  sinistra  (b)  erano  addossate  nel  punto  f  alcune  anfore  di  terra- 
cotta, in  piedi  o  coricate. 


Fio.  5. 


Nella  massicciata  (a)  dell'abside,  in  un'epoca  per  stabilire  la  quale  lo  scavo 
non  dà  nessun  indizio  sicuro,  era  stata  praticata  un'apertura  (g)  con  lo  scopo  di 
giungere  al  grande  sarcofago  marmoreo  che  giaceva  sotto  di  essa  (fig.  6).  Nella  rottura 
della  massicciata  si  vedevano  tracce  evidenti  di  fuoco.  Distrutta  la  massicciata,  risultò 
che  essa,  profonda  m.  2,70.  era  composta,  nei  primi  30  centimetri,  di  scaglioni  di 
lava  basaltica  e  malta,  nei  rimanenti  m.  2,40  di  una  gettata  di  tufi  e  malta.  Posava 
direttamente  sul  coperchio  di  un  grande  sarcofago  marmoreo  che  misura  m.  2,16 
X  1,02X0,85.  Il  corpo  di  esso  è  lavorato  esternamente  ed  internamente  di  subbia; 
il  coperchio  (alto,  m.  0,16)  di  forma  irregolare  e  costituito  da  un  grosso  pezzo  di  tra- 
beazione con  ovuli  e  fusaiole,  fu  trovato  sfondato  nella  parte  anteriore  (cfr.  fig.  6), 
e  le  ossa  accumulate  in  uà  angolo.  Il  sarcofago  è  deposto  in  una  specie  di  recinto 
costituito  di  murelli  in  laterizio  inscritti  nell'abside.  Il  murello  di  fondo  (h  i)  è 
lungo  m.  2,  quello  anteriore  (l  m)  che  chiude  come  corda  l'abside,  è  lungo  m.  2,70, 
quello  di  sinistra  (h  l)  m.  1  55,  quello  di  destra  (m  n)  m.  1,24.  Quest'ultimo  non 
si  unisce  col  murello  di  fondo,  ma  termina  nella  parete  dell'abside.  Il  muro  ante- 
riore fu  trovato  rotto  nel  tempo  in  cui  fu  sfondata  la  massicciata,  e  nel  punto  della 
rottura  si  notano  ancora  tracce  di  fuoco. 


ROMA 


—    128    — 


ROMA 


La  massicciata  di  sinistra  (b)  fu  costruita  prima  del  muro  perimetrale  della 
chiesetta  che  posa  sopra  di  essa:  demolendola,  a  ra.  1,90  dal  livello  superiore  del 
muro  a  cortina  si  è  trovato  una  poderosa  volta  in  mattoni  a  sesto  ribassato, 
sotto  la  quale  è  venuto  in  luce,  a  m.  2,50  di  profondità,  un  piccolo  ambiente 
rivestito  internamente  di  cortina,  entro  il  quale  è  un  sarcofago  di  marmo  lavorato 
di  subbia,  con  coperchio  a  doppio  spiovente  ed  acroteri  agli  angoli,  fermato  sul  corpo 
del  sarcofago  con  grappe  di  ferro  piombate.  Accanto  a  questo  piccolo  ambiente,  sotto 
la  medesima  massicciata,  si  è  rinvenuto  un  altro  sarcofago  marmoreo  parimenti  lavo- 


Fig.  6. 


rato  di  subbia  e  della  medesima  forma  del  precedente,  ma  di  dimensioni  (1,56  X  0,60) 
molto  più  piccole  ('),  sul  quale  la  massicciata  posava  direttamente.  Il  coperchio  di 
questo  sarcofago  era  fermato  sul  corpo  con  solide  grappe  di  ferro  custodite  entro 
guaine  di  piombo,  che  hanno  permesso  la  perfetta  conservazione  del  ferro.  Entro  il 
sarcofago,  che  è  stato  aperto  da  noi,  è  sepolto  un  individuo  di  età  molto  giovanile. 
Sotto  la  massicciata  di  destra  (e),  a  m.  0,80  dal  livello  del  muro  perimetrale 
della  chiesetta,  si  è  rinvenuto  una  volta  in  mattoni  a  sesto  ribassato,  analoga  a 
quella  di  sinistra.  Nella  parte  orientale  di  essa,  in  antico,  la  cortina  era  stata  tagliata, 
ottenendo  un'apertura  di  m.  1,00X0,75;  apertura  che  era  stata  poi  ostruita  con 
tufi  e  malta.  Rompendo  per  breve  tratto  in  questo  punto,  si  è  veduto  un  ambiente 
di  piauta  rettangolare,  entro  il  quale  è  un  grande  sarcofago  (2,28  X  1,09)  di  marmo 

(')  Date  le  condizioni  speciali  del  luogo  non  è  stato  agevole   prendere  le    misure    esatte  del 
sarcofago  più  grande.  Esse  sono  circa  m.  2,18  X  0.67. 


ROMA  —    129    — 


ROMA 


scalpellato,  con  coperchio  piano  parimenti  scalpellato.  Aperto  il  sarcofago  si  sono  tro- 
vati due  scheletri  con  la  testa  rivolta  ad  occidente. 

Il  piccolo  edificio  fu  costruito  con  lo  scopo  evidente  di  custodire  i  quattro  sar- 
cofagi, per  sei  cadaveri,  che  si  trovavano  nascosti  sotto  le  poderose  massicciate;  e 
che  questa  fosse  la  destinazione  originaria  è  prova  il  fatto,  già  da  me  notato,  che  la 
massicciata  di  sinistra  (b)  fu  costruita  prima  del  muro  perimetrale  del  tempietto. 
Interessava  ai  fondatori  della  chiesetta  che  i  sarcofagi  fossero  custoditi  molto  gelo- 
samente, e  perciò  li  coprirono  con  così  alti  strati  di  muratura.  Altri  cristiani  poi, 
furono  sepolti  in  quel  luogo,  e  tale  è  il  caso  dei  due  bambini,  Optata  e  l'altro  ano- 
nimo, i  cui  sarcofagi,  si  dovevano  trovare  a  pochi  centimetri  sotto  il  pavimento  della 
chiesetta.  L'ambiente  da  noi  ritrovato  ed  esplorato,  è,  come  ho  già  detto,  il  sotter- 
raneo dell'antica  cella,  probabilmente  non  accessibile  nell'antichità;  sopra  di  esso 
doveva  stare  il  piccolo  luogo  di  culto  il  quale,  in  un  tempo  che  non  possiamo  deter- 
minare, fu  distrutto  sistematicamente,  per  cavarne,  forse,  il  materiale  da  costruzione. 
Il  paramento  a  cortina  assai  regolare,  onde  sono  costruiti  i  muri  perimetrali  di  questo 
edificio,  ci  induce  ad  attribuire  la  chiesetta  ad  una  data  abbastanza  alta,  che  può 
essere  benissimo  il  quarto  secolo  dell'era  volgare. 


Il  piccolo  edificio,  però,  non  era  isolato  ;  la  prima  tomba  scoperta  è  già  una  prova 
che  altre  sepolture  esistevano  intorno  ad  esso.  Dietro  la  chiesetta,  alla  distanza 
di  m.  1,41  dall'abside,  si  è  rimesso  in  luce  un  altro  piccolo  edificio  (B  fig.  2)  absidato, 
normale  alla  via  Ostiense.  Costruito  con  rozzi  murelli  a  tufi  e  mattoni,  dello  spes- 
sore di  m.  0,55,  e  fondato  nella  roccia,  l'abside  aveva  la  corda  di  m.  1,80  e  la  freccia 
di  m.  1,15.  Lo  spazio  rettangolare  che  precedeva  l'abside  era  largo  m.  3.  Di  un 
terzo  edificio  absidato,  costruito  anch'esso  con  rozza  muratura,  e  disposto  parallela- 
mente alla  via,  si  sono  veduti  pochi  avanzi  nel  punto  C  (fig.  2).  Proprio  nel  centro  del- 
l'abside si  trovava  abbastanza  ben  conservato,  un  grande  sarcofago  composto  di  lastre 
di  marmo  scalpellate,  tenute  insieme  mediante  grappe  di  ferro  piombate.  Anche  esso 
ha  un  coperchio  col  fronte  rialzato,  e  misura,  compreso  questo,  m.  2,15  X  0,90  X  0,95. 
Il  corpo  di  quest'altra  piccola  chiesetta  era  lungo  m.  5,66  ;  la  muratura  era  spessa, 
nei  lati  sud  e  ovest,  m.  1  ;  nel  lato  est  m.  1,25.  Al  lato  meridionale  di  questa  chie- 
setta era  addossato  un  piccolo  ambiente  lungo  m.  3,20,  costruito  con  muri  dello  spes- 
sore di  m.  0,50  e  0,90.   La  costruzione  C  dista  m.  4,30  da  quella  lì. 

Dietro  la  piccola  abside  dell'edificio  B,  si  estendeva  una  massicciata,  che  aveva 
una  lunghezza  di  m.  3,10  e  che  collegava  questa  costruzione  con  un  sistema  di 
ambienti  che  si  estendevano  a  sud-est  della  chiesetta  maggiore  A. 

Questo  complesso  (D  fig.  2)  era  delimitato  da  due  muri,  quasi  paralleli,  che 
si  estendevano  in  direzione  nord-est  a  sud-ovest,  costruiti  rozzamente  in  pietrame  e 
malta,  dello  spessore  di  m.  0,80.  Normali  al  primo  di  questi  erano  altri  cinque  muri, 
il  cui  spessore  variava  da  m.  0,80  a  0,90,  dei  quali  tre  soli  raggiungevano  l'altro 
muro  principale;  poiché  il  primo  a  faceva  angolo  con  un  altro  muretto,  lungo  m.  2,10 
e  spesso  0,58,  che  l'univa  al  secondo,  e  l'ultimo  b  era  troncato  in  modo  che  non 


ROMA  —    130    —  ROMA 

sappiamo  come  finisse.  Questo  sistema  di  muri  eia  attraversato  diagonalmente  da  un 
lungo  muro  (e)  costruito  con  grandi  parallelepipedi  di  tufo,  che  divideva  irregolarmente 
gli  ambienti.  Un  altro  muro  di  blocchi  parallelepipedi  (d),  in  direzione  concorrente  al 
primo  tagliava  l'ambiente  e. 

Non  è  agevole  dire  quale  fosse  la  destinazione  di  questo  edifìcio  ;  probabilmente 
si  tratta  di  parti  di  abitazioni  messe  in  qualche  relazione  col  nucleo  cristiano.  Tutta 
la  costruzione  posa  sopra  un  terreno  alto  pochi  centimetri  dalla  roccia,  nel  quale  si 
sono  raccolti  in  grandissimo  numero  avanzi  di  stoviglie  ad  impasto;  frammenti  di 
bucchero,  fra  i  quali  un  kantharos,  che  si  può  ricostruire  quasi  interamente,  molto 
fine;  frammenti  di  vasi  a  vernice  nera  e  un  piede  di  kyìix  attica  a  vernice  nera  del 
diam.  di  0,08.  Tale  strato  presentava  i  medesimi  caratteri  tanto  negli  ambienti 
quanto  sotto  i  muri,  che  si  devono  considerare  posteriori  alla  formazione  di  questo 
strato  archeologico,  il  quale  si  estendeva  anche  fuori  dell'area  occupata  dall'edificio  D, 
poiché  anche  nell'  interno  dell'ambiente  B  si  sono  raccolti  analoghi  frammenti  di 
vasi.  Per  stabilire  la  data  della  costruzione  però  non  abbiamo  elementi  sicuri.  I  muri 
a  blocchi  parallelepipedi  sono  stati  fatti  dopo  degli  altri  a  pietrame  e  malta  :  questi 
infatti,  come  abbiamo  assodato  con  tasti  diligentemente  eseguiti,  non  li  tagliavano, 
ma  invece  i  parallelepipedi  si  adattavano  agli  ambienti.  Sembra  quindi  certo  che 
tali  blocchi  provenissero  da  qualche  altra  costruzione  assai  più  antica. 

Nel  punto  f  del  complesso  D,  si  è  trovato  un  ammasso  di  marmi  colorati  di 
molte  qualità  e,  in  mezzo  a  questi,  tre  frammenti  di  intonaco  vivamente  colorato  in 
rosso,  ed  un  frammento  d' intonaco  bianco  e  nero  con  alcune  tessere  di  pasta  vitrea 
diversamente  colorate.  Tutto  ciò  proveniva  evidentemente  da  qualche  villa  abbastanza 
sontuosa  esistente  nei  dintorni  (').  Sotto  questo  strato  si  è  rinvenuta  una  tomba  scavata 
nella  roccia,  lunga  m.  1,70,  larga  m.  0,70,  profonda  0,40,  nella  quale,  oltre  le  ossa 
di  un  individuo  di  età  molto  giovanile,  si  sono  raccolti  alcuni  frammenti  di  tegole, 
di  coperchi  di  olle  di  terracotta  rossastra,  fondi  di  vasi,  rottami  di  colli  di  anfore, 
un  chiodo  di  ferro  e  una  laminetta  di  bronzo. 

Il  risultato  delle  esplorazioni  in  questa  parte  della  collina,  se  pure  non  ci  ha 
permesso  di  identificare  con  sicurezza  la  destinazione  dei  ruderi  scoperti,  è  stato  di 
notevole  importanza,  poiché  ci  attesta  che  la  località  in  cui  abbiamo  lavorato  è  stata 
abitata  fino  da  tempi  remotissimi,  quasi  preistorici,  ed  ha  fiorito  durante  il  periodo 
imperiale,  fino  all'età  cristiana,  alla  quale  si  debbono  i  centri  cimiteriali  che  hanno 
formato  l'oggetto  principale  delle  nostre  ricerche. 

Alla  distanza  di  m.  3,74  dall'abside  della  chiesetta  C  si  staccava  dalla  Ostiense 
un  diverticolo  (E),  coi  poligoni  ancora  a  posto,  che  saliva  verso  il  colle  (fig.  7).  Per 
conoscerne  l'andamento  ne  abbiamo  esplorato  alcuni  tratti.  La  larghezza  media  di 
esso  è  m.  3,50;  al  principio  misura  m.  3,55.  Il  primo  tratto  esplorato  è  lungo 
m.  12,70.  All'inizio  del  secondo  tratto,  sulla  destra,  si  è  rinvenuto  un  muro  dello 

(')  Il  Nibby  (Viaggio  antiquario  ad  Ostia,  pag.  12  e  Analisi,  1,  pag.  4G2,  e  III,  pag.  606) 
afferma  che  in  questa  località  furono  trovate  fistole  acquarie  C.  L  L.  XV,  7501  e  7368  =  Lanciani. 
Silloge  epigrafica  acquario,  n.  377  e  879,  dalle  quali  si  ricava  che  proprietario  della  villa  era 
L.  Nonio  Asprcnate,  forse  il  console  del  94  d.  C.  o  quello  del  128. 


ROMA 


131  — 


ROMA 


spessore  di  ni.  0,60,  costruito  con  tufelli  e  mattoni,  il  quale  formava  una  specie  di 
piccola  nicchia,  di  cui  la  corda  era  di  m.  1,22  e  la  freccia  m.  0,92.  La  nicchia 
era  fondata  sul  vergine  e  non  si  sono  trovate  tracce  di  pavimento.  Salendo  verso  il 
colle  il  diverticolo  si  allarga,  giungendo  in  un  punto  alla  larghezza  di  m.  5,20  da 
crepidine  a  crepidine.  Proseguendo  lo  sterro  lungo  il  diverticolo  si  sono  rinvenuti  alcuni 
ruderi  di  costruzioni  in  reticolato,  a  cui   si   erano   addossati  altri  murelli  in   opera 


Fio.  7. 


assai  più  scalente.  Nel  punto  a  poi  è  venuto  in  luce  una  conduttura  di  acqua  in 
terracotta,  composta  da  vari  tubi  lunghi  ciascuno  m.  0,39  e  dello  spessore  di  m.  0,09, 
congiunti  tra  loro  mediante  rincassi  e  cemento.  La  conduttura  serviva  evidentemente 
per  le  acque  di  rigurgito  di  una  grande  conserva  esistente  a  metà  del  colle,  già  da 
tempo  accessibile  e  nota  agli  archeologi  dei  secoli  passati  ('). 


(')  Bosio,  Roma  sotterranea,  lib.  Ili,  cap.  X  ;  Boldetti,  Osservazioni  sopra  i  cimiteri,  lib.  II, 
cap.  18,  pag.  549. 

Notizib  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  18 


ROMA. 


—  132  — 


ROMA 


Poco  prima  di  giungere  al  luogo  in  cui  si  sono  trovati  questi  avanzi  di  costru- 
zioni, il  diverticolo  volge  a  destra  e  sale  verso  il  colle;  evidentemente  esso  con- 
duceva all'  ingresso  dell'edificio  P,  di  cui  abbiamo  esplorato  accuratamente  l' interno. 

Prima  delle  nostre  esplorazioni  in  questo  punto  si  vedevano  solo  pochi  avanzi 
di  un  muro  di  epoca  evidentemente  tarda,  costruito  a  tufelli  e  mattoni:  compresi 
subito  che  esso  doveva  appartenere  ad  un  edificio,  di  cui  il  Bosio  (l)  nel  1617  vide 
i  resti,  consistenti  in  quattro  nicchie  in  vicinanza  della  conserva  d'acqua  e  che  egli 
identificò  con  la  chiesa  di  S.  Ciriaco,  di  cui  si  conosceva  l'esistenza  al  settimo  miglio 


Fra. 


della  via  Ostiense.  Lo  scavo  ha  confermato  la  mia  supposizione  ed  ha  dato  valore 
alla  identificazione  del  Bosio.  L'edifìcio,  rimesso  in  luce,  presenta  tutti  i  caratteri 
di  una  chiesa  cristiana  costruita  in  parte  sopra  i  resti  di  un  antico  cimitero. 

La  chiesa  era  orientata  da  sud-ovest  a  nord-est;  l'abside  era  rivolta  a  nord-est, 
cioè  verso  la  vallata  nella  quale  scorre  il  fosso  di  Mezzocammino  (fìg.  8);  il  muro  di 
fondo,  rivolto  a  sud-ovest,  era  addossato  al  monte.  L' ingresso  (a,  fig.  9)  largo  m.  2,47, 
si  apriva  in  uno  dei  lati  lunghi  dell'edificio;  i  muri  sono  costruiti  nella  parte  inferiore 
con  grossi  parallelepipedi  di  tufo  e  ricorsi  di  frammenti  di  laterizi,  alcuni  dei  quali 
messi  anche  verticalmente  nelle  commessure  dei  blocchi,  nella  parte  superiore  in  tufelli 


(*)  Bosio,  op.  e  loc.  cit. 


ROMA. 


133  — 


ROMA 


e  mattoni  secondo  la  solita  struttura  del  cosidetto  opus  mixtum.  L'edifìcio  è  fondato 
in  parte  sul  vergine  e  in  parte,  nel   lato  settentrionale,  sul  muro  perimetrale  della 


0         12        5        4        5 

|.*.u....l     — , — I 1 1 L_ 


10      f  . 

_1|  metri 


Fio    9. 


grande  conserva  d'acqua  alla  quale  ho  accennato  sopra.  Il  muro  di  fondo  è  lungo  m.  8; 
nelle  pareti  laterali  si  aprono  quattro  nicchie  (quelle  vedute  dal  Bosio).  Nella  parete 
meridionale  la  prima  (b)  si  apre  alla  distanza  di  m.  8,75  dalla  parete  di  fondo  della 


ROMA 


—  134  — 


HO  MA 


chiesa,  ha  la  corda  di  m.  3,12  e  la  freccia  di  m.  1,42;   la  seconda  (e)   si  apre  a 
m.  0,65  dalla  prima,  ha  la  corda  di  va.'  3,05  e  la  freccia  di  m.  1,50. 

Nella  parete  settentrionale  la  prima  nicchia  (d)  si  apre  a  m.  8,43  dal  muro  di 
fondo;  ha  la  corda  di  m.  3.17  e  la  freccia  di  m.  1,22;  la  seconda,  a  m.  0,63  dalla 
prima,  ha  la  corda  di  m.  3,09  e  la  freccia  di  m.  1,46.  Nel  lato  orientale  dell'edi- 
ficio è  l'abside  (f)  che  ha  una  corda  di  m.  5,10  ed  una  freccia  di  m.  2,02. 


Fio.  10. 


Nella  parte  verso  l'abside  il  piano  del  tufo  vergine  (g)  si  trova  a  pochi  centi- 
metri sotto  la  risega  corrispondente  al  pavimento  della  basilica  ;  nella  parte  invece 
verso  il  monte  ad  1,10  di  profondità.  In  quest'ultima  parte  (h)  sotto  il  piano  della 
chiesa  si  è  rinvenuto  una  specie  di  piccolo  cimitero.  Nel  lato  occidentale  si  è  trovato 
un  arcosolio  (l)  ricavato  nel  vergine  e  intonacato  di  bianco  (fig.  10),  l'apertura  del  quale 
misura  m.  2  e  l'altezza  0,90,  la  profondità  m.  1,30.  Sol  lato  meridionale  si  apriva  una 
specie  di  grande  loculo  con  incassatura  ai  bordi  per  la  lastra  di  chiusura:  nell'interno 
non  si  è  trovato  nulla.  Due  piccoli  loculi  per  bambini  stavano  quasi  di  fronte  a  questo, 
nel  punto  m.  Nel  snolo  poi  erano  scavate  alcune  formae:  parecchie  erano  coperte 
con  lastre  marmoree  ed  una  sola  a  cappuccina  («)  con  quattro  tegole  per  lato  di 
diverso  spessore  e  grandezza  e  con  canali  sul  vertice  ;  due  delle  tegole  avevano  bolli 
(C  I.  L.  XV,  426  e  770),  entrambi  di  età  severiana.  Nelle  dodici  tombe  si  sono 
trovati  in  tutto  ventuno  scheletri;  una  tomba  era  vuota,  sei  tombe  ne  contenevano 
uno  per  ciascuna,  due  ne  contenevano  due;  due  ne  contenevano  tre,  una  infine  (o)  ne 
conteneva  cinque,  dei  quali  tre  con  la  testa  rivolta  a  sud,  due  con  la  testa  verso  nord. 


ROMA  135    —  ROMA 

In  una  di  queste  tombe  è  stato  raccolto  un  anellino  d'argento  con  corniola  che  porta 
inciso  un  cavallo  ed  una  palma;  in  tutte  si  sono  trovate  piccole  monetine  di  bronzo, 
la  maggior  parte  in  stato  di  grande  deperimento,  tali  da  essere  irriconoscibili.  Da 
quelle  che  si  son  potute  esaminare  (')  si  ricava  che  si  tratta  del  materiale  numisma- 
tico di  bronzo  circolante  in  Italia  nel  IV  e  nel  V  secolo  d.  C,  e  che  quell'esem- 
plare giunge  tino  ai  primissimi  anni  del  VI.  Questo  materiale  è  importante  per  la 
cronologia  del  cimitero,  poiché  dimostra  che  esso  fu  in  uso  non  prima  del  quinto 
secolo  e  durò  almeno  fino  ai  primi  anni  del  sesto  ;  si  sono  trovati  anche  nelle  tombe 
frammenti  di  marmi  colorati  di  varie  specie,  di  tegole,  di  calcinacci,  caduti  eviden- 
temente nel  tempo  in  cui  la  chiesa  rovinò. 

Dinanzi  alla  porta  (a)  della  chiesa  si  trovava  una  tomba  in  muratura  a  fram- 
menti di  mattone  e  tufi,  lunga  m.  1,90,  larga  ni.  0,50,  profonda  m.  0,30,  con  le 
pareti  dello  spessore  di  m.  0,20  ;  la  copertura  manca,  essendo  stata  la  tomba  già 
rovistata  in  altri  tempi  ;  vi  si  è  rinvenuto  lo  scheletro  con  la  testa  rivolta  ad  ovest, 
e  nessun  oggetto.  Tra  il  vano  della  porta  e  l'angolo  ovest  dell'edificio  si  estendeva 
un  piano  coperto  di  cocciopesto  (q);  sotto  il  cocciopesto  spesso  m.  0,12  era  una  get- 
tata di  pietrame  spessa  m.  0,20  con  frammenti  di  sarcofagi  strigliati  ed  altri  pezzi 
di  marmo  con  girari  incisi  e  rami  di  edera  a  rilievo.  Sotto  la  gettata  era  una  tomba  in 
muratura  (r)  analoga  alla  prima  col  fondo  di  mattoni:  misurava  m.  1.85  X  0,44  X  30; 
lo  spessore  della  parete  è  di  m.  0,14;  conteneva  lo  scheletro  con  la  testa  verso  ovest 
e  nessun  oggetto. 

Come  si  reggesse  il  pavimento  della  chiesa  nella  parte  occidentale  (h)  di  essa, 
lo  scavo  non  ci  ha  rivelato  chiaramente.  Forse  concorreva  a  sostenerlo  il  muro  (s)  di 
opera  molto  scadente,  posteriore  senza  dubbio  alla  fondazione  dell'edificio,  come  attesta 
fra  l'altro  il  fatto  che  il  pilastro  dell'estremità  settentrionale  di  esso  veniva  a  trovarsi 
in  parte  dinanzi  all'  ingresso  dell'edificio  e  tagliava  alcune  tombe  nel  terreno. 

(*)  Le  monete  pulite  con  ogni  cura  dal  restauratore  sig.  Rocchi,  sono  state  esaminate  dalla 
eh  ma  sig.na  prof.  L.  Cesano,  la  quale  gentilmente  mi  ha  comunicato  le  seguenti  notizie,  sui  gruppi 
trovati  in  ciascuna  tomba.  Tomba  I,  29  pezzi  di  cui  solo  quattro  identificabili:  un  piccolo  bronzo 
di  Valentiniano  (Cohen,  37);  uno  di  Valente  (Cohen,  47);  due  piccoli  bronzi  quinari  di  Arcadio 
(Sabatier,  I,  tav.  IV,  n.  18).  Frammenti  di  piccoli  bronzi,  e  tondini  ricavati  da  monete  più  antiche. 
Tomba  II,  31  pezzi  di  cui  solo  quattro  identificabili.  Un  piccolo  bronzo,  di  Valente  (Cohen,  47); 
uno  quinario  di  Valentiniano  I  (Cohen,  37);  uno  di  Teodosio  I  (Cohen  30);  uno  di  Arcadio  (Sabatier, 
loc.  cit.).  Tomba  III,  31  pezzi  di  cui  3  identificabili:  un  pìccolo  bronzo  di  Massimiano  Ercole, 
bucato  (Cohen,  4);  uno  di  Valente  (Cohen,  4);  uno  di  Costanzo  II  illegibile.  Tomba  IV,  33  pezzi 
di  cui  3  riconoscibili;  un  frammento  di  piccolo  bronzo  diadiato  di  Claudio  II;  due  piccoli  bronzi 
di  Graziano  (Cohen,  23  e  71).  Tomba  V,  36  pezzi  di  cui  3  riconoscibili:  un  piccolo  bronzo  di  Giu- 
liano Il  (Cohen,  150);  uno  di  Costante  (Cohen,  46);  un  quinario  di  Valentiniano  I  (Cohen,  37). 
Tomba  VI,  110  pezzi,  fra  cui  tre  piccoli  bronzi  di  Valente  (Cohen,  47);  uno  quinario  di  Teodosio 
(Cohen  68);  uno  di  Valentiniano  I  (Cohen,  31);  uno  di  Johannes  (Gohen,  1);  uno  di  Teodosio  II; 
un  bronzetto  di  Odoacre  H  ODO  ...  Testa  nuda  a  d.  $  /\Q  nel  campo;  un  bronzetto  di  Zenone 
3>  Kf  (cfr.  Br.  Miti.  Cat.,  tav.  IV,  n.  13,  pag.  32);  un  bronzetto  di  Libio  Severo  9  R/£  (cfr.  Sa- 
batier, I,  tav.  II,  n.  1);  un  bronzetto  di  Anastasio  (?)  9  N  (?)  nel  campo.  Quaranta  piccoli  bronzi 
postcostantiniani  iUegibili;  diciassette  frammenti  di  piccoli  bronzi  illegibili;  trentanove  tondini. 
Quest'ultima  tomb.1,  non  solo  è  la  più  ricci  di  pezzi,  ma  la  più  importante  per  i  dati  cronologici. 


ROMA  —    136    —  ROMA 

Il  tratto  di  parete  presso  la  tomba  a  cappuccina  era  ornato  con  lastre  di  marmo 
bianco. 

La  muratura  della  chiesa  è  tutta  omogenea,  fuorché  nella  parte  inferiore  del  lato 
settentrionale,  dorè  l'edificio  si  appoggia  al  muro  più  antico,  che  è  di  migliore  costru- 
zione, della  conserva  d'acqua,  ed  è,  come  ho  già  notato,  scadente  e  da  attribuirsi  ad 
epoca  molto  tarda.  La  omogeneità  della  muratura  ci  obbliga  quindi  a  credere  che  la 
fondazione  della  chiesa  si  debba  porre  in  epoca  tarda:  la  testimonianza  della  mura- 
tura si  accorda,  in  questo  caso,  con  la  tradizione:  il  Liber  Ponti ficalis  infatti  (*) 
dice  che  papa  Onorio  I  (625-638)  «  fecit  ecclesiam  beato  Cyriaco  martiri  a  solo,  via 
Ostiensi  miliario  VII  ».  Dallo  stesso  documento  sappiamo  (')  che  Leone  III  (795-816) 
e  Benedetto  III  (855-858)  fecero  doni  a  questa  chiesa.  Per  costruirla  ed  abbellirla 
furono  usati  materiali  tolti  dagli  edifici  circostanti  dell'età  classica,  probabilmente 
già  in  rovina  o  quasi,  allorché  sorse  il  luogo  di  culto:  infatti  fra  le  terre  di  riporto 
si  sono  trovati  due  rocchi  di  colonne  di  cipollino,  un  capitello  corinzio  di  buona 
lavorazione,  e  una  base  di  colonna  con  plinto  (0,24  X  0,47). 

Le  tombe  che  si  trovano  sotto  la  parte  sud-ovest  dell'edificio  e  nelle  quali  si 
sono  rinvenute,  come  ho  detto,  monete  di  imperatori  del  V  secolo,  molto  probabilmente 
preesistevauo  alla  chiesa.  La  presenza  di  un  arcosolio  e  di  tre  loculi  accanto  alle 
formae  danno  a  questa  parte  tutto  l'aspetto  di  una  piccola  regione  cimiteriale. 
Nulla  però  ci  consente  di  asserire  che  si  tratti  di  una  galleria  o  di  una  cripta 
sotterranea  :  è  più  probabile  invece  che  si  trattasse  di  un  cimitero  sopra  terra.  Su 
questo  cimitero  Onorio  costruì  la  sua  chiesa,  della  quale  i  nostri  scavi  hanno  rive- 
lato tutta  la  parte  interna;  ma  non  è  sicuro  che  tutta  l'area  da  noi  sterrata  fosse 
l'ambiente  di  culto,  poiché  potrebbe  darsi  anche  che  la  regione  occidentale  corrispon- 
desse ad  un  piccolo  atrio:  in  questo  caso  l'ingresso  (a)  si  sarebbe  aperto  nell'atrio, 
da  cui  per  un'altra  porta,  della  quale  non  restano  tracce,  sarebbe  stato  possibile 
entrare  nella  chiesa  propriamente  detta.  A  questa  ipotesi  non  contradirebbe  affatto  il 
sottosuolo  cimiteriale,  perchè  è  noto  che  negli  atrii  si  soleva  seppellire,  ma  la  distru- 
zione delle  parti  superiori  e  lo  stato  generale  delle  rovine,  non  permette  di  avere 
nessuna  sicurezza  su  questo  punto. 

Fra  la  terra  di  riempimento  dell'edificio  si  sono  raccolti  alcuni  frammenti  d' iscri- 
zioni in  marmo: 

1    (0  32  <  0,23  X  0,03):  2    (0,18  X  0,11  X  0,02): 

Lori  cial 

vospa  artir 

»  E  S  T  R 
E  R  -ì  !  B 


l')  Lib.  Poni.,  l.XXII  (v.  Honorii)  4. 
(■)  Lib.  Pont.,  XCVIII,  109;    CVI,  25. 


ROMA  —    137    —  ROMA 

Si  sono  raccolti  anche  due  frammenti  di  sarcofago  in  marmo  bianco  :  uno  (0,24 
X  0,25  X  0,10)  con  avanzi  di  due  putti  in  altorilievo,  l'altro  (0.25  X  0,20  X  0,20) 
con  un  albero  e  parte  di  una  figura  di  leone.  La  scultura  più  notevole  raccolta  durante 
lo  scavo  è  un  fregio  di  coperchio  di  sarcofago  rotto  in  sei  pezzi  (lungo  m.  1,77, 
alto  0,24)  nella  parte  posteriore  tagliato  a  spiovente.  Rappresenta  la  Terra  nelle 
quattro  stagioni  secondo  l'ordine  seguente  a  cominciare  da  sinistra:  «  estate,  autunno, 
inverno,  primavera  ».  È  il  tipo  consueto  col  quale  l'arte  antica  suol  rappresentare  Gè. 
ma  è  interessante  e  non  solito  l'attributo  delle  stagioni  dato  a  ciascuna  figura. 

Fra  la  terra  di  riporto  si  è  raccolto  pure  un  frammento  di  mosaico  con  tessere 
di  pasta  vitrea  e  le  lettere  SCSS;  un  frammento  d'intonaco  rosso,  due  basette  di 
marmo,  un  frammento  di  bollo  di  mattone  C.  I.  L.  XV.  267. 

Presso  la  via  Ostiense,  accanto  al  punto  di  partenza  del  diverticolo,  si  sono 
trovati  due  grossi  lastroni  di  tufo  (6,  tìg.  2)  che  coprivano  un  cavo  nella  roccia, 
entro  il  quale  erano  le  ossa  di  un  bue.  Dietro  il  cavo  era  un  breve  cuniculo.  Le  ossa 
dell'animale  giacevano  sopra  uno  strato  ricco  di  frammenti  di  vasi  di  terracotta  ver- 
niciati, di  lucerne,  di  gusci  di  molluschi  marini,  di  parecchi  pezzi  di  antefisse  in 
terracotta  alcuni  decorati  con  palmette,  meandri,  girari,  alcuni  con  teste  di  lupo  in 
rilievo,  destinate  a  grondaie. 

Questi  i  dati  che  lo  scavo  ha  fornito  e  che  gettano  luce  sul  gruppo  cimiteriale, 
in  cui,  secondo  la  tradizione,  ai  tempi  di  s.  Marcello  papa,  furono  sepolti  i  martiri 
Ciriaco,  Largo,  Smaragdo,  Crescenziano,  Memmia  e  Giuliana  e  del  quale  con  sicurezza 
si  sapeva  appena  l'esistenza  in  questo  tratto  della  via  Ostiense.  La  nostra  esplorazione 
ha  fatto  conoscere  due  centri  cimiteriali,  che  certamente  erano  in  relazione  fra  loro. 
Uno,  lungo  la  via,  che  si  formò  intorno  ad  una  chiesetta  assai  antica,  che  può  bene 
attribuirsi  al  IV  secolo  d.  e.  v.  l'altro  a  mezza  costa  del  colle,  che  fu  in  uso  nel 
V  secolo,  e  fino  ai  primissimi  anni  del  sesto,  e  sul  quale  Onorio  I,  nel  secolo  settimo, 
costruì  dalle  fondamenta  una  chiesa.  E  questi  dati,  messi  a  confronto  con  la  tra- 
dizione, potranno  servire  a  dilucidare  meglio  alcune  questioni  agiografiche  e  topo- 
grafiche. 

F.  Fornari. 


OSTIA  —    138   —  REGIONE    1. 


Regione  I  (LAT1UM  ET  CAMPANIA). 

LAT1UM. 

II.  OSTIA  —  Scavi  sul  Piazzale  delle  Corporazioni,  nell'isola  tra 
il  Decumano  e  la  via  della  Casa  di  Diana. 

Pianale  delle  Corporazioni.  —  La  esplorazione  di  questo  piazzale,  con  lo  sco- 
primento delle  rovine  sul  lato  nord  verso  il  Tevere,  può  dirsi  compiuta.  Mi  sembra 
pertanto  opportuno  riassumere  a  grandi  linee  le  molte  notizie  che  furon  date  di  questo 
edificio  in  varie  relazioni. 

Si  dà  nome  di  piazzale  delle  Corporazioni  ad  un'area  rettangolare  circondata  su 
tre  lati  —  il  quarto  è  occupato  dalla  scena  del  Teatro  —  da  un  doppio  porticato  a 
colonne  in  laterizio  rivestite  di  stucchi  bianchi.  Il  piazzale  misura  in  lunghezza 
m.  97,40  esternamente,  m.  83  internamente;  in  larghezza  m.  64,80  esternamente, 
m.  50,40  internamente.  Il  doppio  colonnato  ha  quindi  una  profondità  di  m.  14,40  in 
cui  sono  stati  ricavati  tanti  ambienti  quanti  sono  gli  intercolunni.  La  divisione  in 
ambienti  si  limita  al  colonnato  postico,  e  vien  fatta,  fino  ad  una  certa  epoca,  mediante 
tramezzi  di  legno,  più  tardi  —  fine  secondo  secolo  d.  Cr.  —  mediante  esili  muric- 
cioli. Il  colonnato  anteriore  è  destinato  al  passeggio:  non  ha  quindi  alcuna  divisione. 
Però  ogni  intercolunnio  ha  un  suo  proprio  pavimento  a  mosaico,  il  quale  costituisce, 
mediante  varie  ed  acconce  figurazioni  ed  iscrizioni,  l' insegna  dei  vari  uffici  di  rap- 
presentanze commerciali  posti  in  ciascun  ambiente  del  colonnato  postico.  Ed  essendo 
qui  riunite  soltanto  le  associazioni  necessarie  all'amministrazione  dell'annona,  sono 
raccolti  sia  i  navicularii  e  i  frumentarii,  sia  i  fabri  e  i  eaudicarii  ;  tanto  i  ricchi 
spedizionieri  quanto  gli  umili  facchini.  Escluse  quindi  rimangono  le  corporazioni  che 
hanno  carattere  puramente  locale. 

Questi  ambienti,  al  contrario  di  ciò  che  s'era  creduto,  non  hanno  carattere  di 
scholae;  sono  delle  semplici  stationes  nel  significato  burocratico  e  militare  che  ha 
questa  parola.  Piccoli  uffici  destinati  non  già  ad  accogliere  la  vita  corporativa  delle 
associazioni  commerciali,  ma  a  coordinare  1'  attività  di  queste  a  favore  dello  Stato. 
Tale  porticato  che  risale  nella  sua  concezione  all'epoca  di  Augusto,  ha,  sotto  Claudio, 
un  assetto  completo  che  dura  inalterato  fino  all'età  di  Commodo  in  cui  viene  costruito, 
nel  mezzo  del  piazzale,  un  piccolo  tempio,  in  anlis,  dedicato  forse  a  Cerere.  La  vita 
di  questa  grandiosa  e  bene  organizzata  statio  annonae  ostiense  dura  fino  al  IV  se- 
colo ;  la  impoveriscono  allora,  e  la  diminuita  attività  commerciale  di  Ostia  e  il  fio- 
rente effimero  rigoglio  della  prossima  cittadina  di  Porto. 

Le  tracce  di  questo  immiserimento  sono  manifeste  tanto  nella  trascuratezza  in 
cui  son  lasciate  la  costruzione  e  la  decorazione,  quanto  nei  mosaici  i  cui  rappezzamenti 
né  curano  la  manutenzione  delle  vecchie  inscrizioni  e  figurazioni  né  ve  ne  sostitui- 
scono di  nuove.  Tale  impoverimento  si  riscontra,  più  che  nel  rimanente,  nel  lato  messo 
ora  allo  scoperto.  È  del  resto  fenomeno  generale  in  Ostia,  che  la  parte  della  città 
più  prossima  al  Tevere,  ci  si  presenti  in  condizioni  più  misere. 


REQIONB   I.  —   139   —  OSTIA 

Gli  ambienti  scoperti  in  questo  lato  accanto  all'ultimo  di  cui  fu  dato  cenno 
(Notizie  1914,  pag.  284  e  seg.),  non  presentano  né  inscrizioni  né  figurazioni  musive 
che  ci  forniscano  nuovi  documenti  del  commercio  ostiense.  Tardi  strati  battuti,  osser- 
vati sopra  i  muri  di  questi  ambienti,  attestano  il  passaggio  di  una  strada  congiun- 
gente l'Ostia  medioevale  al  Casone  del  sale  e  al  mare:  tale  constatazione  rende  quindi, 
di  conseguenza,  meno  probabile  l'esistenza  di  una  strada  parallela  al  Tevere  e  pros- 
sima a  quel  lato  del  piazzale,  che  avrebbe  reso  inutile  il  passaggio  sopra  le  rovine. 
La  esplorazione  di  questo  lato  e  il  taglio  di  una  fogna  che  deve  riallacciare  al  Te- 
vere le  antiche  fogne  di  Ostia,  ha  dato  luogo  ad  una  importante  osservazione.  E  cioè 
che  il  corso  del  Tevere,  il  quale  si  riteneva  vicinissimo  a  questo  piazzale,  sì  da  cre- 
dere che  questo  vi  fosse  quasi  prospiciente,  deve  invece  riportarsi  circa  un  duecento 
metri  più  infuori.  In  sostanza,  la  antica  sponda  sinistra  del  Tevere  verrebbe  presso 
a  poco  a  corrispondere  alla  sponda  destra  attuale.  Questo  notevole  cambiamento  di 
letto  deve  risalire  alla  grande  inondazione  del  1557;  una  parte  della  città  —  e  pre- 
cisamente quella  ad  ovest  di  via  della  Fortuna  —  fu  dal  nuovo  corso  del  fiume 
asportata  e  ricoperta;  un'altra  parte  —  e  cioè  quella  su  cui  si  credeva  invece  scor- 
resse in  antico  il  Tevere  —  rimase  interrata  essendosi  il  fiume  allontanato  da  essa 
con  una  immensa  curva. 

Tra  le  rovine  delle  ultime  stationes  scoperte,  avvennero  i  seguenti  trovamenti 
che  attestano  la  dispersione,  su  questo  piazzale,  di  oggetti  di  differente  natura  e  di 
varia  provenienza: 

Due  frammenti  di  una  grande  lastra  marmorea  scorniciata  inscritta  a  belle  e 
grandi  lettere  (cm.  60  X  63)  : 

:  i  o  •  Gv 

VIRO-  I  V^ 
cohiTT-eqviTj 

ORVM-rRAEFCOHI- 
EFECTO    COHII-  VAI 

\0  N  ATO    AD  IVO  •  V  E  S  PA  S  I  A  1 
'     ' — — !  C  '  Z  *  !*  "  A  / 

Può  reintegrarsi  sulla  iscrizione  di  Aquileia  (G.  1.  L.  V,  875)  che  trascrivo: 

C .  Minicio .  C.fil.Vel.  Italo .  IHIviro .i.d. praef. coh .  V.  Gallor .  equit . praef. 

coh .  I .  Breucor  .  equit  .c.r.  praef .  coh  .  II .  Vare .  eq  .  trib .  milit .  leg  .  VI  vict. 

praef.  eq .  alae  I  sing  .c.r.  donis  .  donato  .  a  .  divo  .  Vespasiano .  coron  .  aurea .  hast . 

pur .  proc  .  provine .  Hellespont .  proc  .  provinciae  .  Asiae .  quam  mandatu . principis . 

vice  .  defuncti  .prò  .  cos  .  rexit  .procurai . provinciarum  .  Lugudunensit .  et  Aquita- 

nicae  .  itera .  Lactorae . praefecto .  annonae  .praef ecto .  Aegypti .  flamini .  divi .  Claudi . 

Decr .  Dee. 

IJotizik  Scavi  1916  —  Voi.  HIL  19 


OSTIA  —    140    —  REGIONE    I 

La  identità  dei  due  personaggi  mi  pare  molto  probabile.  La  lapide  conferma 
l'esistenza  della  seconda  coorte  Var(cianorum  ?)  senza  però  che  si  possa  escludere  la 
reintegrazione  del  nome  in  Var(dullorum)  (cfr.  Pauly  Wiss.  R.  E.  s.  v.  cohors, 
col.  348) 

Sembra  anche  che  il  cursus  honorum  delle  due  iscrizioni  non  sia  identico.  L'o- 
stiense ci  dà  la  praefectura  della  III  coli,  equitata  che  non  comparisce  nell'altra  (Sta- 
zionava in  oriente;  cfr.  11.  E.  col.  347).  Nell'ultima  riga  leggo  icisprae,  lettere  che 
potrebbero,  sull'esempio  dell'altra  inscrizione,  dare  il  supplemento:  (trib . mil . leg ,  VI 
vietr)icis  .  j>rae{f .  eq  .  alae  I  sixg  ,  e.  r .).  In  questo  caso,  la  menzione  dei  doni  mi- 
litari starebbe  nel  mezzo  anziché  alla  tine  della  carriera.  È  molto  probabile  l' iden- 
tità dei  due  personaggi,  perchè  l'ufficio  di  prefetto  dell'anuona  che  vediamo  ricordato 
nella  inscrizione  di  Aquileia,  rappresenta,  qui  in  Ostia,  la  più  probabile  causa  della 
dedicazione  di  questa  epigrafe  a  Minicio  Italo. 

Parte  di  una  lastra  marmorea  scorniciata  a  belle  e  grandi  lettere  (cm.  54  X  67  X  6). 

MFLAVIOMF- 

MARCIANO 

I  L  1  S  O 

PROC  •  MONETAE 
AVGVSTORPROC 
AQVARVMVRBIS- 
PROCANNONAE 

Il  personaggio  è  fino  ad  oggi  sconosciuto.  Furono  inoltre  trovate  in  più  pezzi  due 
lastre  di  marmo,  identiche  per  completa  rispondenza  di  dimensioni,  fattura  e  figura- 
zioni (m.  1,80X80  ciascuna)  (fig.  1).  Vi  sono  rappresentate  le  quattro  stagioni:  pri- 
mavera, estate,  autunno,  da  putti  alati  con  gli  attributi  rispondenti  a  ciascuna  età 
dell'anno;  l'inverno  invece  da  una  figura  femminile  alata,  ammantata  anche  sul  capo, 
che  porta  della  cacciagione  appesa  alle  due  estremità  di  un  bastone,  che  la  spalla 
sostiene.  Nel  centro  della  tavola  rimangono  i  frammenti  di  due  transenne  che  servono 
a  spiegare  meglio  l'ufficio  delle  due  lastre  destinate  a  rivestire,  veracemente  o  sol- 
tanto ornamentalmente,  due  battenti  di  porta  sepolcrale  (cfr.  ad  es.  la  porta  mar- 
morea del  sepolcro  di  Langaza  —  Macedonia  —  Jahrbuch  1911,  pag.  183  e  seg.,  tav.  6 
e  quella  di  un  sepolcro  di  Bulaìr  —  Tracia  —  Arch.  Anseig.  1910,  pag.  145).  Le 
due  tavole  sono  completate  da  due  fasci  trionfali,  nella  consueta  figurazione.  Non  c'è 
bisogno  di  trovare  analogie  per  la  rappresentazione  piuttosto  dilTusa  delle  quattro  sta- 
gioni. Ma,  per  restare  nel  campo  romano  e  nell'epoca  a  cui  anche  questa  lastra  po- 
trebbe riportarsi,  ci  si  può  riferire  alle  quattro  stagioni  figurate  sui  salienti  dell'arco 
di  Settimio  Severo.  Anche  qui  —  cosa  non  troppo  comune  —  l' inverno  soltanto  è  rap- 
presentato da  una  figura  femminile  alata  (Reinach,  Rep.  d.  Heliefs,  pag.  270). 
Manca  l'analogia  tra  l'aspetto  infantile  e  movimentato  delle  figurazioni  ostiensi,  e 
di  quelle  composte  e  giovanili  del  monumento  romano.  Mi  par  notevole  la  forma  della 


REGIONE    1. 


141 


OSTIA 


copertura  del  capo  nel  putto  ostiense  rappresentante  l'estate;   una  specie  di  pétaso 
appuntito  nel  centro;  è  indubbiamente  notevole  l'ufficio  decorativo  di  queste  due  lastre. 


Fio.  1. 


Isolato  tra  il  Tempio  di  Vulcano  e  la  via  di  Diana.  L'altezza  considerevole  delle 
rovine  in  questa  zona  —  da  nove  a  dieci  metri  —  e,  di  conseguenza,  la  considere- 
volissima quantità  di  terra  e  di  materiale  qui  accumulata,  ha  richiesto  un  lungo 
lavoro  di  sterro  non  ancora  ultimato  e  che  non  permette  quindi  ancora  la  conoscenza 
esatta  degli  edifici.  Ma,  se  soltanto  sommarie  possono  essere  oggi  le  notizie,  fruttuosa 
sembra  essere,  fin  da  oggi,  l'esplorazione  in  corso.  Ne  riassumo  i  principali  risultati. 

Apertura  della  strada  che  congiunge  la  via  di  Diana  al  Casone  del  Sale;  con- 
seguente scoprimento  della   facciata   ovest   della   casa  di  Diana,  la  quale  si  mostra 


OSTIA 


-  142  — 


REGIONE    I. 


nella  disposizione  già  supposta  in  Notizie  1915,  pag.  326.  Assai  notevole  è  il  trava- 
mento di  numerosi  frammenti  del  muro  di  facciata  e  del  terrazzo  continuo  che  si 
svolgeva  sulle  due  franti  della  casa  all'altezza  del  secondo  piano.  Sono  caduti  in  modo 
da  consentile  non  solo  una  facile  comprensione  e  un  perfetto  studio  del  loro  ufficio 
architettonico  (già,  del  resto,  accennato  in  Notizie  citate)  ma  anche  il  loro  ripristino 
al  posto  originario,  sì  da  potere  apprezzare  nella  sua  compiutezza  la  funzione  del- 
l'elemento nello  stesso  organismo  architettonico  di  cui  faceva  parte. 


Fio.  2 


Il  pezzo  del  muro  fotografato  (tìg.  2)  ci  presenta,  nella  faccia  interna,  gli  avanzi 
della  finestra  del  primo  piano  sormontata  da  un  grande  arco  di  scarico;  nella  faccia 
esterna,  tuttora  interrata,   ci  conserverà  il  terrazzo  che  sporgeva  all'altezza  dell'arco. 

Sopra  questi  pezzi  caduti,  si  è  constatato  uno  scarico  di  cocci,  per  una  lunghezza 
di  circa  m.  50  e  per  un'altezza  media  di  cm.  60  (tìg.  2).  La  datazione  di  questo 
scarico  che  indica  un  impoverimento  e  un  abbandono  anche  della  parte  centrale  della 
città  —  assai  importante,  quindi,  per  la  storia  di  Ostia  -  è  purtroppo  in  gran  parte 
ristretta  ai  soli  indizi  cronologici  che  può  fornire  l'esame  del  materiale  fittile  di  cui 
lo  scarico  è  formato;  giacché  alla  povertà  degli  abitanti  corrisponde  la  povertà  dei 
rifiuti  da  essi  gettati. 


REOIONE   I.  —    143 


OSTIA 


Isola  tra  il  Decumano  e  la  via  di  Diana.  Anche  qui  prosegue  tuttora  l'opera  di 
sterro.  Si  è  però  già  manifestata  per  più  segni  una  vita  povera  e  tarda  in  questo 
isolato  in  cui  sono  commiste  costruzioni  di  varia  epoca.  Di  più  quest'  isola  fu  già 
esplorata  forse  verso  il  1850  durante  lo  scoprimento  del  tempio  di  Vulcano.  Lo  si 
deduce  non  solo  dalla  qualità  dello  scarico  e  dall'aver  ritrovato,  tra  la  terra,  pale 
abbandonate  dai  precedenti  scavatori,  ma  perfino  da  uno  schizzo  a  carbone  tracciato 
sopra  uno  dei  muri  messi  ora  allo  scoperto. 

Nonostante  V  ingiuria  del  tempo  e  le  esplorazioni  precedenti,  l' interesse  dello 
scavo  è  considerevole.  Si  può,  fin  d'oggi,  riconoscere  l'accordo  di  tutte  queste  costru- 
zioni contigue  al  tempio  di  Vulcano  che  sembrano  anteriori  all'opera  edilizia  svolta 
da  Traiano  in  Ostia.  In  un  arco  caduto  furono  letti  quattro  bolli  di  mattone:  C.  I.  L. 
nn.  622,  292,  1070  (123-154).  Si  può  soltanto  annunciare  la  presenza,  tra  queste 
rovine,  di  una  piccola  e  pò  vera  abside  forse  di  chiesetta  cristiana,  e  di  un  santua- 
rietto  orientale  limitato  per  ora  ad  una  stanzetta  sotterranea  che  le  condizioni  del 
sottosuolo  non  permettono  di  esplorare. 

Degni  di  menzione  due  trovamenti,  di  cui  il  primo  conferma  l'esistenza  di  me- 
morie cristiane.  Sopra  una  colonnetta-pilastrino  (alta  cm.  68,  diam.  cm.  30)  di  forma 
molto  singolare  e  ricavata,  sembra,  da  una  colonna  di  cipollino,  vedesi  scolpita  la 
figura  del  Buon  Pastore  (alt.  cm.  58).  Questa  colonnina  (fig.  3)  poggiata  sopra  uno 
zoccolo  circolare,  ingrossata  all'estremità  inferiore  e  rastremata  in  alto,  riproduce  forme 
barocche  assai  note.  Si  può  tuttavia  avvicinarla  —  per  restare  in  epoca  antica  —  a 
qualche  colonna  trovata  in  Siria  a  Serdjilla  (De  Vogiié,  Syrie  centrale,  tav.  30). 
Il  Buon  Pastore  è  rappresentato  sotto  forme  giovanili,  imberbe,  con  capelli  corti 
ricciuti;  veste  una  tunica  corta  che  lascia  scoperta  parte  del  petto  e  le  gambe  fino 
sopra  il  ginocchio;  porta  calzari  molto  alti.  Messa  a  tracolla  sulla  spalla  sinistra 
pende  sul  fianco  destro  una  bisaccia.  Volge  lo  sguardo  innanzi  a  se,  verso  sinistra. 
Tiene  sulle  spalle  la  pecora  senza  raccoglierne  le  zampe  sul  petto  —  come  nelle 
figurazioni  più  recenti  —  ma  reggendola  con  entrambe  le  braccia  all'altezza  del  petto. 
(Pur  non  essendo  rappresentate  le  zampe  posteriori  della  pecora,  la  chiara  figura- 
zione della  mano  sinistra  all'altezza  del  petto,  non  lascia  dubbio  sull'atteggiamento 
della  figura  la  quale  non  protende  dunque  il  braccio  sinistro  come  in  alcuni  esem- 
plari :  cfr.  ad  es.  la  pittura  della  cripta  di  s.  Eusebio,  Roma  sotterranea,  III,  tav.  IX, 
fig.  2).  Ai  piedi  del  Buon  Pastore  sono  due  pecore:  di  quella  a  destra  è  rappresen- 
tata solo  la  protome  ;  si  nota  quindi,  in  tutta  la  parte  destra,  una  maggiore  trascu- 
ratezza nella  figurazione.  Nonostante  la  cattiva  scelta  del  marmo  fortemente  venato, 
e  la  bizzarra  foggia  del  pilastrino  alla  cui  sagoma  deve  adattarsi  il  rilievo,  la  figura 
non  soltanto  non  ha  nulla  di  grottesco  —  e  sarebbe  stato  facile  caderci  —  ma  pur 
mancando  di  qualsiasi  finezza,  mostra  una  notevole  forza  di  espressione. 

A  quale  epoca  possa  risalire  e  quale  ufficio  abbia  avuto  questa  colonnina,  mi 
sembra  difficile  dire  con  precisione.  Analogie  non  credo  ce  ne  siano.  Si  può,  soltanto 
vagamente,  avvicinarla  a  quel  pilastrino  terminato  in  busto  del  Pastor  buono,  mu- 
rato nei  ruderi  del  Mausoleo  di  S.  Elena  a  Tor  Pignattara  e  di  cui  il  De  Rossi  dice 
«  facilmente  servì  di  pilastro  a  plutei  o  cancelli  del  sacro  bema  o  dell'altare  »  {Bull. 


OSTIA 


144  — 


REGIONE    1. 


Com.,  1881),  pag.  138).  Inoltre  la  si  può  avvicinare  ad  una  figura  del  Buon  Pastore 
trovata  ad  Atene,  addossata  nel  rovescio  ad  una  colonnetta  o  pilastro  che  può  essere 
stato  posto  in  un  sacro  monumento  del  genere  dell'ambone  di  Tessalonica  (cfr.  Revue 
arch.,  1876,  I,  pp.  237-288;  Garrucci,  Arte  critt.,  tav.  428    7). 


Fig.  8. 


Qualora  possano  però  invocarsi  analogie  coli' arte  cristiana  più  recente,  colpisce 
la  somiglianza  tra  questa  colonnina  e  i  sostegni  più  comuni  delle  acquasantiere.  Po- 
trebbe forse  rispondere  a  simile  ufficio?  Non  lo  impedirebbe  né  ciò  che  sappiamo  sul- 
1'  uso  dell'acqua  lustrale  che  è  certo  anteriore  all'epoca  a  cui  può  riportarsi  la  nostra 
scultura,  né  a  quanto  ci  è  noto  sull'acquasantiera  nei  primi  tempi  cristiani  che  potè 
essere  in  qualche  caso  contenuta  anche  entro  un  incavo  di  colonna  (V.  Cabrol,  Dict. 
d'arch.  chrét.  s.  v.  Bénitier,  759).  Per  quanto  vaga  ed  ardita  possa  essere,  tale 
ipotesi  non  va  forse  taciuta. 


REGIONE    I. 


—    145    - 


OSTIA 


Il  secondo  travamento,  non  meno  importante  del  primo,  ci  riporta  al  mondo 
pagano.  In  una  piccola  piazzetta  tra  la  via  di  Diana  e  il  Decumano,  fa  rinvenuta 
in  situ  un'ara  cilindrica  di  marmo  lunense  venato  (fìg.  4),  alta  m.  1,35X0,88,  pog- 
giata sopra  un  plinto  di  marmo  bigio  (m.  1,15X1,03,  alt.  cm.  7).  11  basamento  è 


Fig.  4. 


costituito  da  due  grandi  dadi,  quello  superiore  di  marmo  bianco  (m.  1,80X1,80, 
alt.  cm.  47),  l'inferiore  di  travertino  (m.  2,15X2,15,  alt.  cm.  26).  All'ara  furono 
addossate  una  costruzione,  ancora  in  buona  epoca,  e  una  vasca  più  tarda  (m.  3,30  X  1.80, 
profonda  m.  1,60). 

La  base  dell'ara  è  formata  da  un  toro,  una  gola  dritta,  un  tondino,  un  listello 
e  una  piccola  gola  rovescia;  è  mancante  di  quasi  tutta  la  cornice  superiore  e  dei 
pulvini.  Sembra  essere  stata  rovinata  a  colpi  di  mazza  cbe  asportandone  la  parte 
superiore  —  un  pezzo  della  cornice  fu  ritrovato  poco  lontano  in  pessime  condizioni  — 
e  scheggiandone  fortemente  il  rilievo,  l'hanno  perfino  un  poco  spostata  dal  plinto  su 
cui  poggia. 


OSTIA 


146  — 


RKGIONK    I. 


Vi  sono  scolpiti  tre  gruppi  di  figurazioni  (fig.  5).  Presso  un'ara  quadrata,  ornata 
da  un  festone  a  bucrani  e  sulla  quale  arde  la  fiamma,  sta  un  Ercole  nudo  d'aspetto 


Fio.  4a. 


maturo.  Ne  manca  tutta  la  parte   superiore;   protende  il  braccio  destro  e  la  mano 
aperta  verso  l'ara  ;  dal  braccio  sin.  piegato  verso  l'anca,  pende  la  pelle  leonina.  Innanzi 


REGIONE    I. 


—  147  — 


OSTIA 


alla  figura  di  Ercole  sta  un  porco  con  fascia  a  vitte.  L'ara  è  rappresentata  presso 
un  tronco  d'albero  di  cui  manca  la  sommità,  ma  di  cui  un  ramo  porta  una  chioma 
ad  ombrello.  A  questo  ramo  è  appoggiato  un  tirso.  Gli  altri  due  gruppi  di  figure 
sono  presso  a  poco  identiche. 

Un  fauno,  d'aspetto  giovanile,  con  capelli  corti  drizzati  a  ciuffo  sulla  fronte 
procede  in  direzione  dell'Ercole,  reggendo  col  braccio  destro  disteso  una  situla  e  si 
volge  indietro  verso  una  figura  virile,  in  movimento  di  danza.  Ha  capelli  corti  e 
veste  una  cortissima  tunica  che  lascia  scoperte  le  gambe;  un  ampio  mantello  tenut 
o  dal  braccio  destro  passa  dietro  le  spalle  e  ricade  svolazzando  sul  braccio  sinistro. 


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Fio.  5. 


Benché  manchino  le  braccia,  queste  dovevano  ritmicamente  accompagnare  il  passo 
di  danza  con  cui  la  figura  procede.  Sebbene  non  sia  comune  né  la  figurazione  né 
l'associazione,  dobbiamo  riconoscere  in  questa  figura  un  Lare  (1).  E  al  culto  dei 
Lari  ci  riporta  infatti  tanto  la  fiamma  che  arde  sull'ara,  e  che  é  il  simbolo  dei 
Lari  (Virg.  Aen.  V,  743  sgg.),  quanto  l'attitudine  della  danza,  giacché  sembra 
essere  caratteristico  del  Lare,  fino  dalla  repubblica,  il  suo  atteggiamento  danzante 
che  si  mantiene  poi  nell'impero  (cfr.  i  lares  ludentes  nel  frammento  33  di  una 
commedia  di  Nevio,  ed.  Ribbeck,  Com.  lat.  reliq.,  pp.  20  sg.).  Anche  la  situla 
tenuta  in  mano  dal  giovane  fauno,  se  pur  conviene  a  persone  del  ciclo  bacchico 
—  cito,  tra  i  molti,  un  esempio  che  risponda  anche  al  carattere  stilistico  del  rilievo 
ostiense:  un  satiro  che  tiene  una  situla  nella  destra  in  un  puteale  neo-attico  del 
Museo  Maffei  a  Verona:  Schrader,  Neu-attische  Reliefs,  n.  29,  pag.  21  —  è  tuttavia 
l'attributo   costante   dei   Lari.    Dei   quali,  del   resto,   parla   l' iscrizione   posta  nello 

(l)  Per  l'associazione  del  Lare  con  il  fauno,  ricordo  che  in  un'iscrizione  romana,  Priapo  Sil- 
vano è  identificato  con  il  Las  agrestis  (G.l.L.  VI,  646:  Silvano  Lari  agresti)  assimilato,  d'altra 
parte,  a  Fauno  (cfr.  Preuner,  Hestia-Vetta,  pp.  338,  408,  411). 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XTIL  20 


POMPEI 


-  148  — 


REGIONE    I. 


spazio  tra  i  due  grappi  descritti  (fig.  5)  :  . . .  (vicom)ag(ister)  d(e)  s(ua)  p(ecitnia) 
f(aciundum)  c(uravit)  Laribus  vicin(is  ?)  sacrum.  Nella  fascia  sottostante  alle  figu- 
razioni: aram  marmoream. 

La  menzione  dei  vicomagistri   non  è  nuova    in  Ostia:  in  una   lapide   trovata 
presso  i  cosiddetti  navalia  di  Ostia  (Notizie  1892,  pag.  161;  cfr.  Eph.  Epigr.  IX, 

n.  470)  sono  infatti  ricordati  tre  magistri  vicorum  ed 
un  compitum,  il  quale  però  non  può  essere  quello  se- 
gnato da  quest'ara.  Strana  è  la  forma  Laribus  vicin(is) 
—  se  così  deve  leggersi  —  che  appare  assolutamente 
nuova  e  che  dovrebbe  o  sostituire  la  più  comune  com- 
pitales,  viales  ecc,,  o  interpretarsi  vicini  per  vicani; 
che,  certo,  quest'ara  dedicata  da  un  vicomagister,  al- 
l'imbocco di  due  strade,  rappresenta  un  compitum.  Lo 
stile  delle  figure,  in  un  rilievo  basso,  piatto,  preciso  e 
secco  nei  contorni,  quasi  schematico  nei  dettagli  e  che 
ricorda  bene  il  carattere  dei  così  detti  neoattici  —  basti, 
ad  es.,  il  trattamento  dell'albero  —  potrebbe  farci  ri- 
portare quest'ara  al  primo  secolo  dell'  impero.  E  a  questa 
datazione  ben  conviene  anche  il  carattere  dell'  iscrizione. 
In  via  di  Diana  fu  poi  trovato  (fig.  6):  Osso.  Bam- 
bola (alt.  cm.  8)  mancante  delle  gambe  di  cui  rimane 
l'articolazione;  articolate  dovevano  essere  anche  le  braccia  La  foggia  dell'acconciatura 
dei  capelli  la  riporterebbe  al  principio  del  III  secolo.  La  molta  finezza  e  la  somma 
accuratezza  con  cui  è  lavorata  in  una  materia  non  affatto  comune  per  simili  giocat- 
toli, rendono  assai  pregevole  questa  piccola  bambola. 

G.  Calza. 


Fio.  6. 


CAMPANIA. 


III.  POMPEI  —  Continuazione  degli  scavi  in  via  dell'  Abbondanza. 

Keg.  HI,  ins.  II,  n.  1  (Casa  di  Trebio  Valente). 

Lo  scavo,  mentre  una  squadra  di  operai,  resa  esigua  dalle  successive  chiamate 
alle  armi,  lavora,  nel  mezzo  della  via  detta  dell'Abbondanza,  per  sgombrare  le  parti 
alte  del  materiale  eruttivo,  allo  scopo  di  costituire  un  piano  inclinato  di  cui  la  lieve 
pendenza  faciliti  l'ulteriore  trasporto  del  materiale  agli  scarichi  prosegue  regolar- 
mente nella  casa  n.  1,  ins.  II,  reg.  Ili  (casa  di  Trebio  Valente).  Anche  qui,  pel 
numero  assai  ridotto  degli  operai  più  giovani,  il  lavoro  di  scavo  non  ha  potuto  pro- 
cedere alacremente  ed  ancora,  quindi,  non  è  interamente  sgombro  dalle  terre  il  pe- 
ristilio. Ma  ecco,  intanto,  la  notizie  che  consente  di  dare  lo  scavo  delle  parti  alte  di 
esso  tornate  in  luce  durante   il   mese  di   marzo.  Esse  possono  esser  seguite  sulla 


REGIONE    I. 


—  149  — 


POMPEI 


piantina  provvisoria  con  cui  le  accompagno  (tìg.  1)  e  sulle  due  fotografie  cha  ritrag- 
gono lo  stato  dello  scavo  durante  il  mese  (fig.  2  e  3). 

Sono  riapparsi  ormai  tutti  i  sommoscapi  delle  colonne  del  peristilio.  Il  numero 
così  ne  resta  determinato,  che  è  di  quattro  nel  fronte  e  di  tre  nel  lato  occidentale: 
nel  lato  orientale  le  colonne  non  sono  che  due,  essendo  tal  differenza  determinata  dal 
fatto  che  dell'ambulacro  ad  oriente,  dalla  terza  colonna  in  poi,  gl'intercolunni  furono 


SCALA 


•1:200- 


Fio.  1. 


chiusi  con  pareti,  e  fu,  mediante  altra  parete  divisoria  che  venne  tirata  dalla  terza  co- 
lonna al  muro  perimetrale,  creata  una  stanza  che  da  sé  sola  occupò  più  che  la  metà  di 
quell'ambulacro  (tìg.  1,  a):  le  due  colonne  in  mattoni  restarono  incluse  nelle  dette  pareti 
e  sono  riapparse  ai  posti  che  occupavano  nel  peristilio.  Anche  l'ultimo  intercolunnio 
del  lato  occidentale  fu  chiuso  con  una  parete  (b)  in  cui  sono  apparse  due  piccole  nic- 
chie ed  un  vano  di  luce,  così  come  fu  suddiviso  in  piccoli  spazi  tutto  l'ambulacro 
occidentale  di  cui  vanno  appena  comparendo  le  cime  dei  muri  e  saranno  però  de- 
scritti quando  tutto  questo  insieme  di  fabbriche  e  tutto  il  piano  del  peristilio  sarà 
interamente  allo  scoperto.  Ma  fin  d'ora  due  fatti  notevoli  presenta  lo  scavo:  la  com- 
parsa di  un'esedra  nel  fronte  nord  del  peristilio  e  la  comparsa  in  situ  di  un  tratto 
del  tetto  che  copriva  l'ambulacro  orientale. 

L'esedra  è  formata  dal  muro  h  dell'ambulacro  occidentale,  da  quello  dello  spazio 
a  dell'ambulacro  ad  oriente,  e,  a  nord,  dal  muro  di  fondo  del  peristilio.  Questo  era 
dipinto  di  un   bugnato  di  rettangoli   bianchi  intramezzati,  a  scacchi,  di  quadratini 


POMPEI 


—    150 


REGIONE    I. 


gialli,  rossi  e  bleu  :  due  colonne,  anch'esse  gialle  nella  parte  superiore  e  rosse  nella 
inferiore,  gli  si  addossavano,  distanti  l'una  dall'altra  m.  4,56,  mentre  due  altre  simili, 
a  m.  3,15  verso  il  peristilio,  le  fronteggiavano.  Sono  tutte  e  quattro  di  tanto  più  alte 
delle  colonne  del  peristilio  di  quanta  è  la  larghezza  dell'epistilio  (cm.  0,52)  così  che 
l'esedra  si  elevava,  nel  fondo,  sull'ambulacro  (fig.  2). 


Fio.  2. 


La  parte  di  tetto  che  copriva  l'ambulacro  (la  prima  che  sia  stata  rinvenuta  e 
si  conservi  in  situ  in  Pompei)  è  tornata  alla  luce  nel  tratto  dell'ambulacro  orientale 
che  va  dalla  seconda  colonna  alla  terza  e  al  muro  divisorio  dello  spazio  a  (tìg  ),  d). 
Essa,  resistendo  ai  movimenti  tellurici  e  alla  pioggia  di  lapilli,  di  ceneri  e  dì  sassi, 
poi  che  il  materiale  eruttivo  ebbe  riempito  il  peristilio  e  tutto  l'ambulacro,  restò  come 
adagiata  su  quel  letto,  solo  infrangendosi  più  tardi  sotto  il  peso  della  cenere  sopra- 
stante. Così  l'abbiamo  rinvenuta,  costituita  di  sei  filari  di  tegole  e  di  embrici  che 
dal  muro  perimetrale  vanno  a  finire  con  lieve  sporgenza  sull'epistilio  (fig.  3).  Ed  è 
questa  una  piccola  ma  interessante  conquista,  né  solo  perchè  è  il  primo  tetto  di  am- 
bulacro che  noi  abbiamo  potuto  trovare  e  conservare  in  situ,  ma  perchè  ci  permette 
di  concludere  che  la  catastrofe  dei  fuggiaschi  da  noi  rinvenuti  sotto  quell'ambulacro, 


REGIONE    I. 


—  151 


POMPEI 


nell'angolo  sud-est  di  esso  e  di  cui  abbiamo  riferito  nelle  Notizie  dello  scorso  febbraio 
1916,  pag.  87,  si  produsse  per  l'appunto  così  come  ivi  dicemmo.  Poiché,  mentre  qui 
il  tetto  resistette,  la  parte  immediatamente  seguente  cede,  assai  probabilmente  per  lo 
schiacciarsi  della  colonna  angolare.  Ed  è  così  che  noi  abbiamo  rinvenuto  qui  il 
tetto  al  suo  posto  e,  accanto,   tutto  precipitato,   ed   i  tegoli  parte  ancora  in  atto  di 


Fra.  3 


cadere,  parte  caduti  sul  pavimento  e,  sotto   di   essi,   asfissiati,   percossi  e  sepolti,  i 
cinque  abitatori  della  casa  che  ivi  per  poco  avevan  trovato  scampo. 


V.  Spinazzola. 


Scavo  nella  via. 


Con  i  lavori  portati  a  compimento  durante  il  mese  di  febbraio,  mentre  da  una 
parte  si  è  iniziato  dall'alto  lo  scavo  dei  fronti  di  due  nuove  isole  opposte,  la  IV  della 
Reg.  Ili  a  nord  e  la  IV  della  Reg.  II  a  sud,  si  è  dall'altra  completamente  restituito 
alla  luce  il  compitimi  fra  le  due  isole  ora  menzionate  e  le  altre  due  (III  della  Reg.  Ili 
a  nord,  e  III  della  Reg.  II  a  sud)  i  cui  fronti  si  finirono  di  scoprire  il  mese  scorso. 
h'agger  tanto  della  via  quanto  del  vicolo  che  la  attraversa  è  munito  dei  consueti 
blocchi  di  pietra  vesuviana  per  il  comodo  passaggio  dal  marciapiede  dell'una  al  mar- 
ciapiede dell'altra  delle  quattro  isole  contermini;  il  vicolo,  abbastanza  ampio,  con- 
serva nei  solchi  lasciativi  dalle  ruote  la  prova  che  era  pervio  ai  carri;  e  nel  pendìo 
sensibile  (da  nord  a  sud)  l'altra  prova  che  esso  riceveva,  per  avviarle  verso  la  parte 
bassa  della  città,  le  piovane  qui  convergenti  dalla  regione  circostante. 


POMPEI  —     152    —  REGIONE    I. 


Keg.  11,  ins.  IV,  n.  1. 

Essendosi  raggiunta  con  lo  scavo  questa  bottega,  si  è  dovuto  in  primo  luogo 
provvedere  ad  assicurarvi  al  loro  posto,  al  disopra  dell'architrave  del  vano  d'ingresso, 
gl'interessanti  avanzi  del  balcone  (angolo  orientale)  già  ivi  incontrati  (cfr.  Notizie  1915, 
pag.  342).  Provvedutosi  a  questa  esigenza,  si  è  potuto  approfondire  lo  scavo  rimet- 
tendo interamente  in  luce  lo  stipite  destro  della  bottega,  sopra  il  quale,  su  fondo 
azzurro  di  m.  0,61  di  altezza  e  di  m.  0,46  di  larghezza,  circondato  da  una  sem- 
plice fascetta  nera,  vedesi  rappresentato  in  piedi,  in  terza  a  destra,  nudo,  il  volto 
barbato  dolcemente  volto  a  sinistra,  la  fronte  coronata  di  foglioline  gialle,  Ercole, 
nell'atto  che  regge  nel  palmo  della  destra  protesa  un  aureo  skyphos,  avendo  al 
gomito  appoggiato  un  velo  giallo:  il  braccio  sinistro  si  abbassa,  ma  l'attributo  (la 
clava?)  e  la  mano  che  lo  stringeva  sono  perduti,  come  svanita  è  anche  la  parte 
inferiore  di  Ercole  dalle  ginocchia  in  giù.  Al  disopra  ed  a  destra  del  descritto  dipinto 
sacro,  nei  primi  giorni  del  mese  sono  riapparsi  sopra  i  rispettivi  campi  dealbali  i 
seguenti  programmi  elettorali:  in  alto: 

1.  \_G.    C]ALVENTIVM 

SITTIVM  •  MAGNVM  ■  II  ■  V1R  •  \j-~]o  ■  CP 

e,  immediatamente  più  giù: 

2.  POPIDIVM  •  SECVNDVM 

AEDDRPO-V-F-   HERMES 
C  VPIT 

Sotto  il  primo  ne  trasparisce  un  altro  più  antico: 

3.  ATREBIVMVALENTEM 

ETCNAVDIVMBASSVM 
D  •  V  •  I  •  D  •     QVINQ_;Cr" 

e  sotto  il  secondo  trasparisce  quest'altro  di  colore  nero: 

4.  LCEIVMSECVNDVMnv.R 

ROGANT  •  CLIENTES 

Porse  col  tempo  il  distacco  eventuale  dei  veli  di  calce  permetterà  la  lettura  di  qualche 
altro  programma  di  cui  ora  vedonsi  troppo  scarse  tracce:  questo  avanzo  evanido,  però, 
a  destra  del  dipinto  sacro,  in  giù,  può  già  tìn  da  ora  registrarsi,  perchè  mill'altro 
potrà  guadagnare  col  tempo: 

5.  L  •  C  E  i  •  •  •        (  Ceium  ?  Cerrinium  ?) 

Sull'alto  dello  zoccolo,  oltre  a  qualche  altro  segno  trascurabile,  si  è  letto,  graffito, 
il  giorno   19: 

6.  A  B  K  O  C 


REGIONE    I. 


153  — 


POMPEI 


Allo  svolto  del   vicolo,   sullo  spigolo  angolare   dell'isola  stessa,    si  è  letto  il 
giorno  12  il  programma 

7.  PANSAMAEDCf 

Reg.  Ili,  ins.  II,  n.  1. 
Di  quest'altra  bottega  posta  di  fronte  alla  precedente  si  è  parimente  scoperto 
uno  stipite  esterno,  il  sinistro,  in  nuda  opera  laterizia,  interrotto  da  quattro  fori  (due 
liberi  e  due  già  occlusi  dagli  antichi),  nei  quali  mettevano  capo  solidi  puntelli  di 
legno,  destinati  a  sorreggere  la  tettoia  proteggente  per  lungo  tratto  il  marciapiede. 
Del  materiale  superstite  di  questa  lunga  tettoia  (tegole  semplici,  tegole  a  lucernaio, 
embrici)  ora  già  tutto  raccolto  e  messo  in  serbo  per  la  ricostruzione,  fu  dato  il  primo 
annunzio  nel  rapporto  del  mese  di  agosto  dello  scorso  anno  (Notisie  1915,  pag.  342). 
Con  lo  scoprimento  dello  stipite  indicato  è  ritornato  in  uce,  il  giorno  19,  un  interes- 
sante programma  elettorale,  di  color  nero,  che  qui  riproduco  in  fac-simile: 


m     o.yj 


Tale  riproduzione  s' imponeva,  perchè  il  4°  elemento  della  voce,  che  qui  ci  rivela 
per  la  prima  volta  un  nuovo  ceto  di  elettori  pompeiani,  può  essere  tanto  una  i  quanto 
una  l.  Nella  prima  ipotesi,  si  sarebbe  indotti  a  leggere  Urbianenses  :  però  la  indi- 
cazione veru  Urubla  contenuta  in  una  vicina  iscrizione  osca  (vedi  più  oltre  al  n  16 
fa  sospettare  che  la  verace  lezione  sia  Urbianenses,  nel  qual  caso  gli  elettori  qui 
menzionati  sarebbero  quelli  di  Porla  Urbla  (=  veru  Urubla). 

Il  programma  ora  trascritto  fu  steso  nello  stesso  sito  già  occupato  da  un  pro- 
gramma più  antico:  la  mano  di  calce  interposta  però  non  è  tanto  spessa  da  non 
lasciare  leggere  con  sicurezza  quell'altro  programma,  che  è  il  seguente: 


9. 


ÀSVETTIVM-CERTVM 
ÀE    •    D  ■   R  •  P    •  Cf 


POMPEI 


—  154 


REGIONE    1. 


Al  margine  superiore  del  campo  occupato  dai  programmi  ora  riprodotti,  avan- 
zano le  sommità  delle  lettere  del  primo  rigo  di  una  vera  leggenda  di  bottegaio: 

10.  VASAFAECAR1A-VEN 


(della  esistenza  di  un  secondo  rigo  fanno  prova  alcuni  tenui  avanzi  all'estremità 
destra).  Sulla  identità  tra  faex  ed  alee  cfr.  Plin.,  Nat.  Hist.  XXXI,  44,  1  ;  sui  pregi 
e  sulle  varie  specie  di  faex:  Plin.  loc.  cit.,  e  Horat.  II,  Sat.  4,  73.  Vasa  faecaria, 
adunque,  sono  in  genere  quei  numerosissimi  urcei  di  terracotta  a  lungo  collo,  mono- 
ansati, che  si  trovano  ovunque  in  Pompei,  il  più  delle  volte  muniti  di  leggende  che 
assicurano  avere  essi  una  volta  contenuto  garum,  liquamen,  allec,  muria  etc.  : 
cfr.  C.  I.  L.  IV,  pp.  638  sgg.  È  davvero  a  dolere  che  non  ci  pervenga  leggibile  il 
secondo  rigo  di  questa  proscriptio  :  con  la  più  grande  probabilità  vi  si  doveva  sog- 
giungere il  nome  del  negoziante. 

Lo  scavo  di  quest'ampia  taberna  metterà  in  chiaro  se  la  leggenda  è  da  riferire 
all'ultimo  negoziante  che  la  occupò:  in  tal  caso  vi  si  dovranno  raccogliere  in  gran 
copia  urcei  da  salamoia.  Non  è  tuttavia  da  escludersi  che  V  indicazione  vasa  faecaria 
sia  qui  adoperata  per  sineddoche,  nel  qual  caso  con  i  detti  urcei  da  liquamen  po- 
tranno raccogliersi  anche  vasi  di  terracotta  di  ogni  sorta. 

Lasciando  la  soluzione  del  quesito  alla  prosecuzione  degli  scavi,  soggiungiamo 
subito  un  imponente  blocco  di  appunti  contabili  che  un  breve  tratto  della  parete 
interna  occidentale,  scoperta  per  ora  soltanto  fino  alla  metà  dell'altezza  del  suo  alto 
zoccolo  nero,  ha  già  restituito  alla  luce,  come  indice  sicuro  di  un  prospero  commercio 
(di  urcei?)  qui  esercitato.  Gli  appunti,  graffiti,  sono  per  la  massima  parte  fra  loro 
separati,  come  conti  distinti  addebitati  a  clienti  diversi,  mercè  linee  formanti  ret- 
tangoli, ora  aperti,  ora  chiusi  :  in  tre  casi  ricorre  sul  conto  il  nome  del  cliente  \_Florus, 
Florus,  Ascl{epiades?)~];  in  uno  poi  abbiamo  o  la  data  della  fornitura  \_j>ri(die?)~\, 
o  il  nome  di  un  altro  cliente,  Pri(scus?),  Pri(mus?). 

A  tergo  del  pilastro  sinistro  dell'ingresso:  sull'alto  del  zoccolo  nero: 


11. 


XI 

unii -ti 


Vili 


XXXXV  llllllllllllll  XV  II  Milli  llllll  I 


Parete  occidentale:  da  sinistra  a  destra.  Sul  1°  riquadro  dello  zoccolo: 

12.  XVII 

Vili 


XXXIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIA 


REGIONE    I. 


—  155 


POMPEI 


Sul  2°  riquadro,  a  sinistra: 


13. 


TLORVS 
XXXIS 


XIIIIIIIIIIIIIIII 


IV 

XXIIIIilllllll 
III  XXXXi 


N 


Sullo  stesso,  a  destra: 

14.  P  R  I 

AXIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIV 
TLORVS 
TLC     XIIIIIIIIIIIIIIIIA     lllllllllllllllllll     llll 


o      IIIIIIIIV     lllllll 


ITIIL 


immillili  m    li 

iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiii 

umilimi  v  illuminimi 


Al  disopra  del  margine  dello  zoccolo  v'è  questo  appunto  distaccato:     lllllll 
Sul  3°  riquadro: 


lllllllllllllllllllllllllllllllll 


15. 
alla  cui  destra 


*$c] 


I 


XXXI 


xxxxx 
umilimi 
mulinili 
mulinili 

mimimi 


immilli 
Minimi 

Hill 
IIIIIIIIIIIIIIIMI 

Il  XXIIIIIIIIIIIII 


Ma  una  graditissima  sorpresa  è  stata  quella  offerta  da  un'epigrafe  osca,  subito 
liberata  e  restituita  alla  luce  il  giorno  15,  in  seguito  all'apparizione  delle  lettere  del 
rigo  più  alto  al  sommo  dello  strato  di  lapillo,  sulla  parete  esterna  a  sinistra  del  vano 
d'ingresso  n.  2  dell' istessa  isola  IV  della  Reg.  III.  L'epigrafe,  le  cui  lettere  di 
colore  tosso  sono  alte  m.  0,11-0,14,  occupava  in  origine  una  superficie  di  m.  2,05 
di  larghezza  e  m.  1,20  di  altezza,  ma  ci  perviene,  per  la  terza  parte  circa,  mutilata 
dalla  posteriore  apertura  di  una  finestra  destinata  ad  illuminare  la  retrostante  bot- 
tega, e,  nel  resto,  velata  da  una  mano  di  calce  (condottavi  su  dagli  antichi)  fortu- 

Notizik  Scavi  1916  —  Voi.  HIL  21 


POMPEI 


—  156  — 


REGIONE    1 


natamente  debole,  e  che  in  massima  parte  si  è  già  spontaneamente  distaccata  dal- 
l' intonaco  scabro.  Il  giorno  stesso  della  scoperta  ho  provveduto  a  trarre  dell'  interessante 
monumento  epigrafico  il  migliore  apografo  possibile,  ma  la  riproduzione  che  qui  se 
ne  dà  è  ricavata,  per  maggiore  esattezza,  dal  calco  della  fotografia  che  il  sig.  Diret- 
tore ha  fatto  senza  indugio  eseguire  (fig.  4). 


Fio.  4. 


Tenuto  conto  delle  altre  cinque  consimili  epigrafi  osche  dipinte,  scoperte  per  il 
to  nolle  vie  di  Pompei  (Conway,  Italie  dialects,  nn.  60-63;  e  Notizie  1897, 
pag.  465,  fig.  4  =  C.  D.  Buck,  A  grammar  of  Oscan  and  Umbrian,  pag.  243,  n.  18), 
siamo  ormai  al  sesto  documento  della  serie:  questa  però,  malgrado  i  lodevoli  sforzi 
finora  fatti  per  intenderne  il  contenuto  (cfr.  per  la  bibliografia  più  recente:  Roem. 
Mitth.  1898,  pp.  124-146:  H.  Degering,  Ueber  die  Mililàrischen  Wegweiser  in 
Pompeji;  e  1899,  pp.  105-113:  Mau,  Die  oskischen  Wegweiserschriften  in  Pompeji: 
secondo  le  ipotesi  del  Degering  il  nuovo  documento  si  sarebbe  dovuto  scoprire  non 
sul  lato  nord,  ma  sul  lato  sud  della  Via  loc.  cit.  pag.  134)  continua  a  conservare 
gelosamente  il  suo  segreto  che  sarà  con  sicurezza  svelato  solo  quando,  al  lume  di 
altri  monumenti  finora  invano  attesi,  si  sarà  assodato  il  reale  valore  specialmente 
delle  parole  amviannud,  eituns  e  faamat. 


REGIONE   I.  —    157    —  POMPEI 

Ultimamente  Fr.  Skutsch,  Vom  pompeianischen  Slrassenleben,  in  Glotta,  1909, 
pag.  104  e  sgg.,  ha  ritentata  la  prova  con  esito  non  migliore.  Egli  ravvicina  il  ter- 
mine eituns  ad  eilua  (Bantin.)  e  ad  eitiuva  (Pomp.)  =  oro,  danaro,  e  crede  che  le 
le  dette  epigrafi  costituiscano  la  propaganda  di  argentarli  o  di  (mensae)  argentariae, 
traducendo  per  tal  modo  le  epigrafi  Conway  60  e  61  :  Flac  via  (mensae)  argen- 
tariae (ovvero  argentarti)  |  inter  turrim  XII  et  Portam  Sarinam  \  ubi  praedieat 
(praeco)  N.  N.  Una  spiegazione  di  tal  genere  si  chiarisce  da  se  stessa  come  inso- 
stenibile, quando  si  pensi  che,  di  fronte  alle  ormai  sei  epigrafi  osche,  allusive  come 
si  pretenderebbe  a  mensae  argentariae,  pure  permanendo  vivo  e  sempre  in  fiore 
l' istituto  àeill'auctio  a  Pompei,  non  si  sarebbe  finora  incontrata  pur  una  equivalente 
iscrizione  in  lingua  latina.  Qualcuna  sicuramente  se  ne  sarebbe  già  raccolta,  se  tutti 
i  muri  esterni  delle  case  di  Pompei  si  vedono  sempre  coperti  di  programmi  eletto- 
rali, fra  i  quali  di  tanto  in  tanto  non  manca  di  fare  la  sua  apparizione  qualche 
avviso  d'interesse  privato  (C.  I.  L.,  IV,  64,  per  il  furto  di  un'urna  di  bronzo;  ibid., 
138  e  1136,  per  locali,  da  affittarsi;  ibid.,  3804,  per  la  dispersione  di  una  mula  e 
del  relativo  carico). 

Il  documento  odierno  ha  una  spiccata  importanza  in  primo  luogo  quando,  posto 
a  riscontro  con  gli  altri  della  serie,  offre  il  vantaggio  di  un  testo  meno  ellittico;  ed 
in  secondo  luogo  quando,  considerato  per  sé  solo,  ci  fornisce  tre  preziose  conoscenze 
della  remota  topografia  pompeiana:  una  via  e  una  turris  Mefira,  ed  una  porta 
Urubla  (nel  cippo  Abellano,  Conway,  op.  cit.  n.  95,  ricorre  una  viu  uruvu,  che 
Zvetajeff,  Sylloge  inscr.  ose  n.  56,  traduce:  via  curva).  È  molto  probabile  che, 
sulla  base  del  corrispondente  elemento  certo  del  documento  odierno,  debba  correg- 
gersi, nell'altra  epigrafe  pompeiana  (Conway  n.  75)  l'elemento  Mefitaiiais  in  Mefi- 
riiais;  e,  dato  che  in  quella  epigrafe  l'elemento  in  discorso  è  associato  al  genti- 
lizio Maamieise,  è  lecito  concludere  forse  per  l'esistenza  di  un'  antica  famiglia 
pompeiana  Me/iria,  dalla  quale  nella  remota  topografia  pompeiana  si  sarebbero 
denominate  una  via  e  una  torre,  come  il  documento  odierno  dimostra.  Ritornando  a 
questo,  stimo  utile  osservare  al  rigo  1  :  non  può  decidersi  se  il  monco  segno  super- 
stite sia,  o  meno,  l'avanzo  di  una  lettera;  il  frammento  finale  del  rigo  3  pare  li  ; 
quello  del  rigo  4  è  ■  21  •••;  quello  del  rigo  5  è  V  ;  quello  del  rigo  6  lAG  (rai,  rate?); 
quello  del  rigo  7  è  sicuramente  rQO  (rri,  finale  di  tiurrf);  al  rigo  8,  fra  la  seconda  a 
e  la  m  della  parola  faamant  è  una  larga  macchia  rossa  che  lo  scriptor  forse  impiegò 
per  nascondere  elementi  errati  dell'epigrafe;  al  rigo  9  le  tracce  evanide  della  ini- 
ziale del  secondo  nome  si  prestano  per  essere  interpretate  tanto  come  una  iQ,  quanto 
come  una  fi:  è  forse  da  preferirsi  la  prima  ipotesi,  leggendo  Auril,  cioè  Aurelius, 
gentilizio  comune  in  Pompei,  mentre  per  l'altra  ipotesi  non  si  avrebbe  che  l'appoggio 
del  gentilizio  Puril  =  Purelliut ?  una  sola  volta  finora  incontrato  (efr,  Conway, 
op.  cit.,  n.  188  e  l'indice  gentile  names).  Le  uguagliatine  (lacertini)  ai  bordi  della 
finestra  sono  antiche,  conseguenti  all'apertura  del  vano  di  luce.  Premesse  queste  osser- 
vazioni, e  colmando  parzialmente  le  lacune  con  quei  supplementi  che  il  confronto 
della  serie  intera  di  queste  iscrizioni  chiarisce  come  ben  fondati  (per  i  suppl.  ai  rr. 
2  e  6,  cfr.  tutta  la  serie;  per  quello  al  rigo  3,  cfr.  Buck,  op.  cit.  pag.  151,  §  203; 


POMPEI  —    1Ò8    —  REGIONE    I. 


per  quello  al  rigo  4,  cfr.  titolo  odierno,  rigo  8;  per  quello  al  rigo  5,  cfr.  Conway, 
nn.  60  e  61;  per  quello  al  rigo  7,  cfr.  Conway,  nn.  60-62),  nella  fiducia  che  i  com- 
petenti riusciranno  ben  presto  a  supplire  i  vuoti  restanti,  il  nuovo  documento  suone- 
rebbe per  ora  così: 

16.  i  A  (?) 

Eksuk  ■  amvi\_annud  . . . 

set  ■  fuz  ■  ha  f\ian$  (?)...  ](?)w- 

ini  ■  via  ■  Mef[ira ]  (?)  is  ■ 

5         nertrak  ■    Ve[ru  •  Sarnn?^u 

pils  ■  seni  ■  e[ituns ~\ra(ì?  A?) 

Veru  ■  TJrubla\j  ini  •  tiur\ri  • 

Mefira  •  faam\_a]nt  • 
9         L  ■  Pùpid  ■  L    Mr  •  Auril  ■  Mr 

E  chiudo  la  rassegna  di  queste  scoperte  relative  alla  Via  col  ripubblicare,  ciò  che 
da  un  pezzo  mi  proponevo  di  fare,  cioè  la  breve  epigrafe  osca  dipinta,  già  a  suo  tempo 
scoperta  sulla  parete  a  destra  dell'  ingresso  n.  5,  reg.  I,  ins.  VI  (cfr.  Notizie  1912, 
pag.  190,  n.  43).  Il  prolungato  dilavamento,  al  quale  la  parete  è  stata  esposta  per 
quattro  anni,  ha  giovato  alla  detta  epigrafe,  i  cui  elementi  ora  si  discernono  meglio, 
meno  il  nesso  iniziale  che  rimane  per  me  tuttora  oscuro:  (?)immas. 


iiqwMcf 


M.  Della  Corte. 


REGIONE   Vili.  —    159   — 


IMOLA 


Anno  1916  —  Fascicolo  5. 


Eegione  Vili  (CISPADANA). 

I.  IMOLA  —  Tesoretto  di  monete  repubblicane,  d'argento  scoperto 
davanti  al  palazzo    Vescovile. 

Nel  luglio  del  1913,  nell'occasione  di  uno  scavo  per  la  posa  dei  tubi  dell'acque- 
dotto, fu  rinvenuto  in  Imola  davanti  al  palazzo  Vescovile  un  ripostiglio  di  monete 
d'argento  repubblicane.  Tali  monete,  come  si  riconobbe  da  parecchi  frammenti  fittili 
insieme  rinvenuti,  dovevano  essere  raccolte  entro  una  piccola  olla  di  terra. 

Sebbene  le  autorità  locali  intervenissero  sollecitamente,  non  fu  potuto  impedire 
che  un  certo  numero  di  monete,  forse  una  sessantina,  andasse  disperso  in  mano  di 
privati.  Le  monete  che  si  poterono  raccogliere  sommano  a  544.  Esse  furono  dall'au- 
torità comunale  d'Imola  affidate  al  conservatore  del  Museo,  sig.  Romeo  Galli,  il 
quale  insieme  con  un  nummotìlo  imolese,  il  sig.  conte  Carlo  Zampieri,  ne  redasse 
un  elenco,  prendendo  a  base  la  nota  opera  del  Babelon  :  Monnaies  de  la  ripublique 
romaine. 

In  varie  gite  che  feci  ad  Imola,  poiché  a  quel  Museo  lo  destinò  il  Ministero, 
studiai  il  tesoretto,  confrontando  coi  pezzi  l'elenco  Galli-Zampieri  ed  apportando  ad 
esso  le  opportune  rettifiche  ed  aggiunte. 

Il  tesoretto,  salvo  una  dozzina  di  vittoriati  (7  senza  simboli,  cfr.  Bab.  I,  pag.  44, 
n.  8,  e  5  con  simboli,  cfr.  Bab.  I,  pag.  49,  n.  24),  si  compone  totalmente  di  denari 
come  si  fa  manifesto  dall'elenco  che  segue;  nel  quale  il  vario  grado  di  conservazione 
dei  pezzi  non  ha  potuto  essere  specificato  per  essere  stati  in  molti  casi  alterati  dal 
ripulimento  che  ne  fu  fatto  a  cura  della  Direzione  del  Museo  d'Imola. 

Notizie  8cati  1»16  —  Voi.  HIL  22 


IMOLA 


160 


REGIONE    Vili. 


Anonimo 

senza 

simboli 

n. 

* 

a 

» 

n. 

* 

con 

simboli 

n. 

u 

a 

* 

n. 

» 

» 

fl 

n. 

n 

n 

■ 

n. 

Aburio 

l 

(Bab.  I 

pa 

n 

6 

(Bab.   I 

fl 

Acilia 

1 

Bab.  I 

» 

9 

4 

[Bab.  I 

■ 

Aelia 

3 

Bab.  I 

1 

Aemilia 

7 

(Bab.  1 

.          " 

Afrania 

1 

(Bab.  I 

1 

Ani  estia 

1 

(Bab.  I 

fl 

* 

2 

[Bah.  I 

* 

» 

9 

[Bab.  I 

» 

Appuleia 

1 

[Bab.  I 

n 

Aquilli  a 

1 

(Bab.  I 

■ 

Atilia 

9 

(Bab.  I 

j» 

Aurelio, 

16 

(Bab.  I 

■ 

w 

19 

(Bab    I 

i       ■ 

Baebia 

12 

(Bab. -I 

» 

Caecilia 

21 

(Bab    I 

>    * 

•n 

28 

(Bab.  I 

D 

fl 

38 

(Bab.  I 

X 

Calidia 

1 

(Bab.  I 

J) 

n 

3 

Bab.  I 

» 

Calpurnia 

5 

Bab    I 

y> 

Cassia 

1 

Bab.  1 

» 

■a 

4 

Bab.  I 

» 

Cipia 

1 

Bab.  I. 

» 

Claudia 

1     | 

Bab    I, 

» 

V 

2     I 

Bab.  I. 

« 

Cloulia 

1     | 

Bab    1. 

a 

Coelia 

2 

Bab.   I 

f 

n 

3 

Bab.  1. 

n 

Cornelia 

1 

(Bab.  I 

m 

Numero 

degli 
esemplari 

2  (Bab.   I.  pag.     39) 5 

6  (Bab.  I.     »       40) 2 

20  (Bab.  I,     »       47) 3 

22  (Bab.  I.     -       49) 1 

101  (Bab.  I,     »       67) 1 

176  (Bab.  I.     »       72) 1 

g.     94) 3 

96) 4 

102) 1 

103) 3 

110) 3 

118) 1 

135) 2 

144) 4 

144)  (J) 1 

146) 9 

208) 16 

212) 1 

229) 1 

241) 1 

242) 1 

254) 4 

266) 1 

269) 2 

273) 2 

283) ' 5 

283) 1 

288) 1 

325) 4 

327) 4 

341) 6 

345) 10 

347)    . 17 

860) 5 

369) 13 

369) 4 

387) 4 


(•)  Nel  H,  davanti  alla  testa  di  Roma,  è  indicato  il  segno  del  valore,  come  giustamente  rico- 
nosce il  Bahrfeldt  (Nachtràge  und  Berichtigunqen  ecc.,  I,  pag.  18),  correggendo  l'affermazione  del 
Babelon,  che  manchi  il  segno  del  valore  quando  nel  E  il  cane  è  ascendente. 


REGIONE    Vili. 


—  161 


IMOLA 


Cornelia 

19 

(Bab.     I, 

•n 

24 

(Bab.     I, 

Ti 

25 

(Bab.     I, 

Cupiennia 

1 

(Bab.     I, 

Curiatia 

1 

(Bab.     I, 

n 

2 

(Bab.     I, 

Curtia 

2 

(Bab.     I, 

Decimia 

1 

(Bab.     I, 

Domitia 

1 

(Bab.     1, 

n 

7 

(Bab.     I, 

n 

14 

(Bab.     I, 

Fabia 

1 

(Bab.     I. 

n 

5 

(Bab.     I. 

Ti 

13 

(Bab.     I, 

li 

14 

(Bab.     I, 

n 

15 

(Bab.     I, 

Fannia 

1 

(Bab.     I, 

Flaminia 

1 

(Bab.     I, 

Fonteia 

1 

(Bab.     I. 

Fulvia 

1 

(Bab.     I 

Fundania 

1 

(Bab.     I. 

Furia 

13 

(Bab.     I 

n 

18 

(Bab.     I 

Gelila 

1 

(Bab.     I. 

Herennia 

1 

(Bab.     I. 

lulia 

1 

(Bab.   II, 

Ti 

2 

(Bab.   II, 

li 

3 

(Bab.   II, 

rt 

4 

(Bab.   II, 

Iunia 

1 

(Bab.   II, 

ti 

8 

(Bab.   II, 

Lucilia 

1 

(Bab.   II, 

Lucretia 

1 

(Bab.   II, 

Lutatia 

2 

(Bab.   II, 

Maenia 

7 

(Bab.   II, 

Maiania 

1 

(Bab.   II. 

Mallia 

2 

(Bab.   II, 

Numero 

degli 
esemplari 

pag.  396)      2 

-  399)      4 

»      401)      4 

-  444)      3 

»      446)      2 

-  446)C)     • ! 

»      450)      • 8 

»      453)      4 

-  458)      2 

»      460)      7 

»      462) 4 

»      480)      12 

»      482) 2 

-  485)      2 

-  486) 3 

»      487) 9 

»      491) 11 

»      495)      25 

»      499) 3 

»      513) 1 

»      515)      2 

»      522)      1 

»      525) 14 

»      535) 1 

»      539)  (5) 31 

2)       2 

3) 1 

4)       6 

5)       6 

»      101)       1 

»      104)       1 

»      150)       1 

■      151)       7 

»      157)       .    .   • 3 

»      164) 1 

»      166)       •    •    •       7 

»     169) 15 


(*)  Veramente  la  leggenda  del  15  sembrerebbe  portare,  anziché  trig,  la  forma  trige,  forma 
non  dati  dal  Babelon,  ma  sibbene  dal  Bahrfeldt  (op.cit.,  I,  pag.  101,  tav.  V,  n.  106;  e  dal  Grueber 
(Roman  coita  ecc.,  I,  pag.  134,  n.  941  e  tav.  XXVI,  n.  11). 

(')  In  un  esemplare  con  l'errore  d'incisione   M  ■  «ernni  • 


IMOLA 


1(52   — 


ItKGIONE    Vili. 


Manlio 

2     < 

Bab. 

H, 

Pag 

Marcia 

1 

Bab. 

II, 

» 

» 

8     I 

Bab. 

II, 

1! 

* 

11 

Bab. 

II, 

fl 

» 

12 

(Bab. 

II, 

fl 

Memmia 

1 

(Bab. 

II, 

» 

» 

2 

(Bab. 

II, 

» 

Minima 

1 

(Bab. 

li, 

» 

» 

3 

(Bab. 

II, 

1 

9 

9 

Bab. 

II, 

a 

fl 

19 

(Bab. 

II, 

y> 

Opimia 

12 

(Bab. 

II, 

a 

» 

16 

(Bab. 

li, 

» 

Papiria 

6 

(Bab. 

II, 

• 

n 

7 

(Bab. 

II, 

•n 

Pinaria 

1 

(Bab. 

H, 

n 

Plutia 

1 

(Bab. 

II, 

a 

Publicia 

1 

(Bab. 

II, 

» 

Pompeia 

1 

(Bab. 

II, 

j» 

Pomponio 

7 

(Bab. 

II, 

» 

Por  eia 

1 

(Bab. 

II, 

B 

■n 

3 

(Bab. 

II, 

fl 

■ 

4 

(Bab. 

II, 

» 

fl 

8 

(Bab. 

II, 

fl 

Postumia 

1 

(Bab. 

II, 

fl 

Qainctia 

2 

(Bab. 

II, 

B 

» 

6 

(Bab. 

II. 

fl 

Renia 

1 

(Bab. 

II, 

fl 

Saufeia 

1 

(Bab. 

II, 

fl 

Sempronio   2 

(Bab. 

II, 

fl 

Sergia 

1 

(Bab. 

II, 

fl 

ServUia 

1 

(Bab. 

li, 

» 

« 

13 

(Bab. 

II, 

fl 

» 

14 

(Bab. 

II, 

fl 

Spurilia 

1 

(Bab. 

II, 

fl 

Sulpicia 

2 

(Bab. 

II, 

fl 

Terentia 

10 

(Bab. 

II, 

fl 

Thoria 

1 

(Bab. 

II, 

» 

Numero 

degli 
esemplari 

176)      1 

181)      1 

185)      1 

186)      2 

187)      1 

213) .    .  2 

214)      2 

227)      5 

229)      1 

231)      ' 1 

235)      7 

273)      2 

275)      1 

288)      ' 8 

289)      8 

303)      2 

329)      4 

330) 3 

336)  (') 2 

360)       3 

368) 8 

369)      ,  .  8 

370) 2 

373) 1 

377)      1 

392) 4 

394)      3 

39i»)      9 

421)      2 

430)      2 

442)      10 

444)      2 

449)      3 

450) 2 

465)      1 

471)      I 

483) 1 

488)      18 


(')  Uno  degli  esemplari  porta  nella  leggenda  del  0,  anziché  PO,  la  forma  pom,  forma  non 
data  dal  Babelon,  ma  sibbene  dal  Bahrfcldt  (op.  cit.,  tar.  IX,  n.  220)  e  dal  Grueber  (op.  cit, 
tav.  XXVI,  n.  6). 


REGIONE   Vili. 


—    163 


IMOLA 


Numero 

degli 

esemplari 

Tullia           1     (Bab.   II,  pag.  503)      6 

Valeria        7     (Bab.  II,     »      510)      2 

8     (Bab.   II,     »      510)      1 

11     (Bab.  II,     »      512)      2 

Vargunteia  1     (Bab.   II.     »      525)      .    .  3 

Veturia        1     (Bab.   II,     »      535)      :\ 

Dimenticati  sul  conio 3 

Non  identificabili      22 

In  frammenti  non  ricomponibili  e  non  identificabili 2 

Il  ripostiglio  ora  elencato,  per  quanto  riguarda  l'epoca  del  seppellimento,  dovrebbe 
collocarsi  subito  dopo  il  deposito  di  Ricina  (')  al  quale  appare  solo  di  poco  posteriore. 
Infatti,  mentre  si  osserva  da  un  lato  che  tra  le  più  recenti  monete  di  Ricina  sol- 
tanto il  tipo  Sentia  1  (Bab.,  II,  pag.  437),  attribuito  concordemente  dal  Babelon 
e  dal  Grueber  all'89  av.  Cr.  non  è  rappresentato,  nel  tesoretto  di  Imola,  si  constata 
d'altro  lato  che  qui  s'aggiungono  tra  le  più  recenti  emissioni  altri  tipi,  quali  Ser- 
vilia  14,  Cornelia  25,  Cassia  4,  che  concordemente  quei  due  autori  attribuiscono  a 
quello  stesso  anno  ed  altri,  quali  Servilia  13  e  Fundania  1,  che  dal  Grueber  sono 
pure  attribuiti  all'89  (2). 

Anche  per  questo  tesoretto,  come  per  quello  di  Ricina,  il  sotterramento  ha  da 
porsi  in  relazione  con  le  preoccupazioni  determinate  dall'  infuriare  della  guerra  sociale. 
E  se  ho  detto  che  il  tesoretto  d' Imola  dev'essere  posteriore,  ma  solo  di  poco  a 
quello  di  Ricina,  credo  di  poter  fondare  quest'affermazione  sul  fatto  che  esso,  mentre 
ai  tipi  più  recenti  di  Ricina  ne  aggiunge  parecchi  altri  delle  emissioni  dello  stesso 
anno,  non  mostra  tuttavia  verun  esemplare  delle  monetazioni  copiose  e  immediata- 
mente successive  di  D.  Silanus  (2)  e  di  L.  Calpurnius  Piso  Frugi(3). 

Porrei  dunque,  seguendo  la  datazione  Grueber  dell'88  per  questi  due  ultimi 
monetieri,  la  data  del  seppellimento  del  tesoretto  o  allo  scorcio  dell'89  o  ai  primis- 
simi tempi  dell'88  av.  Cr.  A.  Negrioli 

C1)  V.  Armaroli,  Ripostiglio  di  nummi  famigliari  scoperti  fra  le  rovine  dell'antica  Ricina, 
in  Bull,  di  num.  e  sfrag.,  I,  p.  241  e  segg. 

(')  Il  Babelon  riferisce  rispettivamente  al  94  e  al  101  qnesti  due  ultimi  tipi,  mentre  poi  attribuisce 
la  data  dell'89  al  tipo  Lucilia  1,  pur  rappresentato  nel  nostro  tesoretto,  che  il  Grueber  riferisce  al  90. 

La  determinazione  delle  date  di  .certe  monete  è  sempre  una  questione  molto  difficile;  ma  le 
datazioni  del  Grueber,  basate  sulla  classificazione  del  conte  De-Salis,  sembrano  in  genere  più  seve- 
ramente fondate.  Al  qual  proposito  farò  notare  il  caso  del  tipo  Memmia  2,  del  quale  il  tesoretto 
d'Imola  offre  due  esemplari.  Ora,  questo  tipo,  che  diverrebbe,  per  l'assegnazione  del  Babelon  all'82 
av.  Cr.,  un  elemento  isolato  urtante  la  cronologia  del  tesoretto,  trova  benissimo  da  inquadrarsi  nel 
tesoretto  stesso,  quando  si  segua  la  cronologia  del  Grueber  (op.  cit,  II,  pag.  204,  n.  1);  il  quale, 
dopo  aver  dimostrato  ch'esso  dev'essere  anteriore  all'88,  lo  attribuisce,  in  accordo  alla  cronologia 
del  Mommsen  (92-89),  al  91  av.  Cr. 

(8)  Questi  due  monetieri  compaiono  per  la  prima  volta  nel  deposito  «  Hoffinann  »  (cfr.  Grueber, 
op.  cit.,  II,  pag.  321);  il  quale  nel  prospetto  dei  depositi  del  Grueber  (ved.  op.  cit.,  pag.  CXVI) 
succede  subito  a  quello  di  Ricina. 


CITTÀ    DI    CASTELLO  —    164    —  REGIONE    VI. 


Regione  VI  (UMBRIA). 

II.  CITTÀ  DI  CASTELLO  —  Necropoli  romana  scoperta  in  contrada 
San  Maiano. 

Nell'ottobre  ultimo  l'avv.  Vittorio  Corbucci,  ispettore  onorario  dei  monumenti  e 
scavi  pel  mandamento  di  Città  di  Castello  (l'antica  Tifernum  Tiberinum)  mi  dava 
gentilmente  notizia  orale  della  scoperta  di  tombe  con  suppellettile  in  contrada  San 
Maiano,  a  sette  chilometri  circa  da  quella  città,  presso  la  riva  sinistra  del  Tevere. 
Un  immediato  accesso  sul  luogo  mi  permise  di  accertare  le  circostanze  e  il  valore 
della  scoperta.  Allo  scopo  di  correggere  ed  attenuare  la  troppo  forte  discesa  della 
via  provinciale  in  quella  contrada,  presso  il  ponte  di  Pieggi,  il  Genio  Civile  della 
Provincia  aveva  intrapreso  colà  degli  sterri.  Nel  taglio  del  terreno  effettuato  sino 
all'altezza  del  nuovo  piano  stradale,  si  erano  rinvenuti  avanzi  di  ossa  umane,  mesco- 
lati a  frammenti  di  ceramica  grezza  e  di  minuto  vasellame  aretino  e  balsamarì  di 
vetro. 

Mi  apparve  subito  trattarsi  di  deposizioni  fatte  in  terreno  nudo,  sopra  uno  strato 
di  ghiaia  alluvionale  in  discesa,  eroso  e  rimescolato  dai  frequenti  corsi  d'acqua  che 
lambiscono  la  località,  sboccando  nel  Tevere  vicino.  Sopra  lo  strato  alluvionale,  che 
in  grazia  del  taglio  eseguito,  appariva  visibile  in  sezione  per  un'altezza  di  m.  1-1,50 
e  per  una  lunghezza  di  una  trentina  di  metri,  trovasi  un  deposito  di  terra  coltivata, 
alto  60-80  em.  I  cadaveri,  situati  molto  prossimi  l'uno  all'altro,  come  appariva  dai 
residui  delle  ossa,  erano  tutti  deposti  parallelamente  nello  stesso  senso,  da  est  ad 
ovest,  col  capo  ad  oriente. 

La  ditta  appaltatrice  dei  lavori  non  erasi  data  alcuna  pena  della  scoperta,  né 
aveva  annesso  importanza  alcuna  agli  oggetti  frammentari  che  venivano  in  luce: 
onde  diversi  oggetti,  per  fortuna  di  non  grande  importanza,  erano  andati  dispersi  o 
distrutti  dagli  stessi  operai.  Il  sig.  Ugo  Belei,  tuttavia,  proprietario  della  tenuta 
nella  quale  si  eseguivano  i  lavori,  aveva  avuto  l'accortezza  di  recuperare,  per  quanto 
gli  era  stato  possibile,  e  conservare  nella  prossima  sua  casa  di  campagna  taluni  degli 
oggetti  e  frammenti  rinvenuti,  dove  io  potei  esaminarli  e  prenderli  in  consegna. 

Non  essendosi  potuto  procedere,  per  le  esigenze  dei  lavori  e  la  scarsezza  dei 
possibili  risultati,  ad  una  esplorazione  sistematica  del  terreno,  non  mi  resta  che  de- 
scrivere brevemente  la  suppellettile  recuperata  durante  lo  scavo,  per  ora  unica  testi- 
mone superstite  di  quella  necropoli  e  indice  sicuro  della  sua  età. 

Tutto  il  materiale  rinvenuto  consiste  in  fittili  grezzi,  di  ceramiche  rosse  aretine 
e  di  piccoli  balsamarì  di  vetro,  senza  che  nessun  oggetto  sia  intero,  e  con  diversi 
oggetti  ricomponibili  solo  in  parte  da  molti  frammenti.  Fra  le  ceramiche  della 
prima  categoria,  giova  notare  i  seguenti  pezzi: 

1.  Anfora  a  corpo  schiacciato  ed  alto  collo,  munita  di  grandi  anse!  Alt.  m.  0,27. — 
2.  Catino  profondo,  a  labbro  rovescio.  Diam.  m.  0,19;  alt.  0,095.  —  3.  Unguentario 
a  pancia  ovoidale  ed  alto  collo.  Alt.  m.  0,16.  —  4.  Lucernetta  frammentaria,  di  ar- 


REGIONE    VI.  —    165    —  CITTÀ    DI    CASTELLO 

gilla  scura.  —  5.  Lucemetta  di  argilla  pallida,  portante  stampato  a  rilievo  sulla  super- 
ficie superiore  un  kantharos  a  fondo  baccellato. 

Tra  le  ceramiche  di  industia  aretina,  hanno  particolare  importanza  alcuni  fondi 
di  piccoli  piatti,  portanti  impressa  nel  centro  la  marca  di  fabbrica,  cioè  una  leggenda 
generalmente  a  sigle,  racchiusa  in  pianta  pedis. 

1.  Piatto  con  piccole  decorazioni  a  rilievo  esternamente  all'orlo,  imitanti  la 
forma  di  un'ansa  a  doppia  voluta:  c-^o .  Nel  rovescio  del  fondo  il  bollo: 
C-\f  -BUG-  Diana,  del  piatto,  ra.  0,12.  —  2.  Altro  fondo  simile  con  bollo  come  il 
precedente.  —  3.  Fondo  di  piatto  pure  aretino,  col  bollo:  C-VT-B-B-G-  —  4.  Altro 
fondo  di  piatto  simile  col  bollo:  \£  BB-  —  5.  Altro  fondo  di  piatto  aretino,  con  la 
sigla:  MANINE  —  6.  Fondo  di  piatto  simile  col  bollo:  C-M-R-  —  7.  Altro  fondo 
di  piccola  tazza  pure  aretina,  con  la  marca:  CWEB-  —  8.  Fondo  di  piatto  aretino, 
con  sigla  illegibile.  Nel  rovescio  del  fondo  alcune  lettere  leggermente  e  irregolar- 
mente graffite:  . .  .  r  Y  R  .  —  9.  Tazza  aretina,  con  le  pareti  esterne  solcate  da  leg- 
giere striature  oblique.  Sigla  illegibile.  Diam.  m.  0,135.  —  10.  Piccola  tazza  aretina, 
a  piede  rastremato,  con  volute  esternamente  all'orlo;  priva  di  sigla.  Alt.  m.  0,045; 
diam.  m.  0,07.  —  11.  Orcinoletto  panciuto,  di  argilla  figulina  rossa,  con  piccola  ansa. 
Altezza  m.  0,09.  —  12.  Tazzina  di  argilla  rossastra,  con  le  pareti  esterne  decorate 
da  una  zona  di  scaglie  in  rilievo.  —  13.  Piatto  di  argilla  rossastra,  con  largo  orlo 
piano,  decorato  da  un  sistema  continuo  di  viticci  ricurvi  a  rilievo. 

I  vetri  che  si  poterono  recuperare  sono: 

1.  Fialetta  bianca,  a  pancia  ovoidale  ed  alto  collo  ritorto  alla  base.  Alt. 
m.  0,10.  —  2.  Fialetta  pure  bianca,  a  fondo  tondo  e  lungo  collo  rastremato  verso 
l'orlo.  Alt.  m.  0,098.  —  3.  Parte  inferiore  di  fialetta  simile.  —  4.  Fialetta  bianca,  a 
pancia  conica,  fondo  convesso  ed  alto  collo  spezzato  alla  base.  Alt.  m.  0.055.  —  5.  Ansa 
ricurva,  serpeggiante,  di  anforetta  di  vetro  turchino,  andata  perduta.  Alt.  m.  0.05. 
Alcune  delle  sigle  di  vasi  aretini  sopra  riferite,  trovano  riscontro  nella  raccolta 
dei  bolli  aretini  conosciuti,  pubblicata  in  C.  I.  L.,  voi.  XI,  2,  n.  6700. 

II  valore  della  scoperta  da  noi  segnalata  è  semplicemente  topografico.  Essa  ci 
offre  degli  indizi  modesti,  ma  sicuri,  della  presenza  di  un  centro  abitato  rustico,  cioè 
di  un  vicus,  verso  la  periferia  del  territorio  dell'antica  Tifernum  Tiberinum.  Già 
alcuni  anni  or  sono,  nel  maggio  1911,  fu  scoperto  nel  villaggio  di  S.  Lucia,  appena 
a  tre  chilometri  a  nord  di  San  Maiano,  cioè  più  vicino  alla  città,  e  sulla  stessa  via 
provinciale,  un  gruppo  notevole  di  tombe  appartenenti  ad  una  necropoli  di  tarda 
epoca.  Le  sepolture,  una  ventina,  scoperte  in  un  fondo  rustico  appartenente  al 
sig.  Andrea  Mocchi  di  Città  di  Castello,  erano  costituite  di  tegoloni  di  creta  rossastra 
e  di  lavorazione  dozzinale,  posti  orizzontalmente  a  formare  il  letto  della  tomba,  e 
di  altri  simili  disposti  lungo  i  lati  maggiori,  formanti  spiovente.  Tra  tegola  e  tegola 
si  trovavano  gli  embrici.  La  suppellettile  rinvenuta,  però,  consistente  in  vasellame 
di  creta  grossolana,  fu  scarsa   e  quasi  insignificante. 

Nessuna  traccia  di  rivestimento  delle  tombe  si  è  trovata  nella  vicina  necropoli 
di  San  Maiano.  Non  si  esclude  tuttavia  che  una  esplorazione  sistematica  della  loca- 


ROMA  —   166   —  ROMA 

lità  possa  rivelare  qualche  cosa  di  simile.  Comunque,  a  giudicare  dalla  suppellettile 
funebre,  la  necropoli  ultimamente  rinvenuta  si  dimostra  più  antica  dell'altra  a 
S.  Lucia.  La  sua  età  non  può  andar  oltre  il  I  secolo  dell'  Impero,  come  ci  è  atte- 
stato dalla  presenza  di  vasi  aretini  con  bolli  in  pianta  pedis.  L'età  è  anzi  da  limi- 
tarsi entro  il  I  secolo  dell'era  volgare. 

Tutto  questo  serve  a  confermarci  come  già  nei  più  alti  tempi  dell'Impero  Ro- 
mano l'amena  e  fertile  campagna  intorno  a  Città  di  Castello,  e  tutta  l'alta  valle 
del  Tevere,  fosse  largamente  abitata  e  densa  di  case  e  di  villaggi.  Circa  la  mede- 
sima età  Caio  Plinio  Cecilio  Secondo,  che  non  lungi  da  Tiferno  ebbe  la  sua  splen- 
dida villa,  a  lui  specialmente  diletta,  vantava  nelle  lèttere  agli  amici  le  bellezze 
e  le  comodità  della  villa,  l'amenità  e  la  fertilità  della  campagna,  la  ricchezza  della 
regione  bagnata  dal  Tevere,  che  «  medios . . .  agros  secat,  navium  pattern  omnisque 
fruges  devehit  in  urbem,  Meme  dumtaxat  et  vere  »  (Epist.,  Lib.  V,  6*,  Ad  Apol- 
linare). 

G.  Bendinelm. 


III.   ROMA. 
Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Regione  IV.  In  via  Principe  Umberto,  nel  fabbricato  di  proprietà  dell'Isti- 
tuto romano  dei  Beni  Stabili,  è  stato  necessario  di  provvedere,  con  lavori  di  sotto- 
fondazione, al  consolidamento  del  fabbricato  medesimo  per  le  gravi  lesioni  verificatesi 
in  seguito  al  terremoto  del  13  gennaio  1915.  Una  delle  cause  determinanti  le  lesioni 
al  suddetto  stabile,  devesi  attribuire  alla  esistenza  di  alcune  gallerie  sotterranee 
scavate  in  epoca  remota  per  ricavarne  la  pozzolana. 

Praticandosi  lo  sterro  per  un  nuovo  pilone,  distante  m.  6  dal  muro  perimetrale 
sulla  via  Principe  Umberto,  sono  stati  rimessi  allo  scoperto  alcuni  parallelepipedi 
di  travertino,  sovrapposti  l'uno  all'altro  in  modo  da  formare  un  solido  pilastro.  I 
blocchi  sono  semplicemente  abbozzati  e  misurano  in  media  m.  1  di  altezza  e  0,80 
di  larghezza. 

Allo  scopo  di  rendere  più  chiara  l'esistenza  di  questa  antica  costruzione,  sia  per 
la  ubicazione,  sia  per  il  modo  come  i  detti  parallelepipedi  si  sovrapponevano,  credo 
utile  di  darne  un  esatto  disegno,  tanto  più  che  essi  rimangono  inalterati  al  loro  posto, 
perchè  il  moderno  pilone  di  rinforzo  è  stato  addossato  alla  parete  est  dell'  antico 
pilastro. 

Come  si  vede  nella  sezione  annessa  (fig.  1),  i  massi  sono  in  numero  di  sei, 
l'ultimo  dei  quali  poggia  sopra  il  terreno  vergine  costituito  di  cappellaccio  di  tufo, 
il  cui  piano  trovasi  a  m.  9  sotto  quello  della  via  Principe  Umberto.  A  quale  monu- 
mento o  edifìcio  avesse  appartenuto  questo  solido  pilastro  non  è  facile  determinare, 
essendo  pochi  gli  elementi  che  ci  si  presentano;  ma,  se  si  tiene  conto  della  solidità 


ROMA 


—  167 


ROMA 


della  costruzione  e  della  località  in  cui  è  stata  scoperta,  si  potrebbe  congetturare 
cbe  facesse  parte  di  qualche  manufatto  contenuto  nei  sontuosi  giardini  Mecenaziani 
i  quali,  come  è  ben  noto,  occupavano  quella  parte  dell'  Esquilino,  che  era  in  prossi- 
mità dell'aggere  serviano,  fra  le  porte  Viminale  ed  Esquilina. 


* 


Nel  fabbricato  in  uso  al  R.  Istituto  tecnico  Leonardo  da  Vinci,  già  convento 
di  s.  Francesco  di  Paola,  il  Comune  di  Roma  ha  dovuto  provvedere  con  opportuni 
restauri  al  rafforzamento  di  tutto  l'edificio,   lesionato  gravemente  dal  terremoto  del 


marciapiede 


Fio.  1. 


13  gennaio  1915.  Per  ricercare  la  causa  che  ha  determinato  una  forte  lesione  nel 
muro  di  facciata,  prospettante  la  via  Cavour,  è  stato  aperto  un  cavo  alla  distanza 
di  m.  19  dall'angolo  nord-est  del  fabbricato  medesimo.  Approfondito  lo  sterro  e  accer- 
tato che  anche  nella  fondazione  del  detto  muro  la  lesione  continuava,  si  dovette  ne- 
cessariamente proseguire  lo  sterro  sino  ad  incontrare  il  terreno  vergine,  per  poter 
sottofondare  con  maggiore  garanzia. 

Alla  profondità  di  m.  16  circa,  sotto  il  piano  della  strada  d'accesso  alla  chiesa 
di  s.  Francesco  di  Paola,  si  raggiunse  il  terreno  vergine  (cappellaccio  di  pozzolana) 
in  un  punto  nel  quale  il  piccone  affondò,  dimostrando  che  sotto  esisteva  un  vuoto. 
Infatti,  allargato  il  piccolo  foro  prodotto  dal  piccone,  e  ciò  per  rendere  possibile 
l'accesso  nel  sottostante  vuoto,  si  constatò  trattarsi  di  un  ambiente,  scavato  nel  ter- 
reno vergine,  con  le  pareti  e  la  volta  rivestite  d' intonaco. 

Notizu  Scavi  1916  —  Voi.  XHI.  23 


ROMA  —    168    —  ROMA 

La  stanza,  lunga  m.  5,  è  orientata  da  nord  a  sud.  con  l' ingresso  nella  parete 
nord;  la  larghezza  non  fu  possibile  misurarla  perchè  oltre  la  metà  della  stanza  è 
riempita  da  grosse  falde  di  terreno  franato.  A  questo  proposito  giova  ricordare  che 
l' ex-convento  di  s.  Francesco  di  Paola,  adattato  a  tale  uso  nel  1623  dai  Padri  Mi- 
nimi nel  palazzo  Cesar  ini  costruito  sin  dal  1500.  ha  subito  nel  secolo  decimottavo 
una  riedificazione,  nella  quale  epoca  debbono  essere  state  eseguite  alcune  sottofonda- 
zioni, una  delle  quali  è  stata  riconosciuta  nella  camera  ora  scoperta.  Tale  circostanza 
dimostra  che,  sin  da  quell'epoca,  la  volta  della  camera  era  franata  producendo  danni 
all'edificio  soprastante,  e  per  rimediare  a  ciò  fu  gettata  la  sottofondazione  con  pie- 
trame e  calce  mediante  un  cavo  praticato  nell'  interno  dell'edificio  medesimo,  come 
è  stato  possibile  determinare.  In  questi  lavori  gli  operai,  che  penetrarono  nell'antica 
stanza,  debbono  avere  raccolto  ed  asportato  qualsiasi  oggetto  che  in  essa  era  conte- 
nuto, lasciando  però  qualche  frammento,  di  nessun  interesse  artistico  ed  archeologico, 
deposto  sul  piano  di  una  edicola  scavata  nella  parete  opposta  a  quella  dove  si  trova 
l' ingresso. 

La  stanza  (fig.  2)  di  sopra  come  è  stato  detto,  è  lunga  m.  5  e  la  sua  larghezza 
doveva  essere  di  poco  più  grande  d'ella  lunghezza.  È  ricavata  intieramente  nel  ter- 
reno vergine,  e  tanto  le  pareti  quanto  la  volta  ed  il  pavimento  sono  rivestiti  con  in- 
tonaco a  cocciopesto.  In  ciascuno  degli  angoli  formati  dalle  pareti  esiste  un  pilastrino, 
ricavati  anch'essi  nel  vergine,  che  terminano  superiormente,  cioè  all'imposta  della 
volta,  con  un  capitello  di  ordine  dorico.  I  pilastrini  (ved.  Mg.  2,  sezione  A-B)  sono 
alti  m.  2,80,  compreso  il  capitello,  il  quale  misura  m.  0,38  di  altezza  ed  è  costi- 
tuito da  cinque  semplici  modanature. 

La  volta  ha  la  forma  di  una  vela  raffigurante  una  tenda  che  termina  nel  ver- 
tice quasi  a  punta.  Nel  basso  delle  pareti  ricorre  una  zona  dipinta  a  colore  turchino, 
alta  m.  0,62,  compresa  tra  due  fasce  di  color  rosso  larghe  m.  0,045  ;  la  parte  infe- 
riore di  questa  coloritura  trovasi  a  m.  0,40  sopra  il  pavimento.  11  rimanente  delle 
pareti,  come  i  pilastri  e  la  volta,  sono  dipinti  di  bianco  di  calce. 

Nel  mezzo  della  parete,  di  fronte  all'ingresso,  e  a  m.  1,30  sopra  il  pavimento, 
è  una  edicola  ricavata  anch'essa  nel  vergine,  a  sezione  rettangolare,  larga  m.  0,97, 
profonda  0,42,  alta  0,90;  ha  una  specie  di  gradino  largo  m.  0,22,  alto  0,26. 

Nel  centro  quasi  della  camera  fu  trovato  tuttora  al  posto  un  parallelepipedo  di 
tufo,  alto  m.  1  circa,  con  i  lati  larghi  m.  0,50  e  m.  0,55.  Nel  piano  superiore  di 
detto  masso  è  ricavato  un  pozzetto  concavo,  quasi  circolare,  del  diametro  di  m.  0,15 
•  profondo  m.  0,05.  Non  è  dubbia  l'ipotesi  che  questo  masso  avesse  l'ufficio  di 
un'ara,  tanto  più  che  il  genere  di  tutta  la  costruzione  e  gli  elementi  architettonici 
di  essa,  possono  indurci  alla  conclusione  che  la  stanza  fosse  destinata  a  qualche  culto 
religioso  negli  ultimi  tempi  della  repubblica  o  nel  primo  periodo  dell'  impero,  a  so- 
miglianza degli  antichi  sacrari  dell'epoca  repubblicana. 

Rimosso  il  terriccio  che  ricopriva  il  pavimento  si  rinvenne  a  m.  0,50  distante 
dal  masso  di  tufo  dal  lato  verso  l' ingresso,  la  bocca  di  un  pozzo  terminante  a 
sezione  ovoidale  i  cui  assi  misurano  m.  0,60  e  0,80,  e  coperta  sul  piano  del  pavi- 
mento da  una  rozza  lastra  di  travertino. 


ROMA 


—    169 


ROMA 


Il  pozzo  è  scavato  interamente  nella  roccia  tufacea  ed  aveva  la  parete  rivestita 
con  intonaco  a  cocciopesto;  ha  la  sezione  circolare  del  diametro  di  m.  0,60  e  a 
m.  4  sotto  il  pavimento  fu  trovata  l'acqua. 


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Fio.  2. 


Gli  oggetti  rinvenuti  sul  piano  dell'edicola  sono:  piccola  erma  marmorea  man- 
cante della  testa  già  restaurata  in  antico  con  perno  di  ferro;  è  alta  m.  0,27  e  ri- 
magono  sulle  spalle  i  nastri  discendenti  dall'acconciatura  dei  capelli  ;  per  la  confor- 
mazione del  petto  sembra  rappresentare  una  deità  virile,  forse  Dioniso. 


ROMA  —    170   —  ROMA 

Frammento  di  un  foculum  di  terracotta  di  cui  rimane  la  parte  inferiore,  alt. 
m.  0,12  diam.  0,16. 

Due  lucerne  fittili  monolicni  di  forma  comune. 

Piccolo  vaso  fittile  di  terra  giallastra  ad  un'ansa,  bocca  leggermente  svasata, 
ventre  rigonfio  con  piccolo  piede  ;  alt.  m.  0,085. 

Due  frammenti  di  tazza  fittile  a  vernice  nera  lucida. 


Regione  VI.  Sterrandosi  in  via  Napoli  nell'area  scoperta,  sinora  adibita  a 
giardino  di  proprietà  delle  Suore  di  carità,  figlie  di  N.  S.  del  Monte  Calvario,  per 
costruire  la  nuova  casa  conventuale  delle  suore  medesime,  sono  tornati  alla  luce  al- 
cuni avanzi  di  antiche  costruzioni.  Consistono  in  muri  di  opera  reticolata,  dello  spes- 
sore di  m.  0,60,  aventi  la  direzione  da  nord-est  a  sud-ovest,  alla  profondità  di  circa 
m.  2  sotto  il  piano  della  via  Napoli  ;  sono  fondati  su  terreno  vergine  (cappellaccio 
di  tufo)  e  per  la  loro  buona  struttura  possono  attribuirsi  ad  un  edificio  privato  del 
primo  secolo  dell'  impero. 

Uno  di  questi  muri  conservava  una  parte  dell'  intonaco  dipinto  a  fondo  rosso, 
sul  quale  erano  raffigurati  in  prospettiva  alcuni  motivi  architettonici  con  decorazioni 
geometriche,  tra  cui  una  sottile  candelora  con  nascimenti  di  fogliami  e  fiori  con 
qualche  uccellino  ivi  poggiato. 

Nel  basso  la  parete  termina  con  uno  zoccolo,  dipinto  ad  imitazione  marmorea 
di  colore  quasi  nero,  in  cui  ricorre  una  semplice  greca  a  colore  verdastro.  La  stanza 
aveva  il  pavimento  ad  opera  tessellata,  formato  con  tesselli  neri  che  costituivano  il 
fondo  e  piccole  rosette  a  tesselli  bianchi,  disposti  a  forma  di  croce  greca  equidistanti 
una  dall'altra  m.  0,16. 

Ad  un  piano 'più  elevato,  e  cioè  a  m.  1  sotto  quello  di  via  Napoli,  è  stata  ri- 
conosciuta la  pavimentazione  a  poligoni  silicei  di  una  strada  dell'alto  medioevo, 
larga  m.  4  circa,  la  cui  direzione  è  quasi  parallela  alla  via  Napoli;  era  fiancheg- 
giata da  costruzioni  laterizie  di  cui  rimangono  scarsi  avanzi. 

Notevole  è  la  scoperta,  nell'area  verso  la  via  Agostino  Depretis,  di  una  grande 
piscina  a  pianta  rettangolare.  È  costruita  con  muri  a  mattoni;  e  tanto  le  pareti, 
quanto  il  pavimento,  sono  rivestiti  con  un  grosso  strato  di  cocciopesto  con  intonaco 
dipinto  di  colore  azzurro.  Tale  genere  di  costruzione  è  proprio  dei  romani,  i  quali 
volevano  imitare  l'acqua  del  mare  per  la  coltivazione  dei  pesci. 

Regione  VII.  Eseguendosi  lo  sterro,  per  la  costruzione  di  una  latrina  sotter- 
ranea, all'angolo  sud-est  della  piazza  S.  Silvestro,  alla  profondità  di  circa  m.  3,50 
sotto  il  piano  di  questa,  è  stato  rinvenuto  fra  la  terra  un  rocchio  di  colonna  di  gra- 
nito rosso,  lungo  m.  0,80,  del  diametro  di  m.  0,60.  Nella  parete  nord  del  cavo,  ed 
alla  profondità  di  circa  in.  4,50  sotto  il  piano  della  piazza,  sono  stati  incontrati  al- 
cuni parallelepipedi  di  tufo  che  s'internano  nella  terra,  disposti  in  un  solo  filare 
nella  direzione  est-ovest;  essendo  i  detti  blocchi  posti  in  opera  con  calce,  non  sembra 


ROMA  —    171    —  ROMA 

che  debbano  attribuirsi  a  costruzione  di  epoca  romana,  ma  bensì  a  sostruzioni  di 
edifici  medioevali.  Si  vide  anche,  alla  medesima  profondità,  un  masso  squadrato  di 
travertino,  largo  m.  1,70  X  1,20,  il  quale  trovasi  quasi  all'angolo  della  piazza 
suddetta. 

* 

Via  Appia.  Nella  tenuta  Barbuta,  di  proprietà  del  conte  Martini-Marescotti, 
l'Istituto  Zootecnico  laziale  enfiteuta  di  quel  terreno,  sta  provvedendo,  con  un  razio- 
nale adattamento  della  tornita  stessa,  ai  bisogni  stabiliti  dall'  Istituto  predetto.  Oltre 
alla  costruzione  dei  fabbricati  da  adibirsi  ai  vari  usi,  è  stata  praticata  in  alcuni 
appezzamenti  una  profonda  aratura  con  sistema  meccanico  per  la  coltivazione  delle 
varie  specie  di  foraggi.  Ritengo  utile  ricordare  a  questo  proposito  alcune  scoperte 
avvenute  nell'anno  1903,  delle  quali  però  non  fu  allora  data  notizia  in  attesa  che 
fossero  continuati  i  saggi  di  scavo  per  conto  del  proprietario,  cosa  che  non  si  è 
fino  ad  ora  verificata. 

In  quell'epoca  furono  eseguiti  limitati  saggi  di  scavo  che  ebbero  per  risultato 
lo  scoprimento  di  alcuni  resti  di  muri  in  opus  reticulatum,  appartenenti  ad  una  villa 
romana  suburbana.  Il  luogo  ove  fu  riconosciuta  l'esistenza  di  questa  villa  è  a  nord-est 
dei  casali  di  Tor  di  Mezza  Via  di  Albano  sopra  una  leggiera  elevazione  del  terreno. 
I  muri  affiorano  quasi  a  superficie  del  piano  di  campagna,  in  modo  che  in  uno 
dei  pavimenti  non  rimaneva  che  l' hypocaustum  formato  con  i  pilastrini  a  mattoni 
quadri  di  m.  0.22  di  lato,  equidistanti  fra  loro  m.  0,37;  come  pure  qualche  avanzo 
delle  pareti  conservava  la  traccia  dei  mattoni  forati  per  il  riscaldamento  delle 
camere.  La  primitiva  costruzione,  che  può  risalire  al  primo  secolo  dell'impero,  è 
stata  in  epoche  posteriori  restaurata  e  trasformata  in  alcune  parti,  come  risulta 
dalle  diverse  strutture  dei  muri  in  laterizi  ed  a  piccoli  parallelepipedi  di  pietra 
albana. 

Negli  odierni  lavori  di  aratura  meccanica  è  stata  rimessa  alla  luce,  a  soli  30 
centimetri  sotto  il  piano  di  campagna,  l'antico  selciato  di  un  diverticolo  che  con- 
giungeva le  vie  Appia  e  Latina  a  circa  il  7°  miglio  da  Roma.  È  largo  m.  2  ed  è 
limitato  da  ambedue  i  lati  dalle  consuete  crepidini,  alte  m.  0,10;  il  tratto  scoperto, 
che  ha  circa  m.  40  di  lunghezza,  è  in  ottimo  stato  di  conservazione. 

Di  questa  scoperta  dobbiamo  essere  grati  alla  solerzia  del  doti  Sante  Caldieri, 
vice  direttore  dell'  Istituto  predetto,  per  averne  intuito  Y  importanza  e  per  aver  prov- 
veduto alla  integra  conservazione,  avvertendo  con  sollecitudine  la  Direzione  degli 
Scavi.  Ora  abbiamo  la  sicura  testimonianza,  come  è  stato  già  accennato  più  sopra, 
che  le  vie  Appia  e  Latina  erano  congiunte  a  circa  il  7°  miglio  da  Roma,  con  un 
diverticolo,  il  quale,  seguendo  l'andamento  della  moderna  via  campestre,  staccandosi 
dall'  Appia  Nuova  all'altezza  del  casale  di  Tor  di  Mezza  Via,  si  dirige  sotto  il  ca- 
valcavia della  linea  ferroviaria  Roma-Napoli,  con  uno  spostamento  di  soli  m.  40  ad 
est  della  moderna  strada;  e  che  il  diverticolo  medesimo  serviva  a  dare  accesso  alla 
villa,  i  cui  avanzi,  rimessi  a  luce  nell'anno  1903,  trovansi  a  poche  diecine  di  metri 
dal  margine  est  dell'antica  strada  ora  riconosciuta. 


RÓMA 


—  172 


ROMA 


* 
♦    * 


Via  Latina.  Nel  cavo  eseguito  in  via  Appia  Nuova  per  la  costruzione  della 
fogna  di  destra,  uscendo  dalla  porta  S.  Giovanni,  è  stato  rinvenuto,  quasi  di  fronte 
al  bivio  della  via  Tuscolana,  un  capitello  di  marmo  bigio  di  ordine  corinzio,  alto 
m.  0,65  col  diametro  di  m.  0,45  ;  è  molto  danneggiato  nelle  membrature,  ma  per 
la  buona  scultura  deve  aver  fatto  parte  di  un  nobile  monumento. 

Praticandosi  un  piccolo  cavo,  sulla  stessa  via  Appia  nuova,  alla  distanza  di  circa 
m.  300  dalla  porta  S.  Giovanni,  per  la  costruzione  del  ciglio  del  nuovo  marciapiede, 
è  stato  appena  veduto  un  tratto  di  antica  galleria  scavata  nel  cappellaccio  di  tufo 
e  che  doveva  far  parte  di  qualche  ambulacro  cimiteriale;  nelle  pareti  rimaneva 
triiccia  dei  loculi,  i  quali  all'  ingiro  avevano  l' incasso  per  la  chiusura  con  lastre 
marmoree  o  con  tegole  o  mattoni  fittili. 

Per  la  ristrettezza  del  cavo  e  per  le  difficili  condizioni  statiche  del  terreno,  in 
gran  parte  franato,  non  è  stato  possibile  avere  dati  sicuri  per  l'identificazione  di 
quel  cimitero,  che  però,  secondo  gli  itinerari  dei  topografi  del  settimo  secolo,  po- 
trebbe essere  quello  di  Gordiano  ed  Bpimaco  al  primo  miglio  della  via  Latina,  ri- 
cordato dall'Armellini  negli  Antichi  cimiteri  cristiani,  pag.  243. 

E.  Gatti. 

* 

Nella  prosecuzione  dei  lavori  per  la  direttissima  Roma-Napoli,  presso  Tor  Fiscale 
(a  sinistra  della  via  Latina)  pochi  metri  più  a  sud  del  secondo  sepolcro  sterrato 
nel  1913  {Notizie,  1913,  pag.  442)  si  sono  rinvenuti  in  terreno  di  scarico  altri  due 
frammenti  di  iscrizioii  sepolcrali  e  il  bollo  di  mattone  C.  I.  L.  XV,  756. 

La  prima  iscrizione,  in  ottimi  e  profondi  caratteri  del  I*  secolo,  presenta  solo  parte 
delle  prime  tre  righe,  con  scorniciatura  al  di  sopra.  Il  nome  del  titolare  del  sepolcro, 
forse  un  liberto,  è  di  incerto  supplemento. 


liberta  liberta 
?  eo 


YRN 

WSQVE-posterisque 

IR  V  M 


La  seconda  iscrizione  è  posteriore  di  quasi  due  secoli;  si  riferisce  anche  essa 
alla  tomba  di  un  liberto  imperiale,  fatta  per  sé  e  per  la  sua  famiglia.  Il  mezzo  della 
iscrizione  sembra  dato,  secondo  i  supplementi,  dalla  lettera  H  della  ultima  linea. 


ROMA  —    173    —  ROMA 


Tvl> 
a  V  G  •  L  1  B  •  T  kbularius 
suis  fecit/iLT  ■  SIBI  •  ITEJW  et  libertis   libertabusque 
c/O    S  T   E   R    I    S   Q  uè  eorum 
aedi  fi  /CIOLVM-IVNCTVM'&M  sepulchro 
«AviACERIAE  •  CIR.CVM  C\iausum 
cam  V'ENIEMAD  HOC  MON1MENTVM  sii  mihi  terra  levis 


QVOD  H 


est. 


Nella  prima  riga  era  il  nome  intero  del  liberto,  che  fu  tabularius,  cioè  archi- 
vista della  casa  imperiale,  e  fece  il  monumento,  ancora  vivo,  per  sé,  per  i  suoi  e 
forse  anche  per  le  famiglie  dei  liberti  e  delle  liberto.  Sono  notevoli  le  righe  5  e  6 
che  ricordano  i  limiti  della  proprietà,  circondata  da  una  maceria,  secondo  il  sistema 
comune,  specialmente  per  i  sepolcri  (cfr.  C.  I.  L.  VII,  10876,  23090.  26942,  29322, 
29789,  29790,  29961,  30073,31051;  Verg.,  Moretum  v.  61  seg.),  nella  quale  pro- 
prietà era  anche  una  piccola  costruzione  (aedificiolum)  attinente  al  sepolcro,  per  la 
manutenzione  di  questo  e  iell'horlulus  circostante,  e  quindi  inviolabile  come  il 
sepolcro. 

La  forma  maceriae,  che  non  ha  riscontro  nella  frase  comunissima  maceria  clau- 
sum  o  circumclausum,  deve  essere  un  errore,  forse  per  macerie,  caso  abl.  della  V 
declinazione.  L'ultima  riga  è  alquanto  corrosa  nella  parte  di  destra. 

G.  Logli. 

* 


* 


Facendosi  il  solco  per  piantare  la  siepe  lungo  la  linea  della  direttissima  Roma- 
Napoli,  nella  tenuta  del  Quadraro,  poco  prima  del  punto  in  cui  la  nuova  linea  fer- 
roviaria passa  sotto  le  attuazioni  dell'acquedotto  Felice,  a  circa  20  cm.  dal  piano 
di  campagna  si  è  rinvenuta  una  statua  femminile  acefala.  Scolpita  in  marmo  greco, 
misura  in  altezza  circa  m.   1,55,  e,  compreso  il  plinto,  m.  1,69  (fig.  3). 

La  figura  posa  sulla  gamba  destra  ed  ha  la  sinistra  leggermente  ripiegata  e 
spinta  indietro.  È  vestita  di  chitone  e  di  himation,  di  cui  regge  un  lembo  con  la 
mano  sinistra;  il  braccio  destro  era  leggermente  proteso  e  l'avambraccio  elevato.  La 
mano  destra  è  perduta  ;  essa  probabilmente  reggeva  uno  scettro,  come  attestano  due 
attacchi  che  si  vedono  sul  mantello.  La  mano  sinistra  tiene  un  papavero,  il  cui  stelo 
si  deve  considerare  stretto  tra  le  pieghe  del  vestito;  parecchi  colpi  di  piccone  hanno 
deturpato  qua  e  là  la  figura.* 


ROMA 


—  174  — 


ROMA 


Le  proporzioni  della  statua  non  sono  molto  gradevoli,  ma  il  drappeggio  è  gene- 
ralmente ben  lavorato,  e  fine  è  l'esecuzione  della  mano  sinistra;  il  lavoro  è  di  epoca 
romana  imperiale  e  la  statua  rappresenta  una  matrona  ritrattata  sotto  le  sembianze 
di  Cerere,  come  era  uso  frequente. 


Fio.  8. 

Probabilmente  la  statua  apparteneva  a  qualche  monumento  sepolcrale  della  via 
Latina,  da  cui  deve  essere  stata  tolta  in  un  tempo  che  non  è  possibile  determinare. 
Certo  era  destinata  a  stare  in  una  nicchia,  poiché  il  tergo  non  è  finito  di  lavorare. 

Neil'  impostatu  a  e  nel  drappeggio  la  statua  si  ricollega  con  opere  che  si  deb- 
bono attribuire  al  quarto  secolo  ;  il  ritmo  del  corpo  ricorda,  per  citare  qualche  esempio, 
la  figura  sepolcrale  di  Trentham-Hall  ('),  le  Muse  di  Mantinea('),  l'Artemis  di  Lar- 

(')  Collignon,  Statue*  funerairet,  p.  164esegg.  (fig.  di  frontespizio);  S.  Beinach,  Rép.  Stat., 
IV,  pag.  410,  1. 

(8)  S.  Reinach,  Rép.  dea  relieft,  I,  p.  184  e  segg.  e  quivi  le  indicazioni  bibliografiche. 


ROMA  —    175    —  ROMA 

naka  (1),  ereazioni  dunque  che  dipendono  più  o  meno  direttamente  dall'arte  di  Pras- 
sitele.  Ed  anche  il  vestito  dalle  pieghe  abbondanti,  con  le  linee  dello  himation  che 
traversa  obliquamente  il  petto,  tradisce  caratteri  prassitelici. 

Il  fatto  che  di  questa  statua  si  conoscono  molte  repliche  (*)  attesta  chiaramente 
che  essa  deve  considerarsi  come  la  copia  di  un  originale  abbastanza  celebre,  il 
quale  per  le  considerazioni  che  qui  abbiamo  fatto  deve  attribuirsi  alla  cerchia  pras- 
sitelica.  Ci  troviamo  in  questo  caso  di  fronte  ad  uno  dei  tanti  tipi  (3)  che  l'arte 
attica  del  quarto  secolo  ha  creato  e  che,  attraversando  non  senza  subire  qualche  alte- 
razione il  periodo  ellenistico,  sono  sopravvissuti  e  si  sono  riprodotti  in  copie  innu- 
merevoli nell'età  romana. 

■* 

Via  Ostiense.  Per  i  lavori  di  rialzamento  della  via  di  Grotta  Perfetta,  si 
è  aperta,  nella  tenuta  Volpi,  a  destra  di  detta  via,  a  qualche  centinaio  di  metri 
dalla  Ostiense,  una  cava  di  prestito.  I  lavori  di  sterro  hanno  rivelato  in  quel  punto 
l'esistenza  di  alcune  misere  sepolture  antiche,  giacenti  a  poca  profondità  sotto  il 
piano  di  campagna.  Uno  scheletro  era  deposto  nella  terra,  e  solo  sul  cranio  posava 
un  frammento  di  mattone  con  il  bollo  C  Al  (C.  Aeli?);  altri  erano  coperti  da  un 
mucchio  di  sassi.  Una  sepoltura  che  si  è  potuta  meglio  osservare,  era  costituita  da 
sei  mezze  anfore,  le  quali  racchiudevano  lo  scheletro,  essendo  disposte  in  direzione 
normale  ad  esso.  Lo  scheletro  era  orientato  con  la  testa  a  sud;  la  testa  era  coperta 
dalla  parte  inferiore  di  un  dolio.  Nello  sterro  si  sono  rinvenuti  pure  un  vasetto  di 
terracotta  giallastra,  mancante  di  una  parte  dell'orlo  e  del  manico,  e  due  frammenti 
di  piccoli  vasi  di  terracotta  rossastra. 

F.   PORNARI. 


(•)  S.  Reinach,  Rép.  Stat.*  II,  pag.  318,  9. 

(2)  Id.,  op.  cit,  I,    pag.  604,2;    II,   pag.  240,    1;    241,  10;    243,   8;    656,   9;    671,    2;    III, 
pag.  194,  2;  197,  3;  282,  6;  IV,  pag.  407,  5;  411,  3. 
(•)  Cfr.  Collignon,  op.  cit.,  p.  287  e  segg. 


Notizi*  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  24 


OSTIA  —    176    —  REGIONE    I. 


Regione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

LAT1UM. 


IV.  OSTIA  —  Scavi  eseguiti  nell'area  dell'antica  città  durante  il 
mese  di  maggio. 

Gli  scavi  si  svolsero  in  questo  mese  principalmente  nella  vasta  isola  compresa  tra 
l'area  sacra  del  tempio  di  Vulcano,  il  decumano,  la  via  così  detta  della  casa  di  Diana 
e  la  via  normale  a  quest'ultima  e  al  decumano.  Sarà  nondimeno  opportuno  che  la 
completa  descrizione  di  quanto  in  questa  isola  si  osservò,  sia  rimandata  al  tempo  in 
cui  lo  scavo  ne  sarà  stato  terminato.  Ci  limitiamo  per  ora  a  dire,  che  al  pari,  se 
non  più  di  altre  regioni  della  città,  appariscono  qui  molteplici  segni  di  rifacimenti  e 
di  successive  mutazioni  di  edifici  che  rendono  appunto  necessario  attendere  la  fine 
dell'esplorazione  per  sceverare  e  descrivere  con  sicurezza  le  successive  costruzioni, 
e  acquistare  così  di  tutte  una  abbastanza  chiara  visione. 

Come  già  fu  detto  in  altra  relazione,  il  luogo  era  stato  già  frugato  da  precedenti 
e  non  molto  remote  esplorazioni,  e  questa  ci  portò  due  mali:  scarsezza  somma  di 
trovamenti,  e  danni  notevoli  da  riparare  nelle  antiche  murature  trattate  da  quegli 
scavatori  con  pochissimo  o  nessun  riguardo. 

In  uno  dei  locali  di  questa  isola  che  si  aprivano  sul  decumano  ad  un  livello 
superiore  a  quello  di  un  originario  pavimento  a  mosaico,  ma  inferiore  a  quello  di  una 
soglia  che  corrisponde  all'ultimo  rialzamento  della  via.  fu  trovato  un  pavimento  di 
lastre  marmoree.  Rovesciate  quelle  lastre,  si  vide,  che  due  di  esse  erano  iscritte. 

La  prima  è  una  grande  tavola  di  m.  2,19  X  1,32.  L'iscrizione  la  copre  solo  per 
circa  una  metà  dell'altezza  (m.  1,10);  a  diversa  posizione  si  aprono  tre  fori,  due  in 
basso,  uno  in  alto,  destinati  al  passaggio  di  grappe  metalliche.  Questo  particolare 
e  le  proporzioni  alte  e  strette  della  tavola  lasciano  pensare  che  essa  fosse  ado- 
perata in  un  edificio  di  carattere  sepolcrale,  forse  come  una  finta  porta  (l).  L'iscri- 
zione è  in  belle  lettere,  alte  mm.  85  nelle  prime  cinque  linee,  mm.  70  nelle  due 
seguenti,  mm.  55  nell'ultima.  Attesa  la  perfezione  dei  caratteri,  ne  diamo  qui  una 
riproduzione. 


(l)  Cfr.,  per  esempio,  di  iscrizioni  su  una  porta  marmorea  di  sepolcro,  l'iscrizione  di  Chieti  : 
Barnabei  in  Not.  scavi,  1888,  pag.  746;  Grhislanzoni  in  Man.  Lincei,  XIX,  pag.  582. 


REGIONE    I. 


—    177    — 


OSTIA 


pavfidiopfi^qVir 

"FDRTF|tV  FI  D_If  Ó  RT I S 

pcfi1iivirq(aedil 

flam-romae-etavg 

flam^witi 

JB^STIANVS  vEPICIITys 

evphrosyìwSanvaIiìvs 

•  LIBERTI 


Linee  2-3  Aufidì  Fortis  p(atroni)  c(oloniae)  fil(io). 

La  nuova  iscrizione  ci  fa  conoscere  il  figlio  di  un  personaggio  già  a  noi  noto 
da  altra  iscrizione,  Publio  Aufìdio  Forte  patrono  della  colonia  (').  Non  y'è  dubbio 
possibile  sulla  identificazione,  perchè  sono  gli  stessi  quattro  liberti  che  dedicano  le 
due  iscrizioni.  Due  di  costoro,  Faustianus  ed  Epictetus,  sono  gli  stessi  P.  Aufidius 
Faustianus  e  P.  Autidius  Epictetus  ricordati  pure  insieme  in  una  iscrizione  ;  il  primo 
come  quinquennale,  l'altro  come  questore  del  collegio  dei   mercatores  frumentarii 

(')  Notizie,  scavi,  1910,  pag.  103,  e  1912,  pag.  348. 


OSTIA  —    178   —  REGIONE    I. 

di  Ostia  (1).  Mentre  la  nostra  iscrizione  è  quasi  certamente  sepolcrale,  l'altra  posta 
al  padre  è  iscritta  in  una  base,  e  perciò  probabilmente  onoraria.  Uguale  dimostra- 
zione di  onore  non  potè  forse  la  pietà  dei  liberti  porgere  verso  il  figlio  che  non  aveva 
raggiunto  l'alta  posizione  di  patronus  coloniae,  e  dovette  perciò  contentarsi  di  ono- 
rarne il  sepolcro  immaturamente  aperto. 

La  nuova  iscrizione,  al  pari  dell'altra  di  Autidio  Forte,  padre,  non  è  esattamente 
databile;  solo  si  può  dire,  che  essa  è  posteriore  a  Tito,  e,  data  la  bella  forma  dei 
suoi  caratteri,  da  ritenersi  probabilmente  entro  i  primi  anni  del  secondo  secolo  d.  C. 
È  degno  di  nota  il  caso  che  di  quattro  flamines  Romae  et  Augusti  finora  noti  in 
Ostia  (2)  tre  sono  anche  flamiaes  divi  Titi. 

Piccola  lastra  marmorea  di  m.  0,93  X  0,27,  lettere  alte  m.  0,06. 
VRGVLANIA  VENVSTINA 
HICDORMIT  IN  PACE 

L'iscrizione  adopera  una  forinola  usitatissima  nella  epigrafia  cristiana  ostiense, 
e,  come  lasciano  ritenere  anche  i  caratteri  di  età  tarda,  è  da  credersi  piuttosto  cristiana 
che  giudaica.  11  nome  Urgulania,  nuovo  per  Ostia,  appare  oltre  che  in  iscrizioni 
romane  di  liberti,  per  quanto  io  so,  soltanto  in  Dalmazia  (C.  I.  L.  Ili,  indices). 

La  stanza  adunque,  entro  cui  questa  e  l'altra  epigrafe  erano  state  usate  come 
lastre  da  pavimento,  ebbe  questo  adornamento  in  epoca  notevolmente  tarda,  quando 
già  potevano  rimuoversi  dal  posto  originario  iscrizioni  sepolcrali  cristiane  difficilmente 
più  antiche  del  III  secolo.  Né,  come  si  è  accennato,  questo  fu  l'ultimo  adattamento 
di  quel  locale,  che  la  soglia  della  porta  che  in  essa  immette  dal  Decumano  è  rial- 
zata, e  doveva  a  quel  più  alto  livello  corrispondere  un  battuto  di  terra. 


Tra  gli  scarichi  che  ancora  occupano  in  parte  la  strada  della  casa  di  Diana 
furono  rinvenuti  i  seguenti  oggetti: 

Anellino  d'argento  a  larga  fascetta  con  una  corniola  incisa.  Vi  è  rappresentata 
una  barca  carica  di  quattro  anfore  a  larga  pancia,  in  mezzo  alla  quale  è  un  uomo 


Fio.  1. 
(tìg.  1).  Nel  campo  al  disopra  delle  figure  sono  tre  lettere  retrograde  Q_VP  proba- 

(')  C.  /•  L.  XIV,  161.  L'iscrizione  non  è  databile.  Il  Vaglieri  a  ragione  esclude  che  possa 
esser  riferita  a  P.  Aufidio  Faustiano  la  iscrizione  0. I.  L.  XIV,  303  (cfr.  Not.  icavi,  1910,  pag.  103), 
che  si  è  poi  veduto  spettare  a  P.  Aufidio  Porte  padre  (Not.  scavi,  1912,  pag.  348J.  P.  Aufidio 
Epitteto  può  essere  identico  con  quello  di  cui  si  ha  l'iscrizione  sepolcrale  in  versi  G.  I.  L.  XIV,  636. 

(*)  C.I.L.  XIV,  373,  400,  4142  e  la  nostra  iscrizione. 


REGIONE    I. 


179 


OSTIA 


bilmente  le  iniziali  dei  tre  elementi  del  nome  del  proprietario.  L'incisione  è  piut- 
tosto rozza;  il  soggetto  non  potrebbe  essere  maggiormente  ostiense. 

Manico  in  osso  di  coltello  a  lama  fissa,  a  sezione  rettangolare,  liscio,  terminato 
in  forma  di  testa  d'aquila  di  fattura  molto  buona. 

Lucerna  in  terracotta  con  la  singolare  figurazione  del  bue  Api  sul  disco,  avanti 
al  quale  è  qualche  cosa  chejpuò  essere  o  un  piccolo  edificio  quadrangolare,  ornato 
da  pilastri  riprodotto  in  minori  proporzioni,  o  una  tavola  di  libazione  (fig.  2).  Dietro 


Fio.  2. 

al  bue  sono  due  alte  colonne  con  capitelli  di  forma  singolare.  Che  si  tratti  proprio 
del  bue  Api,  si  deduce  dal  segno  in  forma  di  mezza  luna  sul  fianco  che  era  appunto, 
almeno  secondo  alcune  delle  tradizioni  riportate  dagli  antichi  scrittori,  uno  dei  segni 
indicatori  del  sacro  animale  i  '). 

Anche  le  architetture  vogliono  avere  un  tipo  esotico,  così  come  poteva  imma- 
ginarlo o  ricordarlo  un  disegnatore  incolto.  Se  è  un  edificio  quello  posto  avanti  il 
bue,  volle  forse  l'artista  riprodurre  la  cella  in  cui  il  bue  Api  era  ospitato  in  vita, 
mentre  le  colonne  possono  designare  il  celebre  luogo  di  sepoltura  degli  Api,  il  Serapeo 
di  Menfi. 

Porse  può  destare  qualche  meraviglia  il  fatto  che  dei  figlili  romani  abbiano 
ricordato  una  vecchia  e  genuina  divinità  egizia,  mentre  per  solito  ai  Romani  non 
sembrano   essere  pervenute  che  alcune   delle   figure   del  culto  egizio  già  pervase  e 


(')  Plin.  Nat.  Hist.  Vili,  184;  Aelian,  Hitt.  Anim.  XI,  10  seg. 


OSTIA  180    —  REGIONE    I. 


trasformate  dallo  spirito  religioso  ellenistico,  e  apparve  ripugnante  il  teriomorfismo 
della  primitiva  religione  egizia  (l).  Ma  anche  nella  nostra  misera  tradizione  letteraria 
abbiamo  notizie,  che  qualcho  volta  le  antichissime  e  solennissime  cerimonie  del  sep- 
pellimento dell'Api  morto  e  della  scelta  del  nuovo  dovettero  destare  a  Roma  un 
particolare  interesse.  Così  quando  Tito  assistette  alla  deposizione  di  un  Api  (*),  o 
quando  al  tempo  di  Adriano  tumulti  sorsero  in  Alessandria  per  la  questione  del  luogo 
ove  doveva  essere  alloggiato  un  nuovo  Api  (3).  In  una  di  queste  occasioni,  o  di  altre 
simili  a  noi  ignote,  può  essere  stata  fabbricata  e  posta  in  vendita  la  nostra  lucerna 
che  avrebbe  avuto  sapore  di  attualità,  come  spesso  accadeva  per  le  decorazioni  di 
siffatti  oggettini. 


Fio.  3. 

Dalle  terre  che  si  scaricano  alla  sponda  del  fiume  si  ebbe  una  fìbuletta  di 
bronzo  lavorata  a  traforo  di  forma  singolare  (fig.  3)  costituita  da  tre  girali  che 
incontrandosi  tra  loro  e  con  tre  conchiglie  vengono  a  t'ormare  una  figura  circolare. 
L'ago  mobile  entro  cerniera  è  ben  conservato,  la  staffa  è  rotta. 

Di  bolli  figulini  debbo  ricordare  un  frammento  di  tegola  con  due  bolli  rettan- 
golari nuovi  uno  dei  quali  retrogrado: 


LOTO 


3INOÌ\ 


Due  nuovi  esemplari  del  bollo  C.  I.  L.  XV,  1514,  permettono  di  darne  più 
completa  e  sicura  lezione: 

EX  FIG  A  VICIRI  MARTIA 

FEC  PAP1RIV 

CAR 

li.  Paribeni. 

(')  Cfr.  Cumont,  Le  religioni  orientali  nel  paganesimo  romano,  trad.  Salvatorelli,  pag.  77  seg.  ; 
Weber,  Aegyptisch-griechische  Gótter  in  IfeUenismus  Groningen,  1912.  11  bue  Api  non  si  trova  che 
raramente  in  monumenti  greco  romani  così  su  alcune  monete  di  Traiano,  Adriano  e  Antonino  Pio, 
coniato  in  Alessandria,  Dattari,  Numi  Augustorum  Alexandrini,  1182,  2006  e  2012;  Coins  of  the 
lirit.  .1/ 'ai- uni  :  Alexandria,  nn.  808,  813,  1174,  1175,  e  in  monete  del  nomos  di  Mentì  e,  cosa  per 
noi  di  molto  interesse,  in  rilievi  in  terracotta  provenienti  da  una  tomba  ostiense:  Monumenti  del- 
l'Itt ,  VI,  tav.  11,  fig.  A. 

(2)  Suet.,  Ttiu»,  5. 

(3)  /list.  Aug.  fladrianuì,  12. 


REGIONE    I.  —    181    —  SEZZK 


V.  SEZZE  —  Statua  marmorea  ed  avanzi  di  antiche  fabbriche 
rimessi  a  luce  nel  territorio  del  Comune  di  Sezze,  cioè  nel  territorio 
dell'antica  Setta. 

Nell'aprile  del  1915  ad  alcune  centinaia  di  metri  dalla  stazione  ferroviaria  di 
Sezze,  a  sinistra  della  via  che  porta  al  paese,  in  località  «  Casale  acque  vive  »  ese- 
guendosi alcuni  lavori  in  una  cava  di  prestito  per  la  direttissima  Roma-Napoli,  in 
proprietà  dei  signori  Zaccheo,  vennero  alla  luce  considerevoli  avanzi  di  costruzioni 
antiche,  parte  in  opera  reticolata  e  parte  in  laterizio.  Ma  la  scoperta  più  notevole  fu 
quella  di  una  statua  in  marmo. 

Nel  marzo  191  <3,  dovendosi  continuare  i  lavori  della  cava,  si  sono  eseguiti,  con 
l'assistenza  di  un  custode  della  Soprintendenza  agli  scavi  di  Roma,  alcuni  piccoli 
sterri,  che  hanno  rivelato  bensì  alcune  particolarità  dell'antica  costruzione,  ma  non 
sono  stati  sufficienti  per  poterci  dare  un'  idea  della  pianta  generale  dell'edificio  e 
della  precisa  destinazione  degli  ambienti  scoperti.  Si  può  dire  solo  che  essi  erano 
adibiti  ad  uso  di  terme,  ma  non  è  possibile  stabilire  se  si  trattasse  di  un  vero  e 
proprio  edificio  termale,  o  di  una  grande  terma  appartenente  a  qualche  villa,  di  cui 
le  altri  parti  si  estendessero  nelle  adiacenze  degli  avanzi  rinvenuti;  poiché  per  lungo 
tratto,  in  questa  località,  appariscono  tracce  evidenti  di  considerevoli  costruzioni  antiche 
tuttora  sepolte. 

L'ambiente  più  notevole  per  ampiezza  è  una  camera  quasi  quadrata  (misura  nel- 
l'interno m.  7,22  X  7,08)  costruita  in  laterizio.  Intorno  alle  pareti  è  un  rivestimento 
di  mattoni  che  misurano  m.  0,55  X  0,44.  Sul  piano  del  pavimento,  coperto  di 
grossi  mattoni  che  misurano  m.  0,63X0,54,  sono  alcuni  piccoli  muri  a  cortina  di 
m.  1,46  X  0,30.  rivestiti  di  mattoni  simili  a  quelli  delle  pareti,  fermati  al  muro  con 
chiodi  di  ferro  e  grossa  testa.  Nel  lato  sud,  in  epoca  più  tarda,  la  camera  fu  ri- 
stretta con  due  massicciate  di  pietrame,  in  una  delle  quali  e  incavata  una  specie 
di  piccola  vasca  rivestita  di  marmo.  Verso  il  centro  della  camera  è  pure  una  costru- 
zione di  forma  ovoidale  di  epoca  più  tarda.  Nell'interno  dell'ambiente,  a  m.  1,78 
dal  lato  nord  si  è  trovato  pure  un  corridoio  sotterraneo  costruito  in  parte  a  cortina 
e  in  parte  in  reticolato,  lungo  m.  2,97,  largo  m.  0,88  e  col  pavimento  coperto  di 
grossi  tegoloni. 

A  sud  di  questo  ambiente  centrale  e  adiacenti  ad  esso  sono  gli  avanzi  di  un 
altro  ambiente  rivestito  nel  pavimento  e  nelle  pareti,  da  lastre  di  marmo  di  varie 
qualità  e  di  vario  colore.  Forse  si  tratta  di  un  frigidario. 

Intorno  all'ambiente  centrale  si  vedono  muri  formati  da  piccoli  parallelepipedi 
di  selce  con  ricorsi  di  mattoni  ;  ma  le  camere  che  essi  formavano  non  sono  sterrate, 
e  perciò  nulla  è  possibile  dirne. 

Ad  occidente  di  questo  gruppo  principale  si  è  messo  allo  scoperto  un  piccolo 
ambiente  absidato,  costruito  in  mattoni.  Intorno  alle  pareti  sono  disposti  vertical- 
mente tubi  di  coccio  a  sezione  rettangolare,  collegati  e  coperti  con  malta  e  rivestiti 
di  marmo,  di  cui  rimangono  tracce.  L'abside  è  chiusa  davanti  da  un  muro  intonacato. 


SftZZR 


182 


KBOIONE    I. 


Il  pavimento  è  formato  di  cocciopesto.  In  mezzo  all'abside  si  apre  un  arco  a  tutto 
sesto  della  corda  di  m.  1,20,  sotto  del  quale  è  un  cuniculo  che  si  estende  sotto  il 
pavimento.  Si  tratta  evidentemente  di  un  ipocausto. 

Presso  a  questo,  a  sud-ovest,  è  un  altro  piccolo  ambiente  absidato.  Sul  pavi- 
mento, coperto  di  mattoni  di  m.  0,60  X  0,53  X  0,05,  posano  diversi  pilastrini 
(suspensurae)  distanti  uno  dall'  altro  m.  0,80  e  destinati  a  sostenere  un  pavi- 
mento superiore  di  cui  restano  tracce.  Fra  i  pilastrini  ed   anche  nel  muro  absidato 

sono  mattoni  tubolari  a  sezione  rettangolare  di 
m.  0,40  X  0,13  X  0,10.  Intorno  all'abside  era  uno 
strato  di  cocciopesto,  che  era  rivestito  con  lastrine 
di  marmo. 

Fra  il  terreno  di  scarico,  che  riempiva  le 
varie  parti  dell'edificio,  si  sono  rinvenuti  un  ca- 
pitello marmoreo  di  ordine  corinzio,  alto  m.  0,37, 
due  frammenti  di  capitelli  dello  stesso  ordine, 
cinque  rocchietti  di  colonne  di  granito  bigio,  e 
uno  di  colonna  baccellata  di  marmo  bianco,  vari 
frammenti  di  intonaco  colorato,  uno  dei  quali  a 
due  strati,  l'inferiore  rosso  e  il  superiore  verde; 
alcuni  frammenti  di  stucco  e  un  frammento  di 
mortaio  in  serpentino  (m.  0.21  X  0,16  X  0,045) 
con  robusta  ansa. 

La  scoperta  più  notevole,  però,  è,  come  ho 
detto,  quella  di  una  statua  in  marmo  rinvenuta 
nel  frigidarium,  con  la  testa  distaccata  dal  corpo 
(fig.  1).  È  lavorata  in  due  pezzi  ed  alta  m.  1,25. 
Rappresenta  una  figura  femminile  in  piedi,  vestita 
di  un  lungo  chitone  exomis  cinto  ai  fianchi  e  di 
un  himalion  che  copre  la  spalla  sinistra;  gira 
dietro  la  schjena  e,'  coprendo  la  parte  inferiore 
della  figura  fino  a  metà  delle  gambe,  termina  sul 
braccio  sinistro.  Mancano  tutto  il  braccio  destro 
e  la  mano  e  l'avambraccio  sinistro;  i  piedi  sono 
rotti.  I  capelli,  divisi  da  una  riga  centrale,  si  raccolgono  ai  due  lati  della  testa  in 
riccioli  annodati  dietro  il  vertice  del  cranio.  Particolare  notevole  dell'acconciatura  è 
un  pezzo  di  stoffa  che  copre  la  parte  centrale  del  cranio  sotto  il  nodo  dei  capelli 
e  pende  dietro  l'occipite.  La  gamba  destra  è  spinta  un  poco  indietro,  la  sinistra 
avanza  leggermente.  Nei  fianchi  vi  è  una  piccola  inclinazione  della  figura  verso  la 
destra  dello  spettatore,  la  testa  invece  è  debolmente  inclinata  a  sinistra. 

La  mancanza  di  qualunque  attributo,  dovuta  probabilmente  allo  stato  in  cui  la 
statua  è  ridotta,  non  permette  di  dare  una  interpretazione  sicura  del  soggetto  rap- 
presentato. Verrebbe  fatto  di  pensare,  per  esempio,  ad  una  Musa  o  ad  una  Ninfa,  ma 
in  verità  non  sarebbe  facile  trovare  argomenti  decisivi  in  favore  di  alcuna  attribu- 


Pig.  1. 


REGIONE    I. 


183 


SBZZB 


zione,  poiché  i  tratti  generali  delia  figura  non  presentano  particolarità  che  siano  pro- 
prie di  una  data  classe  di  esseri,  e  si  ritrovano  invece,  con  maggiori  o  minori  varianti, 
in  statue  che  rappresentano  diversi  soggetti.  Vi  sono  infatti  parecchie  statue  ('),  che 
somigliano  a  queste  di  Sezze,  benché  nessuna,  per  quanto  io  sappia,  possa  dirsi  una 
replica  di  essa. 

L'espressione  del  volto,  l'acconciatura,  la  quale,   sebbene  non  del  tutto  ignota 
al  IV  secolo,  è  comune  specialmente  nel  periodo  ellenistico  e  romano  (2);  l'atteggia- 


Fio.  2. 


mento  ed  il  vestito  ci  inducono  ad  attribuire  questa  statua  all'arte  ellenistica  avan- 
zata. L'impostatura  del  corpo,  per  altro,  e  la  reclinazione  della  testa  sono  quelle 
caratteristiche  dell'arte  prassitelica  (3)  ;  cosicché  si  deve  pensare  che  la  nostra  statua 
sia  un  prodotto  di  quella  corrente  artistica  che  fece  capo  a  Prassitele  e  durò  nel 
periodo  ellenistico  (4). 

Insieme  con  la  statua,  di  cui  ci  siamo  occupati,  si  è  rinvenuta  anche  la  testa  di 
una  figura  maschile  in  cui  si  può  riconoscere  Apollo.  Due  scheggio  vi  deturpano  il 
naso  ed  il  mento,  e  nella  parte  posteriore  del  capo  è  un  profondo  taglio.  La  testa 
misura  in  altezza  m.  0,28.   La  forma  della  fronte,  la  capigliatura,  in  riccioli  ser- 


(*)  Sceglierò  solo  qualcuno  dei  molti  esempi  che  si  potrebbero  addurre  di  figure  che  offrono 
somiglianze  di  atteggiamento  e  di  vestito  con  la  nostra  statua,  non  tenendo  conto  dei  soggetti  rap- 
presentati: Reinach,  Rép.  de  la  staf,  II,  306, 8 ;  659,1;  661,«;  676,8;  III,  192,9,10;  193,1;  196,10; 
197,9;  199,7;  IV,  179,8. 

(')  Clr.  Furtwaengler,  Gollect.  Sabouroff,  notice  pi.  22  ;  e  S.  Reinach,  Recueil  de  tHes  an- 
tique», pag.  147  seg. 

(3)  V.  le  caratteristiche  dello  stile  di  Prassitele  riassunte  da  Loewy,  Scultura  greca,  pag.  85. 

(*)  Per  la  continuazione  della  scuola  prassitelica  nell'arte  ellenistica  alessandrima,  cfr.  Bull. 
Corti.  1897,  pag.  138  segg.  (Amelung),  e  poi  Gollignon,  Scopa»  et  Praxitele»,  pag.  103  seg. 

Notizi»  Soavi  1»1C  —  Voi.  XIII.  25 


VENOSA 


184 


REGIONE    II. 


peutini  divioi  iu  mezzo  da  ima  riga,  la  severità  che  si  è  voluto  imprimere  a  questa 
testa,  ricordano  l'arte  del  V  secolo  av.  Cr.  ;  ma  la  espressione  degli  occhi  ed  una 
certa  morbidezza  delle  guance  attestano  che  lo  scultore  conosceva  già  l'arte  del  IV 
secolo.  Cosicché  io  credo  che  la  testa  di  Sezze  ci  conservi  la  copia  di  uno  dei  tanti 
tipi  del  quinto  secolo  rimaneggiati  nell'arte  ellenistica. 

F.  Fornari. 


Regione  II  {A  PULÌ  A). 

VI.  VENOSA  —  Iscrizioni  latine  dell'agro  di  Venosa  raccolte  e  con- 
servate in  Rionero  in  Vulture  dall'on.  Giustino  Fortunato,  Senatore  del 
Regno. 

La  prima  è  la  parte  superiore  di  un  titolo  funebre  di  (m.  0,45  X  0,31)  in  let- 
tere alte  m.  0,05,  e  dice: 


L  •   I  V  L I VS 

CANDIDVS 

VIXITAN  XX 

TI      IVLIVS 

ARCAS • ET 

IVLIA-  LEVC 

Fu  rinvenuto  in  Monticchio  (tenimento  di  Atella,  provincia  di  Basilicata),  propria- 
mente presso  il  Casale  di  S.  Andrea  di  Statigliano. 

La  seconda  è  in  lastra  iscritta  di  m.  0,63  X  0,46  in  lettere  alte  da  m.  0,05  a  0,04, 
e  vi  si  legge: 

D  M 

LANICIOPRI 

VOLVPTAS 

CONLIBERTA 

B  •  M-  VIXIT[ 

ANNXXXXME 

P 


Fu  ritrovata  in  Morbano.  presso  i  ruderi  di  un'  antica  badia  basiliana,  su  in 
alto  alla  destra  del  rivolo  del  Lapilloso,  in  tenimento  di  Venosa. 

3.  Stele  sepolcrale  frammentata  che  nella  parte  superiore  assume  la  forma  in 
rilievo  del  busto  del  personaggio  defunto,  vestito  di  toga.  Monumenti  simili,  superior- 
mente terminati  in  forma  di  busto,  si  rinvengono  con  una  certa  maggior  frequenza 


REGIONE    II. 


—    185    — 


VENOSA 


nelle  prorincie  romane  del  Danubio  per  lo  più  in  lapidi  poste  a  soldati  La  nostra 
stele  fu  trovata  sulla  Serra,  ad  oriente  di  Atella,  donde  provenne  il  sarcofago  con  la 
scena  del  ritrovamento  di  Achille  tra  le  figlie  del  re  Licomede,  ora  nel  Museo  di  Na- 
poli (Guida,  ed.  Ruesch,  n.  291).  Dell'iscrizione  rozzamente  incisa  restano  le  lettere: 


É 


Celle  ...  |  /ws  ....  |  meis  —  i  dulcis 


rogo 


L'ultima  parola  fa  pensare  che  l'iscrizione  contenesse  una  delle  formule  usitate 
per  scongiurare  la  profanazione  della  tomba. 


CCRINGA  —    186   —  REGIONE    III. 


Regione  III  (LUCANIA   ET  BRUTTI!) . 

BRUT  TU. 

VII.  CURINGA  (Prov.  di  Catanzaro)  —  Tesoro  di  monete  greche  ar- 
caiche rinvenute  nel  territorio  del  Comune. 

Nell'aprile  del  1916,  procedendosi  dalla  Federazione  delle  società  cooperative  di 
Ravenna,  a  lavori  di  bonifica  e  sistemazione  di  terreni  tra  i  fiumi  Angitola  e  Tur- 
rina,  taluni  operai  s' imbatterono,  in  prossimità  della  stazione  ferroviaria  di  Curinga. 
in  contrada  Serrone,  in  una  pentola  fittile,  la  quale  racchiudeva  poche  centinaia  di 
monete  greche  arcaiche  di  argento  (').  Come  suole  accadere  in  simili  incontri,  una 
parte  delle  monete  andò  tosto  dispersa.  Invocato  da  me  l'intervento  energico  della 
R.  Prefettura  di  Catanzaro,  si  potè  miracolosamente  salvare  una  parte  ragguardevole, 
certo  la  maggiore,  del  ripostiglio.  Dopo  varie  pratiche  pervennero  alla  Soprintendenza 
degli  scavi  di  Calabria  n.  192  pezzi  di  argento,  derivanti  da  5  distinti  reparti,  in 
uno  dei  quali  si  era  anche  infiltrato  un  insignificante  logoro  bronzo  romano,  in  sosti- 
tuzione di  qualche  pezzo  d'argento  sottratto.  Mi  consta  che  altre  monete  sono  ancora 
in  mano  di  contadini  calabresi,  dai  quali  non  ci  fu  modo  di  trarlo;  ma  trattasi  di 
assai  piccole  partite.  In  complesso  si  hanno  fondate  ragioni  per  credere  che  le  auto- 
rità sieno  entrate  in  possesso  di  circa  V3  ^  ripostiglio,  il  che  va  considerato  come 
risultato  assai  soddisfacente.  E  poiché  di  tesoretti  monetali  calabresi,  che  io  sappia, 
quasi  mai  si  è  dato  conto,  ritengo  opportuno  dare  qui  un  breve  ragguaglio  di  questo 
di  Curinga,  che  però  sarà  oggetto  di  una  mia  più  diffusa  illustrazione  in  altra  sede. 

1)  Metapontum.  Stateri  incusi  arcaici  colla  spiga,  stretti  e  larghi,  tutti  del 
periodo  550-480,  n.  71. 

Si  hanno  molte  varietà  nella  ubicazione  e  nello  sviluppo  della  leggenda,  come 
nella  forma  delle  lettere;  tre  esemplari  presentano  il  raro  simbolo  della  lucertola. 
Del  resto  nulla  di  speciale. 

2)  Sybaris.  Stateri  incusi  col  bove,  n.  4,  emessi  ante  a.  510.  Leggenda  sopra 
e  sotto  il  bove.  In  uno,  al  disopra  del  bove,  figurina  di  locusta. 

8)  Croton.  Stateri  arcaici,  larghi  e  stretti  del  periodo  550-480,  n.  72. 
Nella  stragrande  maggioranza  sono  col  tripode  a  rilievo  ed  in  cavo  sulle  due  facce  ; 
anche  qui  si  notano  molte  varietà  quanto  a  forma,  lunghezza  ed  ubicazione  della 
leggenda.  I  simboli  sono:  la  gru,  il  granchio,  la  lira,  il  polipo  ed  il  delfino  (in  ra- 

(*)  I  giornali  fantasticarono,  come  al  solito,  di  grande  quantità  di  monete  e  di  ingenti  valori. 
Pare  in  realtà  che  il  loro  numoro  si  aggirasse  intorno  ai  300  pezzi  o  poco  più.  Il  sig.  Pisa,  rap- 
presentante della  Federazione  romagnola,  si  adoperò  lodevolmente,  affinchè  il  nucleo  principale  di 
11.  153  pezzi,  portato  in  Romagna  venisse  consegnato  alle  autorità,  che  ne  facevano  ricerca. 


SARDINIA.  —    187    —  IGLESIAS 

rissimi  esemplari).  Un  pezzo  molto  logoro  presenta  nel  Ifr  1»  leggenda:  o^9/3T,  ed 
è  raro  pezzo  di  alleanza  con  Temesa.  Due  altri  di  conio  stretto  portano  nel  H  l'aquila 
incusa. 

4)  Gaolonia.  Stateri  tatti  larghi,  incusi,  arcaici  del  periodo  550-480  colla 
figura  di  Apollon  Katharbios  sorreggente  una  figurina  (Typhon?)  sul  braccio,  n.  45. 
Sono  copiose  le  varianti  nella  leggenda,  qualche  volta  retrograda,  ed  in  nove  esemplari 
ripetuta  anche  nel  J).  Mai  che  io  sappia  sono  apparsi  in  tanta  quantità  stateri  larghi 
di  Caulonia,  relativamente  rari,  ed  in  ogni  caso  assai  meno  frequenti  di  quelli  stretti 
del  periodo  immediatamente  successivo. 

Il  ripostiglio  di  Curinga  non  rivela  pezzi  nuovi,  né  insigni,  né  di  rarità  speciale; 
tuttavia  nella  sua  composizione  rigorosamente  arcaica  costituisce  un  complesso  rag- 
guardevole, ed  a  limiti  ben  definiti.  Si  vede  che  il  numerario  della  piccola,  ma  florida 
Caulonia,  competeva  sui  mercati  brettii  con  quello  delle  straricche  Croton  e  Meta- 
pontum.  Tenuto  conto  della  circolazione  relativamente  lunga  delle  monete  e  della  loro 
piuttosto  buona  conservazione  sono  inclinato  a  credere  che  il  peculio  sia  stato  nascosto 
verso  la  metà  del  sec.  V. 

P.  Orsi. 


SARDINIA. 

Vili.  IGLESIAS  —  Frammento  di  un  nuovo  miliario  della  via  ro- 
mana da  Carales  a  Sulcis,  rinvenuto  in  regione  Gorongiu. 

Nella  regione  indicata  col  nome  di  Corongiu,  posta  poco  lungi  da  Iglesias,  alle 
falde  del  monte  Sanlu  Miali,  si  rinvengono  molto  frequentemente,  durante  i  lavori 
agricoli,  tracce  di  antichi  edifici  di  età  romana,  e  modeste  tombe  con  suppellettile 
vascolare  e  monete,  per  lo  più  in  bronzo,  di  età  imperiale  romana. 

In  una  recente  visita  a  quella  località,  che  vi  fece  il  solerte  ispettore  onorario  del 
circondario  di  Iglesias,  signor  Salvatore  Pistis,  egli  potè  recuperare  un  frammento  di 
lapide  in  trachite,  venuto  in  luce  durante  i  lavori  campestri  e  che  egli  potè  sottrane 
dalla  dispersione,  assicurandolo  con  generoso  dono  alle  raccolte  del  Museo. 

L'iscrizione,  per  quanto  frammentaria,  non  è  priva  d'interesse,  specie  dal  lato 
topografico,  per  lo  studio  del  percorso  di  un'  importante  arteria  stradale  di  età  romana. 

La  pietra  inscritta  è  un  frammento  di  miliario,  cioè  una  parte  esigua  della  colonna 
originaria,  che  misura  la  larghezza  di  m.  0,47  e  l'altezza  di  0,24.  Non  rimangono 
che  due  sole  linee  di  lettere,  alte  m.  0.10.  La  pietra  è  trachite  biancastra,  molto 


1GLESIA8  —    188    SARDINIA 

compatta,  ma  le  lettere,  per  quanto  profondamente  incise  sono  alquanto  smussate  per 
l'azione  del  tempo  e  Je>,'li  urti  che  ebbe  la  pietra.  11  frammento  dice: 


SVLC1S    VETVS 
RVPTAM    R  E 


Data  la  ubicazione  del  rinvenimento,  e  l'attestazione  dell'epigrafe,  il  supplemento 
che  ritengo  solo  possibile  è  il  seguente: 


viam  quae  ducit  Karalibus)  Sulcis  vetus(tate 

cor)ruptam  restituii  o  restituerunt. 

La  via  da  Carales  a  Sulcis.  della  quale  non  abbiamo  notizia  nell'itinerario  e 
neppure  negli  antichi  scrittori,  ha  però  lasciato  chiare  testimonianze  negli  avanzi 
monumentali  e  nelle  iscrizioni  miliarie.  Essa  dovette  essere  non  solo  fra  le  più  antiche, 
ma  anche  fra  le  più  importanti  dell'isola,  cougiungendo  due  grandi  centri  cittadini, 
capoluoghi  di  territori  vasti  e  ricchi,  di  antica  origine  punica,  elevati  a  dignità  mu- 
nicipale, sedi  di  autorità  politiche  e  militari,  ed  entrambe  porti  frequentati  e  scali 
commerciali.  È  facile  quindi  comprendere  che  fossero  state  congiunte  da  strade  rego- 
lari che  assicurassero  la  loro  comunicazione  sia  tra  di  esse  sia  coi  rispettivi  territorii 
di  cui  erano  i  capoluoghi. 

Resti  monumentali  di  questa  strada  romana  sono  il  ponte  romano  di  Decimo 
manna,  sul  Rio  Mannti,  ed  un  tratto  notevole  di  massicciata  stradale  tra  S.  Antioco 
e  S.  Giovanni  Sergiu,  presso  il  cordone  litoraneo  ed  il  ponte  che  congiungono 
l' isola  di  S.  Antioco  alla  Sardegna.  Indizii  dell'esistenza  della  strada  si  debbono 
anche  ritenere  i  nomi  di  Decimo,  che  ancora  si  conservano  nei  due  villaggi,  tra  loro 
vicini,  di  Decimomannn  e  Decimoputzu,  a  10  miglia  da  Carales.  Oltre  a  questi  indizii, 
a  determinare  il  percorso  della  strada  si  avevano  le  lapidi  miliarie,  fràmmentaree  di 
Eìmas  (Regione  Sugastiu  di  Spunteddus,  0.  I.  L.  X,  n.  8002);  quelle  di  Assemini 
(ib.  X,  nn.  8003  e  8004),  e  le  tre  di  S.  Maria  di  Plumentepido,  nel  Sulcis  (ib.  X, 
nn.  8005,  8006  e  8007). 

Per  qualche  altro  tratto  del  percorso  si  avevano  alcune  notizie  di  numerose 
tombe  di  età  imperiale  romana,  rinvenute  in  regione  Berlingieri,  presso  Siliqua,  a  metà 
della  vallata  del  Cixerri  e  che  potevano  indicare  la  presenza  di  un  pago,  lungo  la 
via  romana.  Ma  da  Siliqua  in  avanti  le  tracce  si  perdevano,  per  quanto  le  spora- 
diche scoperte  di  Corongiu,  già  ricordate,  facessero  pensare  ad  un  altro  centro  di 
abitazione  romana,  fatto  sorgere  dalla  presenza  della  strada. 

La  scoperta  del  miliario,  per  quanto  in  frammenti,  avvenuta  a  Corongiu,  fissa 
in  modo  sicuro  il  percorso  della  strada  da  Carales  a  Sulcis;  essa  dunque  risaliva  tutta 
quanta  la  valle  del  fiume  Cixerri,  facendo  una  stazione  presso  Siliqua;  poi,  avvici- 
nandosi al  monte  di  S.  Miali,  presso  Iglesias,  ne  girava  le  falde  settentrionali  rag- 


SARDINIA  —    189    —  IGI.ESIAS 


giungendo  la  valle  del  Flumentepido,  che  seguiva  sino  al  litorale  raggiunta  proba- 
bilmente a  PaHngianu.  Da  questa  località  seguiva  a  breve  distanza  il  mare,  toc- 
cando Matzaecara,  ove  restano  gli  avanzi  di  edifici  termali  ed  anche  colonici  e  poi, 
dopo  S.  Giovanni  Sueigiu,  si  gettava  sul  cordone  littoraneo,  accostandosi  così  all'isola 
Sulcitana,  raggiunta  mediante  un  ponte  di  cui  si  possono  indovinare  i  resti  entro  le 
basi  del  ponte  moderno. 

All'interesse  topografico  acquisito  col  recupero  della  lapide  miliaria  non  possiamo, 
per  lo  stato  del  frammento,  aggiungere  quello  storico  ed  epigrafico,  poiché  mancano 
i  nomi  dell'imperatore  costruttore  e  riparatore  della  via  e  del  magistrato  che  sopra- 
intendeva  ai  lavori  viarii.  Ed  anche  dallo  studio  degli  altri  miliarii  della  stessa  via 
ci  vengono  notizie  varie,  che  non  danno  luce  sicura  per  completare  il  testo  del  mi- 
liario di  Corongiu. 

Diffatti,  il  miliario  di  Flumentepido  ha  il  nome  dell'imperatore  Vespasiano 
ed  è  datato  dall'indicazione  del  li  consolato  all'anno  70  d.  C. ;  ma  non  abbiamo 
alcuna  indicazione  se  la  via  sia  stata  costruita  o  soltanto  riparata  sotto  queir  impe- 
ratore. Dobbiamo  però  osservare  che  il  miliario  di  S.  Andrea,  presso  Assemini 
(C.  /.  L.  X,  n.  8004)  e  probabilmente  anche  quello  della  chiesa  di  quel  borgo,  accen- 
nano che  l' imperatore  Nerva  Traiano,  in  un  anno  che  non  possiamo  precisare  per 
l'abrasione  della  cifra  della  Trib.  Pot.,  aveva  riparata  la  via  vetustate  corruptam. 
Ora  l'intervallo  di  tempo  tra  il  regno  di  Traiano,  98-117  d.  C,  ed  il  periodo  in  cui 
Vespasiano  dedicò  le  sue  cure  alla  strada  da  Garales  a  Sulcis  (a.  70  d.  C.)  mi  pare 
un  poco  ristretto,  perchè  nel  miliario  di  Traiano  si  debba  parlare  di  via  vetustate 
corruptam  ;  per  altra  parte  noi  sappiamo  bene  che  Vespasiano  aveva  riparata  anche 
la  via  da  Garales  a  Turris  Libisonis,  come  si  apprende  dai  miliarii  di  Macomer 
(Corpus  X,  nn.  8023  e  8024),  i  quali  ricordano  che  Vespasiano,  nell'anno  74  refecit 
et  restituii,  per  mezzo  di  Sesto  Rubrio  Deitero,  la  grande  via  che  attraversava  l'isola 
da  settentrione  a  mezzodì.  Può  quindi  ritenersi  che  anche  la  via  da  Carales  e  Sulcis 
esistesse  da  gran  tempo  e  che  avesse  avuto  riparazioni  sotto  il  regno  di  Vespasiano 
e  più  tardi  altre  ne  richiese  sotto  Traiano.  Tutto  anzi  fa  supporre  che  fosse  una 
grande  arteria  d' impianto  consolare,  una  via  repubblicana  che  sostituì  la  più  antica 
via  fenicio-punica,  o  quella  dei  prischi  abitatori  nuragici,  i  quali  senza  dubbio  sol- 
carono la  loro  terra  di  sentieri,  ancora  oggi  seguiti  dai  commerci  e  traffici  interni  e 
pastorali. 

La  grafia  dell'  iscrizione  di  Corongiu,  con  lettere  grandi  ma  ineguali  e  trascurate, 
può  corrispondere  all'età  di  Traiano,  e  si  avrebbe  anche  il  confronto  della  eguale 
dizione  :  vetustate  corruptam,  che  troviamo  nel  miliario  citato  di  Assemini,  dell'  im- 
peratore Traiano. 

Ma  l'iscrizione  di  Elmas,  che  pure  ha  l'accenno  di  una  opera  di  riparazione 
vetustate  corruptam,  ha  da  alcune  tracce  di  lettere  fornito  argomento  a  leggere  il 
nome  di  Caracalla  .  . .  pii  felicis  Augusti,  Hadriani  abnepotis  (C.  I.  L.  X,  n.  8002). 
Quanto  poi  all'iscrizione  che  si  trova  nella  tettoia  della  chiesetta  di  Flumentepido, 
ha  l'accenno  dell'operazione  riparatrice  al  plurale:  reslituer(unt),  e  quindi  suppone 
la  cura  data  sotto  un  regno  di  due  o  più  imperatori,   come  nella  via  da  Carales  a 


IGLBSIAS  —    190    —  SARDINIA. 


Turres,  il  miliario  di  Monastir  (n.  8010)  ricorda  il  ristauro  fatto  da  Caracalla  e 
Geta,  viam  muniri  iusserunt  ;  e  nella  via  da  Carales  ad  Olbia,  il  miliario  di  Tolti 
(n  8033)  ricorda  la  riparazione  fatta  da  P.  Licinio  Valeriano  e  da  P.  Licinio  Egnazio; 
e  così  anche  altri  miliarii  delle  varie  arterie  stradali. 

E  adunque  incerto  a  quale  imperatore  ed  a  quale  epoca  debba  riferirsi  il  ristauro 
ricordato  nel  nuovo  miliario  di  Corongiu.  Resta  però  sicuro  che  esso  si  riferisce  alla 
via  condotta  per  la  valle  del  tìuine  Cixerri  e  del  rio  Flumentepido  da  Carales  a 
Sulcis,  con  un  percorso  alquanto  lungo,  ma  che  non  offriva  grandi  dislivelli,  mante- 
nendosi quasi  sempre  in  piano  ed  alle  falde  di  monti.  Il  miliario  che  indica  la  strada 
nel  punto  in  cui  si  avvicinava  al  posto  dove  ora  è  Iglesias,  si  riferisce  ad  un  rifa- 
cimento della  strada  stessa,  che  possiamo  attribuire  o  a  Vespasiano  o  a  Traiano  od 
a  Caracalla.  Le  scoperte  di  monete  di  età  repubblicana  nelle  necropoli  di  Siliqua  e 
nelle  tombe  di  Corongiu  ci  permettono  di  supporre  che  la  via  tra  i  due  municipii 
romani  fosse  stata  condotta  sino  dall'età  repubblicana,  che  già  al  tempo  di  Vespa- 
siano avesse  quindi  bisogno  di  lavori  di  restauro,  rinnovati  sotto  Traiano,  sotto 
Caracalla  e  poi  forse  sotto  Valeriano.  Più  sicura  ipotesi  non  ci  consente  il  modesto 
frammento. 

Antonio  Taramklli. 


REGIONE   VI.  —    191    —  TERNI 


Anno  1916  —   Fascicolo  6. 


Regione  VI  (UMBRIA). 

I.  TERNI  —  Scoperta  di  antichi  sepolcri  nella  contrada  «  S.  Pietro 
in  Campo  >,  presso  la  stazione  ferroviaria  di  Terni. 

Il  rinvenimento  fortuito  di  antichi  sepolcri  avvenuto  alcuni  anni  or  sono  in  Terni 
nella  contrada  S.  Pietro  in  Campo  per  la  costruzione  dell'officina  poligrafica  Aite- 
rocca  che  il  benemerito  Ispettore  degli  Scavi  di  quel  Mandamento,  prof.  cav.  L.  Lanzi, 
non  potè  seguire  con  quella  diligenza  che  egli  avrebbe  desiderato  a  causa  della  sua 
malattia,  alla  quale  seguì  poi  la  sua  morte  ('),  indusse  la  Direzione  del  Museo  Na- 
zionale di  Villa  Giulia  a  far  eseguire  alcune  ricerche  in  quella  zona  di  terreno  situata 
a  sud  dell'officina  anzidetta  e  compresa  fra  la  via  Cornelio  Tacito,  il  villino  Tacchi  (*) 
e  lo  stabile  di  proprietà  Ternani  (s)  (fig.  1). 

1  lavori  incominciati  il  5  giugno  1911,  sotto  la  sorveglianza  del  bravo  soprastante 
sig.  Natale  Malavolta,  si  protrassero  fino  al  30  settembre  di  quell'anno  con  una  inter- 
ruzione di  43  giorni,  ed  i  risultati  di  essi  furono  abbastanza  notevoli  sia  se  si  consi- 
derano dal  lato  archeologico  sia  da  quello  topografico  (4). 

Furono  messe  in  luce  ben  49  tombe  ad  inumazione  appartenenti  a  un  denso  se- 
polcreto al  quale  dovevano  riferirsi  i  gruppi  Alterocca  e  Tacchi  scoperti  in  precedenza 
e  la  cui  estensione,  che  io  suppongo  abbastanza  vasta,  credo  sarebbe  possibile  deter- 
minare allorché  si  volessero  intraprendere  in  quella  contrada  ulteriori  ricerche  (5). 

(')  Notine  degli  Scavi,  1914,  pag.  3. 

(')  Nella  costruzione  del  villino  del  dott.  G,  Tacchi  furono  già  notate  dal  Lanzi  le  tracce  di 
sei  sepolcri  ad  inumazione  di  cui  egli  fece  cenno  in  Notizie,  1907,  pag.  648  e  segg. 

(»)  Notizie,  1914,  pag.  9. 

(*)  I  rilievi,  le  fotografie  e  i  disegni  riprodotti  in  questo  Eapporto  sono  stati  eseguiti  dal 
sig.  0.  Ferretti,  disegnatore  al  Museo  Naz.  di  Villa  Giulia.  Fanno  eccezione  le  figg.  11-11M2-14- 
15-17  e  36  riprodotte  dai  disegni  dell'Ardi,  sig.  Giorgio  Wenter-Marini. 

(*)  Più  tardi,  sullo  scorcio  del  1912,  nel  cavo  di  fondazione  dello   stabile   di   proprietà  dei 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  26 


TERNI  —    192   —  REGIONE   VI. 


Come  già  fu  accennato  nel  mio  precedente  rapporto  intorno  alle  ultime  scoperte 
fatte  nello  stabilimento  delle  Acciaierie,  i  sepolcri  di  «  S.  Pietro  in  Campo  »  e  le  sei 
fosse  sporadiche  tornate  in  luce  nell'ambito  dello  stabilimento  stesso  (')  doverano 
riferirsi  allo  stesso  periodo  di  civiltà  specialmente  caratterizzato  da  una  ceramica  indi- 
gena d' impasto  scuro,  riproducente  forme  e  tipi  di  vasi  greco-orientali,  comunemente 
assegnati  al  periodo  tra  il  VII-VI  sec.  av.  Cr. 

Nessuno  dei  sepolcri  diede  vasi  d' importazione,  e  rarissimi  furono  quelli  che 
contenevano  qualche  esemplare  con  decorazione  dipinta  del  così  detto  stile  italo-geo- 
metrico. 

A  causa  della  formazione  geologica  della  conca  Ternana,  la  quale  non  prestavasi 
alla  escavazione  di  camere  sepolcrali  o  di  fosse  con  loculo  coperto  da  volta,  che  in 
tutta  la  Bassa  Etruria,  nella  Sabina  e  nella  stessa  Umbria  costituiscono  il  tipo  ca- 
ratteristico dei  sepolcri  di  quel  tempo,  si  continuò  quivi  a  seppellire  in  semplici  fosse 
dando  loro  dimensioni  alquanto  maggiori  delle  consuete  allineile  vi  si  potessero  conve- 
nientemente collocare  la  numerosa  suppellettile  e  le  armi  appartenenti  al  defunto  (*). 

Tali  fosse  avevano  la  pianta  rettangolare  rare  volte  stondata  nei  lati  brevi,  e  il 
loro  riempimento  in  generale  venne  effettuato  col  medesimo  materiale  estratto  dal 
cavo,  cioè  humus  e  sedimento  alluvionale;  eccezionalmente  vi  si  aggiunsero  ciottoli 
fluviali  o  rozze  pietre  di  cava  quivi  appositamente  trasportate. 

L'orientazione  delle  fosse,  salvo  poche  eccezioni,  è  quella  da  oriente  ad  occidente 
e  la  loro  disposizione  irregolarissima,  come  quella  della  necropoli  più  arcaica  delle  Ac- 
ciaierie, dimostra  che  l'escavazione  dei  sepolcri  non  era  coordinata  a  nessun  piano, 
come  ad  alcuni  parve  ravvisare,  ma,  al  contrario,  era  rimessa  all'arbitrio  del  fossore. 

Alla  profondità  di  circa  1  m.  dall'attuale  livello  del  terreno,  in  corrispondenza 
cioè  del  piano  di  campagna  coevo  al  sepolcreto,  furono  rinvenuti  sopra  le  tombe  15, 
24,  27  e  34  alcuni  ciottoli  che  emergendo  dal  piano  stesso  dovevano  servire  molto 
probabilmente  al  riconoscimento  di  quei  sepolcri.  Sovrapposto  alla  fossa  indicata  in 
pianta  col  n.  11  si  trovò,  invece,  un  lastrone  di  gì  andi  dimensioni  —  specie  di  rozza 
stele  funeraria  —  largo  e  lungo  1  m.  circa  e  spesso  20  cm. 

11  cumulo  di  pietre  distinto  sulla  pianta  d' insieme  col  n.  8,  nonché  altri  gruppi 
di  minori  proporzioni,  rinvenuti  in  punti  diversi  della  zona  scavata,  non  erano,  vice- 
versa, sovrapposti  ad  alcun  sepolcro.  Evidentemente  quel  materiale  fu  distribuito  qua 


signori  Battistoni  ed  Alessiani  vennero  in  lnce  altri  4  sepolcri  indicati  Boi  nn.  51,  52,  53  e  54  (flg.  1), 
la  cai  suppellettile  andò  in  parte  perduta  per  l'incuria  degli  operai  clic  erano  addetti  a  quei  lavori. 
Notevole  il  sepolcro  51  la  cui  estremità  occidentale  alquanto  allargata  e  rotondeggiante  accoglieva 
l'abbondante  corredo  fittile  che  si  trovò  circondato  e  protetto  da  grossi  ciottoloni. 

(•)  Notizie,  1914,  pag.  28. 

(*)  La  tomba  44  presentava  una  cavità  semicircolare  sulla  parete  corrispondente  alla  sinistra 
del  cadavere,  ed  aveva  tutte  le  caratteristiche  di  un  loculo  votivo;  ma  non  essendovisi  trovato  alcun 
oggetto  si  dovè  ritenere  essere  quella  una  buca  servita  per  la  piantagione  di  un  albero. 

Allo  stesso  scopo  deve  aver  servito  la  grande  buca  cilindrica  di  80  cm.  di  diametro  e  pro- 
fonda m.  1,35,  rinvenuta  in  prossimità  della  tomba  45. 


PM 


TERNI 


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REGIONE    VI. 


e  là  per  la  necropoli  per  comodità  di  coloro  che  dovevano  poi  servirsene  nei  vari 
seppellimenti. 

Gli  scheletri  si   trovarono  in   complesso   discretamente   conservati  e  giacevano 
supini,  colle  braccia  distese  lungo  i  fianchi  :  soltanto  in  alcuni  casi  una  delle  mani 


Fig.  2.  —  Tomba   49. 


o  tutte  e  due  si  trovarono  sovrapposte  alle  pelvi.  Fa  anche  eccezione  il  sepolcro  49, 
(fig.  2),  il  cui  scheletro  aveva  l'avambraccio  sinistro  ripiegato  obliquamente  attra- 
verso l'addome. 

Il  cadavere  si  trovò  generalmente  deposto  presso  l'estremità  orientale  della  fossa, 
ma  qualche  volta  fu  collocato  quasi  aderente  ad  uno  dei  suoi  lati  lunghi  (tombe  23  ; 
48,  tìg.  3),  o  dentro  una  incassatura  profonda  circa  10  cm.  scavata  nel  fondo  della 
fossa  stessa,  come  nella  tomba  4. 

Nelle  tombe  32,  35,  43  e  45  non  si  rinvenne  alcuna  traccia  dello  scheletro 
perchè  completamente  distrutto:  nella  43,  anzi,  oltre  alla  mancanza  assoluta  di  qual- 


REGIONE    VI. 


—  195  — 


TERNI 


siasi  traccia  scheletrica,  non  vi  si  raccolse  nessun  oggetto  di  corredo.  Questa  fossa  si 
trovò  ricolma  di  quella  stessa  arena  giallognola  che  costituisce  il  sedimento  alluvio- 
nale sovrappostosi  alla  necropoli;  e  ciò,  mentre  è  cronologicamente  importante  per 
lo  studio  stratigrafico  del  terreno  e  per  la  storia  del  sepolcreto,  ci  spiega  chiaramente 


Fio.  3.  —  Tomba  48. 


come  la  fossa  stessa,  che  doveva  servire  come  seppellimento,  non  fu  potuta  più  utiliz- 
zare a  causa  dell'alluvione  che  ne  determinò  la  colmata  ('). 


(x)  Le  tombe  36,  38  e  40  furono  danneggiate  dalle  coltivazioni  che  ne  scomposero  gli  sche- 
letri e  causarono  la  dispersione  di  una  parte  del  materiale. 


TERNI 


196  — 


REGIONE  VI. 


Tombe  di  uomo. 

Non  essendo  facile  stabilire  con  esattezza  quante  e  quali  fossero  le  tombe  ap- 
partenenti ad  individui  maschi,  parlerò  soltanto  di  quelle  che  contenevano  armi  e 
che  deve  ritenersi  si  riferiscano  a  quel  sesso. 

Esse  sono  in  numero  di  16,  tredici  delle  quali  di  adulti.  Le  altre  tre,  distinte 
coi  numeri  4.  7  e  47,  sono  invece  di  adolescenti  i  quali  fin  da  allora  sembra  venis- 


Fig.  4.  —  Tomba  39. 

aero  addestrati  all'uso  delle  armi.  Di  piccole  proporzioni  erano,  infatti,  i  loro  sche- 
letri che  misurati  con  scrupolosa  esattezza  diedero  rispettivamente  m.  1,14,  m.  1,32 
e  m.  1,20  di  lunghezza. 

Ai  piedi  di  ciascuno  scheletro,  distribuite  in  una  o  due  file,  si  raccolsero  fino 
a  13  cuspidi  di  lance  di  ferro,  tutte  colla  punta  rivolta  verso  il  lato  occidentale 
della  fossa  (cfr.  t.  39,  tìg.  4).  La  maggior  parte  avevano  anche  il  pugnale,  e  questo 
era  per  lo   più  situato  presso  il  fianco   sinistro  del  cadavere  (J),  e  talvolta  disposto 


(']  Nella  tomba  39,  sopra  citata,  il  pugnale  era  stato  deposto  a  destra  del  bacino. 


REGIONE    Vi. 


— ;197  — 


TERNI 


obliquamente  sopra  il  ventre.  Meno  frequente  era  invece  il  coltello  deposto  anch'esso 
a  sinistra  del  cadavere,  talora  al  fianco,  altre  volte  presso  i  piedi. 

Due  tombe  diedero  anche  il  cultro  lunato  di  bronzo:  la  34  e  la  50  (').  In  questa 
fu  collocato  in  corrispondenza  della  clavicola  destra,  in  quella  dentro  una  ciotola  che 
era  stata  posta  tra  i  piedi  del  cadavere. 

Le  tombe  7  e  18  restituirono  due  oggetti  singolari,  forse  pomi  di  bastone:  l'uno 
di  terracotta  con  tre  teste  barbate  a  rilievo,  posanti  su  cannula  cilindrica  forata  tra- 
sversalmente, rinvenuto  dietro  al  cranio  (fig.  5),  l'altro  sferiforme,  di  pietra  grigia, 
coi  resti  del  perno  di  ferro  che  doveva  fissarlo  all'asta,  trovato  ai  piedi  del  defunto. 


Fig.  5  —  Tomba  7. 


Tombe  di  uomo  diedero  altresì  fibule,  torques,  catenelle,  cerchi,  anelli,  pendagli 
e  braccialetti. 

Tombe  di  donna. 

Notevoli  i  sepolcri  36  (fig.  6),  37  (fig.  7),  42,  46  (fig.  8)  e  48  (fig.  9)  per 
alcuni  pendagli-sigilli  di  avorio,  ornati  con  figurine  di  animali  a  rilievo  e  per  l'ab- 
bondanza, la  varietà  e  la  disposiziene  delle  fibule  che  nella  tomba  46  raggiunge 
vano  il  numero  di  sedici,    dieci  delle   quali  grandissime,  con  arco   a  foglia  e  scu- 


(')  Come  già  fa  detto,  i  sepolcri  rinvenuti  furono  49,  ma  essendo  stato  dato  sul  «  Giornale 
degli  scavi  »  il  n.  8  ad  un  mucchio  di  ciottoli  di  forma  rettangolare,  che  si  suppose  dovesse  costi- 
tuire il  riempimento  di  una  tomba  —  cosa  che  non  si  avverò  —  così  la  numerazione  del  «  Giornale  » 
stesso  arriva  fino  al  50. 


TERNI 


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REGIONE   VI. 


detto  (')  adorne  di  punteggiature  sbalzate,  distribuite  in   doppia  fila  dal  mento  ai 
malleoli  del  defunto. 

Fibule  a  navicella  con  globetti   laterali  ed  a  lunga  staffa,  lisce  od  ornate  di 
linee  incise  o  con  dischetti  d'ambra  inseriti  nell'arco,  si  trovarono  un  po'  dappertutto  : 


Fio.  6.  —  Tomba  86. 


in  vicinanza  del  cranio,  sulle  clavicole,  sul  petto,  ai  gomiti,  ai  polsi,  sul  bacino, 
presso  i  femori,  vicino  alle  ginocchia,  ai  piedi  del  cadavere. 

Oltre  ai  pendagli  di  avorio,  di  cui  già  si  è  accennato,  se  ne  ebbe  uno  di  pasta 
egizia,  altri  metallici  in  forma  di  bulla  e  di  cuspide  di   freccia,  altri  costituiti  da 

(*)  Quantunque  di  tecnica  diversa  è  importante  il  fatto  della  persistenza  nella  regione  Ter- 
nana di  questo  tipo  di  fibula  che  non  è  altro  che  una  reminiscenza  di  quello  più  comunemente 
rinvenuto  nella  necropoli  arcaica  delle  «  Acciaierie  ».  Ricorda  altresì  uno  dei  tipi  più  arcaici  di 
quella  necropoli  la  fibula  ad  arco  di  filo  formante  tubetti  spiraliformi  paralleli,  compita  da  scudetto, 
della  tomba  36  e  riprodotta  colla  fig.  26. 


REGIONE    VI. 


—  199  — 


TKRNI 


tubetti  spiraliformi  di  filo  eneo  .0  da  un  dente  di  cinghiale  con  rivestimento  di  filo 
di  bronzo  da  cui  pendevano  graziose  catenelle. 

Facevano  parte  della  suppellettile    muliebre:    braccialetti,  catenelle,   torques, 
anelli,  ganci,  fermagli  e  placche  per  cinture,  rocchetti  e  fusaruole. 


Fia.  7.  —  Tomba  37. 


Quest'ultime  si  trovarono  in  17  sepolcri  e  se  ne  raccolsero  fino  a  tre  per  sepolcro: 
vicino  alla  testa,  sul  petto,  ai  gomiti,  in  prossimità  delle  mani,  alle  ginocchia  ed  ai 
piedi  del  cadavere.  Meno  frequenti  erano  invece  i  rocchetti  i  quali  ci  furono  resti- 
tuiti soltanto  dai  sepolcri  14  e  15.  Furono  deposti  sempre  ai  piedi  del  cadavere,  ed 
in  quest'ultimo  sepolcro  se  ne  rinvennero  dodici,  tutti  quanti  aggruppati  presso  il 
piede  sinistro. 

Notizib  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  27 


TERNI 


—    200    — 


REGIONE    VI. 


La  cintura  pare  non  fosse  comune  alle  tombe  dei  due  sessi,  perchè  tranne  che 
nella  tomba  23,  di  sesso  incerto,  tutte  le  altre  furono  rinvenute  in  tombe  muliebri 
e  cioè  in  quelle  indicate  nella  pianta  (fig.  1)  coi  numeri  9,  21,  36,  37,  41,  44,  46 
e  51  (')•  Dalla  disposizione  dei  ganci  e  dei  fermagli  relativi  si  potè  stabilire  cbe 
essa,  in  luogo  di  cingere  i  fianchi  del  cadavere,  venne  più  comunemente  distesa  lon- 
gitudinalmente sopra  la  salma.  In  alcuni  sepolcri  furono  deposte  sul  cadavere  persino 


Fio.  8.  —  Tomba  46. 


due  di  queste  cinture,  l'una  parallelamente  all'altra,  quasi  avessero  avuto  l'ufficio  di 

proteggere  il  cadavere  stesso. 

* 

Il  corredo  fittile  si  trovò  distribuito  quasi  sempre  in  determinati  punti  rispetto 
al  cadavere:  posteriormente  od  a  lato  del  cranio,  ma  più  specialmente  ed  in  mag- 
giore quantità  aggruppato  in  quello  spazio  compreso  tra  i  piedi  del  cadavere  e  la 
parete  occidentale  della  fossa  (*);  ora  attorniato  da  pietre  disposte  a  semicerchio 
(tombe  13,  16),  o  formanti  uno  spazio  triangolare  (t.  20)  addossate  alla  parete  stessa; 


(')  Tre  sono  i  tipi  di  cintura  adottati:  a)  cintura  a  fermagli  ondulati  di  filo  di  bronzo  che  è 
il  tipo  più  comune  (t.  9,  21,  36,  37,  41,  46  e  51);  b)  idem,  a  fermagli  quadrangolari  in  lamina  di  bronzo 
ornati  di  grossi  bottoni  a  capocchia  sferica  (t.  44);  e)  idem,  come  i  precedenti  e  con  placche 
ornamentali  a  traforo  (t.  23). 

(*)  I  fittili  di  grandi  dimensioni,  quali  l'olla  d'impasto  rossastro  ed  il  vaso  di  forma  villano- 
viana furono  sempre  deposti  ai  piedi  del  cadavere. 


REGIONE    VI. 


—  201  — 


TERNI 


ora  circondato  interamente  e  protetto  da  grandi  ciottoloni  disposti  in  più  serie  come 
nella  tomba  15.  Facevano  eccezione  le  tombe  23  e  48  nelle  quali  il  vasellame  fu 
collocato  lateralmente  al  cadavere  e  distribuito  su  tutta  la  sua  lunghezza. 

Sono  comuni  ai  sepolcriMei  due  sessi  la  grande  olla,  il  vaso  imitante  le  forme 
dell'ossuario  villanoviano,  Yoinochoe,  l'olletta  con  o  senza  coperchio,  la  ciotola,  il 
kantharos,  la  tazzina,  l'attingitoio  e  il  lebete  in  lamina  di  rame. 


Pio.  9.  —  Tomba* 48. 


In  due  tombe  di  uomo  si  rinvenne  altresì  la  fiaschetta,  in  qualche  altra  il  piat- 
tello, e  soltanto  in  alcune  tombe  di  donna  lo  skyphos. 

Sembrandomi  superfluo  dare  qui  una  descrizione  particolareggiata  della  forma  di 
ciascun  vaso,  per  noti  essere  obbligato  a  ripetere  quello  che  è  stato  ampiamente  detto 
nel  catalogo  dei  sepolcri  posto  in  fine  alla  presente  Nota,  ho  creduto  invece  conve- 
niente parlare,  sia  pur  brevemente,  del  genere  di  decorazione  adottato  pel  vasellame 
di  produzione  locale  e  che  può  essere  distinto  nei  quattro  tipi  seguenti: 


TERNI  —    202    —  REGIONE    VI. 

a)  decorazione  a  rilievo,  costituita  da  listelli  o  cordoni,  da  baccellature  e  da 
protuberanze  ; 

//)  decorazione  eseguita  a  fresco,  cioè  prima  della  cottura  del  vaso,  col  sussidio 
del  tornio,  formata  di  solcature  orizzontali  più  o  meno  larghe  e  profonde  e  da  stec- 
cature fatte  a  mano; 

r)  decorazione  granita,  riempita  in  origine  di  ocre  rossa,  per  lo  più  consi- 
stente in  zone  a  disegno  geometrico  e  qualche  volta  a  puntini,  a  motivi  floreali  e 
a  rozzi  quadrupedi; 

d)  decorazione  scalfita,  anch'essa  a  disegno  geometrico  e  a  figure  di  animali. 

Olle.  Le  più  grezze  sono  del  tipo  pubblicato  dal  Pasqui  in  Notizie,  1907, 
pag.  613,  fig.  17,  e  generalmente  sono  adorne  di  cordoni,  listelli  e  protuberanze. 
Così,  per  esempio,  l'olla  della  tomba  7,  di  argilla  rossiccia  insubbiata  di  rosso,  ha  un 
cordone  attorno  all'omero  al  disotto  del  quale  è  impressa  una  serie  di  puntini;  quella 
della  tomba  23  un  duplice  cordone  orizzontale,  e  quella  della  tomba  21  delle  apofisi 
situate  nella  massima  espansione  del  corpo. 

Simile  decorazione  ricorre  eziandio  su  alcune  olle  di  argilla  scura,  di  minori 
proporzioni,  e  di  fattura  più  accurata  delle  precedenti,  quali  quelle  dei  sepolcri  2, 
27  e  49  ornate  con  una  serie  di  listelli  verticali,  e  l'olla  della  tomba  26  adorna 
di  protuberanze  coniche. 

Vasi  imitanti  l'ossuario  di  tipo  Villanoviano.  Questo  fittile  di 
grandi  dimensioni,  d' impasto  scuro  ed  accuratamente  plasmato,  è  il  solo  che  conserva 
la  forma  dell'antico  ossuario  della  necropoli  arcaica  delle  Acciaierie,  e  del  quale  man- 
tiene il  più  delle  volte  la  disposizione  e  la  caratteristica  delle  anse,  la  verticale  delle 
quali  è  compita  superiormente  ora  con  una  specie  di  bottone  discoidale,  ora  con  una 
ciotoletta  a  fondo  leggermente  concavo,  come  nei  sepolcri  21,  29  e  37. 

Alcuni  di  essi  sono  lisci,  altri  adorni  o  con  listelli  verticali  sulla  spalla  (t.  23, 
fig.  10),  o  con  protuberanze  coniche  disposte  intorno  alla  maggiore  espansione  del 
ventre  (t.  38),  qualche  volta  sormontate  da  solcature  semicircolari  concentriche  come 
nel  fittile  della  tomba  1,  che,  invece  di  due  anse  è  provvisto  di  una  sola,  a  largo 
nastro  verticale  forata  alla  base. 

Il  vaso  restituitoci  dalla  tomba  20,  disgraziatamente  assai  danneggiato  e  difficil- 
mente restaurabile,  sembra  fosse  munito  di  un'alta  ansa  verticale  a  nastro  e  decorato 
intorno  al  corpo  con  due  rozzi  cavalli  galoppanti,  graniti,  assai  simili  a  quelli  ricorrenti 
sul  fìttile  rinvenuto  precedentemente  nella  stessa  contrada  ed  illustrato  dal  Lanzi  in 
Notizie,  1914,  pag.  7,  fìg.  1. 

Oinochoai.  Anche  questa  classe  di  vasi  è  d' impasto  scuro,  tranne  l'oinochoe 
del  sepolcro  11  che  è  di  bucchero  a  pareti  sottilissime  e  adorna,  intorno  al  ventre, 
con  linee  verticali  leggermente  graffite. 

La  loro  decorazione  è  a  denti  di  lupo  tratteggiati,  disposti  sulla  spalla  (t.  1,  24 
e  28);  a  ventagli  pure  tratteggiati,  risultanti  da  semicerchi  intrecciati  (t.  17  e  27); 
a  spina  di  pesce  (t.  20);  a  fasci  di  linee  angolari  (t.  33)  e  a  nastri  orizzontali 
scalfiti  (t.  34). 


REGIONE    VI. 


—    203    — 


TERNI 


Caratteristica  è  l'oinochoe  della  tomba  21  riprodotta  nella  tìg.  11.  Ha  il  ventre  a 
bulla,  il  collo  stretto  provvisto  di  lungo  beccuccio  obliquo  chiuso  superiormente  per 
circa  due  terzi  e  munito  di  foro  all'estremità  per  l'uscita  del  liquido,  e  con  ansa 
formata  da  due  bastoncelli  attortigliati  in  alto.  Ha  un'ornamentazione  assai  rudimen- 
tale granita  sotto  il  beccuccio  (fig.  Ila),  alla  base  del  collo  e  nella  parte  più  espansa 


Fio.  10. 


del  corpo  ove  sono  rappresentati  tre  bucranii,  in  corrispondenza  dei  tre  denti  di  lupo 
che  fanno  parte  della  decorazione  del  collo  ed  ai  quali  sembrano  essere  appesi. 

Ollette.  Ve  ne  sono  ornate  di  listelli  verticali  (t.  15);  di  striature  orizzon- 
tali ricorrenti  anche  sopra  il  relativo  coperchietto  (t.  10);  di  denti  lupo  (t.  18  e  33); 
di  un  ornamento  uncinato,  graffito  compreso  tra  solcature  eseguite  al  tornio  (t.  23)  (x)  ; 
di  una  fascia  a  spina  di  pesce  sovrapposta  ad  un'altra  a  denti  di  lupo  (t.  25).  L'olletta 

(*)  Nella  tomba  9  si  rinvenne  un  coperchietto  decorato  con  denti  di  lupo  tratteggiati  disposti 
intorno  all'ansa  semianulare.  Esso  dovette  appartenere  in  origine  ad  una  delle  solite  ollette  che  andò 
perduta. 


TERNI 


—  204 


REGIONE    VI. 


della  tomba  14  (tìg.  12)  si  distingue  dalle  altre  per  essere  ornata  sulla  spalla  con  stria- 


Fio.  11.        (i:s) 


Fio.  Ila.    (i:8) 


ture  orizzontali,  e  nella  metà  inferiore  del  corpo  con  due  rozzi  quadrupedi  a  contorno 
graffito  e  manto  punteggiato. 


Fi-..  12.    (12) 


Ciotole.    Abbiamo  diversi  tipi  di  ciotola:  a  tronco  di  cono,  semplici  o  posate 
su  piede,  con  o  senza  anse;  altre  a  fondo  baccellaio. 


REGIONE   VI. 


—    205    — 


TERNI 


Le  ciotole  a  semplice  tronco  di  cono  sono  pei1  lo  più  lisce  e  plasmate  più  rozza- 
mente, mentre  le  altre,  meglio  modellate,  hanno  generalmente  qualche  ornamento. 
Sono  da  notarsi  quella  della  tomba  25  che  ha  un  cordoncino  intorno  al  collo;  quella  della 
t.  17  con  alcuni  listellini  verticali;  quelle  delle  t.   11  e  13  con  semplici   solcature 


Fio.  13.     (3:8) 


orizzontali  ;  e  infine  le  tre  ciotole  della  t.  23,  due  delle  quali  ornate  intorno  al  fondo 


Fio.  14.        (l  :  8) 


con  una  serie  di  ventagli  tratteggiati,  o  con  una  linea  spezzata  a  tratti  curvi  (fig.  13); 
l'altra,  assai  caratteristica  e  di  cui  parleremo  più  tardi,  con  un  ornamento  a  zig-zag 
graffito  sui  listelli  che  fanno  parte  del  piede  e  intorno  all'orlo  dei  vasetti  interposti 
alle  due  ciotole  (fig.  14). 


TERNI  —   206   —  REGIONE    VI. 

Nella  ciotola  della  tomba  37  si  sono  voluti  indicare  con  leggerissime  striature  ver- 
ticali praticate  nel  punto  d'unione  del  fondo  all'orlo,  i  segni  prodotti  dai  colpi  di 
martello  dei  prototipi  metallici. 

Lo  stesso  accenno  ricorre  sulla  ciotola  della  t.  46  la  quale  è  altresì  adorna  di 
apofisi  e  provvista  di  due  anse  orizzontali  a  bastoncello.  Un  esempio  di  ciotola  a 
quattro  anse  simili  ci  è  fornito  dalla  tomba  28. 

La  decorazione  a  baccellature  radiali,  muoventi  da  una  o  più  solcature  concen- 
triche, è  propria  delle  ciotole  a  fondo  pianeggiante  con  orlo  rovesciato  infuori  ;  e  di 
queste  il  nostro  sepolcreto  ha  restituiti  diversi  esemplari. 

Kantharoi.  L'ornamentazione  più  semplice  è  quella  a  striature  orizzontali 
ricorrenti  intorno  all'alto  orlo  di  essi  (t.  21).  Ve  ne  sono  però  adorni  di  apofisi  e  di 
tratti  verticali  graffiti  sull'omero  (t.  46)  ;  di  denti  di  lupo  tratteggiati  (t.  24  e  28)  ; 
di  fasci  di  linee  angolari  (t.  27)  e  di  greca  scalfita  intorno  all'orlo  (t.  2). 

Tazzine.  Non  sono  molto  comuni.  Ne  restituì  due  esemplari  la  tomba  7, 
entrambi  con  ornamentazione  granita  a  denti  di  lupo,  l'uno  a  duplice,  l'altro  a  tri- 
plice linea. 

Attingitoi.  L'attingitoio  della  tomba  33  è  decorato  nella  parte  più  espansa 
del  corpo  con  leggere  steccature  verticali.  Ve  ne  sono  però  altri  decorati  intorno 
all'orlo   con  una  linea   spezzata,  graffita  (t.  28),  o  con  denti  di  lupo  (t.  10  e  33). 

L'esemplare  più  ricco  di  decorazioni  è  quello  della  tomba  34  che  è  adorno  con  una 
linea  spezzata  ed  una  zona  di  ventagli  graffiti  intorno  all'orlo,  e  con  leggere  stria- 
ture  orizzontali  sulla  spalla. 

Fiaschette.  Ne  esistono  due  soli  esemplari,  entrambi  d'impasto  scuro  di  forma 
lenticolare  alquanto  schiacciata  posteriormente  e  con  breve  beccuccio  cilindrico.  Ad 
imitazione  degli  originali  metallici  hanno  i  bordi  arricciati,  lo  sguscio  per  la  cordi- 
cella e  le  relative  orecchiette  per  impedirne  l'uscita. 

L'esemplare  appartenente  alla  tomba  7  è  ornato  su  ambo  le  facce  con  una  serie  di 
triangoli  radiali  scalfiti  racchiudenti  da  un  lato  —  quello  anteriore  —  un  poligono 
stellato,  dall'altro  dei  circoli  concentrici  pure  scalfiti.  La  fiaschetta  rinvenuta  nel 
sepolcro  18  ha  un  rozzo  cavalluccio  corrente  a  d.  scalfito  su  sciascuna  faccia  (fig.  15), 

Piattelli  su  piede.  Questo  tipo  di  vaso,  così  comune  nelle  necropoli  coeve 
del  territorio  falisco  e  dell'agro  capenate,  è  nel  nostro  sepolcreto  pochissimo  rappre- 
sentato. L'esemplare  restituitoci  dalla  tomba  28  è  d' impasto  scuro  posato  su  alto 
piede  e  con  orlo  piano  decorato  sopra  con  un  ghirigoro  graffito.  Il  fondo  di  esso  è 
leggermente  concavo  e  adorno  nel  mezzo  con  quattro  solcature  circolari  concentriche 
eseguite  al  tornio  prima  della  cottura  del  vaso. 

Skyphoi.  Anche  questa  classe  di  vasi  è  rappresentata  assai  scarsamente.  La 
loro  decorazione  consiste  in  strigilature  al  disotto  dell'orlo  (t.  11),  in  rozzi  denti  di 
lupo,  coi  lati  maggiori  curvi,  riempiti  di  tratteggi  (t.  22),  e  in  un  motivo  a  grandi 
linee  gemine  angolari  graffite  (t.  23). 

La  tecnica  adottata  e  i  motivi  ornamentali  usati  per  la  decorazione  delle  fusa- 
ruole  differiscono  quasi  completamente  da  quelli  ai  quali  si  attenne  il  figulo  per  la 
decorazione  dei  vasi  di  cui  si  è  sopra  parlato.  Ho  creduto  bene,  perciò,  dire  qualche 


REGIONE    VI. 


—    207    — 


TKRNI 


cosa  anche  di  questa  parte  della  suppellettile  rinvenuta  nei  soli  sepolcri  di  donna, 
perchè  si  abbia  un'  idea,  il  più  possibile  completa,  degli  elementi  decorativi  che  al 
tempo  a  cui  risale  il  nostro  sepolcreto  erano  più  in  voga  nella  regione  Ternana. 

Alcune  fusaruole  hanno  la  forma  di  un  tronco  di  cono  con  base  convessa,  e  queste 
sono  affatto  prive  di  ornamentazione,  altre  sono  in  forma  di  grosso  chicco  schiacciato, 
altre,  infine,  a  doppio  tronco  di  cono  o  a  doppio  tronco  di  piramide. 


Fio:  15.    {ut). 


Ve  ne  sono  ornate  di  semplici  baccellature,  come  quella,  p.  es.,  della  tomba  16,  di 
denti  di  lupo  (t.  15),  di  protuberanze  e  di  un'ornamentazione  ottenuta  con  impres- 
sioni di  cordicella  a  linea  gemina  :  fascia  orizzontale  ai  vertici  e  linee  ondulate  intrec- 
ciate nel  mezzo  (t.  21  e  46),  di  quattro  sporgenze  intorno  a  ciascuna  delle  quali 
sono  graffiti  tre  circoli  concentrici  (t.  33),  con  impressioni  di  cordicella  a  linea  ge- 
mina: orizzontali  presso  i  vertici  e  a  circoli  concentrici  intorno  alle  quattro  sporgenze 
(t.  33,  36  e  46),  con  fasce  orizzontali  e  con  due  ordini  di  linee  spezzate  a  triplice 
tratto  ottenute  con  impressioni  di  cordicella  (t.  22),  con  due  greche  graffite  molto 
imperfettamente  e  con  quattro  protuberanze  (t.  31). 

Il  frammento  di  fusaruola  della  tomba  48  è  ornato  di  protuberanze  e  d' impressioni 
di  cordicella:  a  semplice  linea  orizzontale  ai  vertici,  a  doppia  linea  ondulata  ed  a 
swastikas  nella  rimanente  superficie. 


Alla  breve  Nota  illustrativa  della  fig.  16,  concernente  la  stratigrafia  del  terreno, 
faccio  seguire  la  descrizione  della  suppellettile  di  un  certo  numero  di  sepolcri  avendo 
avuto  cura  di  scegliere  quelli  che,  oltre  a  dare  un'idea  generale  del  materiale,  ci 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  28 


TERNI 


—   208    — 


REGIONE    VI. 


restituirono  oggetti  di  singolare  importanza  che  a  me  parve  meritassero  speciale  con- 
siderazione. 

Lo  studio  stratigrafico  del  sottosuolo  che  alle  «  Acciaierie  » .  a  causa  del  consi- 
derevole sbancamento  del  terreno  eseguito  fin  dalla  fondazione  di  quello  stabilimento, 
risultò  in  qualche  parte  incompleto,  si  ebbe  invece  qui  la  fortuua  di  poterlo  fare 
integralmente  e  con  tutta  la  precisione  desiderabile,  trattandosi  di  una  località  che 
non  ebbe  a  subire  manomissioni  di  sorta  ed  in  cui  gli  strati  che  man  mano  si  sovrap- 
posero ai  sepolcri  si  conservarono  perfettamente  intatti  fino  ad  oggi. 


r  ararci? 


5 


it'"— .■— ,  _   LireS»  atfuéle  dtf  tinti* 


Terrm»  vifefjtr 


+.    StMi   /'  M>  rimiri' 


Sedimenti  itturiimle  gullagnili  tini  il  stpettretl 
—.  Ansiti  pam  di limpidi  irr  tu  stinti  ani  pitie  del  stpllettli 
Humus  ittici 


Sedimenta  illuminile  gilllodtutl 

—  Sititi  cinerei  di  mtun  illuminile 
1  Sedi  mente  illummle  pn'mìtiii 


Fio.  16  —  Stratificazione  del  terreuo. 


Incomincerò  dalle  stratificazioni  posteriori  al  sepolcreto;  poscia  dirò  di  quelle 
preesistenti,  prendendo  come  punto  di  partenza  quello  strato  di  humus  nerastro 
spesso  17  cm.  indicato  nell'unito  disegno  colla  lettera  A  (vedi  figura  precedente)  che 
doveva  costituire  l'antico  piano  di  campagna,  più  basso  dell'odierno  di  m.  1,20  circa. 

Il  sepolcreto,  invaso  da  un'alluvione  mentre  era  ancora  in  attività  ('),  fu  rico- 
perto da  uno  strato  sabbioso  giallognolo,  dello  spessore  di  circa  20  cm.  e  non  per- 
fettamente uniforme.  L'escavazione  dei  sepolcri  continuò  anche  dopo  questa  alluvione, 
e  parecchi  di  essi,  come  ad  es.  il  33  rappresentato  nella  sezione  stratigrafica  (fig.  10), 
risultano  scavati  attraverso  il  sedimento  sabbioso  depositato  dall'alluvione  stessa 
Sopra  questo  sedimento  si  accumularono  una  trentina  di  cm.  di  humus,  poi  uno  strato 
abbastanza  uniforme  cosparso  di  cocci  romani,  spesso  circa  10  cm.,  e  finalmente  il 
terreno  vegetale. 


(*)  Ciò  fu  potuto  dimostrare  allorché  si  parlò  della  fossa  indicata  in  pianta  col  n.  43. 


REGIONE    VI.  —    209    —  TERNI 

La  stratificazione  preesistente  al  sepolcreto,  oltre  all'  humus  A  di  cui  si  è  parlato 
poc'anzi,  constava  di  nn  grosso  banco  di  sabbia  color  giallo  chiaro  di  natura  allu- 
vionale spesso  80  cm.,  posto  immediatamente  al  disotto;  di  uno  strato  di  sabbia  sot- 
tile cinerea  spesso  dai  13  ai  15  cm.,  e  finalmente  di  un  sedimento  alluvionale  pri- 
mitivo che  nel  cavo  di  fondazione  dello  stabile  di  proprietà  Battistoni  si  potè  seguire 
per  circa  m.  0,40. 

Tombe  di  uomo. 

Tomba  39.  Questo  sepolcro  si  rinvenne  quasi  ad  oriente  della  tomba  36,  facente 
parte  del  gruppo  da  noi  descritto,  e  dalla  quale    era    discosta  m,  15  circa  (fig.  1). 

Era  orientato  da  est  ad  ovest  e  misurava  m.  3.45  di  lungh.,  m.  0,85  di  largh. 
e  m.  1,20  di  profondità  dall'odierno  piano  di  campagna'.  Conteneva  lo  scheletro  di 
un  adulto,  lungo  m.  1,80,  deposto  supino  presso  l'estremità  orientale  della  fossa,  col 
cranio  reclinato  sulla  spalla  destra  (fig.  4). 

La  suppellettile  funebre  rinvenuta  nel  sepolcro  si  trovò  distribuita  nell'ordine 
seguente  : 

Alla  sinistra  del  cranio  fu  deposto  un  attingitoio  d' impasto  rossiccio  munito  di 
larga  ansa  nastriforme  rastremata  in  alto,  raccolto  in  minuti  frammenti. 

Sopra  la  pelvi  destra  era  la  lama  di  un  pugnale  di  ferro  il  cui  codolo  sovrap- 
ponevasi  alle  ossa  dell'avambraccio.  Il  fodero  di  esso,  pure  di  ferro  e  ridotto  in  fram- 
menti al  pari  della  lama,  si  trovò  più  prossimo  al  femore. 

Vicino  al  pugnale  si  trovarono  un  anello  di  ferro  del  diam.  di  mm.  37  ed  i 
frammenti  di  un  altro  anello  della  stessa  grandezza  o  quasi. 

Presso  l'estremità  della  tibia  destra  si  rinvenne  una  ciotola  a  calotta  d'impasto 
scuro,  del  diam.  di  mm.  145,  la  quale  era  talmente  screpolata  a  cagione  dell'umi- 
dità del  sottosuolo  e  della  pressione  della  terra,  che,  appena  tolta  dal  suo  posto  ori- 
ginario, andò  in  parecchi  frammenti. 

Ai  piedi  del  cadavere  furono  deposte  sette  cuspidi  di  lancia  in  ferro,  aggruppate 
su  due  file  e  tutte  colla  punta  rivolta  verso  il  lato  occidentale  della  fossa.  Facevano 
parte  del  primo  gruppo  più  prossimo  ai  piedi  due  cuspidi  soltanto,  entrambe  man- 
canti della  punta,  lunghe  rispettivamente  mm.  230  e  mm.  175. 

Le  cinque  cuspidi  che  costituivano  l'altro  gruppo  erano  intiere  :  due  della  lun- 
ghezza di  mm.  210  ciascuna,  le  altre  erano  lunghe  rispettivamente  mm.  195,  165  e  153. 

In  prossimità  della  parete  sud  della  fossa  e  all'altezza  di  quest'ultimo  gruppo 
di  cuspidi  si  trovò  una  tazzina  a  largo  fondo  umbilicato,  con  alto  collo  striato  oriz- 
zontalmente ed  orlo  divergente,  provvista  di  due  anse  verticali  nastriformi,  alta  circa 
mm.  95,  raccolta  anch'essa  in  frammenti. 

In  mezzo  alla  fossa,  a  poco  più  di  20  cm.  dal  secondo  gruppo  di  cuspidi  di 
lancia  descritto,  si  trovarono  i  frammenti  di  un  piccolo  kanlharos  ad  alte  anse  nastri- 
formi decorato  con  due  protuberanze  nella  parte  più  espansa  del  ventre,  e  quelli  di 
un  attingitoio  globulare  con  orlo  dritto,  entrambi  di  argilla  scura. 

Tra  i  due  fittili  ora  descritti  e  la  parete  meridionale  della  fossa  si  raccolsero 
i  frammenti  della  parte  inferiore  di  una  grande  olla  d'impasto  rossiccio. 


TERNI  —    210    —  REGIONE    VI. 


Altri  frammenti  appartenenti  ad  un'olla  a  pareti  spesse,  più  grande  della  pre- 
cedente, furono  rinvenuti  presso  la  parete  occidentale  del  sepolcro. 

Tomba  SO.  Fossa  a  pianta  rettangolare  orientata  da  nord-ovest  a  sud-est,  lunga 
m.  3,05,  larga  m.  0,75  e  profonda  dall'attuale  piano  m.  1,45.  Conteneva  uno  sche- 
letro di  adulto,  lungo  circa  m.  1,70,  deposto  supinamente  nel  mezzo  della  fossa. 

Alla  sin.  del  cranio  aderiva  un  kantharo.s  d' impasto  scuro,  con  alte  anse  rastre- 
mate in  alto  ed  ornato  di    striature;  si  rinvenne  in  frammenti. 

Dietro  al  fittile  precedente  si  trovò  un  grande  attingitoio  d' impasto  rossastro, 
anch'esso  in  frammenti. 

Sopra  alla  clavicola  destra  era  un  cultro  lunato  di  bronzo,  con  ansa  ad  occhiello 
decorata  di  due  prominenze  e  tirata  a  martello  dalla  stessa  lamina:  è  frammentato 
nel  taglio  e  misura  allo  stato  attuale  mm.  85  di  lungh.  massima. 

Parallelamente  all'avambraccio  sinistro  (lato  interno)  si  rinvenne  la  lama  di  un 
pugnale  di  ferro,  frammentata  nel  còdolo  e  presso  la  punta,  lunga  mm.  250.  Pochi 
frammenti  appartenenti  al  fodero  di  questo  pugnale  si  raccolsero  lungo  il  femore 
sinistro  :  era  in  lamina  di  ferro  accartocciata  ai  lati  e  terminava  in  basso  a  guisa  di 
un  bottone  piatto. 

Lì  presso  erano  due  anelli  di  grossa  verghetta  di  ferro,  del  diam.  di  mm.  30 
ciascuno. 

Pochi  frammenti  informi  di  ferro  si  trovarono  anche  in  vicinanza  del  coccige. 

A  lato  del  piede  sinistro  erano  aggruppate,  con  la  punta  rivolta  in  basso,  tre 
cuspidi  di  lancia  di  ferro  danneggiate  dall'ossidazione  e  rotte  nella  punta. 

A  lato  del  piede  destro,  ed  ugualmente  disposte,  si  trovarono  altre  quattro  cuspidi 
di  lancia,  danneggiate  anch'esse  dall'ossido,  ma  intiere:  la  maggiore,  misura  mm.  180 
di  lungh.  ;  la  minore,  mm.  120. 

Tra  i  piedi  del  cadavere  e  la  parete  occidentale  della  fossa  si  raccolsero  in  fram- 
menti i  fittili  seguenti  d'impasto  scaro: 

ciotola  posata  su  piede,  decorata  intorno  all'orlo  con  due  solcature; 
kantharos  dello  stesso  impasto  del  vaso  precedente  e  colla  medesima   orna- 
mentazione. 

Tombe  di  donna. 

Tomba  33.  Questa  fossa  si  rinvenne  alla  profondità  di  m.  1,92  dal  piano  odierno; 
era  orientata  da  nord-ovest  a  sud- est  e  misurava  m.  2,35  di  lungh.  e  m.  0,60  di 
larghezza.  Conteneva  lo  scheletro  di  un  adulto,  lungo  m.  1.65,  in  mediocre  stato  di 
conservazione,  depostovi  supino. 

A  destra  del  cranio,  all'altezza  dell'occipite,  si  trovò  un  attingitoio  d' impasto 
scuro,  a  ventre  sferiforme,  striato  verticalmente,  nella  maggiore  espansione  del  quale 
resta  l'attaccatura  di  un'ansa  a  nastro  che  doveva  unirsi  all'orlo  quasi  completamente 
mancante. 

Dalla  parte  opposta  si  raccolsero  i  frammenti  di  un  altro  attingitoio  dello  stesso 
impasto  del  precedente,  ma  di  proporzioni  minori,  decorato  attorno  all'orlo  con  denti 
di  lupo  graffiti. 


REGIONE    VI. 


-  211   - 


TERNI 


Sopra  alla  clavicola  destra  era  una  fibula  di  bronzo  con  corpo  a  losanga  ornato 
con  due  globetti  e  con  solcature  parallele,  lunga  complessivamente  mm.  118.  Era 
provvista  di  una  lunga  staffa  accartocciata  terminata  anch'essa  da  globetto  e  porta 
infilati  nell'ardiglione  tre  anelli  di  filo  eneo,  il  maggiore  dei  quali  è  decorato  con 
sottili  trattini  incisi. 

Sotto  il  mento  si  notarono  i  residui  di  una  collana  composta  di  bariletti  d'ambra, 
di  cui  non  si  poterono  raccogliere  che  pochissimi  frammenti  insignificanti. 


Fio.  17.    (i:i) 


Ornavano  il  petto  del  defunto  i  seguenti  oggetti: 
fibula  del  tipo  della  precedente,  ma  più  piccola,  il  cui  arco  doveva  essere  ori- 
ginariamente adorno  di  cinque  dischetti  d'ambra,  disposti  a  croce,  inseriti  in  apposite 
cavità  fatte  col  trapano.  Alcuni  di  tali  dischetti  si  rinvennero  fra  la  terra. 

Nell'ardiglione  di  essa  sono  infilati  due  pendagli  :  l'uno,  appeso  ad  un  anello  di 
ferro,  consiste  in  un  grosso  dente  di  cinghiale  fasciato  alle  estremità  e  nella  parte 
mediana  con  filo  di  rame  cui  fanno  ornamento  piccole  catenine  pénsili,  lungo  mm.  82 
senza  l'anello;  l'altro,  costituito  da  una  lamina  di  rame  accartocciata  avvolgente  un 
ciottoletto  conico  di  silice  rossiccia,  è  appeso  ad  un  anello  e  ad  una  catenina  di  filo 
eneo.  La  lamina  che  avvolge  il  ciottoletto,   quantunque    frammentata  ed  in  cattivo 


TERNI  —    212    —  REGIONE    VI. 


stato  di  conservazione,  lascia  intravedere  una  decorazione  a  sbalzo  che  sembra  raffi- 
gurare il  Dio  Bes  (fig.  17); 

pendaglio  formato  da  alcuni  ossicini  completamente  avvolti  in  una  fasciatura 
di  l'ilo  eneo  da  cui  pendono  catenelle  ornamentali:  in  frammenti; 

avanzi  di  una  cannula  in  sottile  lamina  di  rame,  probabilmente  usata  come 
pendaglio; 

fibuletta  a  losanga,  di  bronzo,  ornata  di  due  sporgenze  globulari  ai  lati  e  di 
un  dischetto  d'ambra  inserito  nel  mezzo  del  corpo; 

idem  più  piccola  e  dello  stesso  tipo  della  precedente,  nascosta  in  parte  in  una 
massa  informe  di  ossido  di  ferro; 

fibuletta  di  bronzo  a  navicella  piena,  con  costola  rilevata  nel  mezzo  e  con  ardi- 
glione riportato. 

Presso  la  mano  destra  si  rinvennero  tre  fusarnole  fittili  a  doppio  tronco  di  cono: 
due  d' impasto  scuro  decorate  con  quattro  sporgenze,  circoli  concentrici  graffiti  ed 
impressioni  di  cordicella,  l'altra  rossastra,  liscia. 

Nello  spazio  compreso  fra  le  tibie  si  raccolsero  i  frammenti  di  una  tazza  a  calice 
d'impasto  scuro  tendente  al  rossigno,  decorata  intorno  all'orlo  con  solcature  oriz- 
zontali. 

Ai  piedi  del  morto  si  rinvennero  i  frammenti  di  altri  fittili  d'impasto  scuro  tra 
i  quali  sono  riconoscibili  i  seguenti: 

olletta  a  pareti  sottili,  decorata  con  denti  di  lupo  tratteggiati,  col  vertice  ri- 
volto in  basso,  e  relativo  coperchio  decorato  parallelamente  alla  periferia  con  doppia 
linea  spezzata  graffita; 

oinochoe  ornata  sulla  spalla  con  una  zona  costituita  da  fasci  di  linee  ango- 
lari graffite,  compresi  tra  una  duplice  linea  gemina  pure  graffita.  Sembra  che  anche 
il  beccuccio  avesse  inferiormente  come  ornamento  una  serie  di  linee  a  zig-zag 
graffite  ; 

attingitoio  a  pareti  sottili,  esternamente  rossigno  a  causa  della  imperfetta 
cottura. 

Tomba  36.  Possa  a  pianta  rettangolare  lunga  m.  3,55,  larga  m.  0,98,  profonda 
dall'odierno  piano  di  campagna  m.  1,20  circa  ed  orientata  da  est  ad  ovest. 

Conteneva  uno  scheletro  di  adulto  di  m.  1,70  di  lunghezza,  il  quale  vi  era  stato 
deposto  supino  con  la  testa  verso  est,  le  braccia  distese  lungo  i  fianchi  e  le  mani 
sovrapposte  alle  pelvi  (fig.  6). 

Quasi  all'altezza  del  cranio  e  aderenti  alle  pareti  nord  e  sud  della  fossa  si  sono 
rinvenute  due  pietre  irregolari  di  cava  presso  le  quali  si  raccolsero  alcuni  oggetti 
appartenenti  alla  suppellettile  funebre  del  defunto.  A  contatto  della  pietra  posta  sulla 
sinistra  del  cadavere: 

metà  circa  di  un  braccialetto  in  forma  di  ciambella,  fatto  con  sottile  lamina 
di  rame  accartocciata,  del  diametro  esterno  di  cm.  15  ; 

frammento  di  un  altro  braccialetto  di  verghetta  cilindrica  di  ferro  molto  dan- 
neggiata dall'ossido  ; 


REGIONE    VI.  —    213    —  TERNI 


fusaruola  biconiea,  d' impasto  scuro,  con  cinque  protuberanze  intorno  al  mas- 
simo diametro  e  adorna  con  impressioni  rettilinee  e  circolari  concentriche  eseguite 
con  una  cordicella:  alt.  mm.  28. 

Aderenti  al  ciottolone  posto  sulla  destra  del  cranio  si  raccolsero  i  seguenti  altri 
oggetti  : 

fibula  con  arco  costituito  da  una  laminetta  di  bronzo  avvolta  a  cinque  spire 
disposte  trasversalmente  ed  equidistanti,  compita  da  scudetto  circolare  di  lamina  enea, 
adorno  di  punteggiature  rilevate,  fissato^alla  staffa  mediante  un  pernetto  di  ferro: 
lungh.  mm.  125  (fig.  18); 

tre  anelli  cilindrici  di  bronzo,  ottenuti  colla  fusione,  leggermente  carenati  al- 
l'esterno, del  diametro  di  mm.  22  circa;  , 

pochi  frammenti  di  una  canuula  cilindrica  di  sottile  lamina  enea  decorata  con 
zone  gemine  di  perline  sbalzate. 


Fig.  18.     (2:3). 

A  sin.  del  teschio,  presso  il  braccialetto  di  lamina  di  rame,  si  trovò  un  fer- 
maglio a  tre  occhielli  appartenente  ad  una  cintura,  fatto  di  grosso  filo  ondulato  di 
rame,  alto  mm.  115. 

Sulla  destra  del  cranio  era  un  altro  fermaglio  simile,  alto  mm.  135,  anch'esso 
di  grosso  filo  di  rame  e  con  tre  occhietti  perfettamente  equidistanti.  Nella  sbarretta 
rettilinea  si  conservavano  i  resti  di  una  fasciatura  di  filo  di  rame  a  denti  di  lupo, 
la  quale  mentre  decorava  e  rafforzava  la  sbarretta  stessa,  dovè  servire  a  fissare  l'estre- 
mità della  fascia  di  tela  o  di  cuoio  costituente  la  vera  e  propria  cintura  (fig.  19). 

Sulla  clavicola  destra  si  raccolse  una  fibula  di  bronzo  il  cui  corpo  a  navicella 
vuota  è  decorato  con  due  globetti  ai  lati  e  con  striature  parallele  alle  estremità  di 
esso.  La  fibula  è  provvista  di  una  lunga  staffa  accartocciata  compita  anch'essa  da 
capocchia  sferica    e  misura  mm.  102  circa  di  lunghezza. 

Sulla  clavicola  opposta  si  rinvennero  pochi  frammenti  di  una  catenella  ad  anellini 
di  filo  eneo;  due  chicchi  di  ambra;  un  dischetto  di  bronzo  forato  nel  mezzo,  del  dia- 
metro di  cm.  2,  decorato  con  una  solcatura  circolare  da  un  lato,  ed  una  bella  fibula 
a  lunga  staffa  accartocciata  ed  arco  di  filo  di  bronzo  con  rivestimento  di  avorio  sul 
quale  sono  ricavate  a  tutto  tondo  due  teste  di  grifo  disposte  simmetricamente,  l'una 
in  senso  opposto  dell'altra:  lunga  complessivamente  mm.  113  (fig.  20). 

Presso  il  mento  si  raccolsero  altri  frammenti  di  cannula  in  lamina  di  rame  ornata 
con  zone  di  perline  sbalzate  similmente  agli  altri  frammenti  di  cannula  già  descritti. 
Sparsi  su  tutto  lo  spazio  occupato  dal  petto  del  defunto  si  rinvennero  i  seguenti  altri 
ornamenti  : 


TERNI 


—  214  — 


REGIONE    VI. 


fibuletta  di  bronzo  a  lunga  staffa  e  corpo  a  navicella  vuota  decorata  lateral- 
mente con  due  sporgenze  sferiche:  in  frammenti; 

idem,  pure  in  frammenti,  più  piccola  e  con  ardiglione  riportato; 


Fio.  19.    (1:2) 

coppia  di  fibulette,  anch'esse  frammentate  ed  a  lunga  staffa,  una  delle  quali 
è  ornata  nel  mezzo  con  due  cordoncini  rilevati  disposti  longitudinalmente  e  con  stria- 
ture  ai  due  lati; 


Vw.  20.     (l:l) 


due  fibulette  di  bronzo  a  navicella  piena,  con  lunga  staffa  ed  ardiglione  ripor- 
tato mediante  un  pernetto  di  ferro  ribadito:  una  di  esse  è  ornata  con  larghe  solca- 
ture, l'altra  con  triplice  zona  di  tratteggi  eseguiti  a  bulino; 


REGIONE    VI. 


—  215 


TERNI 


frammenti  di  una  libala  il  cui  arco  era  rivestito  di  filo  di  rame  avvolto  a 
spira  ; 

anello  di  filo  eneo,  rivestito  con  un  nastrino  di  rame,  del  diametro  esterno 
di  mm.  24; 

cinque  bulle  biconvesse  di  ferro,  ricavate  da  una  sola  lamina  ripiegata  su  se 
stessa,  due  delle  quali  in  frammenti,  appartenenti  in  origine  ad  una  collana; 

tre  bulle  simili  in  lamina  di  rame; 

gruppo  di  frammenti  vari  di  ferro  assai  danneggiato  dall'ossido,  tra  i  quali  si 
riconoscono  pezzi  di  fìbule,  un  uncinetto  ed  alcune  sbarrette  a  cui  erano  appese  delle 
catenelle  ad  anellini  di  li  lo  eneo; 


Fra.  21.    (1 : 1) 


Fig.  28.    fl:l) 


Flfl.  22.    (1 : 1) 


ciambella  di  avorio  sfaldata  in  più  pezzi  del  diametro  di  mm.  60  circa; 

frammenti  di  due  fibulette  di  filo  di  bronzo; 

pendaglio  di  avorio  costituito  da  due  leoncini  accovacciati  in  senso  contrario 
e  in  atto  di  dormire  poggiando  l'uno  la  testa  sulla  coscia  dell'altro.  La  faccia  infe- 
riore del  listellino  su  cui  poggiano  i  due  felini  doveva  essere  probabilmente  usata  come 
sigillo  essendovi  inciso  a  largo  solco  un  grifo  alato  incedente  a  sinistra.  Il  pendaglio 
è  attraversato  longitudinalmente  da  un'asticella  di  ferro  spezzata  ed  assai  danneg- 
giata dall'ossido  (fig.  21); 

altro  pendaglio  di  avorio,  anch'esso  attraversato  da  una  spina  di  ferro,  con  due 
leoncini  accovacciati  l'uno  vicino  all'altro  e  disposti  nello  stesso  senso.  Inferiormente 
è  decorato  come  il  precedente  (fig.  22)  ; 

idem,  meglio  conservato  ma  sfaldato  nella  faccia  inferiore  (fig.  23); 

pendaglio  simile  al  primo  descritto,  ma  coi  leoncini  meglio  conservati  e  con 
la  testa  alzata.  Nella  parte  piana  inferiore,  assai  consunta,  sembra  fosse  raffigurato 
in  mauiera  assai  schematica  un  volatile  ad  ali  spiegate,  veduto  di  prospetto,  piantato 
sulle  zampe  alla  maniera  araldica.  Alle  estremità  del  pernetto  di  ferro  che  l'attraversa 
aderiscono  per  l'ossido  pochi  resti  di  catenelle  di  sottile  filo  eneo; 

NonziB  Scavi  1916  —  VoL  XHI.  29 


TURNI 


—  216  — 


REGIONE    Vi. 


idem,  di  pasta  giallognola  rappresentante  da  una  parte  e  dall'altra  una  rozza 
e  goffa  figura  umana  barbata  coperta  il  capo  da  grande  pennacchio  (Dio  Bea); 
alt.  mm.  53,  (tìg.  24). 

Disposte  longitudinalmente  sopra  l'addome  si  trovarono  due  grandi  fibule  con  arco 
a  foglia,  di  lamina  di  rame,  compite  da  scudetto  circolare  riportato  e  decorate  con 
perline  sbalzate,  lunghe  approssimativamente  cm.  24.  Una  di  esse  è  stata  riprodotta 
nella  fig.  25. 

Tra  le  fibule  suddette  e  l'avambraccio  sinistro,  disposta  anch'essa  longitudinal- 
mente al  cadavere,  si  raccolse  una  grande  fibula  di  bronzo  a  navicella  vuota  con  due 
sporgenze  sferiche  ai  lati  e  decorata  con   costolature  rilevate 
e  intaccate,  e  con  fasci  di  linee  incise. 


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Pio.  24.     (l  :  l) 


Fig.  25.        (i:s) 


Ha  la  staffa  accartocciata  assai  lunga,  compita  da  globetto,  ed  è  priva  dell'ar- 
diglione che  vi  doveva  essere  riportato  e  fissato  mediante  perno  di  ferro. 

Sul  braccio  destro  si  rinvennero  i  resti  di  un  braccialetto  di  avorio  ridotto  in 
minute  sfaldature. 

Sopra  il  femore  sinistro  e  tra  questo  e  l'altro  femore  si  trovarono  due  fermagli 
di  cintura  a  tre  branche  uncinate  di  grosso  filo  di  bronco  alti  circa  mm.  135,  una 
dei  quali  con  i  resti  del  filo  eneo  avvolto  intorno  alla  sbarretta  cui  doveva  essere 
fissata  la  striscia  di  cuoio  (ved.  fig.  19). 

Aderente  alla  caviglia  del  piede  sinistro  si  raccolse  una  piccola  oinochoe  di 
argilla  figulina  con  ventre  a  doppio  tronco  di  cono,  collo  cilindrico  e  bocca  trilobata, 
provvista  di  ansa  nastriforme  e  decorata  con  fasce  e  circoli  concentrici  di  colore  rosso: 
alt.  mm.  115  (fig.  26). 

L'estremità  occidentale  della  fossa  si  trovò  manomessa  dai  lavori  agricoli  e  vi 
si  rinvennero  soltanto  alcuni  frammenti  di  una  grande  olla  a  pareti  spesse  d' impasto 
rossiccio,  ed  altri  minutissimi  appartenenti  a  parecchi  vasi  d' impasto  scuro  non  del 
tutto  ricomponibili. 


Tomba  37.     Si  rinvenne  a  otto  metri  circa  più  a  nord  del  sepolcro  precedente,  ed 
aveva  la  medesima  orientazione  (fig.  1).  Era  anch'essa  a  pianta  rettangolare  lunga 


REGIONE    VI. 


217  — 


TERNI 


m.  3,15,  larga  m.  0,90  e  profonda  m.  1.70.  Lo  scheletro  vi  giaceva  supino  e  misu- 
rava m.  1,50  di  lunghezza  (fig.  7). 

A  sinistra  del  cranio  si  raccolsero  i  frammenti  di  due  fittili  d'impasto  scuro, 
e  cioè  di  una  oinochoe  a  lungo  beccuccio  obliquo,  provvista  di  larga  ansa  nastriforme 
e  di  un  piccolo  kantharos  ad  alte  anse. 

Sulla  destra  del  cranio  aderiva  ua'olpe  ad  alta  ansa  ridotta  in  frammenti,  del 
medesimo  impasto  dei  vasi  precedenti. 

Sul  petto,  tra  la  clavicola  sinistra  e  l'omero,  si  rinvenne  una  fibula  di  bronzo  a 
navicella  vuota  con  due  sporgenze  sferiche  ai  lati  ed  ornata  con  costolature  e  tratteggi. 

Dalla  parte  opposta  si  trovò  un'altra  fibula  dello  stesso  tipo  della  precedente, 
ma  di  dimensioni  minori. 


Fio.  26     (1:2) 

Sopra  il  braccio  destro  e  sulle  pelvi  si  rinvennero  parecchi  frammenti  di  lamina 
di  rame  decorati  con  fasce,  gruppi  di  linee  disposte  a  zig-zig  e  serie  di  perline  ese- 
guite a  sbalzo,  che  a  prima  vista  sembrò  appartenessero  ad  un'  idria  0  ad  uno  scudo. 
Tolte  le  lamine  dal  loro  posto  e  studiate  meglio,  avvicinando  tra  loro  i  frammenti  che 
si  ricongiungevano,  si  vide  che  appartenevano  a  parecchie  fibule  con  arco  elissoidale, 
compite  da  grande  scudetto  riportato.  Eridentemente  tanto  gli  archi,  quanto  gli  scu- 
detti di  queste  fibule,  vennero  ritagliati  da  uno  scudo  0  da  un  grande  vaso  di  bronzo, 
fuori  uso,  e  ciò  è  dimostrato  dall'assimetria  della  decorazione  e  dalla  curvatura  delle 
singole  fasce  che  compongono  la  medesima. 

Sono  state  riprodotte  con  le  figg.  27,  28  e  29  tre  di  tali  fibule,  le  quali,  quan- 
tunque in  stato  frammentario  e  mancanti  di  alcune  parti,  servono  a  dare  un'idea 
della  loro  originale  ornamentazione. 

Sulla  pelvi  sinistra,  si  trovarono  inoltre  i  seguenti  altri  oggetti: 

fibula  di  bronzo  a  navicella  vuota,  decorata  con  due  capocchie  sferiche  ai  lati, 
munita  di  lunga  staffa  accartocciata  terminata  da  globetto  e  decorata  alle  due  estre- 
mità con  tratteggi:  lungh.  mm.  115; 

idem,  più  piccola,  rotta  nella  staffa  e  nell'ardiglione. 


TERNI 


218    — 


REGIONE    VI. 


Vicino  ai  residui  delle  falangi  della  mano  destra  del  cadavere  si  poterono  rac- 
cogliere pochissimi  frammenti  di  un  attingitoio  di  lamina  di  rame  a  fondo  legger- 
mente concavo  umbilicato  e  breve  orlo  piano. 

Tra  i  femori  si  rinvennero  due  grandi  fìbule  in  lamina  di  rame  ad  arco  elis- 
soidale,  compite  da  scudetto  riportato  e  decorate  con  punteggiature  sbalzate  ripro- 
ducenti  volatili,  stcastikas  e  fasci  di  linee  (tìg.  30). 


Fio.  27.    (i:s). 

Dato  lo  stato  assai  frammentario  degli  scudetti,  si  potè  stabilire  soltanto  appros- 
simativamente la  lunghezza  di  ciascuna  fibula  che  risultò  di  circa  30  cm. 


Fio.  28.     (1 :  2) 


Sotto  una  delle  fibule  suddette  era  un  fermaglio  di  cintura  a  tre  branche  unci- 
nate, alto  14  cm. 

Un  altro  fermaglio  simile  al  precedente  si  trovò  in  parte  sovrapposto  al  femore 
destro. 

Sempre  dallo  stesso  lato;  all'altezza  poi  del  ginocchio,  si  rinvennero  due  fusa- 
mole  d'impasto  scuro:  l'una  di  forma  leaticolare,  l'altra  biconica  decorata  con  quattro 
sporgenze. 


REGIONE    VI. 


219  — 


TERNI 


A  contatto  del  piede  sinistro  era  una  rozza  ciotola  a  tronco  di  cono,  d'impasto  scuro, 
presso  la  quale   si  trovò  un  terzo  fermaglio  di  cintura  a  tre  occhietti,  alto  14  cm. 
Fra  l'uno  e  l'altro  piede  si  raccolsero  i  frammenti  minutissimi  di  un  vaso  d'im- 
pasto scuro  che  potrebbe  essere  stata  una  olpe.  * 

Presso  la  parete  occidentale    della  fossa  erano  stati   deposti   i  seguenti  altri 
fittili: 

ciotola  d' impasto  scuro  posata  su  piede,  ornata  alla  base  dell'orlo  con  leggere 
steccature  verticali:  in  frammenti; 

grande  e  rozza  olla  d'impasto,  rossiccio,  a  pareti  spesse:  in  frammenti; 


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Fio.  29. 


grande  vaso  d'impasto  scuro,  nella  forma  del  vaso  villanoviano,  provvisto  di 
due  anse;  l'una  orizzontale,  l'altra  costituita  da  tre  bastoncelli  verticali  riuniti  in 
alto  e  sormontati  da  un  piattello  leggermente  concavo,  anch'esso  in  frammenti. 


Tomba  42.  Possa  a  pianta  rettangolare,  orientata  quasi  da  est  ad  ovest,  lunga 
m.  2.85,  larga  m.  0.77  e  profonda  m.  1.35  nella  quale  restavano  pochissime  tracce 
del  cadavere. 

Nel  punto  corrispondente  alla  sinistra  del  cranio  si  rinvenne  soltanto  il  piede 
campanulato  di  una  tazza  a  calice  d'impasto  scuro. 

Nello  spazio  che  doveva  essere  occupato  dal  petto,  tranne  un  chicco  d'ambra 
che  non  si  potè  raccogliere  perchè  quasi  polverizzato,  si  recuperarono  i  seguenti  oggetti 
pertinenti,  in  origine,  alla  collana: 

bariletto  di  bronzo,  liscio,  della  lunghezza  di  mm.  26  ; 
cilindretto  dello  stesso  metallo  del  diam.  di  11  mm.  ; 
pendaglio-sigillo  di  avorio  attraversato  longitudinalmente   da  un  foro,  lungo 
mm.  31.  Sopra  un  sottile  listello  sono  rappresentati  a  rilievo  due  felini  sdraiati,  l'uno 


TERNI 


—  220  - 


REGIONE    VI. 


in  senso  inverso  dell'altro  e  come  in  atto  di  dormire.  Il  listello  è  stondato  nei  lati 
brevi  e  porta  inferiormente  incisi  in  modo  schematico  due  grifi  alati  affrontati  (fig.  31). 
Appartennero  altresì  all'ornamento  del  petto  alcuni  frammenti  laminari  di  bronzo 
con  decorazione  periata  a  sbalzo,  ed  una  fibuletta  a  losanga  coi  soliti  globetti  laterali, 
mancante  di  alcune  parti. 


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Pio.  30.     <i  :  s) 


Nel  punto  corrispondente  alla  caviglia  del  piede  destro  si  trovò  una  specie  di 
grande  pendaglio  costituito  da  sei  anelli  di  verghetta  cilindrica  di   bronzo  girata  a 

fune,  disposti  l'uno  dentro  l'altro  in  ordine  decresente  e 
tenuti  insieme  da  una  sbarretta  ripiegata  su  sé  stessa 
alla  quale  sono  fissati  mediante  pernetti  di  ferro.  Il  dia- 
metro esterno  del  cerchio  maggiore  misura  mm.  100; 
quello  del  minore  mm.  40  ('). 

All'altezza  della   caviglia    sinistra  si  raccolsero  i 
frammenti  di  un'olla  d' impasto,  ingubbiata  di  rosso. 

:  Ai  piedi  del  cadavere  "era  stata  deposta  una  rozza 
ciotola  d' impasto  scuro  posata  su  pieduccio,  ridotta  an- 
ch' essa  in  molti  frammenti. 

Fio  31.     (ìa)  Tomba  46.   Era  anch'essa  orientata  da  est  ad  ovest 

e  misurava  m.  3.60  di  lungh.,  m.  0.85  di  largh.  e 
m.  1.50  circa  di  profondità  (fig.  8).  Lo  scheletro  si  trovò  in  cattivo  stato  di  con- 
servazione, e  presso  i  resti  del  cranio  si  raccolsero  i  frammenti  di  due  vasi  d' impasto 

(')  Quattro  grappi  di  anelli  simili  furono  rinvenuti  nel  territorio  Capenate  in  una  tomba  pure 
di  donna,  la  LII,  del  sepolcreto  di  Contrada  S.  Martino.  Cfr.  Mon.  ant.  Accad.  dei  Lincei,  voi.  XVI, 
pp.  49  e  134,  fig.  32.  Tre  di  essi  comprendenti  ciascuno  sei  o  sette  anelli,  si  trovarono  sul  petto 
del  cadavere;  e  dalla  disposizione  loro  e  dall'essere  collegati  l'uno  all'altro  mediante  una  lamina 
enea  fu  ritenuto  costituissero  la  difesa  del  petto,  a  somiglianza  di  quelle  di  Novilara.  Il  quarto 
gruppo,  composto  di  tre  anelli  soltanto,  fu  trovato  come  il  nostro  ai  piedi  del  cadavere,  ma  non 
ritengo,  col  Paribeni,  che  esso  potesse  essere  un  ornamento  di  cavallo. 

Dal  territorio  Capenate  proviene  altresì  un  altro  oggetto  simile,  senza  dubbio  il  più  grande 
e  il  meglio  conservato;  e  trovasi  esposto  al  Museo  di  Villa  Giulia. 


regione  vi.  —  221  —  Terni 


scuro:  l'uno  a  ventre  depresso,  munito  di  ansa  verticale  a  nastro  bipartita  inferior- 
mente, adorno  di  bugnette  e  di  sottili  graniture  sulla  spalla  e  al  di  sopra  delle 
bugnette  stesse;  l'altro  era  una  tazza  ad  alte  anse  nastriformi,  ornata  di  protube- 
ranze e  di  trattini  graffiti  nel  punto  d'unione  del  ventre  al  collo,  alta  approssima- 
tivamente mm.  100.  Sotto  a  quest'ultimo  fittile  era  stato  deposto  un  coperchietto  a 
largo  tronco  di  cono  munito  superiormente  di  una  piccola  ansa  ad  anello,  anch'esso 
d'impasto  scuro  ed  in  frammenti. 

Sulla  stessa  linea  dei  fittili  precedenti  era  stato  deposto  un  piccolo  kantharos 
ridotto  in  minuti  frammenti. 

A  sinistra  del  cranio  si  trovò  un  fermaglio  di  cintura  a  tre  occhietti,  di  grosso 
filo  di  bronzo,  rotto  in  due  pezzi  e  misurante  cm.  16  di  altezza. 


Fig.  32.    (1 : 3) 


Sopra  la  clavicola  destra  era  una  fibula  di  bronzo  a  navicella  vuota  decorata  ai 
lati  con  due  sporgenze,  mancante  di  gran  parte  della  staffa  e  dell'ardiglione. 

Una  fibula  più  piccola  dello  stesso  tipo,  lunga  mm.  90,  a  lunga  staffa  accar- 
tocciata e  ardiglione  riportato,  si  trovò  sulla  clavicola  sinistra. 

Sullo  sterno  si  rinvennero  altre  quattro  fibule  a  navicella  vuota  simili  alle  pre- 
cedenti, una  delle  quali  aveva  dimensioni  maggiori  delle  altre  ed  eia  ornata  nel  mezzo 
con  denti  di  lupo  tratteggiati:  lunga  mm.  160. 

Distribuite  sopra  il  cadavere,  dalle  spalle,  cioè,  ai  malleoli  del  defunto,  si  tro 
varono  cinque  grandi  coppie  di  fibule  tutte  con  lo  scudetto   rivolto   verso  i  piedi  e 
disposte  secondo  l'ordine  seguente  incominciando  dalla  coppia  più  prossima  al  cranio: 

Due  fibule  con  arco  a  larga  foglia  e  con  scudetto  rotondo  di  lamina  di  rame 
riportato,  decorate  entrambe  con  punteggiature  sbalzate  distribuite  in  serie  paralle- 
lamente ai  margini  e  lungo  la  costola  ai  lati  della  quale  ricorrono  due  zone  di  denti 
di  lupo  eseguiti  con  la  stessa  tecnica:  in  frammenti  e  lunghe  approssimativamente 
cm.  22  (fig.  32); 

Coppia  di  fibule  simili  alle  precedenti,  ma  con  scudetto  quadrangolare  stondato 
agli  angoli  e  con  decorazione  diversa:  in  frammenti  (fig.  33); 

Altre  due  fibule  frammentate,  di  uguale  forma  delle  precedenti  e  decorate 
anch'esse  con  punteggiature  sbalzate:  parallelamente  ai  margini  dell'arco  puntini  su 
più  file,  e  lungo  la  costola  triplice  fila  di  altri  puntini  fiancheggiata  da  angoli  retti  ; 


TERNI 


222  — 


REGIONE    ri. 


Coppia  di  fibule,  come  le  precedenti,  la  cui  decorazione  pure  a  puntini  sbal- 
zati è  a  fasci  di  linee  intersecantisi  ad  angolo  retto:  in  frammenti; 

Due  fibule  uguali  per  forma  e  per  decorazione  alle  due  ultime  descritte,  anche 
esse  raccolte  in  frammenti. 

Aderenti  all'omero  destro,  l'una  internamente  l'altra  esternamente,  si  trovarono 
due  fusaruole  biconiche  d' impasto  scuro  ornate  di  protuberanze  e  d' impressioni  di 
cordicella. 

In  una  falange  della  mano  sinistra  si  trovò  tuttora  infilato  un  anellino  di  lilo 
di  bronzo,  rastremato  ad  u  l'estremità,  del  diametro  interno  di  mm.   18. 

Sopra  il  femore  sinistro  si  rinvenne  l'altro  fermaglio  di  cintura  a  tre  branche 
uncinate  fatto  di  grosso  filo  di  bronzo. 


Fio.  33.    (1:4) 


Sulla  tibia  sinistra  si  trovò  un  coperchio  di  forma  emisferica,  d' impasto  scuro, 
raccolto  in  minuti  frammenti,  il  quale  doveva  appartenere  al  fittile  seguente  che  si 
trovò  rovesciato  sopra  il  piede  del  defunto; 

tazza  su  piede  d' impasto  scuro,  munita  di  doppia  ansa  orizzontale  a  baston- 
cello e  decorata  con  apofisi  nella  massima  sporgenza  del  corpo:  alt.  mm.  130. 

Poco  sotto  i  piedi  del  defunto  fu  deposto  un  grande  kantharos  d'impasto  scuro, 
ad  alte  anse  nastriformi  forate  in  basso  e  decorato  alla  base  del  collo  con  sottili 
graniture:  in  frammenti. 

Presso  l'estremità  occidentale  della  fossa  si  raccolsero  i  frammenti  di  una  grande 
olla  e  di  un  vaso  di  tipo  villanoviano   d'impasto   rossastro  a  pareti  spesse. 


Tomba  48.  Possa  a  pianta  rettangolare,  stondata  nei  lati  brevi,  lunga  m.  3.60, 
larga  m.  0.90,  e  profonda  m.  1.50  circa  dall'attuale  piano  di  campagna,  rinvenuta 
ali  metri  circa  a  NE  del  sepolcro  precedente  (fig.  1).  Conteneva  lo  scheletro  di 
una  bambina,  lungo  m.  0.90,  e  collocato  non  nel  mezzo  della  fossa,  ma  piuttosto 
avvicinato  al  lato  settentrionale  della  fossa  stessa  (fig.  3). 

Posteriormente  al  cranio  si  rinvenne  un  rozzo  attingitoio  semiovoidale  d' impasto 
rossastro  con  ansa  verticale  a  bastoncello  alto,  mm.  80. 

Presso  lo  zigomo  destro  era  una  fibuletta  di  bronzo  a  lunga  staffa  con  corpo  a 
navicella  vuota  provvisto  di  due  sporgenze  sferiche  ai  lati  ed  ornato  con  cinque 
dischetti  d'ambra  incastonati  in  altrettante  cavità  disposte  a  croce:  non  completa  e 
lunga,  allo  stato  attuale,  5  cm.  circa. 


RBStONE    VI. 


223  — 


TBRNI 


Presso  lo  zigomo  sinistro,  disposta  parallelamente  alla  precedente,  si  rinvenne 
un'altra  fibuletta  simile  ma  senza  alcuna  decorazione:  in  frammenti.  Entrambe  le 
fibule  avevano  la  staffa  rivolta  in  alto  ed  erano  disposte  parallelamente  all'asse  lon- 
gitudinale del  cranio. 

Distribuiti  sul  petto  del  cadavere  si  rinvennero  i  seguenti  altri  ornamenti: 
fibuletta  del  tipo  delle  precedenti,  con  un  incavo  circolare  nel  mezzo  per  la 
inserzione  del  dischetto  di  avorio  che  andò  perduto.  Pendevano  dalla  fibula  l'anellino 
di  filo  eneo  che  doveva  sorreggere  una  piccola  teca  di  lamina  di  rame  ornata  di  pun- 
teggiature sbalzate  di  cui  conservasi  solo  l'appiccagnolo,  ed  i  resti  di  una  catenella 
ad  anellini  ammagliati:  in  frammenti; 


Fio.  34.    (1  ;  1) 


Fio.  36.     (1  : 1) 


Fio.  35.    (l  :  l) 


altra   fibuletta   simile   decorata   coi   soli   globetti  laterali  pure  frammentata; 

sei  tìbulette  dello  stesso  tipo  ma  un  poco  più  piccole  :  una  di  esse  ha  un  incavo 
circolare  nel  mezzo  entro  cui  doveva  essere  incastonato  il  solito  dischetto  d'ambra; 

gruppo  di  tubetti  spiraliformi  di  filo  eneo  ed  avanzi  di  catenelle  appartenenti 
probabilmente  all'ornamentazione  del  collo; 

anellino  fii30  di  bronzo,  del  diam.  di  mm.  25,  decorato  con  sottili  solcature. 
Sempre  sul  petto,  ma  in   prossimità  dell'omero  destro,  si  trovò  un  amuleto  di 
lamina  di  rame  foggiato  a  cuspide  di  freccia  da  cui  pendevano  delle  catenelle  di  sot- 
tile filo  eneo:  lungh.  mm.  55  (fig.  34). 

Dalla  parte  opposta  si  raccolsero  i  resti  di  un  altro  amuleto  in  forma  di  trian- 
golo fatto  di  lamina  accartocciata  (astuccio  di  altra  cuspide?),  ornato  sui  due  lati  con 
serie  di  bottoncini  sbalzati.  Anche  a  questo  amuleto  erano  in  origine  appese  delle 
catenelle  di  cui  rimangono  pochissimi  avanzi  :  lungo  nello  stato  attuale  mm.  60  (fig.  35). 
Faceva  parte  dell'ornamento  del  petto  anche  un  pendaglio  di  avorio  rappresentato  da 
due  leoncini  accovacciati  l'uno  di  fronte  all'altro,  poggianti  su  listellino,  la  faccia 
inferiore  del  quale  di  forma  quasi  rotondeggiante  è  ornata  con  una  croce  equilatera 
Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  30 


TURNI  —   224   —  REGIONE   VI. 

incisa.  Il  pendaglio  è  longitudinalmente  attraversato  da  un  l'oro  nel  quale  doveva 
essere  inserita  l'asticella  che  collegavasi  all'appiccagnolo  (tìg.  36). 

Nel  braccio  destro  si  trovarono  infilati  due  braccialetti  di  grosso  filo  di  bronzo 
a  capi  sovrapposti  ed  ornati  con  solcature  longitudinali  e  gruppi  di  tratteggi  ;  l'uno 
terminato  con  due  globetti.  l'altro  con  teste  di  serpente:  diam.  mm.  52  e  mm.  49. 

In  corrispondenza  del  braccio  sinistro  che  andò  completamente  distrutto,  si  rin- 
venne un  altro  braccialetto  del  diam.  di  mm.  52  con  estremità  sovrapposte  termi- 
nate a  testa  di  serpente  ed  ornato  in  giro  con  striature  orizzontali  e  con  tratteggi 
obliqui. 

Nell'unica  falange  rimasta  della  mano  destra  era  infilato  un  anellino  di  sottile 
filo  di  rame  coi  capi  sovrammessi  del  diam.  di  mm.   15. 

Aderente  alla  parete  sud  della  fossa  e  alla  stessa  altezza  del  cranio  fu  deposto 
un  grosso  attingitoio  rossastro  a  ventre  sferiforme  appianato  inferiormente,  ed  alto 
orlo  dritto  provvisto  di  ansa  verticale  nastriforme  elevata  sopra  l'orlo  :  alto  mm.  50. 

La  bocca,  screpolata  in  antico,  aveva  un  diametro  di  mm.  127,  e  si  trovò  protetta 
da  un  ciottolone  di  pietra  spugnosa,  particolare  riscontrato  anche  in  altri  sepolcri  e 
di  cui  già  si  accennò  nella  presente  relazione. 

Presso  il  ginocchio  destro  si  raccolsero  i  frammenti  di  un  kantharos  d' impasto 
scuro  a  larghe  anse  nastriformi  rastremate  in  alto. 

Aggruppati  in  quello  spazio  compreso  tra  il  lato  occidentale  della  fossa  e  i  piedi 
del  cadavere,  oltre  ad  una  metà  circa  di  una  fusaruola  biconica  d'impasto  scuro  ornata 
con  swastikas  e  doppia  linea  ondulata  ottenute  con  impressioni  di  cordicella,  si  rin- 
vennero i  frammenti  dei  seguenti  fittili:  a)  parte  inferiore  di  una  rozza  olla  d'im- 
pasto rossastro;  b)  tazza  a  calice  d'impasto  scuro  posata  su  piede  campanulato. 

Tomba  23  (di  sesso  incerto).  Possa  a  pianta  rettangolare  lunga  m.  2,35, 
larga  m.  1,20  e  profonda  dall'attuale  piano  di  campagna  m.  1,54,  con  orientamento  da 
nord-ovest  a  sud-est  (fig.  1).  Conteneva  lo  scheletro  di  un  adulto  mediocremente  con- 
servato, lungo  m.  1,65,  deposto  supinamente,  il  quale,  come  nella  tomba  48,  invece 
di  essere  collocato  sull'asse  mediano  della  fossa,  era  stato  adagiato  in  prossimità  di 
uno  dei  suoi  lati  lunghi;  colla  differenza,  però,  che  mentre  in  quella  il  defunto  si 
trovò  avvicinato  al  lato  settentrionale,  in  questa  si  rinvenne  presso  il  lato  opposto. 

Sul  petto  del  cadavere  si  raccolsero  pochi  frammenti  di  ferro  assai  corrosi  dal- 
l'ossido che  potrebbero  appartenere  ad  una  fibbia. 

Tra  l'una  e  l'altra  gamba,  disposti  longitudinalmente  e  distanziati  in  modo 
da  raggiungere  i  piedi,  si  rinvennero  i  fermagli  e  le  placche  quadrangolari  di  bronzo 
che  dovettero  originariamente  appartenere  ad  una  cintura  qui  rappresentata  colla 
fig.  37.  Le  tre  placche  centrali,  semplicemente  ornamentali,  sono  divise  ciascuna, 
in  quattro  riquadri,  su  ognuno  dei  quali  è  ricavata  a  traforo  in  maniera  assai  schema- 
tica una  figura  di  grifo  rampante  ('),  mentre  quelle   laterali   che  dovevano  offrire 

(*)  Un  fermaglio  di  cintura  con  ornamento  a  traforo,  somigliante  a  quello  delle  nostre  placche 
e  proveniente  dal  territorio  Capenate,  è  riprodotto  in  Mon.  ant.,  voi.  XVI,  pag.  123,  fig.  24. 


REGIONE    VI. 


—  225  — 


TERNI 


maggiore* solidità  sono  lisce.  Una  di  queste  conserva  ancora  i 
tre  occhielli,  mentre  dell'altra,  che  doveva  essere  fornita  dei 
ganci,  non  si  raccolsero  che  pochi  ed  insignificanti  frammenti. 
In  prossimità  dei  piedi  e  sovrapposto  all'ultima  placca 
della  cintura  era  un  lehete  di  lamina  di  rame  con  orlo  sbal- 
zato a  perline,  del  diam.  esterno  di  235  mm.,  e  mancante 
di  buona  parte  del  fondo. 

Il  vasellame  di  corredo  si  trovò  distribuito  a  destra  del 
cadavere  e  su  tutta  la  sua  lunghezza,  nell'ordine  seguente: 

Presso  l'occipite:  olpe  in  lamina  di  rame,  frammentata 
in  basso,  con  ansa  a  nastro  elevata  sopra  l'orlo,  terminata 
inferiormente  aldisco  su  cui  è  inciso  un  rosone,  ed  ornata  nel 
senso  longitudinale  con  una  treccia  tra  due  zone  di  tratteggi 
obliqui  eseguiti  anch'essi  al  bulino.  Pare  fosse  provvista  in- 
ternamente alla  base  del  collo  di  un  diaframma  eneo  buche- 
rellato, che  faceva  l'ufficio  di  un  colum,  di  cui  restano  sol- 
tanto gli  attacchi  laterali. 

A  lato  deljtorace:  skyphos  d'impasto  scuro,  posato  su 
basso  piede,  decorato  con  fasci  di  linee  angolari  granite,  muo- 
venti dall'orlo  e  terminanti  presso  l'attacco  del  piede;  in 
frammenti  ; 

kantharos  di  bucchero  ornato  d'intaccature  alla  base 
dell'orlo.  Fu  raccolto  anch'esso  in  frammenti  e  misura  in 
altezza  mm.  85  ; 

oinoohoe  di  bucchero  a  lungo  beccuccio  ridotta  in  mol- 
tissimi frammenti.  Aveva  l'ansa  a  doppio  bastoncello  intrec- 
ciantesi  superiormente,  ed  era  adorna  di  larghe  solcature 
parallele,  disposte  orizzontalmente  attorno  al  collo  ed  al  corpo  ; 

id.  d' impasto  scuro,  a  larga  bocca  trilobata  e  posata 
su  piede,  ridotta  pure  in  frammenti.  L'ansa  nastriforme  ha 
una  profonda  solcatura  longitudinale  e  termina  superiormente, 
all'attaccatura  dell'orlo,  con  due  rotelle  ad  imitazione  dei  pro- 
totipi metallici  corinzii.  11  corpo  era  adorno  di  solcature  oriz- 
zontali ; 

piccola  olla  d'impasto  scuro  a  breve  orlo  verticale, 
corpo  piriforme  posato  su  piede,  e  doppia  ansa  a  bastoncello. 
La  sua  decorazione  consiste  in  gruppi  di  solcature  orizzontali 
ottenute  a  fresco  col  sussidio  del  tornio  ed  in  un  ornamento 
graffito  a  triplice  tratto  curvilineo  imitante  un  uncino.  Doveva 
coprire  questo  fittile  un  coperchio  fatto  dello  stesso  impasto, 
munito  di  presa  centrale  a  disco  piatfo  e  ornato  anch'esso  di 
solcature  e  del  medesimo  motivo  uncinato.  L'uno  e  l'altra  si 
raccolsero  in  molti  frammenti. 


TERNI  —   226  —  REGIONE   VI. 

Dal  braccio  fino  a  metà  della  tibia: 

ciotola  d'impasto  scuro,  a  breve  orlo  verticale  e  fondo  leggermente  concavo, 
posata  su  piede  campanulato.  È  decorata  d' intaccature  alla  base  dell'orlo,  di  solca- 
ture eseguile  al  tornio  ad  argilla  fresca,  di  una  fascia  a  tratti  obliqui  e  di  una  linea 
spezzata  a  curva  imitante  una  cresta  eseguite  con  una  punta  dopo  la  cottura  del 
vaso  (fig.  13).  È  in  frammenti  e  misura  all'orlo  min.  155  di  diametro; 

ciotoletta  di  argilla  figulina  a  pareti  spesse:  è  a  calotta  sferica  e  posata  su 
piede.  Sotto  l'orlo  e  nella  parte  inferiore  del  piede  restano  alcune  tracce  dell'orna- 
mentazione a  fasce  brune:  in  frammenti; 

ciotola  d' impasto  scuro  posata  su  piede,  del  tipo  della  penultima  descritta, 
ornata  anch'essa  di  intaccature  alla  base  dell'orlo  e  nel  fondo:  è  altresì  adorna  con 
tre  solcature  e  con  una  zona  di  semicerchi  intrecciati,  il  campo  superiore  dei  quali 
risultante  a  forma  di  ventaglio  è  riempito  di  tratteggi  graniti:  in  frammenti: 

fittile  d' impasto  scuro  postituito  da  due  grandi  ciotole  ad  orlo  verticale  e  da 
due  più  piccole  ad  alto  orlo  cilindro-concavo  disposte  in  croce,  sostenute  da  altret- 
tanti listelli  riuniti  in  basso  e  terminanti  in  piede  campanulato;  l'orlo  delle  cioto- 
lette  ed  i  quattro  listelli  sono  decorati  con  una  linea  spezzata  gradita.  Quantunque 
mancante  di  alcune  parti  si  è  potuto  perfettamente  ricostruire  ed  è  stato  già  ripro- 
dotto nella  fig.  14; 

tazza  di  bucchero  a  calice,  raccolta  in  feammenti,  decorata  a  metà  dell'orlo 
con  tre  leggiere  solcature. 

A  breve  distanza  dal  vaso  precedente  si  rinvenne  in  molti  frammenti  un  grande 
vaso  di  tipo  villanoviano  d' impasto  scuro  a  pareti  sottili,  posato  su  piede,  con  corpo 
superiormente  adorno  di  listelletti  verticali;  è  munito  di  due  anse,  l'una  delle  quali 
orizzontale  a  bastoncello,  l'altra  verticale  a  nastro  bipartita  all'attaccatura  superiore 
e  sormontata  da  una  specie  di  ciotoletta  a  tronco  di  cono  rovescio  con  foro  nel  fondo 
attraversante  anche  lo  spessore  dell'ansa  (fig.  10). 

Presso  il  lato  occidentale  della  fossa,  ai  piedi  cioè  del  morto,  era  una  grande 
olla  di  argilla  rossiccia  ed  a  pareti  spesse,  ridotta  in  molti  frammenti.  Intorno  alla 
spalla  era  ornata  con  due  cordoni  di  poco  distanziati  l'uno  dall'altro. 

E.  Stefani. 


ROMA  227    —  ROMA 


IL  ROMA. 

Nuove  scoperte  nell'area  dell'antica  città. 

Regione  II.  Per  costruire  un  lavatoio  comunale,  nell'estremo  limite  sud  della 
via  Annia  ed  a  ridosso  del  muro  di  cinta  dell'Ospedale  militare,  è  stato  tolto  il 
terrapieno  che  emergeva  dal  piano  stradale.  In  questo  sterro  sono  stati  scoperti  alcuni 
resti  di  un  antico  edifìcio,  consistenti  in  muri  di  opus  reticulatum,  dello  spessore 
di  m.  0,58,  che  formavano  una  stanza  larga  m.  4.60.  Di  essa  non  rimanevano  che 
tre  sole  pareti,  essendo  quasi  totalmente  distrutta  la  parete  sud-ovest.  La  costruzione 
originaria  in  opera  reticolata  è  stata  in  antico  restaurata  con  muratura  a  (ìlari  alter- 
nati di  tufelli  e  mattoni,  di  cui  rimaneva  un  breve  tratto  nella  parte  nord-ovest, 
avente  lo  spessore  di  m.  0,55.  Con  molta  probabilità  questi  avanzi  facevano  parte 
delle  costruzioni  scoperte  nel  1907  ('). 

Rimuovendosi  la  terra  furono  rinvenuti,  non  al  loro  posto,  vari  poligoni  di  selce 
appartenenti  forse  ad  un  diverticolo  dell'antica  strada  segnata  nella  tav.  30  della 
Forma  Urbis  dell'on.  Lanciani. 

Fra  il  terriccio  di  scarico  furono  raccolti  i  seguenti  oggetti  :  una  lucerna  fìttile 
monolicne  verniciata  di  rosso,  nel  cui  fondo  è  impressa  la  marca  di  fabbrica  (C.  I.  L., 
XV,  6570«)  ;  altra  lucerna  fìttile  col  bollo  (ib.,  6697e)  ;  coperchio  fìttile  (operculum) 
del  diametro  di  m.  0,05  con  piccola  presa  e  l' iscrizione  a  lettere  rilevate  (id.,  XV, 
4904). 

Nell'area  compresa  tra  l'Ospizio  dell  Addolorata  ed  i  padiglioni  dell'  Ospedale 
militare,  sulla  via  di  S.  Stefano  Rotondo,  furono  eseguiti  nel  1913  gli  sterri  per  la 
costruzione  di  un  nuovo  edifìcio  per  il  deposito  di  autocarri  del  Genio  militare.  La 
profondità  a  cui  giunse  lo  sterro  è  di  m.  4  sotto  il  moderno  piano  stradale,  ed  a 
questa  profondità  tornarono  alla  luce  parecchi  avanzi  di  antiche  fabbriche  consistenti 
in  massima  parte  di  muri  di  sostruzione  in  pietrame  il  cui  orientamento  era  da 
nord-ovest  a  sud-est.  I  muri  avevano  lo  spessore  quasi  costante  di  m.  0,60  e  dove- 
vano formare  delle  stanze  le  cui  dimensioni  non  superavano  i  m.  4  di  lunghezza 
e  m.  3,50  di  larghezza  ;  la  loro  disposizione  non  era  però  regolare  rispetto  ad  un  cor- 
ridoio, largo  m.  2 ,15,  nella  direzione  nord-ovest  sud-est,  e  che  si  protraeva  per  circa 
m.  15,  piegando  quindi  ad  angolo  retto  verso  nord-est. 


Regione  III.  Nel  maggio  scorso,  in  seguito  allo  sprofondamento  di  un  tratto 
della  grande  fogna  costruita  nel  1888  lungo  la  via  Labicana,  all'altezza  quasi  della 
chiesa  di  S.  Clemente,  fu  praticato  uno  sterro  per  poter  meglio  eseguire  i  lavori 
murari  che  si  richiedevano  per  riattivare  la  fogna  suddetta. 

(')  Ved.  Notizie,  1907,  pag.  4,  437. 


ROMA  —    228    —  ROMA 

In  questo  sterro  furono  rimessi  alla  luce  due  grandi  pilastri  in  laterizio,  che 
misuravano  m.  1,48X0,90,  distanti  fra  loro  m.  2,90;  essi  erano  costruiti  sopra  una 
solida  fondazione  in  pietrame  alta  m.  0,75  ;  con  una  risega  di  m.  0,30,  e  si  eleva- 
vano per  circa  quattro  metri,  al  quale  punto  ciascun  pilastro  rientrava,  nei  lati  mi- 
nori, per  m.  0,13. 

Il  muro  di  fondazione  era  costruito  sopra  un  pavimento  in  opus  sedile,  del 
quale  si  vide  un  tratto  di  oltre  quattro  metri  di  lunghezza,  alla  profondità  di 
m.  9  sotto  il  moderno  piano  stradale.  11  pavimento,  molto  dannggiato  dal  fuoco,  era 
a  semplice  disegno  geometrico  e  formato  da  quadrati  di  m.  0,59  di  lato,  costituito 
ciascuno  da  triangoli  rettangoli  isosceli  comprendenti  un  altro  quadrato,  formato 
anch'esso  con  triangoli  simili  ma  più  piccoli,  i  quali  alla  loro  volta  racchiudevano 
una  lastra  quadrata  di  m.  0,295  di  lato.  Le  lastre  marmoree  che  formavano  il  pavi- 
mento erano  di  portasanta,  pavonazzetto  e  giallo  antico.  Si  potrebbe  pensare  che 
questo  pavimento  facesse  parte  di  una  stanza  del  Summum  Choragium  che,  come  è 
noto,  esisteva  tra  le  terme  di  Traiano  e  la  chiesa  di  S.  Clemente. 

Fra  la  terra  di  scarico,  e  rovesciato  sul  pavimento,  fu  rinvenuto  un  pilastrino 
marmoreo,  alto  m.  1,  largo  m.  0,17X0,135  (a  sezione  rettangolare),  scorniciato  alle 
due  estremità  con  decorazione  a  doppia  fila  di  spicchi  d'aglio,  attraversato,  nel 
senso  della  lunghezza,  da  un  foro  circolare  del  diametro  di  m.  0,035  che  dimostra 
evidentemente  che  il  pilastrino  doveva  servire  per  sostegno  di  una  tazza  di  fontana. 


Regione  VI.  Nell'eseguire  lo  sterro  per  il  prolungamento  della  via  Milano, 
nel  tratto  compreso  fra  le  vie  Palermo  e  Panisperna,  dove  era  il  giardino  dell'Isti- 
tuto fisico-chimico,  sono  tornati  alla  luce  resti  di  antichi  edifici  consistenti  princi- 
palmente in  muri  di  sostrnzioni  a  pietrame  ed  a  calcestruzzo;  di  questi  ne  furono 
veduti  due,  di  maggiore  importanza,  che  avevano  la  direzione  normale  all'asse  della 
nuova  via. 

Il  primo,  costruito  in  pietrame,  verso  la  via  Palermo,  e  distante  da  questa  m.  70, 
aveva  lo  spessore  di  m.  1,10  e  la  parete  sud  era  rivestita  con  reticolato  di  tufo; 
l'altro,  che  correva  parallelamente  al  primo  da  cui  distava  m.  4,50,  era  in  calce- 
struzzo, ed  aveva  lo  spessore  di  m.  1,80.  Adiacenti  a  questi  due  grossi  muri  si  rico- 
nobbero pochi  avanzi  di  costruzioni  laterizie,  una  delle  quali  consisteva  in  un  piccolo 
vano  largo  m.  1,10.  Fu  anche  veduta,  alla  profondità  di  m.  2,50  sotto  il  nuovo  piano 
stradale,  una  galleria  larga  m.  2,30,  alta  m.  2  fino  all'  imposta  della  volta,  che  era 
a  botte  a  tutto  sesto  in  pietrame  ;  come  pure  erano  in  pietrame  le  pareti. 

Poco  distante  dal  primo  muro,  verso  la  via  Palermo,  fu  completamente  isolato 
dalle  terre  un  pozzo  costruito  tutto  in  muratura,  a  sezione  circolare  del  diametro 
esterno  di  m.  1,70. 

La  parte  superiore  era  rivestita  con  mattoni  e  tufelli  a  filari  alternati;  e  con 
il  medesimo  sistema  era  rivestito  il  vuoto  interno  per  tutta  l'altezza.  Questo  vuoto 
aveva  la  sezione  quadrata  di  m.  0,68  di  lato,  raggiungendo  il  piano  della  nuova 
strada,    dove   immetteva   nel   pozzo    stesso,    dal    lato   nord   di    esso,   un    cunicolo 


ROMA  —    22$    —  ROMA 

coperto  con   tegole  alla  cappuccina,  lunghe  m.   0,44  e   larghe  alle  due   estremità 
m.  0,35  e  0,39. 

La  luce  del  cunicolo  era  di  m.  0,57  di  larghezza,  e  m.  1  di  altezza  sino  all'  im- 
posta delle  tegole  di  copertura,  e  le  pareti  avevano  il  rivestimento  di  tufelli  e  mat- 
toni, come  il  pozzo.  Questo  si  elevava  dal  nuovo  piano  stradale  per  m.  7  circa,  due 
soli  dei  quali  nella  parte  superiore  avevano  il  descritto  paramento,  mentre  la  parte 
inferiore  era  di  fondazione  a  sacco.  Il  cunicolo  proveniva  dalla  parte  della  via  Pa- 
lermo con  leggiera  pendenza,  e  ad  esso  confluivano  altri  cunicoli  scavati  nel  terreno 
tufaceo  e  formanti  un  sistema  idraulico  di  drenaggio;  le  pareti  di  questi  erano  rive- 
stite con  intonaco  di  calce  e  misuravano  in  media  m.  1,75  di  altezza  e  m.  0,70  di 
larghezza,  e  la  loro  sezione  era  di  forma  ovale. 

Fra  la  terra  si  rinvennero  i  seguenti  oggetti:  un  frammento  di  colonna  di  gra- 
nito bianco  e  nero,  lungo  m.  1,  diam.  m.  0,60;  altro  simile  lungo  m.  0,45,  diam. 
m.  0,45  ;  un  capitello  marmoreo  di  stile  corinzio,  alto  m.  0,70,  molto  danneggiato 
nelle  membrature,  ed  un  frammento  di  mattone  col  noto  bollo  di  fabbrica  (C.  I.  L. 
XV,  159)  dell'età  severiana. 

E.  Gatti. 


REGIONE    1.  —    231    —  POMPEI 


Anno  1916  —   Fascicolo  7. 


Regione  I    (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

CAMPANIA. 

I.  POMPEI  —  Continuazione  degli  scavi  lungo  la  Via  dell' Abbondanza. 

Reg.  HI,  ins,  II,  n.  1.  Casa  di  Trebio  Valente. 

Durante  il  mese  di  maggio  si  è  condotto  a  termine  lo  scavo  del  peristilio  coi  suoi 
ambulacri  (ved.  in  fig.  1);  quello  del  piccolo  ambiente,  che  a  mò  di  exedra  B  si  apre 
in  tutta  la  sua  larghezza  nell'ambulacro  occidentale,  e  quello  di  due  piccoli  ambienti  a 
settentrione  di  questo  C  e  D,  nei  quali  si  entra  dallo  stesso  ambulacro.  Della  stanza 
dalle  pareti  bianche  E,  a  nord-est  del  peristilio,  e  alla  quale  si  accede  dall'ambu- 
lacro orientale,  sarà  meglio  parlare  quando  ne  sarà  stato  completato  lo  .scavo. 

Lo  spazio  P  a  settentrione  del  peristilio,  dalle  pareti  decorate  con  rettangoli 
bianchi  alternati  con  quadratini  di  vario  colore,  e  del  quale  è  stata  fatta  menzione 
nel  precedente  rapporto,  non  costituiva  un'exedra,  ma,  invece,  la  parte  posteriore  del 
peristilio  stesso,  quasi  interamente  occupata  da  uno  stibadium  angolare  in  muratura  G, 
compreso  tra  quattro  colonne  messe  in  quadrato. 

Una  piccola  finestra  1  a  breve  altezza,  nel  mezzo  della  parete  a  sinistra  dello 
stibadium  serviva  a  far  portare  facilmente  le  vivande  da  una  cucinetta  D  situata  nel- 
l'angolo nord  ovest  del  peristilio.  Ai  lati  di  questa  finestretta  due  piccole  nicchie  2,  2 
per  riporvi  vivande  o  arredi  della  mensa.  In  mezzo  all'area  del  peristilio,  ed  esatta- 
mente nell'asse  dello  stibadio  una  vasca  semicircolare  3,  col  lato  diritto  rivolto  a 
quello. 

Lo  stibadium  ha  il  lectus  imus,  ovvero  il  corno  sinistro,  più  prominente  del- 
l'altro (cfr.  Notizie,  1910,  pag.  264);  la  mensa,  nel  suo  centro,  è  circolare  nel  piede 
e  nel  piano;  un  disco  di  marmo  bianco,  largo  m.  0,65,  attraversato  da  ud  siphun- 

Notizib  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  31 


POMPEI 


232  — 


REGIONE    I. 


eulus  di  bronzo,  ci  mostra  come  la  stessa  mensa  fungesse  in  taluni  momenti,  pure 
da  fontana.  Sappiamo  che  la  mensa  rotonda  era  propria  dello  stibadio  (cfr.  Notizie, 
1910,  pag.  326),  e  abbiamo  già  ricordato  altra  volta  l'associazione  delle  fontane  con 


e     /     i 


3  12  M. 


Pio.  1.  —  Casa  di  Trebio  Valente. 


gli  stibadi  (eli-.  Plin.,  fipist.  V,  VI,  36  ;  Notizie  cit ,  loc.  cit).  La  superficie  verti- 
cale dello  stibadio  è  a  fondo  nero,  e  reca  nel  tratto  di  mezzo,  dietro  la  mensa,  la 
rappresentanza  di  due  grifi  alati,  riposanti  su  le  quattro  zampe,  aifrontati  ai  lati  di 
un  piccolo  cratere;  nei  due  tratti  ai  lati  della  mensa  la  rappresentanza  di  anitre 
pascolanti,  con  pianticelle;  nei  due  tratti  anteriori  due  pavoni  uno  per  parte,  cia- 
scuno rivolto  verso  il  centro,  e  dei  quali  quello  di  destra  nell'atto  di  beccare  sopra 
grossi  frutti  gialli  (pesche?)  contenuti  in  un  elegante  cratere  di  vetro  o  di  cristallo. 
Il  fondo  nero  di  questa  superficie  armonizza  con  quello  dello  zoccolo  delle  pareti 
decorate  con  rettangoli  e  quadrati,  e  con  quello  interno  ed  esterno  del  pluteo  che 
corre  tra  le  colonne  del  peristilio,  su  l'uno  e  l'altro  dei  quali  sono   esibite  però  le 


REGIONE    I.  —    233    —  POMPEI 

solite  pianticelle.  Il  piede  circolare  della  mensa  è  in  muratura  con  rivestimento 
d'intonaco  dipinto  ad  imitazione  di  marmo  venato  in  giallo  e  in  rosso.  Le  quattro 
colonne,  in  muratura  con  rivestimento  d'intonaco,  hanno  capitello  di  tipo  dorico  e 
fusto  liscio,  giallo  con  alto  zoccolo  paonazzo. 

La  vasca  3,  nell'area  del  peristilio  A,  e  nell'asse  dello  stibadio,  è  larga  m.  3,00 
all'esterno  e  m.  2,35  all'interno;  è  profonda  in  media  m.  0,95.  La  sua  superficie 
è  interamente  rivestita  di  signino;  nel  mezzo  si  eleva  un  pilastrino  cilindrico,  largo 
m.  0,39,  alto  quasi  quanto  è  profonda  la  vasca,  col  piano  superiore  di  marmo,  dal 
centro  del  quale  si  elevava  uno  zampillo  verticale.  Altri  dodici  zampilli  uscivano 
poi  dal  labbro  semicircolare  della  vasca  per  cadere  obliquamente  in  essa  come  pro- 
vano dodici  piccoli  siphunculi  di  piombo  in  buona  parte  ancora  esistenti  ed  espressi 
in  pianta.  Questo  labbro  della  vasca  affiora  quasi  col  terreno  dell'area,  non  elevan- 
dosi su  di  esso  che  6  o  7  centimetri. 

La  (istilla  che,  come  è  detto  nel  precedente  rapporto,  parte  dal  fondo  di  un'anfora 
collocata  nell'alto  del  pilastro  in  muratura  5  (fig.  1),  esistente  nell'angolo  nord-est  del 
peristilio,  è  proprio  quella  che  portava  l'acqua  nel  centro  della  mensa,  e  che,  inoltre, 
formava  i  vari  zampilli  della  vasca  descritta.  La  fistula,  uscendo  fuori  dal  pilastro, 
e  correndo,  coperta  dal  terreno,  fino  alla  colonna  anteriore  destra  dello  stibadio,  sotto 
la  quale  passa,  arriva  fino  all'angolo  destro  del  corno  sinistro  di  quello,  dove  si  di- 
rama in  altre  due  fistule,  una  delle  quali  va  alla  mensa,  l'altra  alla  vasca,  l'una 
e  l'altra  munite  delle  necessarie  chiavette  di  bronzo.  Poiché  non  si  può  supporre  che 
tutto  questo  ricco  apparecchio  di  fontane  fosse  poi  vivificato  da  quella  pochissima 
acqua,  che  in  tempo  di  pioggia  riempiva  l'anfora  murata  nel  mentovato  pilastro, 
bisogna  credere  che  a  questo  insufficiente  mezzuccio  siasi  ricorso  solo  negli  ultimi 
tempi  di  Pompei,  quando  non  funzionava  più  l'acquedotto  campano  in  seguito  a  danni 
arrecativi  dal  terremoto  del  63  all'era  volgare. 

Nel  terreno  vegetale  dell'area  A  non  è  stata  eseguita  alcuna  esplorazione  per 
avere  qualche  contezza  delle  sue  piante  e  della  loro  disposizione.  Nell'angolo  sud-ovest 
esiste  un  rialzo  di  terreno  fatto  allo  scopo  evidente  di  mantenere  a  lungo  l'acqua 
intorno  a  delle  pianticelle  forse  utili  per  la  cucina  in  uno  spazio  rettangolare  6,  limi 
tato  da  detto  rialzo  e  dalla  cunetta  del  peristilio.  La  piccola  exedra  B,  che  si  apre 
sull'ambulacro  sinistro,  scavata  nella  parte  inferiore,  non  ha  offerto  nulla  da  doversi 
notare.  Lo  zoccolo  delle  sue  pareti  è  come  quello  degli  ambulacri,  a  fondo  nero,  scre- 
ziato di  vari  colori,  operazione  fatta  con  colpi  di  pennello  a  distanza.  La  stanzetta, 
che  segue  immediatamente  a  settentrione  C,  ha  anch'essa  accesso  dallo  stesso  ambu- 
lacro e  per  un  piccolo  vano.  Le  sue  pareti  a  fondo  bianco  recano  nel  campo  princi- 
pale delle  riquadrature  formate  con  fascette  rosse  e  nere.  Nella  parete  di  fronte  è  una 
nicehietta  quadrata.  Segue  in  ultimo  a  settentrione,  un  piccolo  ambiente  rustico  D, 
ai  quale  si  accede  parimente  dall'ambulacro  sinistro,  ambiente  il  quale  era  senza 
dubbio  una  cucina  in  servizio  dello  stibadio,  e  col  quale,  come  ho  detto,  era  messa 
in  relazione  per  mezzo  di  una  piccola  finestra  1  nella  parete  a  sinistra  di  quello. 
Un  poggio  in  muratura  nell'angolo  sud-ovest  (fig.  1,  7)  era  forse  un  piccolo  focolare  ; 
un  foro  circolare  nell'alto  della  parete  di  fronte  serviva  per  dare  uscita  al  fumo. 


POMPEI 


234 


REGIONE 


Iscrizioni. 

Nell'ambulacro  di  destra,  sullo  zoccolo  nero  della  parete  a  sinistra  dell'  ingresso 
nella  stanza  a  nord-est  del  peristilio  è  graffito: 

arma  vi\rumqu\e  . .  ■ 
Nello  stesso  ambulacro,  nella  metà  sinistra  della  parete  di  fondo,  è  pure  graffito  : 


W/àTM  I    T  v;    l\(((". 


W 


r  )  K\°  K? 


M 


.  .  .  meminit  vitae  {tritavi  ■  ■  .]  mort(i)s 

Sul  fusto  della  colonna  posteriore  sinistra  dello  stibadio  sono  graffite  in  modo 
sommamente  rozzo  le  figure  di  due  volatili:  quello  di  sinistra  è  forse  un  pavone. 
Di  ambedue  di  esse  offro  qui  il  fac-simile: 


Oggetti. 

Dinanzi  al  corno  sinistro  dello  stibadio,  a  breve  distanza  da  esso,  appoggiato 
al  corpo  cilindrico  di  un'anfora  ivi  collocata  verticalmente  stava  un  piede  cilindrico 
di  mensa,  di  marmo  bianco,  alto  m.  0,60,  interamente  rivestito  di  foglie  di  acanto, 
al  quale  si  appoggia  la  statuetta  di  un  Eros,  tutto  nudo,  stante,  insistente  su  la 
gamba  sin.,  mentre  l'altra  è  portata  alquanto  innanzi,  con  ambo  le  mani  accostate 
al  basso  ventre,  delle  quali  la  sinistra  che  sta  dietro  l'altra  stringe  contro  quello  un 
attingitoio  a  lungo  manico.  Delle  ali  avanza  solo  la  radice;  mancano  quasi  intera- 
mente i  piedi  ;  l'esecuzione,  specialmente  quella  della  testa,  è  al  disotto  del  mediocre. 

Nella  cucinetta,  nell'angolo  nord-ovest  del  peristilio,  si  è  rinvenuto  un  rastrello 
di  ferro  a  sei  denti,   inoltre,   un   piccolo  vaso  di   terracotta  a  lungo   collo   rastre- 


SARDINIA  —    235    —  ABBASANTA 

mato  verso  l'alto,  con  un'ansa  sola  a  nastro,  privo  di  buona  parte  della  pancia  e  di  tutta 
la  parte  inferiore,  recante  su  la  spalla  la  iscrizione  dipinta  con  X atramentum  : 


/M 


'fftUi  pj'^'^G 


cioè:    G(ari)  f(los)  Scombri  Scaur{i)  ex  officina  Agalho(p)i 

Se  ne  ebbero  varii  esempii  (cfr.  C.  I.  L.  IV,  Suppl.  n.  5690  seg.)  ;  ma  il  nostro 
merita  di  essere  edito  perchè  uno  dei  più  completi. 

G.  Spano. 

SARDINIA. 

IL  ABBASANTA  —  Ricerche  nel  nuraghe  Iosa. 

La  direzione  degli  scavi  dell'  isola  da  oltre  un  ventennio  aveva  proceduto  allo 
scavo  del  Nuraghe  Losa,  presso  Abbasanta,  allo  scopo  di  mettere  in  evidenza  quel 
chiaro  e  complesso  esempio  di  architettura  nuragica  e  renderlo  accessibile  in  tutte  le 
sue  parti  ai  visitatori  e  studiosi  dell'isola.  I  risultati  degli  scavi  furono  fissati  in 
piante  e  sezioni  fatte  dal  signor  P.  Nissardi  e  pubblicate  .dopo  qualche  anno,  con  un 
cenno  descrittivo  del  nuraghe,  dal  signor  Pinza,  nell'opera  sui  Monumenti  primitivi 
della  Sardegna  (*).  Quel  cenno,  naturalmente  riassuntivo,  non  ha  potuto  presentare 
tutti  i  dati  raccolti  nello  scavo;  ha  però  posto  in  chiaro  alcune  delle  questioni  a  cui 
danno  luogo  i  resti  del  grandioso  monumento  e  le  ha  risolte  secondo  le  vedute  del 
signor  Pinza,  che  non  rispondono  a  quelle  degli  egregi  scavatori,  prof.  Vivanet  e 
geom.  F.  Nissardi  ed  alle  mie. 

Dai  tempi  degli  scavi  condotti  dal  mio  egregio  predecessore,  prof.  Vivanet,  sono 
scorsi  molti  anni  ed  il  benemerito  studioso  è  improvvisamente  scomparso,  senza  che 
egli  potesse,  per  molte  ragioni,  pubblicare  i  proprii  studii  sul  monumento  ed  i  risul- 
tati degli  scavi.  Nell'anno  1915,  dall'aprile  al  giugno,  ho  ripreso  gli  scavi  nel 
Nuraghe,  divenuto  per  merito  del  Vivanet  proprietà  Nazionale,  allo  scopo  di  chiarire 
alcuni  dubbii  che  erano  rimasti  sulla  struttura  del  complesso  edificio  e  sull'età  dei 
successivi  ingrandimenti  da  esso  presentati,  ed  anche  per  meglio  provvedere  allo  sgom- 
bero dei  materiali  accumulati  dagli  scavi  precedenti,  e  ricercare,  al  di  sotto  di  essi, 
le  traccie  di  probabili  edifici  esistenti  attorno  al  grande  nuraghe. 

(')  Monumenti  antichi  dei  Lincei,  voi.  XI,  anno  1901,  pp.  98  e  122,  tavv.  VII  e  Vili. 


ABBASANTA  — .  236    —  SARDINIA 

Dovrei  limitarmi  ad  esporre  i  risultati  di  questi  miei  scavi,  ma  non  sarà  fuori 
luogo  riassumere  qui  in  breve  i  principali  dati  sulla  struttura  del  nuraghe  Losa  ed 
i  punti  controversi  dello  studio  di  essi,  appunto  perchè  meglio  possano  comprendersi 
gli  scopi  della  presente  ricerca  ed  i  risultati  ottenuti. 

La  pianta  che  qui  allego  (tav.  1).  per  quanto  si  riferisce  specialmente  agli  edi- 
fici esaminati  o  rintracciati  nella  presente  campagna,  pure  può  servire  al  lettore  per 
comprendere  la  disposizione  delle  rovine  del  nucleo  nuragico  di  Losa  e  degli  annessi 
edifici.  Col  semplice  profilo  schematico  è  segnato  il  nucleo  principale  del  nuraghe, 
già  noto  dalla  pianta  del  signor  Nissardi,  edita  dal  prof.  Pinza;  a  tratti  più  oscuri 
sono  resi  i  muri  ora  riesaminati  e  quelli  di  recente  messi  in  luce  a  tratteggio  spez- 
zato (vedi  fig.  1). 

Come  risulta  da  quella  pianta  e  dalla  ricordata  descrizione  del  Pinza,  e  come 
è  evidente  anche  dalla  nostra  pianta,  tale  nucleo  è  costituito  da  una  robusta  torre 
conica,  A,  rivestita  da  una  fasciatura  tringolare  B,  B.  B,  dai  lati  leggermente  con- 
cavi, contenente  tre  altre  celle. 

La  torre  primitiva  conica  (vedi  pianta,  A),  la  cui  struttura  esterna  è  quasi  com- 
plotamente  ammantata  dal  rivestimento  dell'aggiunta  posteriore,  è  costrutta  sopra  un 
basamento  in  parte  naturale  di  lava  basaltica,  alquanto  emergente  al  di  sopra  del 
piano  basaltico  che  forma  il  suolo  del  terreno  circostante  al  nuraghe  e  di  quasi  tutto 
il  territorio  di  Abbasanta;  ha,  specialmente  nella  sua  base,  materiali  di  grandi  dimen- 
sioni, massime  negli  stipiti,  negli  architravi  delle  porte,  nei  corridoi  delle  scale. 
Questa  torre,  che  ancora  conserva  parte  di  due  piani  e  ne  aveva  forse  un  terzo,  ha 
il  suo  ingresso  verso  mezzogiorno,  ampio,  sormontato  da  un  architrave  monolito,  non 
munito  di  feritoia  di  scarico  e  che  dà  al  corridoio  che  mette  alla  cella  centrale. 
Questo  corridoio  ha  la  consueta  celletta,  o  nicchia,  nella  parete  sinistra,  per  la  guardia 
dell'  ingresso  e  nella  destra  l' ingresso  della  scala  a  spirale  che  sale  al  piano  supe- 
riore. La  cella  principale,  che  fu  in  origine  lastricata,  ampia,  coperta  da  ben  con- 
servata volta  a  rastremazione  dei  corsi  di  pietra,  ha  nelle  pareti  tre  grandi  nicchie 
a  pianta  semicircolare. 

La  scala,  o  meglio  cordonata,  a  piano  inclinato,  sale  entro  ad  uno  stretto 
corridoio,  aperto  nello  spessore  della  parete  e  coperto  da  volta  a  rastremazione: 
era  in  origine  illuminata  da  feritoie,  le  quali  davano  luce  alla  scala  stessa  al 
livello  dei  gradini,  e  furono  naturalmente  accecate  dalla  costruzione  del  fasciamento 
esterno. 

La  scala,  giunta  all'altezza  del  piano  superiore,  interseca  il  corridoio  di  ingresso 
alla  cella  di  esso,  corridoio  che  dava  verso  l'esterno  della  torre,  con  una  finestra 
aperta  attraverso  alla  muraglia  al  di  sopra  della  porta  del  piano  terreno,  dall'altro 
lato  conduceva  alla  cella  del  secondo  piano,  più  piccola  assai  di  quella  del  piano 
inferiore  e  non  munita  di  nicchie.  Di  questa  cella  non  esiste  ora  che  la  parte  infe- 
riore, ma  quanto  basta  per  mostrare  che  anche  questa  camera  era  coperta  da  volta 
a  rastremazione. 

Il  corridoio  a  spirale  della  scala,  proseguendo  il  suo  corso,  continua  a  salire  più 
stretto  entro  allo  spessore  della  muratura  fino  a  dove  questa  è  spezzata  dalla  rovina 


SARDINIA 


—    237 


AliHASANTA 


della  costruzione,  ed  in  origine  doveva  salire  o  ad  un  terzo  piano,   o   più  probabil- 
mente ad  un  terrazzo  che  sormontava  la  volta  del  secondo. 


y^J.u  jj  oU»*.|  fi»*. 


Tav.  I.  —  Pianta  desili  edificii  circostanti  al  Nuraghe  Losa. 


È  assai  probabile  che  questa  parte  primitiva  del  nuraghe  sia  esistita  lungo  tempo 
da  sola  ;  d'altra  parte  la  levigatezza  delle  pietre  dei  gradini  e  delle  parti  più  basse 
delle  pareti  dei  varii  passaggi,  mostra  la  frequenza  per  lunghi  secoli  di  abitatori 
viventi  e  circolanti  assiduamente  entro  l'edificio. 


ABBASANTA  —    238    —  SARDINIA 

La  grande  fascia  di  costruzione,  segnata  con  B,  B,  B,  che  avvolge  la  torre  pri- 
mitiva, presenta,  massime  nella  parte  esteriore  della  cortina,  fatta  a  corsi  di  pietre 
regolari  in  parte  sbozzate  ed  accuratamente  disposte,  la  stessa  tecnica  delle  costru- 
zioni nuragicbe  della  migliore  epoca,  anzi  si  può  dire  costituisca  uno  degli  esempii 
più  solenni  ed  imponenti  dell'isola.  Evidentemente  essa  rappresenta  un'ampliazione 
dell'edificio  nuragico,  compiuta  a  scopo  di  aumentare  lo  spazio  disponibile,  nel  pieno 
fiore  della  tecnica  e  della  civiltà  nuragica. 

Tutta  questa  imponente  costruzione  ha  il  suo  piano  tenuto  allo  stesso  livello 
della  torre  primitiva  a  mezzo  di  una  platea,  in  parte  artificiale,  di  grossi  massi, 
sulla  quale  si  aderge  la  cortina  murata,  in  modo  che  la  soglia  della  porta  principale 
di  accesso  alla  costruzione  nuragica,  p,  come  anche  dell'altra  porta  della  cella  aggiunta, 
di  cui  ora  diremo,  si  trovano  all'altezza  di  circa  m.  1,40  superiore  al  piano  roccioso 
circostante  al  nuraghe. 

L'apertura  pricipale,p,  si  apre  in  corrispondenza  all'accesso  del  primitivo  nuraghe, 
benché  leggermente  obliqua  all'asse  di  quel  corridoio  e  non  corrisponde  al  centro  della 
parete;  la  soglia,  come  dicemmo,  è  alta  quasi  un  metro  e  mezzo  sul  piano  roccioso 
del  suolo.  Questa  porta  è  sormontata  da  un  poderoso  architrave,  munito  di  feritoia 
di  scarico  e  da  essa  si  passa  al  corridoio  che,  come  dicemmo,  imbocca  alla  porta  del 
prisco  torrione  nuragico.  Prima  però  di  giungere  ad  essa  si  trovano  i  due  corridoi,  che 
con  andamento  leggermente  curvilineo,  per  seguire  la  curva  della  parete  della  torre 
centrale,  danno  accesso  a  ciascuna  delle  due  celle  praticate  entro  allo  spessore  del 
corpo  aggiunto  lateralmente  e  verso  la  fronte  della  torre  principale.  La  pianta  di 
queste  due  celle  è  irregolarmente  circolare,  la  struttura  della  parete  e  della  volta  è 
più  grossolana  e  meno  accurata  che  nella  cella  principale:  quella  di  sinistra  per  chi 
entra  ha  la  volta  crollata  nell'alto;  quella  di  destra  ha  la  volta  completa  e  presenta 
una  stretta  feritoia,  che  dà  alla  parete  che  diremo  di  facciata  dell'edificio. 

Se  fu  facile  aggruppare  queste  due  celle  ed  assicurarne  la  comunicazione  con 
la  cella  principale,  questo  risultato  non  si  poteva  ottenere  per  dar  passaggio  alla  terza 
cella  praticata  nel  corpo  aggiunto,  senza  intaccare  la  compatta  muratura  della  torre 
primitiva.  E  questo  non  fu  fatto  dagli  ampliatoli  del  nuraghe,  cosicché  a  questa  terza 
torre  si  accede  da  una  porta,  p\  che  si  apre  dall'esterno,  nella  parete  orientale  della 
cortina,  la  quale  si  presenta  con  la  soglia  elevata  di  m.  1,50  sul  piano  roccioso.  Ma 
questa  cella  ha  un  altro  recesso  per  mezzo  di  una  scala,  la  quale  da  una  porta  aperta 
a  più  di  due  metri  di  altezza  dal  pavimento  della  cella,  si  erge  assai  ripida  e  bru- 
scamente piegata  a  gomito,  attraversa  tutta  la  massa  del  corpo  aggiunto,  B,  B,  B, 
sbucando  con  una  apertura  a  pozzo  sopra  il  terrazzo  con  cui  questo  terminava  supe- 
riormente. Così  si  può  supporre  che  questa  piattaforma  pianeggiante,  disposta  al  di 
sopra  della  volta  delle  tre  celle  B,  B,  B,  del  corpo  aggiunto  tricuspidale,  lasciasse 
dominare  più  alto  il  cono  della  torre  centrale. 

Oltre  a  questo  passaggio  dal  terrazzo  alla  cella  ora  ricordata,  dall'alto  di  questa 
piattaforma  si  accedeva  ad  un  altro  ripostiglio  praticato,  come  un  pozzo,  entro  alla 
muratura  del  corpo  aggiunto,  anch'esso,  benché  di  piccole  dimensioni,  coperto  da 
volta  a  rastremazione. 


SARDINIA 


—   239   — 


ABBASANTA 


Entro  a  questo  ripostiglio  furono  rinvenuti  pezzi  di  lamina  di  sughero,  abba- 
stanza conservati,  i  quali,  secondo  l'opinione  del  sig.  Nissardi,  dovevano  rivestire 
queste  celle,  o  ripostigli,  adibiti  alla  conservazione  di  materiali  metallici,  armi  e 
strumenti  di  grande  pregio. 

Anche  entro  alla  parete  del  cobo  primitivo  e  precisamente  nella  parte  superiore, 
si  apre  uno  di  tali  ripostigli,  di  piccole  dimensioni  ed  a  cui  si  accede  da  una  pie- 


• 

• 

jr    HIJPI 

^J'wBfc.'  "^^  | 

Fig.  1.  — 'Torre  0  fronteggiante  il  Nuraghe,  e  che  servì  da  luogo  di  riunione 
degli  abitanti  del  borgo  nuragico. 


cola  apertura  nel  fianco  della  scaletta  che  dal  secondo  piano  della  torre  centrale  sale 
al  terzo  o  alla  terrazza  che  sovrasta  al  secondo. 

A  questo  nucleo  più  antico  di  costruzioni  altre  se  ne  vennero  aggiungendo  col 
procedere  del  tempo.  Proprio  dinnanzi  all' ingresso  principale  del  massiccio  nnragico, 
a  m.  1,20  di  distanza,  fu  messa  in  luce  una  torre  di  pianta  irregolarmente  circo- 
lare, G,  nella  nostra  tavola.  Per  quanto  essa  abbia  le  pareti  alquanto  inclinate  al- 
l' interno,  pure  per  lo  scarso  spessore  di  esse  in  confronto  al  diametro  di  circa  8  metri 
della  camera  interna,  escludo  la  copertura  a  volta.  Questo  recinto  G  ha  verso  mez- 
zogiorno una  porta  ampia,  sprovvista  di  architrave,  con  la  soglia  al  piano  roccioso 
della  campagna  che  segna  pure  il  livello  della  cella  interna  della  torre.  Al  lato  op- 
posto, verso  il  nuraghe,  ha  un'altra  porta,  rastremata  in  alto  e  munita  di  architrave 
(vedi  fig.  1)  con  la  soglia  elevata  sul  piano  della  cella  di  m.  0,45,  mentre  sul  piano 

Notizm  Scavi  1918  —  Voi.  XIII.  82 


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SARDINIA 


in  faccia  alla  porta  del  nuraghe  è  elevata  di  m.  0,70.  A  questa  differenza  di  livello 
dell'altezza  delle  soglie  avremo  da  ritornare  più  oltre. 

La  colla  ha  nelle  pareti  due  nicchie,  molto  larghe,  ma  assai  poco  profonde,  di- 
verse quindi  dalle  solite  nicchie  delle  celle  nuragiche;  inoltre  presenta  cinque  nic- 
chiette,  o  armadietti,  di  mediocre  dimensione,  praticate  nello  spessore  della  muraglia, 
e  cinque  feritoie,  abbastanza  ampie  nell'interno  e  strette  all'esterno  (fìg.  1):  quelle 
a  destra  di  chi  entra  dalla  porta  maggiore  alte  dal  suolo  ed  atte  al  tiro  dell'arco 
di  un  uomo  in  piedi,  quelle  di  sinistra  più  basse,  tali  da  permettere  il  tiro  ad  un 
uomo  inginocchiato. 


Fia.  2.   —  Piccola  ara  nel  recinto  G. 

Evidentemente  questa  torre  serviva  a  scopo  di  difesa;  ma  va  ricordato  che  entro 
ad  essa  si  rinvenne  ed  anche  ora  vi  è  conservato,  un  pilastrino  circolare  di  trachite 
rosea,  alto  m.  0,60  e  di  0,36  di  diametro,  con  una  rozza  gola  o  base  di  m.  0,04 
(tig.  2).  Questo  pilastro,  che  io  accosto  a  quello  trovato  nel  recinto  circolare  dell'al- 
tipiano di  Serri  ('),  ebbe  forse,  come  quello,  funzione  di  altare;  e  se  si  considera 
che  anche  nella  struttura  e  nella  disposizione  delle  nicchie  nella  parete  la  torre  6 
di  Losa  ricorda  il  recinto  di  Serri,  vorrei  supporre  che  anche  quella,  oltre  allo  scopo 
occasionale  difensivo,  avesse  quello  abituale  di  raccogliere  la  gente  del  borgo,  anche 
per  scopi  religiosi,  attestati  dal  pilastrino  accuratamente  lavorato. 

Ai  due  lati  delle  pareti  esterne  del  recinto  emergono  due  brevi  sporgenze,  che 
parrebbero  accennare  all'attacco  di  questa  torre  6  alle  altre  parti  del  recinto  difen- 
sivo applicato  attorno  al  recinto  nuragico;  a  questa  idea,  già  espressa  dal  Pinza, 
avremmo  una  conferma  in  un  frammento  di  muro  ni  da  noi  sezionato  ad  oriente  della 
torre,  al  limite  dell'area  di  proprietà  dello  Stato. 


(')  Tarameli i,  Il  tempio  nuragico   di  S.   Vittoria  di  Serri,   in    Monum.  antichi  dei  Lincei, 
an.  1914,  voi.  XXIII,  pag.  Ili,  figg.  97,  101. 


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ABBASANTA 


Per  tutto  il  tratto  ad  oriente  del  nucleo  nuragico,  il  muro  del  recinto  non  è 
rimasto  in  luce,  ma  esso  si  ripresenta,  rinforzato  da  torri,  al  fronte  di  nord. 

Le  torri  e  la  cortina  che  le  unisce  furono  fatte  di  getto,  in  un  solo  momento, 
essendo  le  murature  strettamente  incorporate  nella  loro  fascia  esteriore.  Sono  costrutte 
in  blocchi  molto  grossolani,  non  sbozzati  e  disposti  in  modo  meno  regolare  che  nella 
cortina  del  nucleo  nuragico.  È  indubitato  che  si  tratta  di  lavoro  eseguito  con  minor 
cura,  condotto  con  sollecitudine  inspirata  da  minaccie  nemiche. 


Fig.  3.  —  Torre  del  recinto  e  casette  antiche  entro  al  recinto  stesso. 


La  più  orientale  delle  due  torri  conservate  D  (rig.  3)  sporgo  quasi  completa- 
mente dalla  cortina;  ha  la  volta  crollata,  forse  perchè  le  pareti  sono  indebolite  dal 
gran  numero  delle  feritoie  aperte  attraverso  ad  esse.  L' unica  porta  di  accesso  verso 
la  cella  interna,  la  quale  ha  otto  feritoie,  costrutte  tutte  a  circa  un  metro  di  altezza 
dal  suolo,  ampie  dal  lato  interno,  ma  strette  verso  l'esterno,  come  è  dato  dal  par- 
ticolare delle  tìgg.  4  e  5.  Una  di  queste  feritoie  batte  proprio  il  filo  della  cortina, 
presso  la  torre.  Questa  cortina  procede  diritta  verso  occidente  per  un  tratto  di  venti 
metri,  munita  di  una  feritoia,  poi  piega  per  un  tratto  ad  angolo,  accostandosi  alla 
parete  del  massiccio  nuragico  con  due  altre  feritoie  e  riprende  poi  la  sua  direzione 
verso  occidente  più  rasente  al  fianco  del  nuraghe  centrale,  sino  all'altra  torre  E. 
Anche  questa  è  quasi  completamente  sporgente  dalla  cortina  ;  ha  un'  unica  porta,  la 
volta  crollata,  nove  feritoie  ed  un  armadio  o  nicchia,  ed  oltre  a  questo  al  piede  della 


ABBASANTA 


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SARDINIA 


muratura,  ha  una  colletta  coperta  da  volta,  probabilmente  una  conserva  d'acqua 
(tav.  I.  E,  i).  Dopo  questa  torre  la  cortina  con  un  gomito  si  viene  appoggiando  ed 
addossando  alla  parete  del  massiccio  nuragico. 

L'ultimo  tratto  della  cortina  di  difesa  era  così  vicino  alla  parete  del  nucleo 
nuragico  che  l'andito,  o  passaggio  F  tra  le  due  muraglie  si  può  supporre  fosse  co- 


Fig.  4.  —  Andito  tra  la  cortina  e  la  torre  Nuragica. 


perto  da  volta  a  rastremazione,  come  avviene  dei  corridoi  nuragici;  a  questa  coper- 
tura pare  accenni  l' inclinazione  della  parete  verso  l' interno  del  recinto  esterno,  vi- 
sibile anche  dalle  fotografìe  6  e  7  ;  d'altra  parte  per  l'appoggio  di  questa  volta  si 
possono  notare  presso  alla  porticina  h  i  resti  di  una  fascia  in  muratura,  addossata 
alla  parete  del  nucleo  nuragico  e  che  poteva  appunto  servire  di  sostegno  ai  corsi  spor- 
genti della  copertura  di  tale  passaggio  (tìg.  4). 

A  breve  distanza  dalla  torre  D,  tra  questa  ed  il  nuraghe  centrale,  si  trovarono 
le  fondazioni  di  una  costruzione  di  pianta  ellittica  a  (tav.  I)  in  pietre  per  lo  più 
di  piccole  dimensioni,  cementate  con  malta  molto  argillosa  e  conservate  per  l'altezza 
media  di  m.  1,50.  Una  sola  porta  nel  lato  verso  occidente  dà  accesso  a  questo  re- 
cinto, essendo  l'altra  apertura  una  frana  del  muro. 


SARDINIA  —    243    —  ABBASANTA 

Essendosi  scoperto  presso  tale  recinto  un  vaso  capovolto  con  sotto  delle  ceneri, 
il  sig.  Nissardi  propendeva  a  ritenerlo  un  ustrino,  opinione  che  è  da  lasciarsi  deci- 
samente in  disparte,  in  base  ai  dati  raccolti  in  quest'ultima  campagna. 

Credo  si  tratti  di  una  grossa  cappanna  o  meglio  fondazione  di  cappanna  a  pianta 
ellittica,  e  che  nelle  parti  superiori  e  nel  tetto  doveva  essere  in  frasche  e  legname  ; 
per  l'analogia  delle  capanne  trovate  nella  recente  esplorazione,  credo  che  anche  questa 
possa  riferirsi  all'età  romana. 

Le  dimensioni  che  essa  presenta  (m.  8,00  X  5,50)  e  l'esilità  dei  muri,  non  pos- 
sono consentire  altro  genere  di  copertura,  come  osserveremo  per  queste  ultime  ca- 
panne scoperte. 

Questi  vari  edifici,  scoperti  nelle  precedenti  campagne,  erano  stati  esaminati  e 
descritti  dal  prof.  Pinza.  Egli,  avendo  osservato  che  la  soglia  della  porta  del  nucleo 
nuragico  si  trovava  di  m.  0,70  più  alta  di  quella  della  torre  Q  e  di  m.  1,40  più 
alta  del  piano  roccioso  attiguo  alla  porta,  aveva  espresso  l'idea  che  per  il  naturale 
dilavamento  della  terra  il  suolo  attorno  al  nuraghe  che  all'epoca  della  sua  costru- 
zione era  al  livello  della  soglia  o  di  poco  più  basso,  si  era  venuto  abbassando  len- 
tamente di  m.  0.70,  che  segnano  l'intervallo  di  tempo  trascorso  tra  l'età  della  co- 
struzione del  primitivo  nuraghe  e  quella  del  recinto  G.  Il  dilavamento  poi  avrebbe 
proseguito  anche  dopo  la  costruzione  del  recinto  ff  e  ne  sarebbe  un  segno  anche  il 
livello  notevolmente  più  basso  in  cui  si  trovano,  in  confronto  alla  soglia  della  porta 
del  recinto  G,  quelle  delle  due  torri  D  ed  E  del  recinto  fortificato  ed  anche  del  re- 
cinto di  pianta  ellittica  a. 

Invece  il  suolo  dell'età  nuragica,  o  almeno  quello  ricco  di  avanzi  riferibili  al- 
l'età nuragica  ed  alla  vita  di  quell'epoca,  fu  rintracciato  almeno  m.  0,20  o  0,30 
sotto  alla  soglia  delle  case  romane  ora  scavate  attorno  al  nuraghe,  in  modo  che  noi 
possiamo  ritenere,  come  del  resto  intravide  egregiamente  anche  il  prof.  Pinza,  che 
mentre  le  costruzioni  di  fortificazione  costrutte  ed  in  parte  addossate  al  nuraghe  se- 
guirono docilmente  il  piano  della  campagna,  adattandosi  alle  sue  movenze  ed  ab- 
bassandosi con  esso,  invece  il  nucleo  nuragico  ebbe  un  piano  regolare,  ergendosi  sopra 
una  platea  artificiale,  destinata  a  mascherare  le  ineguaglianze  del  sottosuolo  ed  a 
servire  di  base  all'edificio. 

Questo  sistema  di  erigere  il  nuraghe  sopra  una  piattaforma  si  trova  del  resto 
in  vari  di  questi  edifici,  ed  il  prof.  Pinza  stesso  ne  pubblica  yarì  esempì,  corredati 
dai  diligenti  disegni  del  sig.  Nissardi,  come  il  nuraghe  Sfundadu  ed  il  nuraghe 
Flumini  Longu  della  Nurra  (1).  Con  questo  sistema,  che  fu  usato  specialmente  nelle 
bassure  allagabili  nella  stagione  delle  pioggie,  si  otteneva  lo  scopo  di  preservare 
dalle  inondazioni  il  piano  delle  celle  ;  inoltre  elevando  l'altezza  della  soglia  sul  piano 
circostante,  si  ostacolava  l'accesso  all'  interno  dell'edificio,  e  vediamo  che  tale  preoc- 
cupazione è  dominante  nei  costruttori  dei  nuraghi. 

Del  resto  è  innegabile  che  la  cinta  munita  di  torri  fu  costrutta  molto  tempo 
della  seconda  amplificazione  del  nucleo  nuragico. 


(*)  Pinza,  op.  cit.,  pag.  106,  figg.  65,  87. 


AHBASANTA 


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SARDINIA 


Nella  campagna  di  esplorazione  compiuta  nell'anno  1915,  con  la  cooperazione  vali- 
dissima dell'  ispettore  onorario,  rev.  Salvatore  Angelo  Dessi,  furono  appunto  eseguite 
indagini  per  fissare  l'epoca  di  tali  costruzioni.  Per  quanto  rozze,  erette  con  pietre 
brute,  di  grandezza  diversa,  non  sono  meschine  imitazioni  dell'architettura  nuragica 
ma  sono  editici  della  stessa  tecnica,  costrutti  sotto  l'impulso  di  una  fretta  che  non 
dette  agio  alla  scelta  di  materiali  ne  alla  loro  regolare  disposizione.  Ma  la  podero- 


Fig.  5.  —  Feritoie  vedute  dall'interno  e  porta  di  accesso  alla  galleria  di  comunicazione  alla  torre  E. 


sita  dei  blocchi  impiegati  nella  cortina,  nei  corridoi,  negli  architravi  delle  porte  delle 
due  torri  D  E  mostra  la  stessa  potenza,  la  stessa  energia  collettiva  posseduta  dai 
costruttori  del  nucleo  ntiragico.  Le  condizioni  solo  erano  diverse,  V  urgenza  forse  del 
pericolo  e  del  bisogno  determinò  un  lavoro  meno  accurato  e  duraturo. 

Convengo  anch'  io,  ed  i  dati  raccolti  lo  provano,  che  tali  costruzioni  esteriori 
rappresentano  una  inferiorità  rispetto  alla  bella  epoca  indicata  dalla  costruzione  del 
nucleo  principale;  ma  è  sempre  la  stessa  tecnica,  il  prodotto  della  stessa  gente. 

I  primi  lavori  della  campagna  1915  furono  diretti  a  studiare  il  recinto  G  o 
torre  fronteggiante  il  nuraghe.  Come  si  vede  dalla  fotografia  (fig.  1)  esso  presenta 
una  costruzione  assai  irregolare  ed  incerta:  per  quanto  anch'esso  costrutto  in  grossi 
massi,  essi  sono  scelti  e  disposti  senza  cura  e  senza  la  connessione  robusta  ed  accu- 


SARDINIA 


—    245 


ABBASANTA 


rata  che  si  osserva  nella  parete  del  maggiore  nuraghe.  Molte  pietre  di  piccole  di- 
mensioni interposte  tra  le  grandi  e  non  poca  terra  od  argilla  assicurano  la  regola- 
rità dei  (ilari,  cosicché  l'edificio,  pur  consertando  taluni  caratteri  nuragici  nella  porta 
e  nelle  feritoie  visibili  nella  fotografia  (tìg.  1),  non  ha  la  solidità  maestosa  che  ap- 
pare nel  primitivo  nucleo  nuragico. 

Per  questo  io  ritengo  il  recinto  assai    posteriore  a  quello   e  più  recente  anche 
delle  due  torri  D  ed  E  (figg.  3,  4).  In  queste  due  torri  e  nella  cortina  che  le  unisce 


Fio.  6.  —  Veduta  dell'esterno  delle  feritoie  aperte  nella  cortina  turrita. 


invece  non  sono  né  zeppe  di  pietre  piccole  né  argilla,  ma  solo  grandi  massi,  e  si  nota 
manifesto  lo  scopo  di  ottenere  una  grande  solidità  e  resistenza.  Questo  si  vede  anche 
dalle  nostre  riproduzioni  che  danno  la  torre  D,  come  anche  la  cortina  nel  suo  lato 
interno  presso  le  feritoie  attigue  alla  porta  segnata  in  h  nella  pianta  (fig.  6). 

La  cortina  appare  fatta  di  getto,  per  quanto  sia  di  spessore  non  uniforme;  si 
vede  come  si  legano  le  torri  sporgenti  ai  tratti  rettilinei  e  come  le  disposizioni  delle 
feritoie  siano  fatte  con  criterio  già  sviluppato  di  difesa  per  battere  dalle  torri  la 
fronte  della  cortina,  e  così  pure  dall'angolo  rientrante  presso  la  porta  h,  per  colpire 
con  due  feritoie  accostate  l'assalitore  e  prenderlo  in  mezzo  tra  il  tiro  di  questa  coppia 
di  feritoie  e  quelle  della  torre  sporgente  E.  Tutte  le  feritoie  sono  abbastanza  ampie 


ABBASANTA  —    246    —  SARDINIA 

nell'  interno,  strette  all'esterno  per  proteggere  il  difensore  (fig.  6)  :  quelle  delle  torri 
D  ed  E  adatte  ad  un  uomo  in  piedi,  quelle  dell'angolo  della  cortina  sono  invece 
basse,  per  un  uomo  inginocchiato,  come  si  comprende  dalla  fotografia  (fig.  5).  Fu 
appunto  nello  scavo  fatto  per  rintracciare  il  livello  antico  di  tali  feritoie  che  si 
ebbero  a  dozzine  quelle  pietre  accuratamente  arrotondate,  di  6-7  cm.  di  diametro, 
frequenti  nel  nuraghe  Losa  ed  in  tutti  i  nuraghi  esplorati,  e  che  erano  le  armi  da 
getto  più  largamente  usate  nella  difesa  dall'alto  del  nuraghe  (1). 

L'altezza  conservata  della  cortina,  fra  le  due  torri  D  ed  E,  è  da  3  a  4  metri 
nel  lato  interno,  un  poco  più  alta  dall'esterno,  essendo  il  terreno  leggermente 
declinante. 

La  torre  E  ha  la  volta  quasi  completamente  crollata,  ma  rimangono  le  pareti 
sino  all'altezza  di  quasi  6  metri,  ed  in  esse  si  aprono,  come  dicemmo,  9  feritoie. 

Tolto  il  materiale  caduto  dall'alto,  si  rimise  in  luce  il  pavimento,  in  grossi  la- 
stroni di  basalto  conservato  per  oltre  la  metà  della  cella,  e  fu  di  nuovo  sgombrata 
la  curiosa  cisterna  segnata  nella  pianta  con  »,  aperta  sotto  la  parete  della  torre, 
quasi  di  faccia  alla  porta  d' ingresso.  All'epoca  dei  primi  scavi,  diretti  dal  prof.  Vi- 
vanet,  questa  cisterna  presentò  infissi  nella  parete  degli  arpioni  in  ferro,  che  il 
sig.  Nissardi  ritenne  destinati  a  tener  appesa  la  carne,  in  fresco,  per  i  difensori  della 
cinta  nuragica-  È  questo  uno  dei  segni  dell'  uso  relativamente  tardo  di  questo  re- 
cinto; altri  ce  ne  forniscono  le  indagini  praticate  attorno  al  nuraghe 

Le  piccole  dimensioni  dei  materiali  impiegati  nei  muri  del  recinto  ovale  a  ed 
il  rinvenimento  di  ceramica  di  età  romana  ivi  avvenuto,  mi  facevano  supporre  che 
questo  recinto  fosse  di  molto  posteriore  a  quelli  precedentemente  descritti.  Ciò  fu 
confermato  dai  dati  raccolti  dagli  avanzi  di  altri  consimili  edifici,  esplorati  in  questa 
ultima  campagna,  attorno  al  massiccio  nuragico  e  specialmente  presso  il  recinto  a, 
sotto  un  cumulo  di  materiali  crollati  dalla  mole  nuragica. 

Attiguo  al  recinto  a,  allo  stesso  livello  di  questo,  cioè  a  m.  ]  ,50  inferiormente 
alla  soglia  della  porta  del  nuraghe  centrale,  si  ebbero  i  resti  di  un  altro  recinto, 
ad  un  dipresso  circolare,  b,  di  m.  4,50  di  diametro,  conservato  per  circa  due  terzi 
della  periferia,  con  le  tracce  di  uno  degli  stipiti  della  porta  d' ingresso. 

I  muri,  di  spessore  ineguale  da  m.  0,80  ad  1,20,  erano  fatti  con  materiali  disformi, 
per  lo  più  minuti  e  di  demolizione  degli  edifici  preesistenti,  legati  con  molta  argilla, 
nella  quale  erano  impastati  frammenti  di  rozze  stoviglie  nuragiche.  E  probabile  che, 
tanto  in  questa  come  nelle  altre  costruzioni  ora  rinvenute,  si  abbiano  solo  le  fonda- 
zioni in  rude  muratura  di  tarde  capanne,  che  avevano  il  resto  delle  pareti  e  del  tetto 
in  frascame,  come  quello  delle  moderne  capanne   da   pastore   nelle  montagne   sarde. 

Non  si  ebbe  traccia  di  pavimento  di  questa  capanna  b,  forse  in  battuto  di  terra, 
ma  esso  era  indicato  da  una  linea  di  materie  carboniose  miste  a  terra.  Erano  copiosi 
i  frammenti  di  ceramica  locale  d' imitazione  aretina,  di  stoviglia  di  tarda  importa- 
zione della  Campania;  anche  i  residui  di  ossa  di  animali,  serviti  per  i  pasti,  ossa  di 

(')  Anche  il  nuraghe  di  Santa  Barbara,  presso  Villanova  Truscheddo,  dette  centinaia  di  tali 
proiettili. 


SARDINIA 


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ABBASANTA 


bove,  di  capra,  di  pecora,  di  cinghiale;  numerose  le  corna  di  cerbiatto   e  di  cervo, 
ancora  oggi  esistenti  nell'  isola. 

Anche  la  capanna  C,  attigua  ed  anzi  congiunta  con  auella  b,  presentava  lo  stesso 
carattere  costruttivo  frammentario.  Essa  ha  pianta  a  un  dipresso  ovale,  con  i  diametri 


■ 


Fio    7.    —  Interno  "dell a  capanna  0. 


di  6  e  di  4  metri  (fig.  9)  ;  ha  la  porta  verso  mezzogiorno  ed  un  armadio  o  nicchia 
nella  parete  quasi  di  contro  alla  porta.  ]  Come  è  visibile  dalle  fotografie  9,  9  a,  le 
mura  furono  conservate  solo  in  un  punto  dell'altezza;di  circa  2  metri  e  mostrano  la 
parete  inclinata  verso  l' interno  :  la  struttura  del  muro  è  poco  solida  ed  ineguale,  e 
non  era  tale  di  reggere  la  spinta  di  una  volta,  cosicbè  anche  per  questa  capanna 
dobbiamo  supporre  la  stessa  copertura  in  fogliame.  Entro  ed  accanto  a  questa  capanna 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  33 


ABBASANTA  —    248    SARDINIA 

si  ebbero  avanzi  di  pasti  e  di  ceramica  di  età  romana,  e  varie  monete  di  bronzo  assai 
mal  ridotte,  ma  chiaramente  riferibili  all'età  dell'  impero  romano.  Neil'  interno  si  ebbe 
anche  il  catil/us  di  una  mola  romana  e  varie  macine  piatte  trovate  però  nel  sotto- 
suolo di  questa  modesta  dimora.  Si  ebbe  anche  un  oggetto  di  pietra  che  si  vede 
dalla  fig.  7,  e  che  ritengo  il  fondo  di  un  pressoio  da  olive.  È  un  blocco  di  pietra 
di  sezione  ad  un  dipresso  semicircolare,  nella  faccia  superiore,  pressoché  rettangolare  ; 
ha  un  solo  rilievo  ed  un  incavo  centrale  circolare,  con  relativo  colatoio  su  uno  dei 
lati.  Piuttosto  che  di  un  fornello  di  fusione  parmi  trattarsi  di  un  piccolo  fondo  di 
pressoio  da  ulive  di  uso  domestico  ('). 

Di  un'altra  analoga  cappanna,  a  pianta  probabilmente  ovale  (/,  si  videro  le  tracce 
accanto  alla  precedente,  ma  non  credetti  fosse  il  caso  di  esplorarla  completamente, 
per  non  invadere  il  terreno  privato  sotto  il  quale  essa  si  estendeva. 

Anche  dall'altro  lato  del  nuraghe,  verso  ovest,  si  ebbero  tracce  di  cappanne  forse 
di  età  romana.  In  e  si  ebbero  le  fondazioni  dei  muri  di  una  piccola  cappanna  circolaro 
con  la  porta  probabilmente  rivolta  verso  il  nuraghe;  di  m.  3,00  di  diametro,  con 
pareti  esili  e  con  molti  resti  di  ceramica  romana.  Più  ampia  e  più  incompleta  era 
la  fondazione  di  un'altra  cappanna  attigua  a  questa,  f.  con  un  ingresso  a  sghembo 
ed  una  piccola  nicchia  nelle  pareti;  questa  cappanna  /si  attaccava  mediante  un  muro 
alla  parete  del  nuraghe.  Neil'  interno  di  questa  cappanna  rimasero  tracce  di  un  pa- 
vimento in  terra  bruciata  dal  fuoco,  forse  dall'incendio  che  distrusse  la  cappanna  la 
quale  dette  non  meno  delle  precedenti  i  residui  della  vita  famigliare  in  età  romana. 

Anche  in  C  si  ebbero  i  resti  di  un'altra  cappanna  circolare,  mentre  in  t  si  ebbero 
gli  avanzi  di  una  sepoltura,  chiusa  da  lastre  in  pietra,  contenente  i  residui  di  un 
deposito  funerario  di  età  tarda,  probabilmente  cristiana.  Avremo  qui  l'ultimo  uso  a 
cui  servì  il  recinto  di  Losa;  dopo  di  essere  stato  la  forte  abitazione  di  un  famiglia 
nuragica,  di  aver  veduto  dietro  le  afforzate  difese  la  lotta  contro  gli  assalitori,  esso 
accolse  accanto  alla  sua  mole  un  gruppo  di  cappanne  di  poveri  pastori  ed  agricoltori 
del  periodo  romano;  da  ultimo  servì  come  cimitero,  forse  di  età  cristiana,  quando  la 
vita  si  ritrasse  dalle  campagne,  per  raccogliersi  verso  l'abitato  di  Ad  Medias,  corri- 
spondente all'attuale  Abbasanta. 

Ognuno  vede  l' interesse  che  avrebbero  potuto  dare  queste  case  minori,  sorgenti 
accanto  alla  grande  mole  nuragica  del  capo  delle  tribù  e  dietro  la  potente  difesa 
militare  della  cinta,  se  noi  non  avessimo  il  sospetto  che  esse  siano  un  rifacimento 
tardo,  di  epoca  romana,  di  case  forse  dello  stesso  tipo,  sorgenti  nella  stessa  località, 
nel  periodo  preromano.  Nella  vessata  questione  della  origine  del  tipo  della  casa 
protosarda  e  del  nuraghe,  questo  materiale  però  potrebbe  avere  un  gran  peso,  non 
minore  di  quello  che  ha  lo  studio  delle  case,  indubbiamente  nuragiche,  esistenti 
attorno  al  nuraghe  Serrucci,  di  Gonnesa,  da  me  esplorate  nelle  campagne  del 
1912-13.   Nello  studio   di  quelle  cappanne,   che  io  ho  da  molti   mesi  allestito  ed 


(l)  Non  escludo  però  che  potesse  anche  essere  un'ara  o  una  speciale  patera  da  offerte  sacre 
ed  essere  connessa  a  rituale  religioso  primitivo  a  cui  si  riferiscono  anche  altri  frammenti  di  oggetti 
di  non  chiaro  uso. 


SARDINIA 


—    249 


ABBASANTA 


attende  l'onore  della  pubblicazione  nei  Monumenti  dei  Lincei,  ho  ripresa  la  que- 
stione della  origine  della  casa  sarda  preromana  e  del  nuraghe.  I  risultati  ottenuti 
dal  mio  studio  sono  lungi  dal  considerarsi  definitivi  :  io  credo  però  che  gli  anelli 
della  evoluzione  dalla  cappanna,  coperta  di  frasche,  al  nuraghe,  siano  evidenti,  come 
sia  evidente,  in  un  certo  punto  della  evoluzione  l'intervento  di  un  fattore  nuovo, 
forse  di  importazione  premicenea,  dall'oriente  del  Mediterraneo,  fattore  che  deve 
essere  messo  in  rapporto  cronologico  e  forse  anche  non  soltanto  cronologico,  con  la 
scoperta  e  la  lavorazione  delle  miniere  di  rame  della  Sardegna. 

Gli  elementi  raccolti  in  questo  strato  mostravano  che  il  nuraghe  ed  il  terreno 
vicino  erano  stati  per  lungo  tempo  abitati  e  frequentati,  ma  le  indagini  si  estesero 
tutto  attorno  al  nuraghe,  dove  si  potè  interrogare  lo  strato  di  terra  al  di  sotto  del 
livello  delle  capanne  di  età  romana,  per  raccogliere  qualche  indizio  riferibile  alla 
età  più  antica,  e  cartaginese  e  soprattutto  nuragica. 


Fig.  8.  —  Sezione  delle  pietre  basaltiche  che 
servirono  al  rivestimento  di  un  edifìcio 
religioso  entro  al  Nuraghe  Losa. 


Fio.  9.  —  Sezione  di  pietra  lavorata,  forse 
adibita  al  rivestimento  esterno  di  una  cu- 
pola di  edificio  religioso. 


All'età  cartaginese  si  possono  attribuire  alcuni  oggetti,  penetrati  forse  per  via 
commerciale  tra  le  genti  nuragiche  ;  tali  sono  le  stoviglie  puniche  e  di  importazione 
dalla  Sicilia  e  dalla  Campania,  per  lo  più  in  frammenti;  un  grosso  scaraboide  in 
pietra,  verde,  assai  malconcio,  qualche  perla  in  pasta  vitrea  e  vetro,  un  pendaglietto 
a  forma  di  goccia,  in  bronzo,  e  varie  monete  puniche,  con  protome  d'Astarte  e  le  tre 
spighe  di  grano,  ed  un  campanello  pure  in  bronzo. 

Rinvenimenti  di  materiali  riferibili  all'epoca  nuragica  non  mancarono,  ma  come 
erano  stati  scarsi  durante  i  grandi  scavi  precedentemente  praticati,  tanto  nell'interno 
dell'edificio  centrale  che  nelle  fortificazioni  aggiunte,  furono  poco  abbondanti  anche 
nell'attuale  campagna. 

Ricordo,  oltre  ai  numerosi  ciottoli  arrotondati,  usati  come  proiettili,  varie  macine 
a  navicella,  macinelli  e  pestelli  in  pietra,  mortai  ed  anche  alcune  rozze  teste  di 
mazza  a  foro  centrale,  intiere  e  spezzate;  gran  copia  di  frammenti  ceramici,  di  rozzo 
impasto,  per  lo  più  di  vasi  di  uso,  di  pentole,  con  le  consuete  anse  a  gomito,  offerte 
da  tutti  i  nuraghi,  di  larghe  tegghie,  a  pareti  poco  alte  e  svasate,  di  grossi  ziri 
ad  orlo  rivoltato,  alcuni  conservanti  ancora  le  saldature  in  piombo  degli  antichi 
restauri,  di  cui  si  ebbero  già  esempì  al  nuraghe  Palmavera,  a  Serri,  a  Monte  Idda 
ed  allo  stesso  nuraghe  Losa.  Sopra  alcuni  orli  di  ziro  vi  erano  ornati  ad  impressione, 


ABBA8ANTA 


—    250 


SARDINIA 


ottenuti  con  piccole  stampiglie,  a  motivi  semplici,  a  stelle,  a  linee  intrecciate,  a 
triangoli  dal  vertice  contrapposto.  Abbastanza  numerose  le  fusarole  in  terracotta  e  le 
ossa  di  animali,  sia  domestici,  bove,  capra,  pecora,  che  selvatici,  cinghiali,  lepri,  ed 
abbondanti  i  palchi  di  cervo  e  le  corna  di  cerbiatto. 

Rarissimi  gli  oggetti  in  bronzo  e  per  lo  più  in  frammenti;  si  raccolsero  vani 
aghi  crinali,  semplici,  senza  capocchia  ornata;  una  piccola  accetta  in  bronzo,  esile 
ed  a  margini  appena  rilevati,  lunga  cm.  11,  con  la  superficie  assai  corrosa  dall'ossido. 


PiG.310.  —  Pozzo  0  fontana  Sacra  di  Losa,  a  500  metri  a  nord-ovest  del  Nuraghe. 


Si  ebbe  anche  una  protome  di  navicella  votiva  in  bronzo,  con  figura  di  testa  di 
cervo,  discretamente  conservata.  Questo  oggetto  di  tipo  votivo  ed  evidentemente  di 
carattere  religioso,  come  credo  lo  fosse  anche  un  piccolo  vasetto  in  terracotta,  di 
fondo  tondeggiante,  con  quattro  minuscole  ansette  forate  sotto  l'orlo  e  probabilmente 
anche  i  ziri  con  l'orlo  decorato  da  impressioni,  mi  conducono  a  supporre  che  in 
qualche  parte  non  ancora  accertata  del  complesso  edificio  del  nuraghe  Losa  vi  fosse 
un  sacello  od  un  recinto  adibito  per  uso  religioso,  più  antico  e  Ài  diverso  tipo  e 
struttura  che  non  fosse  il  recinto  0  torre  a  feritoie  G. 

Già  negli  scavi  precedenti  erano  stati  rinvenuti  numerosi  conci  di  pietra  basal- 
tica, ben  lavorati,  con  una  faccia  rettangolare,  a  margini  regolari  e  leggermente 
ricurvi,  accennanti  ad  aver  appartenuto  ad  una  costruzione  curvilinea  (fìg.  8)  e  con 
la  coda  a  cuneo,  simili  a  quelli  impiegati  nelle  belle  costruzioni  dei  templi  nuragici 


SARDINIA  —   251    —  ABBASANTA 

di  Serri,  di  S.  Cristina,  di  Sardara,  di  Nurugus  (').  Altre  pietre,  di  notevoli  dimen- 
sioni (alt.  m.  1,47,  largii.  0,46)  e  della  stessa  lavorazione,  con  una  faccia  curva  ed 
un'altra,  opposta,  piana  facente  angolo  con  la  prima  (fig.  9),  erano  state  rinvenute 
qua  e  là  nella  massa  della  rovina.  Dopo  gli  scavi  fatti  nei  templi  nuragici,  dai  quali 
è  risultato  che  quel  tipo  di  materiale  accu ratamente  lavorato  apparteneva  ad  edifici 
religiosi,  sempre  si  cercò  da  qual  parte  dell'edificio  nuragico  di  Losa  potessero  pro- 


Fig.  11.  —  Pianta  del  pozzo  Sacro  di  Losa. 

venire  tali  materiali.  Per  qualche  tempo  ritenni  che  questi  conci  lavorati  fossero 
stati  trasportati  per  qualche  ragione  al  nuraghe,  dal  pozzo  detto  di  Losa,  situato  a 
500  metri  dal  nuraghe,  pozzo  di  cui  con  l'assistenza  del  compianto  dottor  Porro  ho 
ripuliti  i  resti  del  fondo,  rivestito,  come  si  vede  dall'unito  schizzo  (figg.  10  e  11)  di 
filari  in  conci  basaltici  diligentemente  murati.  Ma  la  distanza  relativa  dal  pozzo  al 
nuraghe  era  di  per  sé  stessa  un  argomento  sufficiente  per  escludere  tale  origine  dei 
massi  lavorati  trovati  intorno  a  Losa. 

Durante  la  presente  esplorazione  ne  vennero  rintracciati  un  grandissimo  numero; 
molti  di  questi  hanno  la  faccia  rettangolare  e  leggermente  curva,  con  le  dimensioni 
di  m.  0,32  X  0,18,  che  sono  presso  a  poco  quelle  dei  conci  lavorati  del  pozzo  nura- 
gico di  S.   Vittoria   di   Serri.  Alcuni  massi,  pure  di  lava  basaltica,  diligentemente 

(*)  Notizie  degli  scavi,  aprile  1915. 


ABBASANTA 


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SARDINIA 


lavorati  nella  faccia  a  vista,  hanno  una  cornice  aggettante  m.  0,04  ed  alta  0,09,  e 
la  faccia  superiore  a  curva  convessa  ed  inclinata,  mostrando  di  aver  fatto  parte  di 
una  costruzione  tronco-conica  (tìgg.  8  e  9). 

Altri  massi  poi  sono  di  grandi  dimensioni  (m.  1  di  altezza),  rettangolari,  lavo- 
rati diligentemente  su  tre  faccie;  facevano  parte  probabilmente  di  basamenti  a  forma 
rettangolare  (tìg.  7). 


Fio.  12.  —  Base  di  colonnetta  o  betilo. 

Oltre  a  questo  materiale,  pertinente  ad  una  tecnica  accurata  e  progredita,  tro- 
vato tutto  attorno  al  piede  del  Nuraghe,  specie  nell'andito  F,   ed  anche  murato  ed 


io 
J_ 


V> 

4   eV>. 


Fig.  13.  —  Capitello  in  trachite  di  un  tempia  nuragico,  a  Losa. 


impiegato  nelle  costruzioni  frammentarie  di  età  romana,  ebbi  anche,  nella  recente 
esplorazione  elementi  da  connettersi  a  concetti  decorativi  e  religiosi.  Ne  ho  raggrup- 
pati alcuni  nella  fotografia  tìg.  7.  Sotto  il  piano  della  capanna  ('.  si  ebbe  il  pila- 
strino in  trachite  rosea,  di  forma  leggermente  tronco-conica,  alto  m.  0  60.  e  di  0,10 
di  diametro,  leggermente  ritoccato  alla  base,  probabilmente  per  incastrarlo  o  adat- 
tarlo sopra  ad  un  pieduccio  o  basamento,  al  quale  scopo  credo  destinata  la  basetta 
frammentaria,  pure  in  trachite  rosea,  rotonda  in  basso  e  restringent.'si  a  cono  tronco, 
accuratamente  lavorata,  che  si  trovò  poco  lontano  dal  pilastrino  (fig.  12).  Sia  per  la 
esilità  della  colonna  e  della  basetta  che  per  la  fragilità  del  materiale,  quanto  per  la 
sua  lavorazione,  questi  elementi  non  potevano  avere  che  un  carattere  decorativo  e 
religioso  ed  io  propendo  a  vedere  in  essi  un  betilo  con  la  sua  base. 


SARDINIA  —    253    ABUASANTA 


Questa  supposizione  si  rende  più  accettabile,  ricordando  le  numerose  tracce  di 
un  culto  betilico  già  note  nelle  tombe  megalitiche  della  Sardegna,  come  a  Tamuli. 
a  Perdu  Pes,  di  Paulilatino.  Anche  nel  tempio  a  pozzo  di  S.  Vittoria,  come  nel  pros- 
simo recinto  ipetrale  dell'altipiano  di  Serri,  si  ebbero  frammenti  di  pietre  coniche, 
di  evidente  carattere  religioso  ('),  ed  altri  elementi  di  questo  tipo  si  ebbero  anche 
al  tempio  di  Santa  Anastasia,  di  Sardara,  ed  in  una  delle  eappanne  nuragiche  di 
Serrucci,  presso  Gonnesa. 

Parimenti  di  carattere  decorativo  ha  l'oggetto  che  designo  col  nome  di  capitello, 
rinvenuto  nel  materiale  di  chiusura  di  una  feritoia  della  torre  E.  E  in  trachite  bianca 
e  teneressima  e  per  di  più  guasta  dall'umido;  il  capitello  (fig.  13)  non  può  certa- 
mente riferirsi  ad  alcuno  dei  tipi  dell'architettura  classica;  al  di  sopra  di  una  breve 
fascia  cilindrica,  si  espande  il  corpo  del  capitello  a  cono  rovescio,  con  profonde  sca- 
nalature verticali,  disposte  tutte  all'  ingiro.  Tale  decorazione,  semplicissima  del  resto, 
si  ritrova  nei  piedi  delle  tazze  votive  scoperte  nella  stipe  votiva  del  tempio  di 
Serri  («). 

Tutti  questi  materiali  architettonici,  qui  brevemente  ricordati,  come  anche  la 
protome  di  navicella,  rinvenuti  attorno  alla  base  del  Nuraghe,  sono  certamente  caduti 
dall'alto  ed  io  ritengo  appartenessero  alla  struttura  ed  agli  elementi  di  culto  di  un 
sacello,  evidentemente  circolare,  con  piccola  cupola  a  tronco  di  cono,  sorgente  sul- 
l'alto del  Nuraghe,  o  sulla  torre  principale,  oppure  su  qualche  punto  della  terrazza 
con  cui  terminava  in  alto  il  grande  fascione  B,  B,  B  (tav.  I)  che  recinse  la  primitiva 
torre.  Tale  materiale  si  riferirebbe  ad  un  tempio  ipetrale,  con  culto  alla  divinità, 
venerato  sotto  l'aspetto  betilico,  tipo  di  tempio  non  ancora  accertato  per  la  Sardegna 
primitiva. 

Mi  limito  perciò  a  raccogliere  e  registrare  queste  leggiere  ma  significanti  traccio, 
senza  insistere  in  ipotesi  ancora  premature  e  che  attendono  luce  da  altri  fatti  e  da 
altre  scoperte.  Ma  sin  d'ora  è  un  fatto  positivo  che  dalle  rovine  del  nuraghe  sono 
venuti  in  luce  copiosi  materiali  che  mostrano  nella  loro  lavorazione  quella  tecnica 
accurata  già  riscontrata  in  edifici  indubbiamente  eretti  a  scopo  religioso.  Siamo  quindi 
condotti  a  pensare  che  coloro  i  quali  eressero  una  grandiosa  costruzione  qual'è  il 
nuraghe  Losa,  sia  nella  sua  parte  primitiva,  che  nel  poderoso  bastione  aggiunto,  la- 
sciando in  essa  l' impronta  della  loro  energia  sociale  e  collettiva,  seppero  anche  espri- 
mere, nella  finezza  e  nella  solidità  di  un  edificio,  tecnicamente  più  elevato,  la  te- 
nacia e  la  vivacità  delle  loro  fedi  religiose.  E  forse  a  difesa  del  sacello  fecero  più 
tardi  il  poderoso  recinto  turrito,  quando  le  minaccie  nemiche,  puniche  o  romane,  af- 
frettarono il  tramonto  dell'  indipendenza  delle  genti  sarde  ;  e  quando  la  fortezza  fu 
espugnata,  la  demolizione  violenta  e  la  dispersione  di  tutto  il  materiale  che  fece 
parte  del  sacello,  mostra  che  qui,  come  a  S.  Vittoria  di  Serri,  la  violenta  fine  della 
difesa  e  lo  sterminio  definitivo  della  tribù  nuragica  di  Losa  fu  completata  dallo  sfa- 


(l)  Taramelli,  Il  tempio  nuragico  di  S.   Vittoria  in  Mon.  antichi  dei  Lincei,  voi.  XXXIII, 
pag.  47,  figg.  22-25. 

(')  Ivi,  pag.  80,  tav.  V,  fig.  9. 


ABBASANTA 


—   254   — 


SARDINIA 


celo  dei  segni  religiosi  che  animarono  la  vita  e  resero  più  fiera  la  morte  della  tribù 
sarda. 

È  probabile  che  questa  tribù  nel  tempo  della  sua  florida  vita  avesse  tutto  at- 
torno al  nuraghe  un  abitato  composto  di  piccole  capanne  che  andarono  distrutte  ed 
i  cui  materiali  furono  impiegati  nella  costruzione  delle  capanne  di  età  romana,  da 
noi  rintracciate.  A  difendere  la  borgata  fu  costrutta  un'altra  cinta  esterna  a  quella 
da  noi  esaminata  e  di  cui  restano  ora  poche  traccie  che  solo  permettono  di  seguirne 
il  percorso.  Tale  cinta  è  indicata  nel  rilievo  del  sig.  Nissardi,  edito  dal  prof.  Pinza 
a  tavola  VII,  lettera  Z.  dell'opera  ricordata. 

Il  più  evidente  resto  della  cinta,  che  ha  andamento  ellittico,  è  il  resto  di  una 
torre  circolare,  costrutta  a  grandi  massi  di  tipo  e  di  dimensioni  identiche  alle  torri 
della  cinta  segnate  nella  nostra  pianta  a  fig.  1  con  D  ed   E;   ma  non  è  possibile 

oggi  dire  se  avessero  o  meno  feritoie.  Data 


,«* 


la  scarsità  di  elementi  non  è  possibile  dire 
se  questa  cinta  esteriore  fosse  stata  costrutta 
nello  stesso  tempo  e  per  la  medesima  ne- 
cessità che  portò  alla  erezione  della  cinta 
prossima  al  nuraghe. 

Tombe  a  cremazione  presso  al  nuraghe 
Losa,  a  Su  Serrau  de  Sa  Funtana  ed  a 
Cannas,  presso  la  Tanca  Regia.  —  Fuori 
dal  recinto  esterno  del  nuraghe  Losa  erano 


Fio.  14.  —  Tomba  a  cremazione, 
presso  il  Nuraghe  Losa. 


Fio.  15.  —  Sezione  della  tomba  a  cremazione, 
presso  il  Nuraghe  Losa. 


state  segnalate  alcune  tombe  scavate  nel  piano  roccioso,  le  quali  avevano  ap- 
punto dato  il  nome  della  località  di  Losa.  Ne  dà  la  descrizione  anche  il  prof.  Pinza, 
accennando  come  esse  consistono  in  piccole  fosse  rettangolari,  destinate  a  ricevere 
un  cadavere  combusto;  intorno  alla  fossa  è  ricavato  un  leggero  rialzo  che  doveva 
penetrare  in  un  masso  di  pietra  che  serviva  da  coperchio. 

Esplorando  il  campo  a  mezzogiorno  nel  nuraghe,  erano  stati  rinvenuti  a  diecine 
tali  incavi  e  molti  massi  di  coperchio.  Di  uno  di  questi,  situato  nello  stradello  che 
conduce  dalla  via  provinciale  di  Abbasanta  all'ingresso  del  nuraghe,  offro  qui  la 
pianta  e  la  sezione  (fig.  14,  15).  Il  piccolo  loculo  che  ha  la  bocca  di  0,25  X  0,28,  con 


SARDINIA 


—  255  — 


ABBASANTA 


un  leggiero  incavo  su  di  un  lato,  forse  per  deporvi  qualche  piccolo  oggetto  di  arredo 
per  il  morto,  è  profondo' m.  0,18. 

Il  Pinza  non  potè  giustamente  esporre  un'  idea  sull'epoca  a  cui  rimontano  tali 
loculi;  i  molti  che  furono  esaminati  recentemente  dal  sig.  Nissardi  e  più  tardi  da 
me,  furono  tutti  trovati  aperti  ;  in  uno  solo  si  ebbe  una  moneta  in  bronzo  di  Adriano. 

Sepolture  consimili  furono  trovate  in  altri  punti  del  territorio  di  Abbasanta  che, 
come  accennai  in  altro  luogo,  fu  fittamente  abitato  in  età  romana.  Ne  trovai  nelle 
recenti  esplorazioni,  in  gruppi  di  due  o  tre,  in  prossimità  del  nuraghe  Perda  Grap- 
pida,  a  Fontana  de  Cannai,  nella  Tanca  Regia,  ed  a  Serrau  de  Sa  Funtana,  poco 
lungi  da  esso.  Non  posso  offrire  qui  lo  schizzo  dei  loculi  di  quest'ultima  località, 
indicatimi  dal  defunto  sig.  Prinetti,  custode  della  Tanca  Regia.  Essi  sono  scavati 
nella  superficie  di  massi  di  lava  di  poco  sporgenti  dal  suolo,  hanno  la  bocca  rettan- 
golare con  uno  stretto  orlo,  ma  una  parte  del  fondo 
ha  un  secondo  incavo  circolare  profondo  m.  0,12* 

Il  masso  del  coperchio  presentava  pure  un  in 
cavo  corrispondente  alla  dimensione  del  loculo.  Nel- 
l'incavo circolare  più  profondo  erano  le  ceneri,  nella 
parte  superiore  la  suppellettile;  dalle  notizie  for- 
nitemi dal  predetto  signor  Prinetti,  in  uno  dei  lo- 
culi sarebbero  stati  rinvenuti  vasetti,  lucerne  e 
monete,   sicuro  indizio   della  età  romana. 

Dolmen  di  Cannigheddu  e  S' Ena,  nella  Tanca 
Regia.  —  La  regione  della  Tanca  Regia  fu  esa- 
minata, esplorata  e  sconvolta  dal  compianto  sig.  Leone 
Gouin  ('),  ed  una  parte  della  collezione  sarda  da 
lui  formata  ed  ora  al  Museo  di  Cagliari  proviene 
dalle  tombe  dei  giganti  della  Tanca  Regia  (*).  Non 
fu  però  inutile  una  mia  rapida  esplorazione  anche  in 
questa  parte  del  territorio  di  Abbasanta  e  qui  ne 
espongo,  rapidamente,  i  risultati. 

Ad  un  chilometro  circa  dalla  fattoria  che  forma 
il  centro  di  questa  Tanca  Regia,  in  una  bella  re- 
gione di  boschi  e  di  fontane,  ho  rinvenuto,  nella  località  detta  Can  nigheddu  e  S'Erta, 
«  il  Canneto  della  sorgente  » ,  un  dolmen  di  cui  qui  presento  la  pianta  e  la  fotografia 
(figg.  16,  17). 

Sopra  un  breve  recinto  di  pietre,  sporgenti  pochi  decimetri  dal  suolo,  è  posato 
un  grosso  masso  basaltico,  non  a  lastra,  ma  di  forma  pressoché  cubica,  di  m.  1,55 
di  lunghezza  per  1,20  di  larghezza  e  0,90  di  spessore.  L'altro  masso  che  copriva  la 
piccola  cella  è  stato  ribaltato  poco  lontano,  dai  consueti  cercatori  di  tesori. 

(')  Baux  e  Gouin,  Materiaux  pour  l'histoire  de  VHomme,  1884,  pag.  200,  figg.  114-118. 
(*)  Taramelli,  La  collezione  di  antichità  sarde  dell' ing.  E.  Gouin  (Bollettino  d'arte,  1914, 
agosto). 

Notizie  Scavi  191«  —  Voi.  Xllf.  34 


Fio 


16.  —  Dolmen  di  Cannigheddu 
«'  S'Ena,  presso  la  Tanca  Regia, 
Abbasanta. 


ARBASANTA 


—  256 


SARDINIA 


Il  dolmen  appartiene  al  tipo  di  quelli  a  tavola  bassa,  come  quelli  di  Nurarchei 
e  di  Afesu  ffnas,   rintracciati   nella  recente  esplorazione   del  territorio  Abbasantese 


Fio.  17.  —  Fotografia  della  dolmen  di  Oannigheddu  e'  S  Ena. 

compiuta  col  dott.  Porro  (x);  esso  fu  da  me  diligentemente  rinettato  e  nel  vano 
oblungo  della  colletta,  sotto  al  grosso  masso  basaltico,  ebbi  una  ciotoletta  in  terra- 
cotta, di  tipo  simile  a  quelle  date  dalle  tombe  dei  giganti  della  stessa  Tanca  Regia. 

(')  Taramelli-Porro,  Not.  scavi,  1915,  pag.  108  sgg. 


SARDINIA 


-    257    — 


ABBASANTA 


Tomba  dei  giganti  di  Sos  Ozsastros,  a  Tanca  Regia.  —  Ad  un  chilometro 
ad  ovest  della  Tanca  Regia  si  conservano  i  resti  della  tomba  dei  giganti  detta  di 
Sos  Oisastros,  dagli  olivastri  che  vi  crescevano  dattorno  prima  di  un  recente  in- 
cendio che  danneggiò  i  boschi  di  quel  tenimento. 

La  cella  della  tomba  era  stata  frugata  ai  tempi  dell'  ing.  Gouin  ;  lo  scavo  da 
me  eseguito  mise  in  luce  V  intiera  pianta  della  tomba,  specie  dell'atrio  che  non  era 


Fio.  18. 


Tomba  dei  Giganti  di  Sos  Ozzastros  (Abbasanta). 


stato  finora  esplorato.  La  camera  mortuaria  della  tomba  è  di  m.  ;j,40  di  lunghezza, 
ed  1  di  larghezza  ;  l' ingresso  è  largo  0,50  e  formato  da  massi  ben  lavorati  nella 
faccia  a  vista;  al  disopra  dei  massi  dell'ingresso  posava  in  origine  la  stele,  trovata 
abbattuta  nell'atrio,  di  forma  centiuata,  alta  m.  1,60  e  larga  0  90,  accuratamente 
lavorata  nella  faccia  che  doveva  essere  esposta  verso  l'esterno.  Così  pure  erano  ben 
lavorate  le  pietre  della  piccola  abside,  o  del  fondo  del  muro  esterno  della  cella,  le 
quali  dovevano  essere  in  vista,  sostenendo  la  base  del  cumulo  della  terra  che  amman- 
tava la  copertura  del  sepolcro. 

Ai  due  lati  della  porta  si  protendono  in  curva  le  due  braccia  delle  ali,  rac- 
chiudenti l'atrio,  col  sedile  di  massi  basaltici  sporgenti  dal  suolo  m.  0,50,  che  con- 
temporaneamente servivano  a  mantenere  in  piedi  i  lastroni  delle  ali.  Essi  erano  tutti 
lavorati  alla  martellina  nella  loro  faccia  verso  l'atrio,  e  due  di  essi,  su  ciascuno  dei 


ABBASANTA 


258  — 


SARDINIA 


lati,  erano  decorati  nella  faccia  esterna  da  una  bozza,  o  disco,  in  rilievo,  visibile 
nella  fotografia  (figg.  18,  19).  Se  ricordiamo  le  bozze  sporgenti  che  raffigurano  le 
mammelle  femminili  sui  botili  della  tomba  di  famuli,  presso  Macomer,  e  di  Perdu 
Cossu,  presso  Norbello  (')  e  quelle  decoranti  le  pietre  provenienti  dalle  rovine  del- 
l'atrio del  tempio  nuragico  di  S.  Anastasia  di  Sardara,  saremo  condotti  a  vedere 
anche  nei  segni  ripetuti  nell'atrio  della  tomba  di  Sos  Ozzastros  un  accenno  a  di- 
vinità di  carattere  femminile,  così  espressa  in  modo  sintetico  o  simbolico,  tutrice  vi- 


Fio.  19.  —  Segni  di  mammelle  femminili  nelle  lastre  erette  nell'atrio  della  tomba  di  So»  Oxzastros. 

gilè  del  sepolcro.  Dati  i  confronti  che  si  possono  addurre  con  altri  monumenti  se- 
polcrali e  religiosi  e  data  anche  la  difficoltà  di  lavorare  la  durissima  pietra  basal- 
tica per  ottenere  i  rilievi,  io  non  credo  che  il  semplice  scopo  decorativo  possa  for- 
nire una  sufficiente  spiegazione,  la  quale  va  cercata  invece  in  quell'ordine  di  fatti 
religiosi  e  culturali,  connessi  per  un  lato  al  tempio,  per  l'altro  alla  tomba  protosarda. 
Nell'area  racchiusa  fra  le  due  ali,  che  misurava  una  larghezza  di  7  metri,  si 
raccolsero  numerosi  frammenti  di  stoviglie,  per  lo  più  di  pentole  con  robuste  anse 
a  ponte  e  piatti  di  rozzo  impasto,  simili  a  quelli  dati  dal  nuraghe  Losa.  Altri  ele- 
menti non  ci  dette  la  tomba,  devastata  e  privata  del  suo  contenuto,  forse  ancora 
prima  delle  indagini  del  ricordato  sig.  Gouin. 

Tomba  di  giganti  di  Su  Serrau  de  S  Arriu.  —  Nel  tenimento  di   Sa  Tari- 
chitta,  attiguo  a  quello  di  Tanca  Regia,  fu  esplorata  la  tomba  di  giganti  di  Su 


(')  Pinza,  op.  cit.,  pag.   371,  figg.   139,  140;    Taramelli-Porro,  Notizie  scavi,  aprile  1915, 
pag.  117  sg. ;  Il  tempio  nuragico  di  S  Vittoria  (Uon.  dei  Lincei,  1914,  pag.  48). 


SARDINIA  259     —  ABBASANTA 

Serrau  de  s  Arriu,  «  il  chiuso  del  ruscello  ».  La  tomba,  ripetutamente  frugata, 
tra  gli  altri  anche  dal  Gouin,  ci  è  pervenuta  in  cattivo  stato,  scoperchiata  e  man- 
cante dell'atrio;  merita  tuttavia  di  essere  ricordata  per  la  grossezza  del  materiale 
impiegato  nella  sua  costruzione  e  per  la  lunghezza  della  sua  cella,  m.  11,  a  pianta 
leggermente  ovale,  a  navata,  con  le  pareti  curvilinee.  Tra  i  resti  della  suppellettile, 
si  ebbe  con  molti  resti  di  stoviglie  nuragiche,  anche  un'olletta  ovoidale,  rozzissima 
e  priva  di  ansa. 

Poco  lungi  di  lì,  a  Capitmdu,  esistono  i  resti  di  una  tomba  di  giganti,  che 
doveva  avere  materiali  imponenti  di  dimensioni,  ma  completamente  sconvolti. 

Queste  due  tombe  di  giganti  si  trovano  a  poca  distanza  dal  nuraghe  Perda 
Crappida,  a  cui  accenno  di  volo;  esso  si  conserva  per  un'altezza  di  circa  5  metri, 
ma  è  interrato  sino  al  grande  architrave  della  porta  principale  d' ingresso  ;  I  a  la 
cella  con  la  volta  crollata  e  tre  nicchie,  le  pareti  della  torre  spesse  e  composte  di 
materiale  lavico  grossolano.  Dattorno,  oltre  ai  resti  di  un  recinto,  ha  grandi  cumuli  di 
rottami  e  di  grosse  pietre,  accennanti  ad  edifici  sconvolti.  Ho  ricordato  questo  poderoso 
esempio  fra  i  molti  nuraghi  semidistrutti  della  campagna  di  Abbasanta,  sia  per  la  sua 
vicinanza  alle  due  tombe  da  ultimo  accennate,  ed  anche  per  le  notizie  di  rinvenimenti 
vari  di  oggetti  preromani  e  romani  che  continuamente  avvengono  intorno  ai  resti  di 
questo  monumento.  Anche  qui,  come  in  altre  località  dell'  agro  Abbasantese,  alla  sede 
nuragica  sarà  succeduto  un  abitato  ed  un  sepolcreto  di  età  romana,  come  per  Losa  e 
per  altri  punti  del  territorio  di  Ad  Medios;  così  si  spiegano  i  rinvenimenti  riferiti 
alle  due  epoche. 

Tomba  dei  giganti  di  Su  Cuttu  de  Sas  Molas.  —  All'estremità  opposta  della 
Tanca  Regia,  presso  il  limite  del  comune  di  Paulilatino,  è  la  tomba  di  Su  Cutsu 
de  Sas  Molas.  Essa  pure,  come  l' ultima  descritta,  è  priva  di  atrio  e  di  stele,  ma 
merita  il  cenno  ed  il  piccolo  studio  che  vi  fu  dedicato  per  le  dimensioni  gigantesche 
del  materiale  impiegato  e  per  l' insolita  larghezza  della  cella.  Anche  essa  ha  la  forma 
a  navicella  (fig.  29),  la  lunghezza  di  m.  4,50  e  la  larghezza  di  1,90.  Ai  lati  ed  al 
fondo  è  chiusa  da  lastroni  alti  e  relativamente  sottili.  Il  muro  esteriore,  invece,  che 
conteneva  la  spinta  della  terra  del  tumulo,  era  in  blocchi  più  grandi;  il  pavimento 
è  dato  dal  dorso  della  colata  lavica.  Anche  questa  tomba  nulla  diede  di  suppellet- 
tile e  con  le  altre  due  deve  aver  avuto  la  visita  del  sig.  Gouin  e  dei  suoi  collabo- 
ratori. Vuote  del  pari  e  spogliate  della  loro  suppellettile  furono  trovate  le  tombe 
ipogeiclie  o  domus  de  gianas  di  Su  Cantarti,  poste  sulle  due  sponde  del  torrentello, 
poco  lungi  dalla  via  che  conduce  a  Santu  Lussurgin.  Tanto  queste  che  la  tomba  di 
Sas  Chessas,  prossima  a  Losa,  che  dette  solo  un  pendaglio  forato  in  osso,  debbono 
riferirsi  all'età  del  bronzo  e  ciò  per  la  ragione  espressa  a  proposito  delle  domus  de 
Gianas  di  Chirichiddu,  cioè  per  la  durezza  della  roccia  in  cui  sono  scavate,  che  ri- 
chiede strumenti  metallici  (J). 

(*)  Not.  scavi,  maggio  1915. 


PAULILATINO 


—   260   — 


SARDINIA 


III.  PAULILATINO  —  Tomba  di  giganti  di  Nussiu  o  di  Fontana 
Capudanni. 

Ho  lasciato  per  ultimo  il  cenno  della  indagine  compiuta  alla  tomba  dei  giganti 
di  Fontana  Capudanni,  e  di  Nussiu,  al  contine  tra  il  territorio  di  Abbasanta  e  quello 
di  Paulilatino.  La  tomba  è  degna  di  stare  a  petto  di  quella  di  Goronna,  conosciuta 


Fio.  20.  —  Tomba  di  Nussin  (Paulilatino) 


dai  tempi  del  Lamarmora  e  pubblicata  anche  dal  Pinza.  I  lavori  di  cinta  dei  campi, 
che  danneggiarono  tutti  i  monumenti  sardi,  hanno  lasciato  di  questa  tomba  la  sola 
cella  ed  anch'essa  scoperchiata.  È  assai  regolare,  ha  la  pianta  ad  un  dipresso  ret- 
tangolare, più  stretta  nel  fondo  che  verso  la  porta,  con  le  pareti  formate  da  grandi 
lastroni  di  oltre  un  metro  di  fronte.  La  cella  è  larga  m.  1,18  e  1,45  ai  due  capi 
e  lunga  m.  4,50.  Ha  una  strozzatura  alla  porta  che  ancora  conserva  l'architrave; 
sopra  di  questo  giacciono  rovesciati  i  pezzi  della  grande  stela,  da  non  molto  tempo 
spezzata.  La  stela  ha  la  sommità  semicircolare,  tutto .  in  giro  nella  faccia  verso 
l'esterno  ha  una  larga  cornice  in  rilievo,  come  quella  di  Goronna  e  di  Borore  e  la 
fascia  orizzontale  che  la  traversa  alla  base  del  semicerchio;  evidente  è  il  piccolo 
portello,  che,  come  nelle  tombe  di  Goronna  ed  a  Vidili  Piras,  a  Paulilatino,  e  di 
Su  Pranu  di  Abbasanta,  doveva  servire  al  simbolico  passaggio  dello  spirito  del  de- 
funto ed  ai  rapporti  col  mondo  dei  viventi.  La  stela  di  Capudanni,  nel  suo  insieme, 


SARDINIA 


—  261  — 


PAULILATINO 


misurava  quasi  due  metri  di  larghezza  e  tre  di  altezza,  e  sia  per  le  dimensioni  che 
per  la  diligente  lavorazione  costituiva  un  imponente  segno  di  devozione  al  defunto 
(figg.  20,  21). 

Se  si  eccettuino  i  dati  monumentali,  la  tomba  non  offrì  altro  alla  nostra  esplo- 
razione, la  quale  se  non  fu  completamente  fruttuosa,  però  concorse  a  mostrare  che 


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Pig.  21.  —  Lastra  di  chiusura  della  tomba  di  Nustiu. 

le  zone  abitate  in  età  romana  sono  forse  quelle  che  hanno  i  loro  monumenti  più 
spogliati,  e  non  solo  le  sedi  della  vita  ma  anche  i  sepolcri,  che  furono  frugati  e  spo- 
gliati assai  spesso  dei  loro  primitivi  depositi  per  dar  luogo  alle  tombe  dell'età  ro- 
mana, in  cui  le  campagne  delle  regioni  fertili  furono  fittamente  occupate  da  abita- 
tori colonici  e  dai  loro  sepolcreti,  spesso  installati  nelle  tombe  degli  avi. 


Antonio  Taramelli. 


REGIONE   VII. 


—  208  — 


CASTELLINA   IN    CHIANTI 


Anno  1916  —   Fascicolo  8. 


Regione:  VII  (ETRURIA). 

I.  CASTELLINA  IN  CHIANTI  —  Grande  tumulo  con  ipogei  paleo- 
etruschi sul  poggio  di  Montecalvario. 

Nell'aprile  del  1902,  eseguendosi  alcuni  lavori  agricoli  sul  poggio  di  Montecal- 
vario (fig.  1),  situato  a  circa  m.  200  a  nord  del  paese  di  Castellina  in  Chianti,  nel 

Tumulo  etrusco  Castello   medioevale 


Fio.  1.  —  Il  tumulo  di  Montecalvario  (a  sin.)  e  il  paese  di  Castellina  in  Chianti. 


punto  ove  si  biforcano  le  strade  provinciali  per  Poggibonsi  e  per  Kadda.  si  scopa  un 
grande  ipogeo  di  costruzione  ciclopica.  L'aprile  del  1904  la  R.  Soprintendenza  degli 
scavi  di  Etruria,  per  iniziativa  del  compianto  prof.  Milani,  ne  fece  accuratamente 
esplorare  l' interno,  costituito  da  un  corridoio  il  quale  ai  lati,  presso  la  porta,  ha 
due  celle  rettangolari  e  nel  fondo,  per  un'altra  porta,  introduce  in  un'  ampia  stanza, 
pure  rettangolare. 

Nomi*  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  85 


CASTELLINA   IN    CHIANTI  —   264  —  REGIONE   VII. 

I  dettagli  della  costruzione  furono  illustrati  in  questo  periodico  ('),  con  l'aiuto 
di  piante  e  fotografìe,  dallo  stesso  prof.  Milani,  il  quale  diede  altresì  un  accurato 
elenco  dei  pochi  avanzi  di  suppellettile  lasciati  nella  tomba  dagli  antichi  violatori. 

In  base  all'esame  della  struttura  architettonica  e  della  suppellettile,  il  Milani 
credette  di  poter  riportare  l'età  della  tomba  verso  la  metà  del  sec.  VII  av.  C,  e 
ne  mise  in  rilievo  la  grande  importanza,  raccomandandone  vivamente  la  esplora- 
zione e  la  conservazione.  Già  egli  pensava  che  altri  avanzi  di  antiche  costruzioni,  a 
sud  e  ad  est  dello  stesso  poggio  di  Montecalvario.  potessero  spettare  a  tombe  coor- 
dinate con  quella  da  lui  presa  in  esame,  e  che  gì'  ipogei  fossero  probabilmente  quattro 
uguali,  disposti  a  crociera  sotto  il  poggio,  alla  stessa  maniera  di  quelli  della  grande 
cocnmella  di  Vulci  (Nolùie,  1.  e,  pag.  241). 

Nell'aprile  del  1905  il  sig.  A.  Soderi,  proprietario  del  terreno  sul  fianco  sudest 
del  poggio,  facendo  alcuni  saggi,  aveva  infatti  scoperto  l'interno  di  un  secondo  ipogeo 
opposto  a  quello  studiato  dal  Milani,  e  di  eguale  costruzione;  ma  tali  saggi,  non 
autorizzati  dalla  Sopriutendenza,  vennero  presto  sospesi. 

Dopo  quell'anno  diverse  circostanze  ed  altri  lavori  più  urgenti  impedirono  alla 
Soprintendenza  degli  scavi  d' Etruria  di  continuare  e  di  estendere  le  ricerche  sul 
poggio  di  Montecalvario;  e,  sebbene  nel  frattempo  l' ing.  prof.  Cesare  Spighi,  Soprin- 
tendente dei  Monumenti  per  la  provincia  di  Siena,  avesse  preparato  il  progetto 
pel  consolidamento  e  il  restauro  dei  due  ipogei,  tuttavia  fino  all'anno  scorso  non  si 
potè  metter  mano  al  lavoro. 

Nell'agosto  del  1915  la  nostra  Soprintendenza  credette  alfine  giunto  il  momento 
di  riprendere  la  esplorazione  del  grande  tumulo  sepolcrale  della  Castellina,  e  quindi, 
coadiuvata  dal  Sindaco  di  quel  Comune,  sig.  Ugo  Giuntini,  ottenne  facilmente  il 
consenso  di  libero  scavo  dai  proprietari  del  terreno,  e  cioè  dal  Comune  stesso  della 
Castellina,  dal  dott.  E.  Rosselli,  dal  sig.  A.  Soderi,  dalla  signora  Pia  Agostini  An- 
dreans  ('),  e  ai  primi  di  settembre  iniziò  colà  una  nuova  campagna  di  scavo,  la 
quale  si  protrasse  fino  al  principio  di  novembre. 

Lo  scavo,  da  me  diretto,  è  stato  assiduamente  sorvegliato  dal  custode  del  Museo 
archeologico  di  Firenze,  sig.  Autonio  Crocetta  il  quale  ha  dimostrato  speciale  perizia 
nel  curare  la  sistemazione  dei  monumenti  scoperti,  ed  io  stesso  mi  sono  trattenuto 
a  più  riprese  sullo  scavo  per  regolarne  1  andamento  e  raccoglierne  tutti  i  possibili 
dati  scientifici. 

Mentre  procedeva  l'esplorazione  del  tumulo,  il  Soprintendente  dei  Monumenti 
di  Siena  ha  fatto  eseguire  il  progettato  restauro  dei  due  ipogei  anteriormente  sco- 
perti, secondnndo  così  la  nostra  impresa  in  modo  da  contribuire  efficacemente  alla 
buona  riuscita  della  medesima. 

(')  Notizie  defili  scavi,  1905,  pp.  225  e  segg.,  con  41  figure. 

(*)  Al  Comune  della  Castellina  e  agli  altri  proprietari  dei  terreni  di  Montecalvario  rendo 
grazie  per  aver  facilitato  l'opera  nostra  col  loro  liberale  consenso  di  scavo.  Siamo  poi  in  special 
modo  grati  al  dott.  E.  Rosselli  che  ha  rinunciato  in  favore  del  R.  Museo  archeologico  di  Firenze 
ai  suoi  diritti  sui  frammenti  della  suppellettile  della  tomba  settentrionale,  scoperta  nel  terreno  di 
sua  proprietà. 


REGIONE    VII. 


—   265 


CASTELLINA    IN    CHIANTI 


Dirò  subito  che  il  risultato  delle  nostre  ricerche  ha  corrisposto  del  tutto  alla 
aspettativa,  in  quanto  si  sono  scoperti  appunto  quattro  grandi  ipogei  monumentali, 
disposti  a  crociera,  sui  fianchi  del  poggio  di  Montecalvario  e  quasi  perfettamente 
orientati  secondo  i  punti  cardinali,  con  ingresso  ad  ovest,  in  proprietà  Agostini,  il 
primo  scoperto;  ad  est,  in  proprietà  Soderi,  il  secondo;  a  sud,  nella  proprietà  me- 
desima, il  terzo;  e  a  nord  il  quarto,  nel  terreno  del  dott.  Rosselli  (fig.  2). 


Fio.  2.  —  Schizzo  dimostrativo  della  disposizione  degli  ipogei  di  Moutecalvario. 

I  lavori  della  Soprintendenza  di  Siena  s'iniziarono  collo  sgomberare  dalle  ma- 
cerie gli  ipogei  ovest  ed  est,  e  coll'aprire  innanzi  ad  essi  trincee  per  facilitarne 
l'accesso  e  liberarli  dalle  acque  piovane.  Quindi  fu  ricostruita  la  volta  della  cella 
meridionale  dell'  ipogeo  ovest,  volta  che  era  completamente  franata,  seppellendo  quegli 
avanzi  di  antiche  suppellettili,  lasciativi  dagli  antichi  violatori,  delle  quali  il  pro- 
fessor Milani  mise  in  rilievo  tutta  l'importanza  per  la  cronologia  del  tumulo  e  per 
la  storia  dell'arte  etnisca.  Inoltre,  rafforzati  i  fianchi  della  porta,  sostenenti  l'archi- 
trave fatto  con  tre  enormi  lastroni  sovrapposti,  furono  rialzati  i  muri  che  fiancheg- 
giano il  corridoio  d'accesso  alla  tomba  (fig.  3)  (')  e  assodati  con  lastre  di  pietra  i 
pavimenti  di  tutti  i  vani  della  medesima. 


(*)  Vedi  in  confronto  la  fig.  3  del  citato  rapporto  del  prof.  Milani  in  Notizie  degli  scav  i,  1905, 


CASTELLINA    IN    CHIANTI 


—    206    — 


REGIONE    VII. 


L' ipogeo  orientale  (in  proprietà  Soderi)  era  stato  malamente  scavato,  sicché  si  pe- 
netrava in  esso  soltanto  da  un  pozzo  verticale,  aperto  dinanzi  alla  porta.  Si  cominciò 
quindi  col  tagliare  innanzi  a  questa,  verso  est,  un'ampia  trincea  la  quale  mise  subito 
in  luce  un  particolare  assai  interessante  della  costruzione,   cioè  la  disposizione  del- 


Pig.*3.~ — ^Ingresso  all'  ipogeo  occidentale. 


l'antico  corridoio  di  accesso  o  dromos  (fig.  4),  di  cui  prima  s'ignorava  l'esistenza. 
I  muri  di  questo,  costruiti  a  blocchi  di  calcare'alberese  col  sistema  misto  pelasgico 
e  pseudoisodomo,  proprio  di  tutti  e  quattro  gì'  ipogei  di  Montecal vario,  non  soltanto 
sono  fortemente  divergenti  verso  l'esterno  (largh.  da  m.  1,30  a  m.  1,85),  ma  all'  imboc- 
catura girano  ad  arco,  in  modo  che  le  loro  estremità  vengono  a  distare  l'ima  dall'altra 
m.  3,50.  La  lunghezza  del  dromos  o  corsia  è  di  m.  4,80. 


REGIONE    VII. 


267    — 


CASTELLINA    IN    CHIANTI 


In  pianta  l'ipogeo  orientale  (fig.  5)  differisce  molto  da  quello  occidentale  ;  esso 
infatti  si  compone  di  un  lungo  corridoio  rettangolare  (m.  5,85  X  1,10)  il  quale,  non 
presso  la  porta,  ma  presso  il  fondo  immette  in  due  celle  laterali  pure  rettangolari 
(m.  2,80  X  2,10;  2,85  X  2,20),  e  in  fondo  è  sbarrato  da  un  muro,  le  cui  pietre  ango- 


/ 


Fio.  4.  —  Ingresso  all'  ipogeo  orientale. 


lari  s'incastrano  nei  muri  del  corridoio  in  maniera  da  far  credere  che  tale  sbarra- 
mento esistesse  già  nella  costruzione  originaria  e  non  rappresenti  una  modificazione 
posteriore  (').  Il  muro  tra  il  corridoio  e  le  celle  ha  uno  spessore  di  m.  1,10. 

(')  Tale  pianta  ricorda  quella  della  tomba  Rcgulini-Galassi  di  Cere.  Vedi  Montelins,  La  civi- 
lisation  primitivi  en  Italie,  II,  tav.  33",  1  a-r.\  a  Pinza,  Materiali  per  la  etnologia  antica-loacano- 
laziale,  I,  fig.  62,  tavv.  XI-XII. 


CASTELLINA    IN    CHIANTI 


—  268  — 


REGIONE    VII. 


Tuttavia,  sembrandoci  strana  la  disposizione  di  questa  tomba  e  desiderando  inda- 
gare se  mai  vi  fosse  stata  una  stanza  in  fondo,  o  per  quale  ragione  non  l'avessero 
costrutta,  riaprimmo  un  varco,   che  già   esisteva,  nel  muro  di  fondo  del  corridoio  e 


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Pian     \ 
Fio.  5.  —  l'imita  e  sezione  dell'  ipogeo  orientale. 


protraemmo  l'esplorazione  ancor  più  nell'interno.  Alla  distanza  di  circa  m.  1,20 
incontrammo  una  parete  di  roccia  (galestro),  e  allora  allargammo  lo  scavo  dalle  due 
parti,  fra  la  roccia  e  il  muro  di  fondo  della  tomba,  per  un  tratto  di  circa  m.  5,  allo 
scopo  di  rintracciare  qualche  frammento  di  vaso  od  altro  avanzo  di  suppellettile  che 
potesse  servirci  come  dato  cronologico  per  la  costruzione  di  questa  tomba.  Ma  nulla 


REGIONE    VII. 


—  269 


CASTELLINA    IN    CHIANTI 


si  trovò.  Il  corridoio  quindi  è  stato  richiuso  in  fondo  e  il  suo  pavimento,  come  quello 
delle  celle,  è  stato  assodato  con  lastre  di  pietra. 

La  porta  d'ingresso  al  corridoio  non  ha  soglia;  gli  stipiti,  costituiti  da  due  grandi 
lastre  di  pietra,  spesse  m.  0,25  l'una  (a  d.),  m.  0,15  l'altra,  sostengono  una  lastra 


Fio.  6.  —  Corridoio  interno  dell'ipogeo  orientale. 


anche  più  grande,  dello  stesso  materiale,  e  su  di  essa  stanno  altri   blocchi  minori. 
La  porta,  leggermente  rastremata  in  alto,  misura  m.  1,90X0,80. 

La  fìg.  6  dà  un'  idea  della  volta  del  corridoio,  costituita  di  due  strati  di  pietre 
gradatamente  sporgenti  dalle  pareti  col  sistema  ad  accollo.  Superiormente  la  volta 
è  coperta  da  una  serie  di  lastroni,  simili  a  quelli  dell'architrave.  Invece  nella  coper- 


CASTELLINA    IN    CHIANTI 


—    270    — 


REGIONE    VII. 


tura  della  cella  a  sin.  si  osservano  quattro  strati  di  pietre  aggettanti,  oltre  i  blocchi 
di  copertura,  siccome  vedesi  nella  sezione  (fig.  5). 

I  nuovi  scavi,  praticati  sul  Manco  meridionale  di  Montecal vario,  hanno  accertato 
che  i  pochi  blocchi  di  calcare  alberese  ivi  affioranti,  appartenevano  realmente  ad  un 
altro  ipogeo  che,  pel  tipo  di  costruzione,  è  simile  agli  altri  due  sopradescritti  e  ad 


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PIANTA 
Fig.  7.    —  Pianta  e  sezione  dell'ipogeo  meridionale. 

essi  contemporaneo.  Purtroppo  quest'altro  ipogeo,  non  solo  già  ab  antico  fu  spogliato 
delle  sue  suppellettili,  che  dovevano  essere  ricchissime,  ma,  rimasto  forse  a  lungo 
scoperto,  venne  completamente  scoperchiato  dalla  gente  del  luogo,  la  quale  ne  asportò 
tutti  i  blocchi  costituenti  le  volte  per  servirsene  nelle  moderne  costruzioni  e  nei  muri 
di  sostegno  de'  campi,  siccome  può  vedersi  in  quello  che  fiancheggia  la  strada  pro- 
vinciale da  liadda  per  Castellina,  un  poco  a  sud  della  casa  colonica  detta  il  Colom- 
baio, all'  intima  pendice  orientale  dello  stesso  poggio  di  Montecalvario.  Anche  il  muro 
orientale  del  corridoio  e  quelli  della  cella  a  d.  (meno  la  parete  orientale  e  lo  stipite 
destro  della  porta  di  accesso)  erano  stati  distrutti;  ma  noi  li  abbiamo  rifatti  sino 
all'altezza  di  circa  due  metri  (fig.  7;  il  reticolato  indica  la  parte  ricostruita). 


REGIONE   VII. 


271  — 


CASTELLINA    IN    CHIANTI 


La  Soprintendenza  dei  monumenti  di  Siena,  d'accordo  con  la  nostra,  ha  creduto 
opportuno  di  non  ricostruire  le  volte  del  nuovo  ipogeo  da  noi  scoperto  ;  e  ciò  perchè 
l' interesse  delle  costruzioni  sepolcrali  del  grandioso  tumulo  della  Castellina  è  accre- 
sciuto così  dalla  possibilità  di  vedere  a  colpo  d'occhio,  dall'alto,  la  pianta  e  la 
disposizione  interna  d'uno  di  simili  ipogei,  mentre  la  varietà  della  rovina  giova  pure 
all'effetto  pittorico  dell'insieme. 


Fio.  8.  —  Vano  di  fondo  dell'  ipogeo  meridionale  (Il  blocco  scolpito  non  è  in  $itu). 


In  pianta  V  ipogeo  meridionale  (proprietà  Soderi-Agostini)  somiglia  a  quello  occi- 
dentale. Dal  dromos,  ora  scomparso,  si  giungeva  alla  porta  d'ingresso  di  cui  resta 
la  soglia,  e  per  questa  si  entrava  in  un  corridoio  di  m.  6,25  X  1,55.  Due  opposte 
porte  ai  lati  del  corridoio,  presso  l'entrata,  introducono  in  due  celle  gemelle  (m.  2,65  X  2 
a  d.  ;  2,40  X  2,05  a  sin.)  e  una  terza  porta  in  fondo  dà  accesso  alla  stanza  sepolcrale, 
lunga  m.  3,90,  larga  2,90  (fìg.  8).  Due  aperture  praticate  nella  parete  di  fondo  della 
stanza  non  datano  dalla  costruzione  originaria,  ma  attestano  l'opera  degli  antichi 
violatori,  i  quali  cercavano  forse  altre  tombe  al  di  là  di  quella  parete,  nell'  interno 
del  poggio.  Ma,  traforato  il  muro,  essi  incontrarono  la  roccia  a  una  distanza  di  meno 
d'un  metro. 

Neil'  interno  del  vano  principale,  sopra  una  pietra,  trovammo  un  piccolo  mucchio 
di  ossa  umane,  unico  avanzo  delle  antiche  deposizioni;  ma  una  scoperta  notevole  si 
fece  nella  cella  a  destra  dell'ingresso.  Ivi,  all'angolo  sud-est,  giaceva  al  suolo  un 
blocco  di  pietra  serena  (m.  0.40  X  0,37),  spesso  m.  0,26,  intagliato  in  modo  da  rap- 

Kotizik  Scavi  1916    -  Voi.  X11I  30 


CASTELLINA    IN    CHIANTI 


-  272 


REGIONE    VII. 


presentare  una  testa  di  leone  con  la  bocca  spalancata  e  la  lingua  penzoloni.  Poggiava 
a  terra  di  lato,  con  la  faccia  scolpita  quasi  aderente  al  muro  meridionale  della  cella, 
siccome  vedesi  nella  fig.  7. 


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Fig.  9.  —  Ingresso  all'ipogeo  settentrionale. 


Evidentemente  né  era  in  silu,  né  ivi  caduto  per  la  rovina  della  costruzione, 
poiché  (secondo  quanto  cercherò  di  dimostrare),  una  simile  scultura  architettonica 
non  poteva  in  origine  esser  collocata  in  quella  cella,  bensì  all'  ingresso  dell'  ipogeo. 

Alquanto  laboriosa  fu  la  ricerca  e  la  scoperta  dell'ipogeo  settentrionale  di  cui 
non  esisteva  alcuna  traccia  in  superficie  ;  dopo  parecchi  saggi  se  ne  incontrò  il  dromo» 
alla  profondità  di  m.  3  dal  piano  di  campagna  (fig.  9).  In  fondo  al  dromos  la  porta 


REGIONE    VII. 


—  273  — 


CASTELLINA    IN    CHIANTI 


dell'  ipogeo  si  presentava  ancora  chiusa  da  lastre  di  calcare,  spesse  circa  cm.  10,  ma 
una  di  queste,  rotta  e  forata  in  alto,  sembrava  indicare  il  passaggio  pel  quale  si 
erano  introdotti  in  essa  gli  antichi  violatori.  Infatti  anche  quest'  ipogeo  si  trovò  spo- 
gliato della  sua  suppellettile;  fra  la  creta  depuiatissima  che,  penetrata  con  l'acqua  pio- 
vana attraverso  le  commessure  dei  blocchi  della  volta,  formava  sui  pavimenti  uno  strato 
alto  circa  50  cm.,  si  ricuperarono  soltanto  pochi  frammenti  di  oggetti  in  metallo. 


Sezione  "A  B 


Fig.  10.  —  Pianta  e  sezione  dell'ipogeo  settentrionale. 

Il  fatto  che  in  tutta  la  vasta  area  da  noi  esplorata  sul  tumulo  di  Montecal- 
vario(')  non  si  è  rinvenuto  neppure  un  frammento  di  vaso  fittile  riferibile  all'epoca  delle 
tombe,  ci  assicura  che  la  completa  assenza  di  ceramiche,  negli  ipogei  di  cui  ci  occu- 
piamo, non  è  dovuta  alle  antiche  depredazioni  (in  seguito  alle  quali  qualche  frammento 
sarebbe  pur  rimasto  sul  luogo),  ma  ad  un  antico  uso  che  si  riscontra  pure  negli  altri 
ipogei  monumentali  coevi  di  Preneste,  di  Cere,  di  Vulci,  Vetulonia  e  Populonia  (2). 

L'ipogeo  settentrionale  differisce  in  pianta  da  tutti  gli  altri  (fig.  10).  È  prece- 
duto da  un  dromos,  lungo  più  di  m.  7  a  pareti  rivestite  di  rozza  muratura  (3), 
largo  m.  1,70  all'imboccatura,  m.  1,40  presso  la  porta. 


(V  II  Milani,  loc.  cit.,  pag.  231,  ricorda  solo  pochi  frammenti  di  un  grosso  ziro  di  rozzo  im- 
pasto trovati  nell'ingresso  alla  tomba  occidentale.  Cfr.  ivi,  pag.  239. 

(')  Cfr.  Minto  in  Notizia  degli  scavi,  1914,  pp.  449,  461,  463. 

(3)  La  convessità  in  senso  verticale  che  presentano  i  muri  del  dromos  non  è  che  una  defor- 
mazione dovuta  alla  spinta  del  sovrastante  terreno. 


CASTELLINA    IN    CHIANTI  —   274   —  REGIONR   VII. 

Questa  costituita  da  stipiti  ed  architrave  monolitici,  con  soglia  in  pietra  formante 
scalino,  alto  cm.  12,  misura  m.  1,75  in  altezza  e  da  m.  0,75  a  m.  0,92  in  larghezza; 
essa  introduce  in  un  vestibolo  (m.  1,85  X  1,55),  dal  quale,  per  un  passaggio  largo 
m.  1,00  e  lungo  1.20,  si  penetra  nella  stanza  sepolcrale  (m.  3,75X3,10). 

Le  volte  del  vestibolo  e  della  camera  sono  costruite  col  sistema  ad  accollo  già 
riscontrato  negli  ipogei  est  ed  ovest;  quella  del  vestibolo  consta  di  tre  ordini  di  pietre 
sporgenti  in  senso  longitudinale  ed  ha  un'altezza  massima  di  m.  1,95;  quella  della 
stanza  s'imposta  pure  sulle  pareti  lunghe,  all'altezza  di  m.  1,20,  e  risulta  dalla 
graduale  sporgenza  di  sei  file  di  blocchi  da  ciascuna  parte,  alte  complessivamente 
m.  1,60,  cosicché  le  lastre  che  coprono  il  sommo  della  volta  distano  dal  pavimento 
m.  2,80. 

Trovamenti.  —  In  una  trincea  presso  il  dromos,  a  m.  1,70  di  profondità, 
si  raccolse  un  mucchio  di  lamine  frammentarie  di  bronzo  ;  tutti  gli  altri  frammenti 
si  ricuperarono  invece  vagliando  la  creta  che  copriva  il  pavimento  della  stanza. 

Bromo.  1.  Tubetto  cilindrico  in  lamina  ribadita  e  inchiodata  longitudinalmente, 
e  ripiegata  in  modo  da  chiuderlo  all'estremità.  Aveva  nell'interno  un'asticella  di 


Fi».  11.  —  Asticella  lignea  rivestita  di  bronzo  (lnngh.  mi.  127). 

legno  di  cui  si  conservano  tracce  (')•  Ad  un'estremità  resta  infilato  un  chiodo  a  ca- 
pocchia conica,  lungo  mm.  35.  Un  foro  per  chiodo  simile  trovasi  all'estremità  opposta, 
e  un  altro  nel  mezzo.  Lunghi  mm.  127;  diam.  mm.  14-17  (fig.  11). 

2.  Altro  simile,  senza  i  chiodi  e  rotto  in  basso;  lungh.  mass.  cm.  11. 

3.  Frammenti  di  piccolo  vaso,  o  tazza  in  lamina  sbalzata  con  parte  dell'orlo 
leggermente  inclinato  verso  l'esterno,  alto  cm.  3.  Il  frammento  maggiore  è  lungo 
cm.  13,  un  altro  cm.  8.  L'orlo  esternamente  è  anche  decorato  al  bulino  con  semi- 
cerchi terminati  da  volute,  fra  loro  incrociati  e  combinati  con  palmette  (fig.  12).  Questo 
motivo  che  si  ritrova  spessissimo  nella  decorazione  di  lamine  metalliche  sbalzate 
d'epoca  etrusca  arcaica  (*),  è  di  gusto  e  di  provenienza  indubbiamente  ionico  orien- 
tale e  di  là  si  diffuse  nei   paesi  occidentali.   Un  cospicuo  esempio  di  esso  si  trova 

(*)  Per  altro  simile,  trovato  nell'ipogeo  ovest,  cfr.  Milani,  loc.  cit.,  fig.  21,  pag.  233,  f. 

(*)  Cfr.,  per  es.,  il  rivestimento  in  lamina  d'argento  dell'arca  del  Duce  di  Vetalonia  in  Falchi, 
Vetulonia,  tav.  XII,  1;  il  seggio  in  bronzo  di  Chiusi  in  Milani,  Museo  ital.,  I,  tav.  IX,  9;  le  la- 
mine in  bronzo  della  tomba  Regnlini-Qalassi  di  Cervetri,  in  Mus.  Oreg.,  I,  tav.  XVII  ;  e  Pinza, 
op.  cit.  (bromi  e  ori  della  stessa  tomba),  taw.  di  frontespizio  e  XX-XX1. 


REGIONE   VII. 


—  275 


CASTELLINA    IN    CHIANTI 


nell'arte  protogreca  di  Creta  (').  In  Etrnria  potè  penetrare  o  con  lamine  già  sbal- 
zate, o  con  altri  piccoli  oggetti  di  tacile  importazione,  quali  le  uova  di  struzzo  tro- 
vate a  Vulci  che  recano  in  rilievo  il  motivo  stesso  (*). 

4.  Altro  frammento  con  bolloncini  sbalzati  e  decorazione  al  bulino  simile  alla 
precedente. 

5.  Frammenti  di  lamina  (cm.  14  X  12)  sbalzata  con  cerchio  e  bolloncini. 

6.  Altri  cinque  frammenti  simili. 

7.  Frammento  di  lamina  quadrangolare,  i  cui  orli  sono  rinforzati  da  verghetta 
inchiodata. 


Fio.  12.  —  Frammento  di  tazza  in  lamina  di  bronzo  (lungh.  cm.  13). 

« 

8.  Tre  frammenti  dell'orlo  di  una  patera  a  lamina  raddoppiata.  L'orlo  diritto, 
alto  cm.  2,  termina  superiormente,  all'esterno,  con  un  listello  rilevato,  alto  mm.  4. 

9.  Altri  frammenti  con  palmette,  volute  o  striature  sbalzate. 
10.  Oltre  quattrocento  piccoli  frammenti  di  lamina  liscia. 

Ferro.     1.  Otto  frammenti  di  spesse  lamine  con  trafori  a  giorno. 

2.  Tre  frammenti  con  margine  ripiegato,  uno  dei  quali  conserva  tracce  di  lamina 
di  bronzo  sovra  applicata. 

3.  Sei  pezzi  di  aste  quadrangolari,  con  tracce  di  bronzo  aderenti  ad  una  faccia. 
Forse  appartengono  a  piedi  di  tripode  in  ferro  che  sosteneva  un  lebete  di  bronzo. 

4.  Cannula  di  ferro,  vuota,  lunga  cm.  11;  diam.  interno  mm.  13. 

5.  Altra  lunga  cm.  10;  diam.  interno  mm.  18,  forse  codolo  di  lancia. 

6.  Altro  pezzo  simile,  lungo  cm.  14,  rigonfio  da  una  parte  a  guisa  di  manubrio. 

Ferro  argentato.  Asticella  in  forma  di  ~  schiacciata  e  forata  ad  un'estremità 
e  dall'altra  terminante  a  testa  di  ocherella.  Lungh.  m.  0,148. 

Di  tutti  i  trovamenti  mobili  fatti  negli  ipogei  di  Montecal vario  sia  nel  1904, 
sia  l'anno  scorso,  il  più  importante  è  quello  di  alcune  lamine  in  bronzo  sbalzate  e 
del  blocco  di  pietra  serena  scolpito  con  testa  di  leone  (tìg.  13). 


(')  Pernier  in  Annuario  della  R.  Scuola  arch.  di  Atene,  I,  1914,  pag.  48,  flg.  18. 
(*)  Savignoni   in  R5m,  Mittheilungen,  XXI,  1906,  pp.  60  e  seg.;  e  Perrot-Chipiez,    Flist.  de 
l'art,  III,  flgg.  624-627. 


CASTELLINA    IN    CHIANTI  —    276    —  REGIONE    VII. 

Il  blocco  misura  m  0,40X0.37  e  m.  0,26  di  spessore:  la  testa  di  leone,  fra 
le  estremità  delle  orecchie,  m.  0.33   e  dal  sommo  della  fronte  alle  narici  m.  0,16. 

La  parte  anteriore  del  muso  è  ritratta  a  bassorilievo;  invece  la  bocca  spalan- 
cata, che  mostra  i  denti  e  la  lingua  penzoloni,  quasi  a  tutto  tondo.  Le  parti  non 
figurate  del  blocco  indicano  chiaramente  che  questa  scultura  non  poteva  stare  isolata, 
sovra  un  sostegno,  dentro  o  fuori  d'  una  tomba,  ma  bensì  era  collegata  alla  struttura 
d' una  di  esse  con  funzione  architettonica  non  meno  che  decorativa  e  simbolica. 

Siccome  più  chiaramente  apparisce  nella  veduta  della  fig.  8,  al  di  sopra  della 
testa  leonina  il  blocco  è  tagliato  più  profondamente,  formando  una  superficie  liscia 


Fio.  13.  —  Blocco  scolpito  in  pietra  serena. 

più  bassa  di  cm.  2  rispetto  a  quella  del  rilievo  ed  in  essa,  proprio  al  sommo  della 
fronte  del  leone,  è  una  cavità  quasi  circolare,  profonda  cm.  3,  nella  quale  sono  pra- 
ticati due  fori  riuscenti  obliquamente  quasi  a  mezzo  del  lato  del  blocco  opposto 
alla  bocca  leonina.  Cosi  questo  lato,  come  la  parte  spianata  di  quello  superiore  e 
l'opposto  lato  inferiore  mostrano  una  superficie  di  commessura.  Pare  che  il  lato  si- 
nistro della  testa  dovesse  rimanere  allo  scoperto  perchè  è  ben  lisciato  ed  anche 
l'angolo  della  bocca  scolpito  con  cura;  invece  il  rilievo  resta  incompiuto  all'angolo 
destro  della  bocca  e  tale  particolare  fa  credere  che  quel  lato  del  blocco  aderisse  a 
un'altra  parete  della  costruzione.  Tutte  le  suddette  particolarità  del  trattamento  delle 
facce  ci  assicurano  che  soltanto  la  parte  scolpita  a  testa  di  leone  e  il  lato  sinistro 
di  questa,  allorché  era  al  suo  posto,  rimanevano  visibili.  Come  dunque  e  dove  poteva 
esser  collocato  il  blocco?  E  a  che  cosa  servivano  i  fori  trasversali? 

Il  blocco  non  poteva  stare  verticale  sia  per  ragioni  statiche,  sia  perchè  della 
testa,  se  posta  proprio  di  faccia,  mal  si  sarebbe  veduta  la  bocca,  lavorata  invece  con 
cura  speciale.  Stando  orizzontale,  doveva  trovarsi  ad  un'altezza  tale  che  tutto  il  muso 
leonino  si  potesse  scorgere  a  colpo  d'occhio  e  quindi  all'altezza  di  un  metro  appena 


REGIONK    VII. 


-    277 


CASTELLINA    IN    CHIANTI 


dal  suolo.  Se  poi  consideriamo  il  punto  di  vista  pel  quale  la  figura  fu  scolpita, 
dobbiamo  persuaderci  che  essa  era  destinata  a  esser  veduta  dall'altezza  di  un  uomo 
e  piuttosto  di  tre  quarti  che  di  faccia.  Così  possono  spiegarsi  due  altre  particolarità 
di  esecuzione,  e  cioè  l'eccessiva  larghezza  del  muso  rispetto  all'altezza  e  il  fatto  che 
la  parte  più  interna  della  bocca  non  è  lavorata.  Quella  sproporzione  può  spiegarsi 
quasi  come  un  ingenuo  tentativo  di  scorcio  richiesto  dalla  visuale  di  fianco  e  dall'alto, 


Fio.   14.  —  Schizzo  dimostrativo  della  probabile  collocazione  originaria 
del  blocco  scolpito. 


anziché  di  faccia  ;  l' interno  della  bocca  non  era  lavorato,  perchè  non  si  scorgeva  da 
quel  punto  di  vista. 

Io  dunque  penserei  che  il  blocco  potesse  stare  sopra  un  sostegno  quadrangolare, 
alto  circa  75  cm.,  addossato  allo  stipite  sinistro  della  porta  di  una  tomba  (dico  si- 
nistro perchè  appunto  il  lato  sinistro  della  testa  si  doveva  vedere),  all'angolo  esterno 
fra  la  porta  stessa  e  la  parete  del  dromos.  Sulla  parte  spianata  e  più  bassa  del  piano 
superiore  il  blocco  poteva  sostenere  una  specie  di  pilastrino,  assicurato  per  mezzo  di 
una  sporgenza  inferiore  nella  cavità  tondeggiante  (tìg.  14). 

Nei  fori  che  si  dipartono  obliquamente  da  questa  potevano  passare  due  lega- 
menti metallici,  per  assicurare  il  blocco  scolpito  a  quello  retrostante.   Tale  colloca- 


CASTELLINA    IN    CHIANTI  —    278    —  REGIONE   VII. 

/ione  ÌDduce  ad  ammettere  l'originaria  esistenza  di  un  blocco  simile  scolpito,  in  perfetta 
rispondenza,  all'opposto  angolo  esterno  fra  lo  stipite  destro  e  la  corsia  di  accesso. 

Così  le  teste  leonine,  dalle  fauci  spalancate  e  la  lingua  penzoloni,  sarebbero  ap- 
parse ai  lati  della  porta  del  sepolcro,  quali  immagini  apotropaiche,  custodienti  l'ac- 
cesso dell'  inviolabile  recinto. 

In  simile  disposizione  e  con  egual  significato  troviamo  due  leoni  accosciati  ai 
lati  della  porta  d' ingresso  alla  Grotta  Campana  di  Veio  (')  ed  altri  ancora,  o  scol- 
piti a  tutto  tondo  e  posti  in  cima  a  monumenti  sepolcrali,  come  il  leone  in  nenfro 
di  Valle  Vidone  (2)  (agro  di  Toscanella),  che  tiene  una  zampa  sul  capo  atterrato  di 
un  ariete,  oppure  eseguiti  a  rilievo  su  cippi  (per  es.  su  quello  di  Settimello)  (3)  e 
su  porte  di  tombe  in  nenfro  caratteristiche  della  necropoli  tarquiniese  (4). 

L'  usanza  orientale  ed  etnisca  dei  leoni  posti  a  guardia  delle  tombe,  ai  lati  del- 
l' ingresso,  non  a  torto  può  ritenersi  ispiratrice  del  motivo  prediletto  dall'arte  roma- 
nica nell'ornamento  dei  portali  (5),  nei  quali  spesso  due  leoni  affrontati  sostengono  sul 
dorso  le  colonne  su  cui  s'imposta  l'ogiva.  Se  la  ricostruzione  suggeritaci  dal  blocco 
con  testa  leonina  di  Montecalvario  è  esatta,  il  riscontro  fra  il  motivo  architettonico- 
decorativo  etrusco  e  quello  romanico  diventa  più  stretto  per  l'adattamento  del  pila- 
strino sulla  testa  leonina  di  cui  parliamo. 

Questa  singolare  scultura,  avente  un  carattere  essenzialmente  architettonico,  è 
adattata  sopra  due  piani  del  blocco  quasi  normali  fra  loro,  e  partecipa  a  un  tempo 
della  natura  del  bassorilievo  e  di  quella  del  tutto  tondo.  La  parte  anteriore  della 
testa,  piuttosto  di  pantera  che  di  leone,  destinata  a  vedersi  di  scorcio  dall'alto,  è 
eseguita  a  solchi  così  poco  profondi  da  dare  l' impressione  del  disegno  meglio  che 
del  rilievo.  Lo  stile,  quanto  mai  primitivo,  si  ritrova  quasi  identico  nelle  teste  fe- 
line che  di  frequente  si  vedono  incise  sulle  lastre  di  nenfro  usate  come  porte  di 
tombe  nelle  necropoli  tarquiniesi  (6),  e  ad  un  tempo  è  il  medesimo  di  quello  con 
cui  è  trattato  il  muso  di  pantera  dipinta  sopra  una  parete  della  Grotta  Campana 
di  Veio  (7).  Questi  monumenti,  che  appartengono  al  VII- VI  secolo  av.  Or.  risalgono 
tutti  a  un  tipo  ben  noto  dell'arte  protogreca  nei  paesi  del  Mediterraneo  orientale  e 
specialmente  dell'arte  di  Creta  che  possiamo  chiamare  dedalica.  Uno  dei  più  note- 
voli riscontri  al  tipo  etrusco  antichissimo  ci  è  offerto  appunto  dalle  teste  dei  felini 
che  ornano  i  rilievi  architettonici  del  tempio  di  Priniàs,  in  Creta  (sec.  VII  av.  Cr.)  (8). 


(')  Cfr.  Dennis,  The  Gities  and  Cemeteriet  of  Etruria,  I,  pag.  33  ;  Montelius,  La  civilualion 
primitive  en  Italie,  II,  tav.  353,  1.  2. 

(*)  Milani,  Il  R.  Museo  archeologico  di  Fireme,  Guida,  I,  pag.  290;  II,  tav.  CXXV. 

(3)  Milani,  Notizie  degli  scavi,  1903,  pag.  352  e  segg.,  fig.  1. 

(*)  Milani,  Museo  topografico  deW Etruria,  pag.  104  e  segg..  e  Guida,  I,  pag.  245. 

(')  Cfr.  il  portale  della  cattedrale  di  Sovana  in  Nicolosi,  La  montagna  maremmana,  n.°  60 
della  serie  Italia  artistica,  pp.  160  e  163.  Sugli  animali  custodi  delle  porte  e  stilofori,  cfr.  Rivoira, 
Le  origini  dell'architettura  lombarda,  p.  266  e  segg. 

(6)  Milani,  Museo  topografico  dell'  Etruria,  pag.  104  e  segg.  ;  Guida,  I,  pag.  244  e  segg. 

(')  Dennis,  op.  cit.,  I,  pag.  35,  fig.  ;  Montelius,  op.  cit.,  II,  tav.  354-355. 

(8)  Pernier,  in  Annuario  della  Scuola  di  Atene,  I,  1914,  pag.  99,  fig.  21. 


RB810NK  VII.  —   279   —  CASTELLINA   IN   CHIANTI 

Tali  felini  poi  si  ripetono  a  lungo  quasi  identici  sui  vasi  di  stile  ionico,  proto-corinzio 
e  corinzio. 

Per  la  fattura  della  bocca  semiaperta,  coi  denti  indicati  in  maniera  convenzio- 
nale e  la  lingua  penzoloni,  la  testa  di  Montecalvario  ricorda  invece  il  tipo  più  ar- 
caico della  Medusa  e  in  complesso,  per  la  sua  maniera  artistica,  si  riconnette  con 
le  sculture  in  pietra  del  frontone  antichissimo  scoperto  nel  1910  a  Paleopoli  di 
Corfù  (*),  sculture  in  mezzo  alle  quali  domina  una  Gorgone  con  pantere  ai  lati,  e 
il  cui  stile  già  avemmo  occasione  di  avvicinare  a  quello  delle  sculture  cretesi  di 
Priniàs. 

Ma  un  altro  monumento  ci  prova  con  evidenza  anche  maggiore  che  la  scultura 
etnisca  ebbe  in  comune  coli'  arte  protogreca  il  motivo  della  testa  leonina  di  cui  ci 
occupiamo. 

Intendo  parlare  del  basamento  di  una  statua  di  Apollo  che  un  tal  FnpixaQxlSr^ 
o  Eii>vxaQ%tdrjs  di  Nasso  fece  e  dedicò  nel  santuario  di  quella  divinità  a  Delos  ('). 

La  base  (che  sola  si  conserva,  oggi  nel  museo  di  Delos)  è  in  marmo  delle  isole, 
alta  m.  0,58,  e  presenta  tre  facce  con  un  rilievo  a  ciascuno  degli  angoli  superiori: 
una  testa  di  ariete  e  due  teste  di  Gorgone.  I  Gorgoneia,  dall'aspetto  più  leonino 
che  umano  ('),  con  la  lingua  penzolante  dalla  bocca  semiaperta,  stando  quasi  alla 
stessa  altezza  alla  quale  crediamo  fosse  posta  la  testa  di  Montecalvario,  confrontata 
con  questa,  presenta  nell'insieme  un  aspetto  quasi  identico. 

Lo  stile  è  pure  arcaicissimo  e  dall'  iscrizione  si  desume  che  il  monumento  deve 
risalire  al  sec.  VII  av.  Cr. 

A  questa  epoca  ci  riporta  invero  la  testa  di  Montecalvario  e  con  tale  cronologia 
s'accordano  la  struttura  dei  quattro  ipogei  e  le  decorazioni  delle  lamine  in  bronzo 
sbalzate  e  in  ferro  traforate,  provenienti  dalle  tombe  ovest  e  nord  e  formanti  un 
complesso  omogeneo  che,  d'accordo  col  Milani,  ben  può  riferirsi  alla  metà  del 
sec.  VII  av.  Gr. 

Se  si  può  giudicare  dalla  scarsa  suppellettile  ricuperata,  dobbiamo  credere  che 
gli  ipogei  fossero  tutti  contemporanei  e  non  più  usati  dopo  il  secolo  suddetto. 

In  ogni  modo  è  certo  che,  come  il  tumulo  di  Montecalvario  ci  offre  uno  dei 
più  antichi  e  grandiosi  complessi  di  architettura  funeraria  dell'alta  Btruria  (4),  così 
la  testa  leonina  rappresenta  uno  dei  più  antichi  saggi  della  scultura  etrusca,  un 
poco  anteriore,  io  credo,  alle  stesse  sculture  del  mausoleo  vetuloniese  della  Pietrera 
(seconda  metà  del  sec.  VII  av.  Cr.). 

(')  Versakis,  in  nqaxnxà  rtjg  iv  'AStytag  dn^tticX.  'EtaiQstas,  1911,  pag.  168  e  segg.,  flgg.  3-9, 
e  Arch.  Anzeiger,  1911,  e.  135;  1912.  e.  247. 

(*)  Homolle,  Bull.  corr.  hell..  XII,  1888,  pag.  463  e  segg .  tay.  XIII  ;  Collignon,  Hiitoire  de 
la  sculpt.  grecque,  I,  pag.  131,  fig.  65;  Kern,  Inscriptiones  graecae,  tav.  VI,  1;  Athen.  Mitt., 
XXXVI,  1911,  pag.  283. 

C)  Homolle,  loc.  cit.  pag.  475;  pel  Gorgoneion  di  tipo  leonino  efr:  Conze,  Melitche  Thon- 
gefàtse,  tav.  III. 

(*)  Già  nel  1904,  il  prof.  G.  Pellegrini  in  un  suo  rapporto  inedito  parlava  dell'ipogeo  ovest 
di  Montecalvario  come  di  a  uno  degli  esempi  più  belli  e  più  antichi  di  architettura  sepolcrale 
etrusca  ». 

Notizie  Scavi   1916  —  Voi.  XIII.  37 


CASTELLINA    IN    CHIANTI  —   280   —  RBUIONE    VII. 


Per  tale  scoperta  diventa  di  singolare  interesse  lo  studio  comparativo  delle  grandi 
tombe  a  costruzione  di  tipo  orientale  che  si  trovano  nell'agro  fiorentino,  quale  è  quella 
ben  nota  di  Sesto  Fiorentino  (')  e  le  altre  tre  ricordate  dal  Milani  in  questo  stesso 
periodico  ('),  nonché  il  confronto  tra  le  sculture  ad  esse  appartenenti,  delle  quali 
alcuni  tipi,  come  quello  del  leone  (3),  si  ritrovano  via  via  rappresentati  in  progressivo 
sviluppo. 


Terminato  lo  scavo  e  il  restauro  architettonico  dei  quattro  ipogei,  si  è  provve- 
duto anche  alla  loro  sistemazione  esterna  costruendo  per  ciascuuo  un  canaio  di  sca- 
rico, destinato  a  tenere  asciutto  il  dromos,  e,  al  disopra  del  canale,  una  rampa  di- 
scendente dal  piano  di  campagna  a  quello  del  dromos  stesso. 

Quindi,  ritrovato  il  centro  del  tumulo  artificiale  che  anticamente  ricopriva  i 
quattro  ipogei,  ma  di  cui  s'era  quasi  cancellata  la  forma,  abbiamo  ripristinato  tale 
tumulo  che  ora  apparisce  da  lungi  in  tutta  la  sua  imponenza,  a  nord  del  castello 
medioevale  (fig.  1).  Un  cippo,  sul  genere  di  quello  di  Settimello  (4),  ma  più  grande 
e  naturalmente  più  antico,  doveva  sormontare  il  tumulo. 

Al  posto  del  cippo  rituale  etrusco  era  sorta  una  cappellina,  cui  adduceva  il 
viottolo  che,  dalla  strada  Castellina-Radda,  saliva  alla  cima  fiancheggiato  dalle 
quattordici  stazioni  della  via  Crucis;  donde  il  poggio  ebbe  il  nome  di  Montecal- 
vario.  Anche  le  sacre  stazioni  e  la  eappella  sono  oggi  scomparse  e  sul  vertice  ab- 
biamo piantato  un  gruppo  di  cipressi,  nuovo  segnacolo  al  posto  dell'antichissimo 
cippo,  per  indicare  le  riapparse  dimore  funebri  di  nobili  genti  etrusche. 

Altre  tombe,  ma  assai  più  modeste  e  di  epoca  tarda,  furono  trovate  a  più  ri- 
prese, molto  tempo  fa,  sul  limitrofo  poggio  Saligolpi  (s)  e  alla  base  di  quello  che 
si  erge  alla  distanza  di  circa  m.  700  a  ovest  di  Montecalvario,  sulla  sinistra  della 
via  per  San  Donato.  Quivi,  nel  cavare  argilla  per  i  fittili  da  cuocere  nella  vicina 
fornace,  i  fornaciai  trovarono  un  anello  di  oro  liscio  simile  ai  nostri  matrimoniali  (6) 
e,  a  quanto  dicono,  alcune  fibule  in  bronzo  e  vasi  di  terracotta,  che  sembrano  far 
risalire  le  tombe  al  ?ec.  Ili  o  II  av.  Ce. 

Quest'  ultimo  poggio  (m.  631  sul  mare)  è  detto  la  Castellina  Vecchia,  perchè 
su  di  esso  vedesi  ancora  affiorare  qualche  rudero  antico,  e  non  è  improbabile  che  là 
sopra  possa  ritrovarsi  l'antico  abitato,  cui  appartengono  le  tombe  monumentali  di 
Montecalvario. 

(')  Petersen,  in  ROm.  Mitt.,  1885,  pag.  193  e  segg.  ;  Montelius,  op.  cit,  II,  tav.  166. 

(*)  Not.  degli  scavi,  1903,  pag.  355  e  segg. 

(•)  Ivi,  pag.  853,  fìg.  1. 

(*)  Milani,  in  Not.  scavi,  1903,  pagg.  352  e  segg.,  fig.  1. 

(*)  In  nn  rapporto  inedito  presentato  dal  cav.  A.  Lisini  ed  arch.  V.  Mariani  al  Prefetto  di 
Siena  intorno  alla  tomba  ovest  di  Montecalvario,  nel  1902,  si  ricordano,  come  provenienti  dal 
poggio  Saligolpi,  i  seguenti  oggetti:  due  orecchini  d'oro,  un  manico  di  specchio,  una  fìbula  e 
alcuni  frammenti  d'altri  oggetti  in  bronzo,  parecchi  frammenti  di  vasi  fìttili. 

(')  Un  anello  di  tal  genere  fu  trovato  in  una  tomba  di  Populonia  del  sec.  Ili  av.  Cr.  Ved. 
Milani  in  Not.  scavi,  1908,  pag.  202. 


REGIONE   IV.  —   281    —  POGGIO   SOMMAVILLA 


L'esplorazione  archeologica  del  territorio  di  Castellina  in  Chianti,  confinante  con 
altre  zone  ben  ricche  di  reliquie  etnische,  come  Monteriggioni,  merita  d'esser  con- 
tinuata ed  estesa. 

Del  grande  tumulo  si  dovranno  ancora  esplorare  i  settori  di  terra  compresi  fra 
i  quattro  ipogei,  per  vedere  se,  come  nel  caso  del  Tumulo  della  Pietrera  di  Vetu- 
lonia  (')  vi  sia  qualche  tomba  adattata  più  superficialmente  sui  fianchi  dell'altura. 
E  quindi  converrà  rintracciare,  se  ancora  esiste,  e  mettere  allo  scoperto  il  muro  cir- 
colare a  grandi  blocchi,  che  doveva  limitare  alla  base  e  quasi  contenere  il  grande 
cono  artificiale  di  terra  ricoprente  gli  ipogei,  muro  di  cui  sono  provvisti,  per  es.,  i 
tumuli  di  Vetulonia  (Pozzo  dell'Abate)  (*),  di  Vulci  (Cucumella)  (3),  di  Corneto 
Tarquinii  (Monterozzi)  (*)  e  quelli  pur  di  recente  scoperti  o  ricostituiti  dall' ing. 
Mengarelli  nella  necropoli  di  Cere  (5). 

Inoltre,  per  lo  studio  storico  e  topografico  della  regione,  sarà  del  più  grande 
interesse  ricercare  gli  avanzi  dell'abitato  e  indagare  a  qual  centro  della  civiltà  etrusca 
appartengano  gli  imponenti  ipogei  monumentali  sopradescritti,  ipogei  riferibili  ai  più 
antichi  tempi  dell'affermazione  della  civiltà  etrusca  o  tirrenica  nella  regione  posta 
alla  destra  del  Tevere. 

Luigi  Pernier. 


Regione  IV  {SAMNÌUM  ET  SABINA) 

SABINI. 

II.  POGGIO  SOMMAVILLA  (frazioue  del  Comune  di  Collevecchio  in 
Sabina)  —  Tesici  marmorea  di  giovane  donna  probabilmente  ritratto, 
rinvenuta  a  non  molta  distanza  dall'abitato. 

La  testa  di  marmo  che  qui  appresso  si  pubblica  (fig.  1),  fu  rinvenuta  casual- 
mente nello  scorso  inverno  presso  Poggio  Sommavilla,  frazione  del  Comune  di  Colle- 
vecchio,  da  un  contadino  del  luogo,  mentre  piantava  dei  pali  per  la  costruzione  di 
una  capanna.  Il  sito  del  rinvenimento  porta  propriamente  il  nome  di  Grotta  dei  frati, 
e  dista  qualche  chilometro  dall'abitato,  a  nord-ovest.  L'oggetto,  appena  rinvenuto,  fu 
portato  in  paese  e  depositato  colatamente  in  un  granaio,  non  senza  che  la  cosa  per- 
venisse all'orecchio  dei  RR.  Carabinieri,  i  quali,  dietro  premure  della  Soprintendenza 
agli  scavi  di  Roma,  con  lodevole  sollecitudine  ne  affettuarono  il  sequestro. 

La  detta  testa  trovasi  ora  in  Roma  nel  Museo  Nazionale  Romano,  dove  è  andata  ad 
accrescere  la  già  ricca  e  interessante  raccolta  dei  ritratti  marmorei.  —  Trattasi  di  una 

(')  Falchi,  in  Not.  scavi,  1893,  pag.  143  e  segg.  e  496  e  segg. 
(')  Pernier,  in  Emporium,  maggio  1915,  pag.  350,  fig.  19. 

(3)  Micali,  Storia  degli  antichi  pop.  ital.,  I,  pag.  156;  III,  pag.  103  e  tav.  LXII,  1. 
(*)  Micali,  op.  cit.,  Ili,  pag.  104,  tav.  LXII,  7,  8;  Martha,  L'art  etrusque,  pag.  203. 
(•)  Per  quelli  già  prima  noti,    cfr.   Micali,   Mon.  ined.,    pag.  361,  tav.  LV,  1,  2.    Per  lavori 
secenti  cfr.:  Mengarelli,  Not.  scavi,  1915,  pag.  347  e  seg.,  figg.  1.  8. 


POGGIO    SOMMAVILLA 


—    282    — 


REGIONE    IV. 


scultura  in  marmo  bianco  di  Carrara,  comprendente,  oltre  la  testa,  tutta  la  base  del 
collo  sino  al  principio  dello  sterno.  Il  pezzo  di  scultura  è  incompleto,  ma  non  già 
spezzato,  sibbene  ad  arte  lasciato  grezzo  e  arrotondato  e  convesso  inferiormente,  allo 
scopo  di  inserirlo  entro  apposito  incavo  sopra  il  tronco  di  una  statua.  La  sua  gran- 
dezza è  di  proporzioni  maggiori  del  vero,  misurando  complessivamente  in  altezza 
m.  0,43  e  m.  0,245  dal  mento  alla  sommità  del  capo.  L'altezza  dal  mento  alla 
sommità  della  fronte  è  di  m.  0,18. 


Lo  stato  di  conservazione  è  buono.  Soltanto  il  naso  è  rimasto  spezzato  comple- 
tamente lasciando  nella  caduta,  una  larga  scheggiatura  irregolare  nel  mezzo  della 
faccia.  Scheggiature  minori  si  notano  all'altezza  delle  ciglia  e  alla  sporgenza  delle 
labbra.  Anche  la  treccia  dei  capelli,  fermata,  come  chiaramente  si  vede  nella  figura 
che  qui  si  aggiunge  alla  sommità  del  capo,  risulta  scheggiata  nel  puuto  terminale. 

La  testa  è  leggermente  inclinata,  in  una  mossa  leziosa,  sulla  spalla  destra.  La 
fronte  è  ampia  e  regolare.  Gli  occhi,  grandi,  con  il  giro  della  cornea  e  la  pupilla 
incisi  a  scalpello,  si  volgono  a  destra,  secondando  naturalmente  il  movimento  del 
capo.  La  bocca,   dalle   labbra  carnose,   atteggiate  ad  un  mite  sorriso,  è  fortemente 


REGIONB   IV.  —   283   —  POGGIO    SOMMAVILLA 

modellata.  Il  mento  è,  come  il  viso,  pieno  e  rotondo.  L'aspetto  generale  offre  V  impres- 
sione gradevole  di  una  florida  giovinezza,  lieta  e  sorridente. 

La  principale  caratteristica  della  testa  è  però  l'acconciatura  dei  capelli.  Questi, 
divisi  da  una  scriminatura  centrale,  sono  prima  regolarmente  ondulati  sul  capo  e 
sulle  tempie;  si  svolgono  quindi  da  una  parte  e  dall'altra  in  una  grande  massa  pen- 
dala dietro  le  orecchie  e  si  riuniscono  infine  dietro  la  nuca  in  una  treccia  molto 
stretta,  che  dalla  base  della  nuca  risale  fino  alla  sommità  del  capo.  Due  minuti  ric- 
cioli si  notano  alla  sommità  della  fronte,  mentre  a  destra  e  a  sinistra  due  gruppi 
di  riccioli  brevi  e  folti  spuntano  di  sotto  il  casco  dei  capelli  all'altezza  delle  tempie. 

Il  lavoro  dei  capelli  è  sbozzato  appena  dietro  la  nuca,  onde  apparisce  che  la 
statua  era  destinata  ad  esser  veduta  guardandola  di  prospetto.  I  capelli  presso  le 
tempie  e  dietro  le  orecchie  sono  lavorati  al  trapano. 

Del  vestimento  della  figura  non  ci  è  rimasto  che  l'orlo  superiore  della  tunica, 
aderente  alla  base  del  collo  per  un'altezza  di  min.  35.  Anche  le  pieghe  della  tunica, 
per  quanto  si  può  vedere,  sono  appena  sbozzate.  L'orlo  della  tunica,  nel  suo  giro 
intorno  al  collo,  è  interrotto  presso  la  spalla  sinistra,  giacché  il  busto  pende  più 
della  spalla  destra  che  della  sinistra. 

Poiché  trattasi  evidentemente  di  un  ritratto,  sorge  spontanea  la  questione  della 
identificazione  del  personaggio  rappresentato.  La  moda  dell'acconciatura,  l'unico  par- 
ticolare che  possa  fornirci  qualche  lume,  è  quella  stessa  adottata  in  Roma  circa  la 
metà  del  III  secolo  dell'Impero.  Sulle  monete  e  i  medaglioni  dell'epoca  tutte  le  impe- 
ratrici hanno  adottato  questo  genere  di  acconciatura,  abbastanza  complicato  senza 
essere  troppo  artificioso  (vedi  i  ritratti  di  Tranquillina,  Otacclia,  Etruscilla,  Cornelia 
Supera,  Salonina).  Tranquillina,  moglie  di  Gordiano  III  Pio,  che  la  sposò  giovanis- 
sima quando  egli  aveva  sedici  anni  ('),  è  una  delle  figure  che  nel  vasto  campo  del- 
l' iconografia  romana  presenta,  a  mio  modo  di  vedere,  i  maggiori  titoli  di  somiglianza 
con  la  testa  qui  pubblicata.  Ma  lungi  dall'essere  un'identificazione  assoluta,  questo 
non  è  altro  che  un  punto  di  riferimento  cronologico.  Nel  campo  dell'  iconografia  romana 
del  III  secolo  i  ritratti  delie  imperatrici,  in  qualunque  modo  e  materia  vengano  ese- 
guiti, scolpiti  o  coniati,  presentano  sopra  la  fronte  quasi  sempre  il  diadema,  attri- 
buto del  grado.  Nessuno,  poi,  dei  ritratti  di  Tranquillina,  su  monete  coniate  in  Roma, 
deroga  da  questa  regola  (*). 

È  quindi  lecito  dubitare  che  la  testa  marmorea,  maggiore  del  vero,  di  Poggio 
Sommavilla,  rappresenti  una  imperatrice.  La  nostra  scultura  tuttavia  non  perde  con 
questo  della  sua  originalità  ed  importanza  artistica.  Il  Museo  Ny-Carlsberg  a  Copen- 
hagen possiede  una  testa  marmorea  di  dama  romana  d'età  matura,  molto  simile  per 
l'acconciatura  a  quella  sopra  pubblicata  (3).  È  notevole  la  vivente  espressione  che 
emana  da  questo  ritratto,  datato  fra  gli  anni  230  e  250.  Insieme  con  la  testa  di 
Copenhagen,  questa  di  Poggio  Sommavilla  sta  a  dimostrarci  come,  nonostante  l'inne- 


(')  Bernoulli,  Rdmische  Ikonographie,  voi.  II,  parte  3»,  pag.  137. 

(*_)  Cohen,  Motmaies  imperiale»,  voi.  V,  pag.  88  sgg. 

(3)  Anton  Tekler,  Bildnitkunst  d.  Oriechen  u.  d.  Ròmer,  tav.  304  e  pag.  XLVI. 


CORI,    POMPEI  —   284   —  RE8I0NE    I. 

gabile  decadimento  dell'arte,  gli  statuari  romani  della  metà  del  III  secolo  non  aves- 
sero ancora  obliato  il  senso  profondo  delle  proporzioni  e  l'abilità  di  dare  alle  loro 
opere  la  schietta  impronta  della  vita  studiata  e  colta  dal  vero  e  non  già  ricalcata 
su  vieti  modelli  convenzionali. 

G.  Bkndinelli. 


Regione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

LATIUM. 

III.  CORI  —  Scoperta  di  alcuni  frammenti  del  cornicione  del  Tempio 
di  Castore  e  Polluce. 

Durante  i  lavori  per  la  costruzione  della  fognatura  nel  comune  di  Cori,  in 
via  Laurienti,  all'angolo  col  vicolo  di  Castore  e  Polluce,  si  sono  rinvenuti  alcuni 
frammenti  di  cornicione  in  pietra  calcare.  Si  sono  estratti  due  pezzi  di  cornice 
(m.  1,10  X  0,85  X  0.22  e  m.  1,15  X  \  85  X  0,22;  decorati  con  rosoni  distanti  m.  0,33 
1'  uno  dall'altro,  e  due  modiglioni  scorniciati  che  misurano  m.  0,95  X  0  33  X  9,22. 
Appartengono  evidentemente  al  tempio  di  Castore  e  Polluce  del  quale,  come  è  noto, 
restano  avanzi  considerevoli,  in  parte  visibili  in  una  pubblica  piazza,  in  parte  nascosti 
sotto  le  case.  Alcuni  altri  frammenti  di  cornicione,  veduti  in  questi  lavori,  sono  rimasti 
sotterra  ;  quelli  estratti  sono  stati  trasportati  nel  chiostro  di  santa  Oliva,  ove  già  ne 
esistevano  altri  cinque  pezzi  rinvenuti  nel  1829  (•). 

P.  Pornari. 


CAMPANIA. 


IV.  POMPEI  —  Continuazione  degli  scavi  sulla  via  dell'  Abbondanza, 
durante  il  mese  di  giugno  1916  e  scoperte  avvenute  anche  altrove. 

a)    Scavo  della  via. 

I  lavori  per  l'apertura  della  grande  trincea,  di  cui  è  parola  nei  rapporti  dei 
mesi  scorsi,  hanno  ricevuto  in  questo  mese  un  ultimo  e  più  forte  impulso,  essendosi 
potuto  in  quest'opera  adibire  anche  gli  operai  finora  intenti  allo  scavo  della  Casa  di 
Trebi3  Valente,  restituita  alla  luce  in  tutte  le  sue  parti  con  i  primi  giorni  di  giugno. 
La  grande  trincea  mette  ora  capo,  secondo  il  progetto:  al  sommo  dello  strato  di 
lapillo  tra  le  fronti  delle  isole  opposte,  IV  della  Reg.  II  a  sud,  e  IV  della  Beg.  Ili 
a  nord;  e  renderà  in  avvenire  più  comoda  e  spedita  l'esplorazione  della  via,  tempo- 
raneamente sospesa.  Nessun  trovamento. 

(')  Nibby,  Analisi*,  I,  pag.  507  seg 


REGIONE    1.  —    285    —  POMPEI 


b)  Scavo  della  Casa  di  A.  Trebio  Valente  (Reg.  Ili,  ins.  IT,  n.  1). 

Resta  da  descrivere  di  questa  casa  un  ultimn  ambiente  (cfr.  il  rapporto  del 
mese  scorso),  nel  quale  si  lavorava  ancora  nei  primi  giorni  del  mese:  la  camera  a 
fondo  bianco  occupante  l'angolo  nord-est  del  peristilio,  ed  accessibile  dall'ambulacro 
orientale  del  peristilio  stesso.  Questa  spaziosa  camera,  di  pianta  rettangolare,  già 
coperta  con  soffitto  a  botte  in  direzione  nord-sud,  ha  due  ampie  finestre  quadrate 
prospicienti  sullo  stibadio,  nella  parete  occidentale,  e,  al  disopra  della  più  settentrio- 
nale delle  due  finestre  indicate,  anche  un  finestrino  circolare  a  lume  ingrediente. 
Molto  semplice  è  la  decorazione  delle  pareti.  Dallo  zoccolo  nero,  limitato  in  su  da 
una  fascia  verde,  si  elevano  per  ogni  parete  due  svelte  colonnine  di  color  marrone 
e  di  tipo  ionico,  le  quali,  alternandosi  con  esilissimi  candelabri  gialli,  dividono  lo 
spazio  in  6  riquadrature  verticali  per  le  pareti  lunghe,  e  in  4  per  le  pareti  corte, 
tutte  contornate  da  cornicette  molto  semplici  (fatte  di  fascette  di  color  marrone  fra 
due  listelli  neri).  Al  centro  di  ogni  riquadratura  è  dipinto  un  uccello  gradiente  a 
destra  od  a  sinistra  in  mezzo  a  delle  pianticelle,  nell'atto  di  beccare  o  un  fiore,  o 
un  lombrico,  o  due  ciliege,  o  una  farfalla,  o  una  pera,  o  un  dattero.  Il  fregio,  in 
gran  parte  distrutto,  esibisce  soltanto  leggiere  prospettive  architettoniche  combinate 
con  i  soliti  festoncini  di  fiori  e  rabeschi.  Lo  scavo  di  quest'ultimo  ambiente  non  ha 
dato  occasione  a  rinvenimenti  di  sorta,  perchè  qui  già  si  era  esercitato  il  piccone 
di  remoti  esploratori  :  a  testimoniare  in  modo  certo  le  antiche  ricerche  qui  condotte 
restano  nel  mezzo  delle  pareti  settentrionale  e  orientale  due  interruzioni  della  mura- 
tura, profonde  quasi  fino  allo  zoccolo  e  larghe  circa  un  metro,  ed  un  grosso  foro 
all'altezza  del  fregio,  nella  parete  orientale. 

Col  giorno  2b',  sospesa  ogni  opera  di  scavo,  tutti  gli  operai  disponibili  sono 
stati  adibiti  al  servizio  di  nettezza,  per  estirpare  dall'area  della  città  le  erbe  paras- 
sitarie, come  si  è  sempre  praticato  per  qualche  mese  in  tutti  gli  anni,  nella  sta- 
gione calda. 

e)    Scavo  sul  condotto  del  R.  Canale  di  Sarno. 

A  cura  dell'Amministrazione  del  R.  Canale  di  Sarno,  che  attraversa  il  sottosuolo 
di  Pompei,  ed  al  fine  di  compire  il  lavoro  preparatorio  che  permetterà  dopo  i  mesi 
caldi  alcune  urgenti  riparazioni  alla  volta  ed  alle  pareti  del  canale  d' irrigazione,  è 
stato  fatto  in  questo  mese  un  grande  scavo  secondo  l'andamento  del  canale  stesso 
nella  Reg.  II,  a  settentrione  dell'Anfiteatro,  e  precisamente  fra  questo  monumento 
e  l'isola  IV  della  stessa  Reg.  II.  Lo  scavo,  che  ha  restituito  alla  luce  una  consi- 
derevole area  di  suolo  del  79,  di  m.  30  X  10,  è  capitato  sopra  grandi  giardini  il 
cui  sterro,  alacremente  condotto  a  termine,  non  ha  dato  luogo  ad  alcun  trovamento  di 
oggetti.  Si  sono  scoperti  ed  assicurati  al  loro  posto  solo  alcuni  tratti  di  muri  di  cinta 
dei  giardini  stessi  alle  estremità  orientale  ed  occidentale  dell'area  rimessa  in  luce. 

d)    Arco  di  Nerone  presso  il  Foro. 

La  caduta  della  malta  di  riempimento,  già  sottostante  alle  lastre  di  marmo  rive- 
stenti l'Arco  di  Nerone,  a  settentrione  del  Foro,  ha  rimesso  allo  scoperto  da  qualche 
mese  un  programma  elettorale,  monco,  che  qui  trascrivo. 


t>OJàPÉI  —    286    —  RBGIONR    Ì. 

Pilastro  orientale,  lato  nord,  a  d.  della  nicchia: 

CELEREM 

QVINTV(«.  rogat) 

e)    Scoperte  fuori  Porta  del  Vesuvio. 

Sono  ben  lieto  di  potere  ora,  ad  otto  anni  di  distanza  dal  tempo  della  scoperta, 
pubblicare  nella  sua  esatta  e  definitiva  lezione,  un  distico  pieno  di  gentilezza  e  di 
grazia,  diretto  a  magnificare  la  fiorente  giovinezza  e  le  belle  forme  di  una  pompeiana 
per  nome  Sabina.  L'epigrafe  in  discorso,  graffita,  fu  scoperta  nel  mese  di  novembre 
del  1908  sulla  faccia  anteriore  del  sepolcro  di  Septumia,  L.  /".,  fuori  la  Porta  del 
Vesuvio,  e  trovò  posto  nelle  Notizie,  anno  1910,  pag.  407,  n  4,  secondo  l'inesatto  apo- 
grafo che  allora  mi  fu  possibile  ricavarne,  nella  lezione  seguente:  Contineat  semper 
florere  Sabina  contineat  formae  sisque È  merito  dello  Huelsen  (  Satura  pom- 
peiana romana,  in  Sumholae  litterariae  in  honorem  Iulii  De  Petra,  pp.  174,  175) 
quello  di  avere,  sulla  scorta  dell' iscrizione  urbana  C.I.L.,  VI,  29629  (=Buecheler, 
Ani.,  1067),  Sic  libi  contingat  feliciler  ire  viator,  etc,  proposta  da  un  lato  l'emen- 
dazione contingat  in  luogo  di  contineat,  e  supplite  dall'altro  in  principio  le  parole 
Sic  libi,  pervenendo  così  alla  felice  restituzione: 

\_Sic  Ubi']  contin\_g]at  semper  florere,  Sabina, 
Contin[g]at  formae,  sisque 

Riconosciuto  in  tale  testo  un  distico,  i  supplementi  per  completare  il  pentametro 
si  presentavano  numerosi,  data  la  chiarezza  del  pensiero  dello  scriptor;  ed  il  prof. 
Huelsen,  ne  proponeva  difatti  tre:  Sisque  [ita  perpetuo],  ovvero  ut  amoena  rosa], 
ovvero  \_deae  similis],  non  senza  avvertire  che  tali  supplementi  gli  sembravano  «  non 
satis  eleganter  dieta  » .  Dopo  reiterati,  inutili  tentativi,  fatti  di  tempo  in  tempo, 
finalmente  dopo  otto  anni  il  pulviscolo  fissatosi  nel  ductus  di  qualche  lettera  mai 
vista  per  il  passato,  mi  ha  indotto  ultimamente  a  spalmare  di  matita  la  parete, 
facendomi  leggere  in  tutte  le  sue  parti  il  bel  distico.  Esso,  nella  sua  verace  lezione, 
dà  ragione  allo  Huelsen  per  i  primi  supplementi,  appieno  indovinati;  ma  fa  trionfare 
l' ignoto  scriptor  per  le  parole  «  eleganter  dieta  »  che  chiudono  il  pentametro  : 


ttyy+M.fifxv 


Sic  libi  contingat  semper  florere,  Sabina, 
Contingat  formale),  sisque  puella  din. 

M.  Della  Corte. 


RBGIONE   I.  —   287    —  POMPEI 


Anno  1016  —    Fascicolo  9. 


Regione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

CAMPANIA. 

I.  POMPEI  —  Necropoli  sannilico-romana,  scoperta  fuori  la  Porta 
di  Stadia. 

La  scoperta  fortuita  delle  prime  quattro  tombe  sannitiche  fatta  nel  fondo  Azzo- 
lini  a  Valle  di  Pompei,  in  contrada  Asciutta  (cfr.  Notizie,  1911,  pp.  106-111),  avendo 
chiarito  che  lo  sfruttamento  della  cava  di  lapillo,  ivi  aperta  nel  gennaio  1911  per 
la  trasformazione  del  lapillo  stesso  in  materiale  edilizio,  risolvevasi  in  un  vero  scavo 
archeologico,  obbligò  il  signor  Giuseppe  Azzolini,  proprietario  del  fondo  a  munirsi 
di  regolare  licenza  di  scavo.  Assoggettato  pertanto  lo  sfruttamento  della  cava  al 
regime  della  legge,  mi  fu  possibile,  per  incarico  ricevutone  dal  signor  direttore, 
prof.  Spinazzola,  di  seguire  personalmente  ed  a  passo  a  passo  i  successivi  cavamenti, 
e  di  procedere  a  volta  a  volta  senza  indugi  all'esplorazione  delle  sottostanti  aree 
archeologiche,  studiando,  in  uno  con  la  già  mostratasi  necropoli  sannitica  di  inumati, 
la  posteriore  necropoli  romana,  più  superficiale,  di  cremati. 

Come  vedesi  nell'unito  rilievo  topografico  (fig.  1)  la  necropoli,  chiusa  in  tutti  i 
lati  da  muri  di  cinta,  ed  accessibile  per  due  vie,  l'una  proveniente,  come  sembra, 
dalla  Porta  Stabiana  di  Pompei,  e  l'altra  dalla  campagna  ad  oriente,  occupava  un'area 
di  appena  mq.  400  circa,  nel  mezzo  della  quale  capitò  il  cavamento  del  pozzo  A, 
sito  delle  prime  tombe  incontrate;  eppure  in  così  breve  spazio  fittissime  si  sono 
offerte  le  deposizioni,  per  modo  che,  tenuto  conto  delle  quattro  sepolture  incontrate 
nella  canna  del  citato  pozzo,  le  tombe  sannitiche  ad  inumazione  hanno  infine  rag- 
giunto il  numero  di  quarantaquattro,  e  sono  in  pianta  indicate  con  numeri  romani  ; 
e  le  sepolture  romane  ad  incinerazione  hanno  raggiunto  il  numero  di  centodician- 
nove,  e  sono  in  pianta  distinte  con  numeri  arabi.  Lo  sfruttamento  della  cava  di 
lapillo  è  continuato  e  continua  tuttora;  ma  non  ha  dato  luogo  al  rinvenimento  di 
altre  tombe  di  la  dai  limiti  segnati  in  pianta.  Siamo  cosi  certi  di  esserci  imbattuti 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  38 


POMPBI  —    288   —  REGIONE   1. 

in  un  campiceli*)  adibito  per  quattro  secoli  circa  ad  uso  di  necropoli  di  un  ristretto 
numero  di  famiglie  pompeiane,  e  più  propriamente  come  sembra  (v.  a  pag.  303) 
della  famiglia  Epidia  e  di  altri  pochi  pompeiani  legati  con  quella  famiglia  da  vin- 
coli di  parentela. 

È  merito  del  signor  Direttore  quello  di  aver  persuaso  il  signor  Azzolini  dello 
scarsissimo  valore  venale  dei  trovamenti  fatti,  inducendolo,  durante  le  trattative  per 
la  legale  spartizione  del  prodotto  dello  scavo,  a  cedere  allo  Stato  gratuitamente  la 
collezione  da  lui  raccolta;  ed  è  merito  del  signor  Azzolini  quello  di  avere  aderito 
di  buon  grado  alla  proposta  e  di  avere  infatti  tutto  donato  alla  Direzione  di  questi 
Scavi,  acquistando  così  un  segnalato  diritto  alla  riconoscenza  degli  studiosi  delle 
antichità  pompeiane. 

Siccome  trarrebbe  soverchiamente  iu  lungo  la  particolareggiata  esposizione  del 
giornale  dello  scavo  con  l'allegazione  di  tutti  i  particolari  relativi  all'esplorazione  delle 
singole  tombe,  espongo  sinteticamente  le  notizie  necessarie  e  sufficienti  ad  una  com- 
piuta conoscenza  dell'uno  e  dell'altro  strato  di  questa  necropoli  pompeiana,  soffer- 
mandomi di  proposito  solo  sopra  qualche  monumento  che  meriti  speciale  conside- 
razione. 

1.    Sepolture  Sannitiche. 

Le  sepolture  sannitiche  giacciono  col  loro  letto  ad  una  profondità  che  varia  da 
m.  0,50  a  in.  2  dal  suolo  del  79,  e  le  più  profonde  fra  esse  attingono  il  sodo  e 
consistente  strato  terroso,  bruno-gialliccio,  il  quale  nella  campagna  di  Pompei  si  mostra 
costantemente  al  disotto  dell'antico  strato  di  humus.  Varia  dall'una  all'altra  sepol- 
tura la  maniera  di  ricoprire  il  morto  dopo  averlo  adagiato  sul  (ondo  della  fossa  sca- 
vata. Nella  maniera  più  semplice  (tombe  VII,  XIV,  XIX,  XXII,  XXV,  XXXI, 
XXXVII,  XLI  e  XL1I)  il  defunto  apparisce  deposto  sul  fondo  spianato,  rettangolare, 
della  fossa,  la  quale  senz'altro  fu  colmata;  in  altre  sepolture,  prima  di  ricolmare  la 
fossa,  si  ebbe  cura  di  proteggere  l' inumato  con  tegoloni  di  terracotta  disposti  a  pio- 
vente, ora  sopra  un  lato  solo  (tombe  XX,  XXI,  XXXIII,  XL  e  XLIII),  ora  sui  due 
lati  (tombe  II,  IV,  V,  XI,  XV,  XVI  e  XXXVIII);  in  un'altra  (tomba  Vili)  i  lati 
corti  della  fossa  furono  rafforzati  con  piedritti  di  calcare  sarnense,  e  sopra  le  sponde 
dei  lati  lunghi  furono  adagiati  per  le  loro  estremità  dei  tegoloni  disposti  in  piano 
orizzontale.  In  altre  sepolture  (tombe  XIII  e  XXIII),  in  luogo  del  filare  orizzontale 
di  tegole,  sulle  opposte  pareti  lunghe,  furono  impiegate  per  la  copertura  sette  od  otto 
anfore,  varie  per  forma  e  per  dimensione;  altrove  (tombe  III,  VI,  XXIV,  XXX, 
XXXII,  XXXIV  e  XXXV)  tanto  i  lati  corti  quanto  per  alcuni  tratti  i  lati  lunghi 
furono  rafforzati  con  piedritti  di  calcare,  sui  quali  ebbero  ad  adagiarsi  due  solidi 
lastroni  della  stessa  pietra,  posati  in  piano  orizzontale.  Il  sistema  di  protezione  più 
perfetto  è  quello  delle  tombe  IX,  XII,  XVIII,  XXVI.  XXVII,  XXVIII,  XXIX 
e  XXXVI,  dove  col  fondo  anche  le  pareti  e  la  copertura,  furono  fatte  di  lastroni  di 
pietra  di  Sarno,  come  già  videsi  nella  tomba  I,  il  cui  interno  era  anche  intonacato. 
Le  sepolture  XXXIX  e  XLIV  contenevano  ciascuna  il  corpo  di  un  bambino  disto- 


VIA  MINUTELLA 


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FlG.  1. 


REGIONE    I.  —    291    —  POMPEI 

dito  in  un'anfora  di  terracotta.  Singolare  è  il  caso  della  tomba  X,  un  vero  e  proprio 
sepolcro  monumentale  fuori  terra,  il  quale  presentavasi  come  un  massiccio,  solidis- 
simo blocco  rettangolare  in  opus  incertum  di  pietra  vesuviana,  spoglio  di  ogni  rive- 
stimento esterno,  probabilmente  caduto  per  vetustà:  consisteva  nel  suo  interno  di  due 
anguste  camere  sepolcrali,  A  e  B,  interamente  rivestite  di  un  accurato  intonaco  late- 
rizio, i  cui  ingressi  furono  chiusi  con  maceria  di  pietra  vesuviana  e  di  calcare  sar- 
nense  appena  effettuate  le  deposizioni,  una  per  ognuna  delle  camere  stesse.  Prece- 
deva gl'ingressi  in  parola  un  unico  vestibolo,  C,  coperto  con  arco  di  volta  e  rivolto 
ad  occidente.  Delle  due  camere  l'ima,  A,  si  trovò  integra  con  lo  scheletro  e  posto 
sul  suo  letto:  lo  scheletro,  mentre   era  libero  nella  parte  superiore,  dal  torace   ai 


Fio.  2. 


piedi,  data  l'inclinazione  del  letto,  aveva  le  ossa  sempre  più  affondate  in  un  lieve 
strato  di  terreno  al  quale  faceva  da  fondo  uno  strato  di  argilla  gialliccia  alto 
m.  0.03-0.05;  l'altra  camera,  B,  si  trovò  tutta  sconvolta  perchè  già  attinta  nei 
lavori  agricoli  in  epoca  imprecisabile,  e  violata  attraverso  un  largo  foro  aperto  nella 
volta  del  sepolcro. 

Quanto  all'orientazione,  noto  essersi  riscontrata  come  regola  costante  la  deposi- 
zione del  morto  con  la  testa  ad  oriente  ed  i  piedi  ad  occidente  ;  ed  in  sole  dieci 
tombe  (v.  pianta,  fig.  1)  la  deposizione  da  settentrione  a  mezzogiorno,  o  viceversa 
Supini  si  sono  trovati  tutti  gli  scheletri,  ad  eccezione  di  quelli  delle  tombe  XI II 
e  XIX:  il  primo  di  essi  giaceva  un  po'  sul  fianco  destro;  il  secondo  quasi  rannic- 
chiato e  con  le  mani  portate  alla  testa.  Noto  qui  l' inaspettata  stranezza  offerta  dalla 
sepoltura  XVII,  nella  quale  giaceva  non  uno  scheletro  umano,  ma  quello  di  un  cane, 
con  accanto  una  minuscola  tazza  di  terracotta  a  vernice  nera. 

Passando  ora  ai  corredi  funebri,  in  conformità  di  quanto  notai  nel  mio  primo 
rapporto,  e  di  quanto  fu  già  riscontrato  nei  due  gruppi  di  tombe  dello  stesso  periodo 


POMPEI 


—  292  — 


REGIONE    1. 


scoperti  negli  anni  1873  e  1907-1908  fuori  Porta  Ercolanese  ('),  resta  ulteriormente 
confermato  che  per  la  maggior  parte  essi  sono  poverissimi.  Nessun  oggetto  addirittura 
nelle  tombe  XI,  XV,  XXI,  XXVII,  ed  in  quelle  da  XXXIX  a  XLIV;  un  lacri- 
matoio di  terracotta  nella  tomba  V  ;  nn'armilla  di  bronzo  (fig.  2,  a)  nella  tomba  VIII  ; 
frammenti  di  due  strigili  di  ferro  o  un'armilla  di  bronzo  (fig-  2,  //)  nella  tomba  X, 
camera  A  ;  un  paio  di  orecchini  nella  tomba  XIII  :  consistono  essi  di  un  cerchietto 
di  filo  d'argento,  intorno  a  cui  scorrono  delle  perline  di  vetro  colorato,  conservate  in 
numero  di  tre  nell'uno  e  di  due  nell'altro  orecchino  (fig.  2,  e).  Un  sol  boccettino  di 
terracotta  nelle  tombe  XIV  e  XIX,  e  due  boccettini  nella  tomba  XXII;  solo  una 
moneta  nella  tomba  XX;  solo  il  fondo  di  una  boccetta  di  vetro  nella  tomba  XXV; 


f  una  boccetta  di  vetro  e  una  di  terracotta  con  un  coperchietto  da  anforetta  di  terra- 
cotta nella  tomba  XXXI  ;  due  balsamarii  a  reticella  nera  (cfr.  fig.  4,  d)  e  un'oenochoe 
di  terracotta  nella  tomba  XXXII;  solo  una  lucerna  di  terracotta  nella  tomba  XXXIII: 
nel  disco  della  detta  lucerna  sono  rappresentate  a  rilievo  due  donne  nude  al  bagno, 
l'una  (serva)  in  atto  di  versare  l'acqua  da  un'anfora  nel  labrum,  l'altra,  ritta  presso 
il  labrum  stesso,  in  atto  di  lavarsi  (fig.  4,  b)\  due  unguentarli  fusiformi  nella 
tomba  XXXVII  (cfr.  fig.  4,  e). 

Il  corredo  più  complesso  che  si  sia  raccolto  è  quello  della  tomba  VI,  con  gli 
oggetti  seguenti  (fig.  3):  a)  lekythos  a  recipiente  ovoidale,  alta  m.  0.20,  a  corto 
collo:  sul  fondo  gialletto  dell'argilla  è  dipinta  in  colore  nero  una  testa  muliebre 
di  profilo  a  sinistra,  mentre  dal  lato  opposto  è  una  palmetta  fra  due  volute;  b)  orcio 
panciuto  ad  anse  verticali,    munito  di    coperchio  (2):  è  alto  m.  0,20,  e  reca   sullaj 


(')  Vedi  nelle  Memorie  della  R.  Accad.  di  Napoli,  voi.  II,  1911,  pag.  209  segg.   Sogliano: 
La  Necropoli  preromana  di  Pompei. 

(*)  cfr.  Walter»,  HUtory  of  ancient  pottery.  pag.  165:  the  to  called  Lekane. 


REGIONE    I. 


293  — 


POMPEI 


spalla  dei  listelli  scuri  che  si  ripetono  sul  coperchio  ;  fra  l'ima  e  l'altra  ansa  sporge 
dalla  spalla  un  versatolo  a  corpo  cilindrico,  campanulato  (');  e)  olletta  rustica,  a 
forma  di  dolio,  alta  m.  0,11;  d)  olpe  rustica  alta  m.  0,085,  con  un  avanzo  informe 
di  ferro  nel  fondo;  e)  kylix  a  vernice  nera,  di  m.  0.11  di  diam.,  nel  cui  fondo  con- 


servaci gli  avanzi   di  un  meandro   floreale  prima  graffito  e  poi  dipinto,  a  piccole 
foglioline   bianche;    f)  unguentario    ovoidale  a   corto  collo,   rustico,    alto   m.  0,09; 


Fig.  5. 


g)  lama  di  ferro,  lunga  m.  0,13,  rotta  in  due  pezzi  ;  h)  Abbietta  di  bronzo  ad  arco, 
da  correggia,  larga  m.  0,027. 

Tenendo  presente  il  corredo  descritto,  nella  tomba  VII  ripetonsi  i  vasi  e,  d,  e, 
insieme  con  un  unguentario  a  retina  nera  (fig.  4,  d)  ;  nella  tomba  IX,  i  vasi  beo, 


(l)  Sono  qnattro  i  vasi  di  questa  forma  raccolti  nella  necropoli  :  imo  di  essi,  pero,  quello  della 
tomba  IX,  ha  il  versatolo  Anto,  impervio. 


POMl'EI  294    —  KEGIONE    I. 

con  una  lucerna  a  vernice  nera,  dal  rostro  allungato  e  dall'ansa  ad  orecchiette  (fig.  5,  d) 
e  con  un  peso  piramidale  di  terracotta,  alto  m.  0,06,  forato  alla  sommità;  nella 
tomba  XII,  i  vasi  e  e  d,  con  uno  skyphos  a  vernice  nera  alto  m.  0,09  (fig.  5,  a), 
un  unguentario  ovoidale  alto  in.  0,12,  e  frammenti  di  una  striglie  di  ferro;  nella 
tomba  XVI,  il  vaso  d,  con  una  lucerna  senz'  ansa,  lunga  m.  0,086,  rossiccia,  una  minu- 
scola coppa  a  piede  piramidale,  e  una  lama  di  ferro;  nella  tomba  XVIII,  il  vaso  b 
con  un  unguentario  e  un  bottone  d'osso;  nella  tomba  XXIII.  una  piccolissima  coppa 
con  beccuccio  sporgente,  frammenti  di  un'altra  piccola  coppa  con  ansette  orizzontali 
irnienti  ciascuna  in  due  cornetti,  frammenti  di  una  grossa  scodella  a  vernice  nera, 
una  lucerna  e  frammenti  di  quattro  unguentarli  rustici  ad  alto  piede,  una  piastrina 
d'osso  a  cerchi  concentrici  a  rilievo  ;  nella  tomba  XXIV,  i  vasi  e  e  d,  con  uno  skyphos 
ed  un  anellino  di  bronzo,  recante  nel  castone  l'incisione  di  un  grifo  (fig.  6);  nella 
tomba  XXVI.  il  vaso  e  in  due  esemplari,  Yoenochoe  a  vernice  nera  e  corpo  baccel- 


Pig.  6. 


lato  (fig.  5,  b),  e,  con  uno  skyphos,  due  boccette  e  una  tazzina  di  terracotta;  nella 
tomba  XXVIII,  i  vasi  e  e  d,  ed  una  lekythos  a  vernice  nera,  alta  m.  0,10,  a  super- 
ficie baccellata  (fig.  5,  e)  ;  nella  tomba  XXIX,  i  vasi  e,  e,  ed  una  lekythos  figurata, 
alta  m.  0,13;  sul  fondo  nero,  risparmiato,  nel  lato  anteriore  è  ritratta  la  solita  testa 
muliebre  di  profilo  a  sinistra,  mentre  nel  lato  posteriore  è  una  grossa  palmetta;  negli 
spazii  intermedii.  mezze  palmette  con  fiori  campanulati;  nella  tomba  XXX,  un  grosso 
skyphos  a  vernice  nera,  alto  m.  0,26,  i  vasi  d  ed  e,  un  anellino  di  bronzo,  ed  una 
lekythos  figurata  alta  m.  0,17,  molto  sbiadita,  a  fondo  nero:  sul  fondo  risparmiato 
è  ritratta  una  snella  figura  di  donna  nuda  al  bagno.  Al  labrum,  circolare,  essa  si 
appoggia  con  la  destra  e  con  le  anche,  mostrandosi  di  prospetto  col  tronco,  mentre 
la  testa  volgesi  di  profilo  a  sinistra:  l'acqua  cade  nel  labrum  da  un  mascherone  leonino, 
posto  nell'alto  della  parete.  Tanto  questa  figura,  quanto  la  palmetta  che  occupa  il 
lato  opposto,  erano  dipinte  in  colore  bianco,  pastoso,  sovrapposto.  Nella  tomba  XXXIV 
ripetevansi  i  vasi  beo  con  uno  skyphos  nero,  un'anforetta  di  vetro  a  strie  bianche 
sul  fondo  azzurro  (in  frantumi),  un  anellino  d'argento,  ed  un  pignattino  sferoidale 
alto  m.  0,06,  chiuso  con  coperchio  (fig.  4,  e),  ricordante  molto  da  vicino,  salvo  il 
versatolo  che  qui  manca,  il  vaso  b  (fig.  3):  reca  sulla  spalla,  in  color  nero,  un 
meandro  ad  onda,  e  bastoncelli  neri  tanto  al  collo  quanto  sul  coperchio;  nella 
tomba  XXXV,  i  vasi  d  ,  ed  e ,  con  un  orcio  rustico  alto  m.  0,20  ed  un'anforetta 
a  labbro    imbutiforme,  alta  m,  0,13;   nella  tomba  XXXVI,   i  vasi  e  e  d,  con  uno 


REGIONE    I.  —   295   —  POMPEI 


skyphos  ed  il  balsamario  riprodotto  nella  figura  5,  e  :  esso  reca,  in  color  nero,  baston  - 
celli  al  collo  ed  alla  base  ed  il  meandro  ad  onda  sulla  spalla;  nella  tomba  XXXVIII, 
i  rasi  e  e  d,  con  un  balsamario  ovoidale,  una  lucerna,  e  due  pesi  di  terracotta, 
piramidali,  forati  al  sommo. 

Naulon.  Le  cure  più  assidue  e  diligenti  furono  spese  per  la  ricerca  delle  monete 
in  queste  tombe  preromane,  ma  solamente  in  11,  sopra  le  44  tombe,  la  monetina 
c'era:  in  nove  tombe,  una  moneta  sola;  in  due  altre  (tombe  IV  e  XII),  due  monete. 
Resta  confermato  per  questo  rispetto  il  dato  statistico  già  assodato  con  l'esplorazione 
dei  due  precedenti  gruppi  di  tombe  pompeiane  coeve:  il  primo  gruppo  diede,  su  9 
tombe,  2  monete  (');  il  secondo,  sopra  16  tombe,  4  monete  (*);  il  rapporto  adunque 
è  costantemente  1  : 4,  ovvero  1  : 5.  Ecco  le  monete  (*).  Nella  tomba  VI  un  piccolo 
bronzo  di  Neapolis  col  tipo  del  tripode  e  leggenda,  perduta  (cfr.  British  Museum, 
Catalogne,  Italy,  pag.  113,  n.  195);  nella  tomba  VII,  un  medio  bronzo  campano 
molto  logoro,  epperò  d' impossibile  identificazione  (testa  virile  a  d.  ;  toro  campano  a  d.)  ; 
nella  tomba  XII  un  bronzo  di  Nuceria  :  testa  giovanile,  e  levriere  corrente  a  destra 
WVH03(Tfl8N>IN  WVH)I(]>DVH  (Br.  Mus.  Cat.,  ibid.,  pag.  123,  n.  9);  nella  stessa 
tomba  XII  e  nelle  tombe  XVI,  XXXII  e  XXXIV,  rispettivamente,  una  piccola  mo- 
netina d'argento  scifata,  di  Phistelia  (Br.  Mus.  Cat..  ibid.,  pag.  129)  ;  nella  tomba  XX, 
un  piccolo  bronzo  di  Massilia  nella  Narbonese:  testa  laureata  a  d.  (perduta);  toro 
cozzante  a  d.  e  leggenda  MAZZ  (L.  De  la  Saussaye,  Num.  de  la  Gaule  Naro., 
tav.  VI,  n.  304  segg.);  nella  tomba  XXVIII  un  bronzo  di  Irnum:  Testa  di  Apollo 
laur.  a  d.  ;  toro  a  volto  umano,  IDN®I  (Br.  Mus.  Cat.,  ibid.,  pag.  127,  n.  1);  e  nella 
tomba  XXIX  un  piccolo  bronzo  di  Neapolis:  testa  di  Apollo  e  metà  anteriore  del 
toro  a  volto  umano  (cfr.  Br.  Mus.  Cai.,  ibid.,  pag.  112,  cfr.  n.  180  segg.).  Il  naulon, 
in  conformità  di  un  costume  già  tante  volte  riscontrato  (*),  era  collocato  o  nella  mano 
destra  del  defunto  (tombe  IV,  VI,  XXVIII  e  XXIX),  o  in  bocca  (tombe  IV,  XII, 
XVI,  XX,  XXXII  e  XXXIV):  la  seconda  moneta  della  tomba  XII  era  deposta  in 
uno  dei  vasi  del  corredo  funebre,  in  un'olpe  ;  la  moneta  della  tomba  VII  non  si  può 
sapere  dove  era  deposta,  perchè  la  fossa  era  stata  già  in  parte  sconvolta  dagli  antichi 
stessi. 

Iscrizioni.  Sul  collo  di  una  delle  anfore  impiegate  per  la  copertura  della  tomba  XIII 
fu  letto  il  seguente  nome  in  grosse  lettere  gialle,  tracciate  col  pennello: 

L  •  SAF 


(')  Sogliano,  op.  cit.,  pag.  210. 

(')  Ibidem,  pp.  220,  221,  223  e  226. 

(3)  Per  le  tre  monete  (due  di  bronzo,  di  Neapolis,  e  ima  d'argento,  di  Phistelia)  trovate  nelle 
prime  quattro  tombe,  cfr.  Notitie,  an.  1911,  pp.  109  e  110:  tomba  III,  Neapolis;  tomba  IV  Neapolis 
e  Phistelia. 

(*)  Diligentissime  ed  ampie  ricerche  in  proposito  ha  pubblicate  recentemente  il  eh.  dottor 
Francesco  Galli,  Appunti  e  ricerche  sul  rito  funebre  del  Naulon,  in  Atti  della  R.  Accademia  di 
Napoli,  N.  S„  voi.  V,  an.  1916,  cfr.  pag.  90  e  114. 

Notizib  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  39 


POMPEI 


—  29«3  — 


REOIONE   I. 


e  sopra  uà  frammento  di  tegola  della  tomba  XLIII.  il  bollo  osco  in  lettere  rilevate 
che  qui  viene  riprodotto  nella  fig.  7. 


Fio.  7. 

2.    Sepolture  romane. 

Consistono  ordinariamente  in  un'olla  rustica  di  terracotta,  alta  m.  0,15-0,30,  ora 
ovoidale  senza  anse,  ora  a  forma  di  sfera  depressa  a  due  anse  (fig.  8  a,  b),  sempre 


Via.  8. 


chiusa  con  un  coperchio,  il  cui  orlo  spesso  è  saldato  all'orifìcio  mercè  l'impiego  di 
un  po'  di  argilla  molle.  L'olla  contiene  il  grosso  dei  resti  del  rogo:   poca  cenere  e 


REGIONE    I. 


—  297  — 


POMPEI 


molte  ossa,  fra  le  quali  si  rinviene  spessissimo  una  moneta,  e  qualche  volta  piccoli 
oggetti,  quali  una  o  più  boccette  di  vetro  o  di  terracotta,  o  una  lucerna,  o  altro 
oggetto.  La  lama  di  ferro  e  la  boccetta  di  vetro  semifusa  dal  fuoco,  riprodotte  nella 
fig.  9,  provengono  dalla  sepoltura  n.  90;  e  dalla  tomba  92  proviene  una  lucerna  cir- 
colare senz'ansa,  con  fuga  di  lepri  a  rilievo  nel  disco  (fig.  4  a).  Scavata  una  buca 
circolare,  che  di  rado  giungeva  ad  una  profondità  maggiore  di  1  metro,  vi  si  gettava 
nel  fondo  quel  tanto  delle  ceneri  che  non  s'era  potuto  chiudere  nell'olla,  e  poi  questa, 
che  era  già  pronta,  veniva  deposta  in  fondo  al  pozzetto.  Due  olle,  e  non  una,  si  sono 
trovate  nelle  tombe  31,  40  e  46,  sovrapposte  ovvero  accostate:  trattasi,  a  parer  mio, 
sempre  di  un  corpo  solo,  di  cui  si  vollero  custodire  tutti  gli  avanzi  senza  disper- 
derne la  minima  parte.  In  un  gran  numero  di  deposizioni,  e  nell'atto  stesso  che 
il  pozzetto  veniva  ricolmato,  allo  scopo  ben  noto  di  far  partecipe  il  morto  delle  pe- 


Fio.  9. 


riodiche  libazioni,  fu  posato  verticalmente  sul  coperchio  dell'olla  un  tubo  di  terra- 
cotta, fatto  ora  di  colli  d'anfora  sovrapposti,  ora  di  embrici  accoppiati,  ora  di  cilindri 
cavi  appositamente  costruiti,  il  quale  metteva  capo  al  piano  della  necropoli,  ed  era 
ivi  otturato  con  un  tappo  di  terracotta  o  di  pietra,  nel  mezzo  o  di  una  lastra  di 
marmo,  o  di  due  blocchetti  di  tufo  o  di  pietra.  Un  differente  sistema^hanno  offerto 
alcune  sepolture,  nelle  quali  le  ceneri  non  furono  raccolte  in  un'urna  qualsiasi,  ma, 
o  vennero  deposte  nella  nuda  terra  (tombe  102,  103,  118  e  119),  o  vennero  ada- 
giate sopra  una  tegola  e  poi  coperte  con  un  vaso  di  terracotta  —  una  pelvi  nella 
tomba  3  —  ovvero  furono  sparse  nel  fondo  di  una  fossa  rettangolare,  e  protette  con 
doppio  filare  di  tegole  in  due  pioventi  (tombe  13,  20,  66,  101,  106  e  111).  Nelle 
tombe  13,  66,  104  bis,  108  e  109  le  olle  erano  nel  sottosuolo  coperte  con  una  solida 
massicciata  in  muratura,  ciò  che  le  garantiva  definitivamente  dal  pericolo  di  un'even- 
tuale dispersione,  la  quale  poteva  verificarsi  qualora  una  posteriore  deposizione  ca- 
pitasse in  quel  punto  stesso. 

A  contrassegnare  il  sito  delle  sepolture  erano  adoperate  delle  stele  o  cohrmelle 
quasi  sempre  foggiate  rusticamente  a  busto  umano,  di  pietra  vesuviana,  rustiche,  e 
anepigrafi;  rare  volte  di  tufo  o  di  travertino;  più  spesso  di  marmo  e  con  l'iscrizione. 
Di  95,  sopra  tutte  le  119  sepolture,  si  è  trovata  la  stele  fuori  terra;  nelle  24  sepolture 
rimanenti  è  molto  probabile,  secondo  me,  che  la  itele  vi  fosse  stata,  ma  non  ha  lasciato 


POMPEI 


298  — 


REGIONE    I. 


di  sé  alcuna  traccia  perchè  di  legno.   Fra  le  columelle  di  marmo  le  più  leggiere 
recano  quasi  sempre  alla  base  un  foro  circolare  attraversato  in  origine  da  un  breve 


Fia.  10.  Fia.  11. 

asse  di  legno  il  quale,  caricato  di  pietre  o  murato  a  fior  di  terra,  assicurava  meglio 
al  suolo  simili  monumentini.  Fra  le  stele  di  pietra  vesuviana  parecchie,  corrispondenti 


REGIONE    1. 


—    299   — 


POMi'EI 


a  tombe  di  donne,  recano  all'occipite,  rusticamente  scolpito,  un  grosso  nodo  di  capelli 
(fig.  10);  fra  quelle  di  travertino,  una  ha  anche  le  treccie  ai  lati  (tìg.  11).  Scul- 
ture vere  e  proprie  sono:  un  busto  muliebre  in  tufo,  della  tomba  64  (tìg.  12),  e  gli 
avanzi  di  una  statua  muliebre  in  tufo,  della  quale  si  sono  trovati  sparsi  pochi  fram- 
menti, e  si  riproduce  la  sola  testa  (fig.  13). 


Fio.    12. 


Detto  delle  sepolture  più  umili,  passo  ora  a  quelle  altre  poche  cui  protessero 
fuori  terra  elementari  costruzioni  e  più  elementari  coperture.  Nella  tomba  1,  il  bu- 
stino-erma del  fanciullo  Tarpnos  (fig.  14)  si  elevava  dal  bel  mezzo  di  un  basso  re- 
cinto rettangolare  in  muratura,  largo  m.  0,56X0  87;  nella  tomba  4,  ai  lati  della 
columella  di  M.  h'pidius  Moaymus  si  ergevano  due  piccoli  muretti  cui  copriva  una 
unica  tegola  in  piano  orizzontale;  nella  tomba  7,  il  basso  podio,  largo  m.  1,05X0,75, 
di  opera  muraria,  era  coperto  con  un  arco  a  tutto  sesto  in  muratura,  proteggente  le 


POMPEI 


300    — 


REGIONE    I. 


tre  stele  marmoree  corrispondenti  alle  tre  olle  ivi  interrate:  altrettanto  ripetevasi 
nella  tomba  119  per  l'unica  olla  contenente  gli  avanzi  di  una  Glypte. 

Due  delle  costruzioni  più  nobili  e  solide  potevano  ambire  al  nome  di  sepolcri 
monumentali,  e  sono  le  tombe  66  e  104  bis.  Conviene  darne  un  breve  cenno. 


Fio.  13. 


Tomba  di  M.  Epidius  Dioscorus  (66).  Consisteva  di  un  podio  in  muratura, 
internamente  largo  m.  1,28,  profondo  m.  1,15,  elevantesi  dal  suolo  per  m.  0,40, 
chiudo  nel  fondo  e  coperto  con  volta  alta  m.  1,10  cui  sormontava  un  frontone  ripo- 
sante su  una  semplice  cornice  a  stampo.  Sopra  lo  stucco  bianco  rivestente  la  super- 
ficie interna  e  la  facciata,  rivolta  ad  occidente,  erano  le  seguenti  decorazioni. 
Facciata.  Lo  zoccolo  recava  dipinti  tre  lastroni  di  marmo  brecciato  (giallo-rosso), 
l'uno  nel  mezzo  del  podio  e  gli  altri  sui  piedritti  laterali;  da  ognuno  di  questi 
ultimi  nasceva  una  pianta  di  alloro  a  sette-otto  rami,  raggiungente  in  su  la  cornice 
terminale;  nel  frontone,  un  festoncino  verde  appiccato  ad  un  chiodo  centrale  (pitto- 


REGIONE    1.  —    301    —  POMPEI 

ricamente  espresso)  e  ricadente  in  due  brevi  scese  simmetriche.  Pareti  interne.  Mercè 
semplici  fascette  rosso-cupe,  o  verdi,  e  cornicette  gialle,  ciascuno  dei  tre  lati  era 
scompartito  in  rettangoli  orizzontalmente  disposti  con  un  quadretto  verticale  nel 
mezzo;  nella  lunetta  del  fondo  era  dipinto  un  pavone  di  prospetto  a  coda  spiegata. 
La  volta,  scompartita  a  scacchiera  mercè  l'incontro  di  listelli  normali,  formava 
49  quadrati  (7X7)  disposti  in  serie  alterne  (rosso-cupe,  gialle,  rosso  chiare)  secondo 
la  diagonale,  e  recanti  ciascuno  al  centro  un  fiore  verde  stilizzato.  Addossata  al  centro 


Fio.  14. 

della  parete  di  fondo  si  ergeva  la  stele  marmorea  di  M.  Epidio  Dioscoro,  alla  cui 
destra  affiorava  nel  podio  il  tubo  per  le  libazioni.  Questo  consisteva,  nel  primo  tratto, 
di  una  mezza,  robusta,  suspensura  di  terracotta,  alta  m.  0,50,  a  corpo  conico,  mu- 
rata nelle  fondazioni,  e,  nel  secondo  tratto,  di  due  embrici  accostati,  alti  m.  0,55, 
i  quali  raggiungevano  le  sei  tegole  adoperate  per  custodire  gli  avanzi  del  rogo.  Questi 
ultimi  erano  deposti  sopra  un  letto  di  m.  1,45X0,60,  scavato  a  m.  1,50  di  pro- 
fondità dalla  supertice  del  podio.  Al  disotto  del  menzionato  pavone  dipinto  era  trac- 
ciata col  carbone  l'epigrafe: 

LAVROBPM        [£.  Aur(elius)  ob  p.  m.  ?] 

Tomba  di    M.  Epidius  Antychus  e  delle  Vibiae  Pelagia  e  Crocine  (104W*). 
Anche  questa  era  una  tomba  a  nicchia,  come  la  precedente,  ma  più  armonica  nelle 


POMPEI  —    302    —  REGIONE    I. 

proporzioni,  tutta  rivestita  di  semplice  stacco  bianco  all'esterno  ed  all'interno,  e 
rivolta  a  sud.  Tre  stele  inscritte  in  corrispondenza  delle  tre  olle  deposte  nel  sotto- 
suolo. Sulla  parete  di  fondo,  in  alto,  era  disegnato  col  carbone  un  gladiatore  di  pro- 
filo a  destra,  armato  della  sica,  ed  accompagnato  da  questa  iscrizione  in  grosse  lettere  : 

PA- ••  VIVS  •  XIX- V 

Più  giù,  parimenti  col  carbone,  erano  disegnati,  di  profilo  a  destra,  due  falli 
eiaculanti,  il  primo  con  un  piccolo  fallo  sul  ghiande,  e  il  secondo  con  un  altro  pic- 
colo fallo  sull'asta:  erano  accompagnati  dalla  seguente  caratteristica  iscrizione,  per 
la  quale  cfr.  Inter,  gr.  insul.  tn.  Aegaei,  nn.  536-539. 

TAVTA  MOlH«?]  0![>]oMeN 

Prima  di  passare  oltre,  stimo  opportuno  fare  un  cenno  della  tomba  33,  nella 
quale  è  da  riconoscersi  un  vero  ed  interessante  caso  di  sopravvivenza  del  rito  del- 
l'inumazione in  periodo  romano  avanzato.  Vi  si  è  rinvenuto  lo  scheletro  di  un  fan- 
ciullo (con  la  testa  a  nord  e  i  piedi  a  sud),  sul  cui  torace  con  due  bottoni  azzurri, 
di  vetro,  forati  e  baccellati,  si  è  raccolto  egualmente  forato,  epperò  anch'esso  ridotto 
a  ciondolo  della  semplice  collanina,  un  grande  bronzo  di  Claudio  (Cohen,  n.  84). 

Sopra  due  frammenti  di  tegole  provenienti  dalla  tomba  13  si  è  letto  il  bollo 
in  lettere  rilevate  : 

^AB-5PI        (G.  I.  L.  X,  8042,  98,  e) 

e  sopra  un  collo  d'anfora,  usato  come  tubo  per  le  libazioni  nella  tomba  23,  si  è  letta 
l'epigrafe  nera  : 

Covn 

VET  (cfr.  CI.  L.  IV,  2565,  5536-5541)    * 

ÀVGVSTÀLI 

Titoli  funebri.  In  massima  parte  sono  incisi  e  rubricati  sopra  le  stele  di  marmo  ; 
pochi  sono  rusticamente  incisi  sopra  le  columelle  di  pietra  vesuviana,  di  travertino, 
o  di  tufo:  recano  un  considerevole  contributo  all' onomasticon  pompeiano: 

1. 1:         TERPNOS  t.  4:      MEPIDIVS  t.5:    M  •  EPID1VS  •  AM 

VIXANVI  MONIMVS  PINOMVS     (*»'c) 

(cfr.  fig.  14)  VIXANNXXX 

t.7a):     PHILETHVS  b)  :     LIVIA-CALLIOPE         e):      •  MARTI  ALI 

V-AN-N  •  XXX 


REGIONE    I. 


—  303  — 


POMPEI 


1. 13:      CORNELIA 

HELPIS-VANXXII 
(cfr.  fig.  11) 


t.  23:     LIBERALIS 
VIXITXVII 

ANNIS 


t.27:  C-NAEVI-M-F-HBN 

ACISCL  (tic) 


t.35:   N  PO?lD(ius?)  t.38:  LGEGANI 

COCLEA  (=Cochlias?)  VS  HYME 

FILIO  NAEVS 


t.42: 


FELIX 
VIX1T  ANIII 
II 


t.49:     VALERIAE  t.64:        TERTIA 

POTHINE     (tic) 


t.65:  MYTHVSEPIDI 
FLACCILIBVALXXV 


MEPIDIVS 
DIOSCORVS 


t.69:    IANVARIVs 
VIXANXXXV 


1. 104  bis,  a:  b: 

MEP1DIOANTYCHO 


VIBIA    PELAGIA 

VIXIT 
ANNIS  •  XXXX 


t.  81:  ATIMETVS 
V  •  ANN  •  XI 
VRBANAE 

MATRI 
CHRYSEROS 
FECIT  PATER 
PESVSCOSV1  (?) 


1. 104  bis,  e: 

VIVI  A  •  CROCINE  (tic)   t.  106  :  MEPIDIO 
VIXITALXXX  THYCHNI 


1. 107:   MAEMILIO 
MILO(»t?) 


t.108: 


EPIDIA 
LAIS 


1. 109:        EPIDIA 

EVODIA     (ne) 

VIX^NN-XIIX 


t.  110:     EPIDIAE 
VENERIAE 


t.  Ili:       EPIDIA  t.114:  PRIMIGENIA 

AGATE     (tic)  VIXANNXIIX 


t.  116:  L-LIV1NEI 
D,IXI 
[2W(«MXIP] 


1. 117:  FELICIOVA 
XXI1X 


t.  118:    GONVSVIX 
ANNIS  XXX 


1. 119: 


GLYPTE 
VIXAIIII 


Riassumendo,  sopra  i  trentadue  titoli  del  nostro  sepolcreto,  dieci  ricordano  membri 
della  famiglia  Epidia;  dodici  nominano  quindici  servi,  distinti  col  solo  cognomen; 
due  ricordano  donne  della  famiglia   Vibia:  e  i  rimanenti  otto  sono  relativi  ad  otto 

Notizie  Scavi  1916    -  Voi.  XIII.  40 


POMPEI 


ao* 


REGIONE    I. 


membri  (cinque  uomini  e  tre  donne)  di  queste  altre  otto  famiglie  pompeiane  :  Aemilia, 
Cornelia,  Gegania,  Livia,  Livineia,  Naevia,  Popidia  e  Valeria.  Gli  Epidii  sono 
in  assoluta  preponderanza  ed  attraggono  nell'orbita  della  loro  gente  parecchi,  se  non 
proprio  tutti,  i  quindici  defunti  privi  di  nomen.  È  da  concludersi  adunque  che  il 
sepolcreto  fu  gentilizio,  degli  Epidii  \  e  che  i  membri  singoli  delle  altre  famiglie 
indicate,  vi  trovarono  sepoltura  perchè  con  gli  Epidii  imparentati. 

Le  epigrafi  sepolcrali  fin  qui  trascritte,  e  che  hanno  l' importanza  considerevole 
additata,  già  di  per  sé  sole  recano  un  cospicuo  contributo  ali  epigrafìa  pompeiana: 
ma  l'assidua  diligenza  posta  nella  esplorazione  di  ogni  più  piccola  zona  di  terra  del 


Fio.  15. 


recinto  doveva  portare,  ed  ha  portato,  il  suo  atteso  frutto  in  una  peculiare  serie  di 
monumentini  di  piombo  (le  tabulae  de/tzionum)  finora  assolutamente  mancanti  nella 
epigrafia  pompeiana,  sebbene  non  sia  questo  il  primo  sepolcreto  incontrato  e  scavato 
fuori  le  mura  di  Pompei  ('). 

Tabulae  defixionum.  La  prima  fu  raccolta,  quasi  a  fior  di  terra,  davanti  alla 
columella  anepigrafe  della  tomba  10:  consiste  di  due  lamine  di  piombo,  larghe  cia- 
scuna m.  0,08X0,05,  accostate  (fig.  15),  attraversate  in  due  angoli  del  margine  da 
due  chiodetti  che  le  tenevano  ben  ferme  l'una  all'altra,  e  cinte,  nel  senso  della  mi- 
nore lunghezza,  da  un  nastrino  di  piombo:  iscritte  sono  tutte  le  facce,  ed  iscritto 
era  anche  il  nastrino  (andato  in  frantumi),  a  piccole  lettere  incise  con  punta  metal- 
lica. Esibisco  qui  un'accurata  riproduzione  di  quella  parte  del  testo  che  non  senza 


(')  Prescindendo  dalla  necropoli  monumentale,  rappresentata  da  gruppi  più  o  meno  numerosi 
di  tombe,  erette  immediatamente  fuori  ciascuna  delle  porte  della  città,  intendo  riferirmi  al  sepol- 
creto del  fondo  Pacifico  (Sogliano,  Notisie,  1886,  pag.  333  segg.;  1887,  pag.  33  segg.,  e  pag.  452 
segg.;  Mau,  Roem.  Mitth.,  1888,  pag.  120  segg.);  e,  più  specialmente,  al  vasto  sepolcreto  del  fondo 
Santilli  (Sogliano,  Notisie,  1893,  pag.  333  segg.;  Mau,  Roem.  Mitth.,  1894,  pag.  62  segg.,  e  1895, 
pag.  156  segg.). 


REGIONE    1. 


305    — 


POMPEI 


grande  fatica  mi  è  riuscito  di  leggere  e  trascrivere.  Nella  superficie  interna  (fig.  16), 
si  legge  il  testo  seguente  : 


rnwu 


jSImà/  K  F£TTOifó 


Osmio,»  cui  l(|)  w  fWMHJ'/N'ffl 
vru-  /.m-A//;  /\A  (  \/6PA)-A«S 

yru^c  lui  a„/AT-&KA«r 


^^P^/^m^^i^ 


^HfclOJv^ 


rrn 


W/lf~/\i  Milli  NUl  (tlA^, 
\//./,\il  ll(  l'0flfl'l|:n^W 

(|\/M,V  u  0'\'AA/,\/V    ';^ 

/\  p'<y/.(  £  AJ-I-»m''(» 

frFtTTM\TT7V.TG:,, 


Fio.  16. 


1 

Plematio  .  hostili .  facia 

• 

Capilu  .  cerebru  .  flatus  .  ren(es) 
Ut  ■  Hai  .non  .  incedei 

5 

Q'/i  .  ilaec  (?)•••  odiu  .  v 

Ut .  Me .  ilac  .  odiat .  corno .... 

Aec  .  nec  .  agere  .  ne  .  Hai 

Qui  .qua.  agere  .  posti .  ula  . . . 
?. .  .os  .  Plematio  .  hosti(li). .  . . 

, 

10 

i 

ìvtf  •  vpi 


Nec    agere .  nec  .Un 

Ula  res  .  posit  .  pete 

Quai .  ego  .  urna 

Comodo  .  is  .  eis  .  desert 

Ilaec  .  deserta  .  sit .  cuno 

A.D.N.C.C.N.r.  dificdos  a 


die  .  ilaec  deser 


Nel  rigo  7  della  tavola  destra  sembra  indicata  la  data  [a{nté)  d(iem)  n(onum) 
c(alendas)  N(ovembris)  ?].  Dificdos  =  defictos. 

In  quanto  alla  superfìcie  esterna,  nella  quale  soltanto  qualche  parola  è  possibile 
distinguere,  mi  limito  ad  esibirne  il  semplice  disegno  (fig.  17). 

La  seconda  tavoletta,  consistente  di  una  strisciolina  di  piombo  larga  m.  0,023, 
lunga  m.  0,08  (fig.  18),  si  è  trovata  deposta  sull'olla  della  tomba  29,  ma  in  così 
avanzato  stato  di  ossidazione,  da  non  consentire  la  lettura  pur  di  una  lettera  del  suo 
brevissimo  testo,  consistente  forse  in  un  semplice  nome  :  in  uno  dei  suoi  capi  è  tuttora 
infisso  un  grosso  chiodo  di  bronzo. 

La  terza,  consistente  di  una  lamina  sola,  larga  m.  0,08  X  0,06  (fig.  19)  fu  rin- 
venuta interrata  accanto  alla  stele  di  Gonus  (tomba  118).  Pochissimi  sono  i  segni 
che  vi  si  scorgono:  fra  essi  sembrano  chiari  i  seguenti  VKAAAIA  che,  secondo 
me,  stanno  per  KAAYAIA,  e  ci  additano  la  persona,  una  Claudia,  in  danno  della 
quale  la  tavoletta  fu  redatta. 

Naulon.  Di  fronte  al  rapporto  1:4  o  1:5  delle  tombe  preromane,  qui  il  rap- 
porto sale  quasi  ad  1:1,  riconfermando  il  dato  già  acquisito  della  larghissima  diftu- 


POMPEI 


—  306  — 


REGIONE    I 


sione  avuta  nella  età  imperiale  dal  rito  del  tributo  a  Caronte  ('):  sommano  difatti 


'V, 


a  n<  Averli 


vti/"nui/\ 
a/ il  (<4tf5 '*  'M 


r    ()t\f  l« 

t  OA/\0i>i  'HO 
(l  \^  //L    ^)( 

I  Ai\/(|V\i" 

')icO<Wsii  (  'KY  7" 

"  //\/  CIÒ  '  vi 


Fio.  17. 


Fio.  18, 


C*\0        ? 

KAA.A.I  A- 


Fa.  Jj. 
a  settantuno  i  bronzi  venuti  fuori  da  67  sopra  le  119  sepolture  della  piccola  necropoli 
(•)  Fr.  Galli,  op.  cit.,  pp.  107  e  114. 


REGIONI    I.  —   307    —  POMPEI 

(in  quattro  casi  —  tombe  30,  41,  83  e  118  —  si  sono  trovate  due  monete);  e  sono 
le  monete  più  varie  in  quanto  a  provenienza,  e  generalmente  molto  consunte:  fre- 
quente è  il  ricorso  della  sola  metà  di  un  asse  repubblicano  spezzato  in  due. 

a)    Monete  greche   (quattordici). 
Atene:  t.  12:  0  Testa  di  Zeus  a  d. ;   9  Testa  di  Dionysos  coronato  di  edera  A 

(British  Museum  Cat..  Attica,  Athen,  pag.  86,  nn.  604-607). 

Bitinia,  Re  Prusias  II:  t.  30:  1?  Testa  di  (?)  a  d.  ;  9  Ercole  incedente  a  sin.  con 
la  clava:  (nPOYCI)OY  -  (BA)«lAE(il?)  (ibid.,  Pontus  etc,  pag.  210,  n.  3). 

Samo:  t.  63:  Uf  Testa  di  Hera  ad.;  9  Pavone  sopra  caduceo;  sotto:  («AMl)flN 
(ibid.,  Ionia,  Samos,  pag.  369,  n.  201). 

Iudaea,  Erode  Magno:  t. 76: 1?  Elmo  piumato  e  caduceo;  9  Grappolo  d'uva  e  leg- 
genda: HPUJAOY(?)  (Fioretti,  Cat  mon.  gr.,  pag.  127,  n.  11583-84). 

Temno  (Eolide):  t.  79:  B"  Testa  di  Dionysos  coronato  di  edera  ad.;    9  Minerva 

con  Vittoria  nella  d.  protesa  e  scudo  presso  le  gambe  ]]  [)         (British.  Mus. 

Cat.,  Troas  etc,  pag.  143,  n.  10;  e  tav.  XXIX,  2). 
Corinto:  t.  81:  Vf  Testa  di  Giulio  Cesare  (leggenda  perduta),   contromarca:  mano 

aperta;    9  Pegaso  (ibid.,  Corinth  etc,  pag.  58,  n.  488). 
Tegea:  t.  100:  Vf  Testa  di  Aleus   (leggenda  perduta);    9  Pallade  dà   a   Cefeo   la 

lesta  di  Medusa:  (T)ErEAT(AN)  (ibid.,  Peloponn.,    Tegea,  pag.  202,  n.  20). 
Oeniadae:  t.  104bis:  0  Testa  di  Zeus  laur.  ad.;    9  Testa  del  bue  a  volto  umano, 

Acheloo,  a  d.  (poche  tracce  della  leggenda)  (ibid.,   Thessaly,  pag.  189). 
Cos:  t.  116:  I?  Testa  di  Asklepios  a  d. ;    9  Serpe  ravvolto  in  spire,  e  leggenda: 

(Kn)lnN-(E)YAPATo«Al  (ibid.,  Caria,  pag.  213,  n.  194). 

In  ciascuna  delle  t.  45,  47,  52,  96,  112  una  monetina  greca,  irriconoscibile. 

b)   Monete  greco-italiche  (sette). 

Paestdm:  t  11:  B»  Testa  di  Nike  alata  PAE-S;  9  Ramo  su  corona  :  QT-REIIVIR 
(British  Museum  Cat.,  Italy,  pag.  279,  n.  54). 

o  o 

Paestdm:  t.  16:   1?  Testa  di   Bacco  ad.   °;    9  Cornucopia  PAIS;  °    (triente)... 

o  o 

(ibid.,  pag.   274,  n.  8). 
Paestum  :  t.  46  :  1?  Testa  di  Tiberio  a  d.,  lituo  ;  9  Statua  a  sin.  con  lungo  scettro, 

C/V\L<DOì''  PAES  (ibid"  Pa£-  282'  n-  80'  cfr-  n-  78>- 

Brdttii  :  t.  34  :  D"  Testa  di  Giove  laur.  a  d.  ;    9  Aquila  ad  ali  spiegate  (leggenda 

perduta)  (ibid.,  pag.  328,  n.  75  segg.). 
Cales:  t.  41:  1?  Testa  di  Minerva  a  sin.  %;    9  Gallo  incedente  a  d.,  CALE  NO, 

astro  (ibid.,  pag.  80,  nn.  26-28). 
Irndm:  t.  82:  V>  Testa  di  Apollo  laur.  a  d. ;  9  Toro  a  volto  umano  a  sin.;  tracce 

della  leggenda  (ibid.,  pag.  127,  n.  1). 


POMPEI  —    308    —  REGIONE    1. 


Irnum:  t.  98:  D  Testa  di  Apollo  laur.  a  d.;  9  Toro  a  volto  umano  a  sin.;  IDNOI 
(ibid.,  pag.  127,  n.  1). 

e)  Monete  romane,  della   Repubblica  (trentadue). 

Un  grosso  asse,  battuto,  dai  tipi  ora  più  ora  meno  visibili  del  Giano  e  della 
prora  di  nave,  si  è  rinvenuto  nelle  tombe  3,  23,  29,  31,  58,  66,  85  e  118;  mezzo 
asse,  ottenuto  mercè  frattura  nel  senso  del  diametro,  nelle  tombe  38,  40,  41,  42, 
54,  60,  74,  75,  83  (due  metà)  e  86;  un  semisse  nelle  tombe  25,  78  e  84;  un  triente 
nella  tomba  109;  un  quadrante  nelle  tombe  70,  71,  73,  97,  99  e  118;  un'uncia 
nelle  tombe  50,  117  e  accanto  alla  tomba  34. 

d)   Monete   imperiali  (diciotto). 

Un  grande  bronzo  di  Giulio  Cesare  e  Ottavio  (Cohen,  n.  3)  si  è  trovato  nelle 
t.  14,  24  e  48  rispettivamente;  un  medio  bronzo  di  Giulio  Cesare  (Babelon,  lulia,  7) 
nella  t.  103;  medii  bronzi  di  Augusto  si  sono  raccolti  nelle  tombe  seguenti:  17 
(Cohen,  378),  18  (ibid.,  473),  fuori  la  t.  21  (ibid.,  244),  e  nelle  t.  26  (ibid.,  470), 
30  (ibid.,  409),  32  (ibid,  378),  36  (ibid.,  446),  37  (ibid.,  473);  un  quadrante 
(Babelon,  Aelia,  8)  nella  t.  105;  medii  bronzi  di  Tiberio  nelle  t.  108  (Cohen,  Oct. 
Aug.,  228),  111  (ibid.,  225)  e  114  (ibid.,  228).  Le  due  monete  più  tarde  del  sepol- 
creto sono  di  Claudio,  e  vennero  fuori,  la  prima  dalla  t.  4,  grande  bronzo  (ibid., 
Claude  38),  e  la  seconda,  medio  bronzo,  dalla  t.  33  (ibid.,  84). 


In  quanto  alla  cronologia,  nulla  di  nuovo  c'è  da  osservare.  Il  terminus  a  quo, 
dato  dai  corredi  funebri  delle  nostre  tombe  sannitiche,  quasi  affatto  carenti  di  vasel- 
lame dipinto,  e  povere  finanche  del  vasellame  a  vernice  nera,  ci  porta  ai  principii 
del  III  sec.  ovvero,  al  massimo,  alla  fine  del  IV  (l);  il  terminus  ad  quem  è 
l'eruzione  Pliniana  che  seppellì,  con  la  città  e  la  contrada,  anche  questo  sepolcreto 
gentilizio. 

La  famiglia  Epidia,  proprietaria  del  sepolcreto,  è  fra  le  più  diffuse  e  distinte 
di  Pompei:  suo  unico  prenome:  M(arcus).  Dalle  epigrafi  lapidarie  è  noto  in 
primo  luogo  il  Duumviro-quinquennale  M.  Epidius  Flaccus,  in  carica  l'anno  40- 
41  insieme  con  Caio  Cesare  che  si  fece  rappresentare  a  Pompei  dal  praefectus  M.  Hol- 
eonius  Macer  (C.  I.  L.  X,  904);  e  poi  il  praefectus  iure  dicundo,  M.  Lucretius 
Epidius  Flaccus  (entrato  forse  per  adozione  nella  gens  Lucretia),  in  carica  l'anno 
34  d.  Cr.  (C  /.  L.  X,  901  e  902).  Liberto  di  uno  di  questi  due  magistrati  si  può 
considerare  essere  stato,  con  la  più  grande  probabilità,  il  Mythus  Epidii  Flacci  che 
trovò  sepoltura  nella  nostra  necropoli  (v.  a  pag.  303,  t.  65).  Viene  poi,  in  ordine  di 
dignità,  M.  Epidius  Sabinus,  la  cui  candidatura,  attestata  finora  da  più  di  50  pro- 

(*)  Cfr.  il  mio  primo  rapporto,  in  Notiti»,  an.  1911,  pag.  Ili  ;  e  Sogliano,  op.  cit.,  pag.  228 


REGIONE    I.  —    309    —  POMPEI 


grammi,  opperò  molto  vicina  all'anno  79,  apparisce  espressamente  favorita  dall'Orbo 
(C.LL.  IV,  768;  Notizie  1911,  pag.  428;  ibid.,  1913,  pag.  452,  n.  8)  e  caldeggiata 
dal  Commissario  di  Vespasiano,  T.  Suedius  Clemens  (C.  I.  L.  IV,  791,  1059;  Notizie 
1911,  pag.  428)  mandato  a  Pompei  per  rivendicare  al  Municipio  molti  terreni  usur- 
pati dai  privati,  specialmente  nell'area  dell'abolito  pomerium  (').  Una  Epidia  indi- 
stinta ricorre  come  raccomandante  nel  programma  C.  I.  L.  IV,  5740  ;  e  dall'  indirizzo 
sopra  un'anfora  che  contenne  miele  (CI.  L.  IV,  6610)  ci  vien  fatto  conoscere  un 
Epidius  Fortunatus,  il  quale  sarà  stato  forse  una  persona  sola  col  M.  Epidius  For- 
tunata, signator  iéìl'apocfia  lue.  CVIII,  7.  Parimente,  V Epidius  ffymenaeus,  che 
ricorre  anch'egli  come  raccomandante  in  tre  recentissimi  programmi  (cfr.  Notizie, 
Rapporto  di  Ottobre  1916),  sarà  stato  forse  una  persona  sola  col  M.  Epidius  ffyme- 
naeus dell' apocha  lue.  LXXVIl,  8.  Sempre  poi  dagli  atti  di  Cecilio  Giocondo  cono- 
sciamo come  creditores,  M.  Epidius  Pelops  (LXXXIII,  1  e  6)  e  M.  Epidius  Tro- 
phimus  (LXXXIV,  1),  e  questi  altri  che  intervennero  negli  atti  solo  come  testimoni: 
\  M  M.  Epidii  Bucolus,  Pagurus,  Secundus,  Stephanus,  Urbanus  e  quattro  altri  dal 
cognomen  ignoto  (2).  A  queste  abbondanti  e  varie  conoscenze,  che  già  avevamo  della 
diffusa  e  cospicua  famiglia,  lo  scavo  del  fondo  Azzolini  ha  arrecato  ora  il  notevole 
contributo  che  abbiamo  visto,  presentandoci  espressamente  distinti  col  gentilizio  (senza 
che  si  possa  decidere  a  quanti  altri  ancora  fra  tutti  gli  altri  individui  indistinti 
quivi  sepolti  non  spetti  il  gentilizio  stesso)  i  MM.  Epidii  Monimus,  Anphinomus, 
Dioscorus,  Antichus,  Thychnus,  Milhus,  e  le  Epidiae  Lais,  Euhodia,  Venerici, 
Agathe. 

M.  Della  Corte. 


(')  M.  Della  Corte,   Il   Pomerium  di  Pompei,   in   Rendic,  dei  Lincei,  ci.  mor.,  voi.  XXII, 
pag.  261  segg. 

(•)  Cfr.  C  /.  L.,  IV,  Tabulbe  cerala»,  index  nnminum,  pag.  439. 


ROMA  —   ctl  1    —  ROMA 


Anno  1016  —    Fascicolo  IO. 


I.    ROMA. 
Scoperte  di  antichità  nel  suburbio. 

Via  Portuense.  —  La  grande  piena  del  Tevere  del  febbraio  1915  fece  cadere 
una  parte  della  sponda  destra  del  fiume,  in  località  Pietra  Papa,  a  valle  del  nuovo 
porto  fluviale,  di  fronte  allo  stabilimento  della  Società  Anglo-Romana  per  la  illumi- 
nazione di  Roma. 

Nel  marzo,  ritiratesi  le  acque,  apparvero  in  quel  punto  avanzi  di  costruzioni 
antiche  ed  un  pavimento  in  mosaico  bianco  e  nero  con  figure  di  atleti  ed  iscrizioni, 
un  frammento  del  quale,  caduto  nel  fiume,  fu  raccolto  da  alcuni  pescatori  e  depo- 
sitato in  un'osteria  tenuta  da  un  certo  Natale  de  Prosperi,  cordaro  e  padrone  di 
barche  da  pesca. 

La  Direzione  degli  scavi  di  Roma,  dal  10  maggio  al  5  giugno  1915,  nel  tempo 
in  cui  la  magra  rendeva  più  agevoli  i  lavori,  fece  liberare  dalla  terra  gli  ambienti 
nei  quali  si  vedevano  i  pavimenti  a  mosaico,  che  fece  distaccare  con  l'opera  del 
restauratore  Belardino  Vettraino,  e  trasportare  nel  Museo  Nazionale  Romano.  Nel 
giugno  poi  di  quest'anno  1916,  essendosi  abbassato  il  livello  dell'acqua  oltre  il  con- 
sueto, si  sono  potuti  ricuperare  alcuni  altri  frammenti,  che  sono  venuti  ad  integrare 
in  parte  i  quadri  staccati  l'anno  scorso. 

L'edificio  al  quale  i  mosaici  appartenevano  era  una  terma  che  si  estendeva 
probabilmente  sotto  la  odierna  campagna  che  oggi  è  proprietà  in  parte  dell'Ospedale 
di  Santo  Spirito  e  in  parte  del  signor  Iacobini.  Gli  sterri  che  si  sono  praticati,  però, 
mirando  solo  al  ricupero  dei  mosaici,  si  sono  limitati  alla  ripa  del  Tevere,  e  a  quella 
parte  su  cui  passava,  prima  della  piena,  la  via  alzaia,  e  per  conseguenza  non  è 
stato  possibile  farsi  un'  idea  della  estensione  dell'edificio  né  della  pianta  di  esso. 
Peraltro,  data  la  vicinanza  immediata  del  Tevere  a  queste  terme,  le  cui  mura  giun- 
gevano fino  all'acqua,  può  sorgere  il  dubbio  che  esse  servissero  in  parte  per  stabi- 

Notizik  Scavi  1916  —  Voi.  XIII,  41 


roma  —  31 2  —  Roma 

limento  di  bagni  nel  fiume,  o  in  altri  termini  che  il  Tevere  fosse  la  piscina  natatoria 
di  queste  terme. 

Gli  ambienti  sterrati  sono  in  tutto  cinque.  Il  primo  e  più  meridionale  era  di 
forma  rettangolare  e  misurava  m.  5,85  X  2,25  ed  era  orientato  da  levante  a  ponente. 
Tutta  la  parete  orientale  e  parte  della  settentrionale  erano  interamente  distrutte.  Il 
pavimento  era  sostenuto  da  suspensurae.  Sul  terreno  era  una  gettata  di  cocciopesto 
sulla  quale  sorgevano  i  pilastrini  di  forma  quadrata,  col  lato  di  m.  0,22,  alti  m.  0,40. 
Sui  pilastrini  posavano  grandi  mattoni  di  m.  0,60  X  0,55,  che  sostenevano  un  masso 
di  cocciopesto  di  m.  0,22,  sul  quale  posava  il  pavimento  a  mosaico,  figurato  per  una 
lunghezza  di  m.  4,50,  a  sole  tessere  bianche  per  i  rimanenti  m.  1,35.  Nella  parete 
meridionale,  all'angolo  quasi  con  l'occidentale,  si  apriva  una  porta  con  soglia  di 
marmov  della  larghezza  di  m.  0,95,  che  dava  accesso  ad  una  cameretta  rettangolare 
di  m.  2,60X1.35,  con  le  pareti  costruite  a  sacco,  con  fascia  di  mattoni  tubulari, 
e  col  pavimento  in  mosaico  a  tessere  bianche  con  fascia  nera  intorno.  Così  l'ambiente 
principale  come  la  cameretta,  che  può  considerarsi  come  un'appendice  di  esso,  ave- 
vano un'intonaco  di  m.  0,035.  Un  mattone  che  posava  sui  pilastrini  portava  un 
bollo  con  la  data  consolare  del  125  dell'era  volgare,  inedito  nel  Corpus,  ma  di 
cui  si  conosce  un  altro  esemplare  trovato  in  via  della  Scrofa  ('). 

Il  secondo  ambiente,  del  quale  non  si  conosce  tutta  la  lunghezza,  perchè  in 
parte  franato  dal  lato  che  guardava  verso  il  Tevere,  misurava  m.  2,60X1,35.  Il 
pavimento  era  sorretto  da  suspensurae,  come  nel  primo  ambiente,  e  costruito  nel 
modo  medesimo;  i  mattoni  che  posavano  sui  pilastrini,  però,  erano  bipedali.  Le  pa- 
reti, costruite  in  mattoni  triangolari,  erano  coperte  d'intonaco  bianco  dello  spessore 
di  m,  0,035.  In  epoca  più  tarda  l'ambiente  fu  diviso  da  un  murello  in  parallele- 
pipedi di  tufo,  che  tagliava  il  secondo  scomparto  dal  pavimento  in  mosaico,  dove  era 
la  figura  con  la  iscrizione  [  Do]mestieus.  Per  procedere  al  distacco  dei  mosaici  si 
dovette  demolire  la  parete  settentrionale  di  questo  ambiente,  costruita  in  mattoni 
in  forma  di  triangolo  isoscele  di  m.  0,31  X  0,22.  Sopra  questi  mattoni  si  lessero  i 
bolli:  C.  I.  L.  XV,  445,  1228 e,  1839;  più  un  altro  che  credo  inedito: 

APRONETPAECOS 
D APOLLONI D 

Sono  la  maggior  parte  del  123,  due  del  126. 

Il  muro  demolito  divideva  l'ambiente,  di  cui  ora  ci  siamo  occupati,  da  un  altro 
orientato  anch'esso  da  oriente  ad  occidente,  la  cui  parete  orientale  era  interamente 
distrutta.  La  occidentale,  sola  superstite  intera,  con  paramento  a  cortina  di  mattoni, 
misurava  m.  4,40  di  lunghezza  per  m.  0.35  di  spessore.  La  parete  settentrionale, 
lunga  m.  1,70,  aveva  il  paramento  in  reticolato.  Le  pareti  occidentale  e  settentrio- 
nale si  incontravano  ad  angolo  ottuso.  Tutte  erano  coperte  di  intonaco  con  una  fascia 
rossa  in  basso.  In  questo  ambiente  si  rinvennero  avanzi  di  due  pavimenti  a  mosaico 

(»)  Notizie  degli  scavi,  1902,  pag.  396  (G.  Gatti). 


ROMA  —    313    —  ROMA 

sovrapposti,  l'inferiore,  di  cui  si  vide  qualche  frammento,  era,  a  quel  che  sembra, 
tutto  nero,  il  superiore,  di  cui  dirò  più  diffusamente  in  seguito,  era  a  decorazione 
geometrica. 

Ultimi,  nella  parte  settentrionale,  venivano  tre  piccoli  ambienti  normali  al  corso 
del  Tevere,  che  avevano  quasi  l'aspetto  di  un  corridoio  diviso  in  tre  sezioni.  Nel 
primo,  più  prossimo  al  Tevere,  lungo  m.  1,75,  largo  m.  1,54,  cinto  da  muri  in  reti- 
colato con  ricorsi  di  mattoni  nella  parete  di  fondo,  con  ricorsi  di  tufelli  parallele- 
pipedi nella  settentrionale,  si  trovava  un  chiusino  col  coperchio  circolare  del  dia- 
metro di  m.  0,42  ;  nel  pozzetto  sottostante  immetteva  un  canaletto  in  terra  cotta, 
largo  m.  0,13,  profondo  m.  0,15,  che  passava  sotto  tutto  l'ambiente.  Il  secondo 
ambiente  misurava  m.  1,69X1,54.  Nella  parete  settentrionale  pare  si  aprisse  in  ori 
gine  una  porta  con  spallette  in  mattoni,  larga  m.  1,50,  chiusa  posteriormente  da  un 
murello  composto  di  calce,  terriccio  e  detriti  di  tufo;  materiale  identico  fu  trovato 
nella  parete  meridionale,  in  cui  doveva  aprirsi  probabilmente  una  porta  corrispon- 
dente a  quella  della  parete  settentrionale,  Nella  parete  di  occidente,  costruita  in 
mattoni,  si  apriva  una  porta,  larga  m.  0,91,  che  metteva  in  comunicazione  questo 
secondo  ambiente  col  torzo  che  misurava  m.  2,90  X  1,54.  In  fondo  ad  esso  si  ele- 
vava una  volta  a  botte  a  sesto  ribassato.  Le  pareti  di  questi  tre  piccoli  ambienti 
avevano  un  intonaco  bianco  spesso  m.  0,03;  nel  mezzo  della  volta  poi,  lungo  la  impo- 
statura di  essa  sulle  pareti,  correvano  due  fasce  rosse. 

I  bolli  di  mattone,  raccolti  in  parti  essenziali  ed  originarie  dell'edificio,  por- 
tano, come  abbiamo  veduto,  date  degli  anni  123,  125  e  126  d.  e.  v.  ;  e  se  alla  data 
del  123  non  si  può  annettere  un  grande  valore  cronologico,  per  la  nota  ragione 
che  si  trova  ripetuta  innumerevoli  volte  in  monumenti  di  età  diversissima,  le  altre 
meno  comuni  ne  hanno  molto  maggiore.  Questi  bolli  adunque  ci  portano  ai  primi 
decenni  del  secondo  secolo  d.  e.  v.,  e  a  questa  età  conviene  bene  la  struttura  dei 
muri,  parte  in  reticolato  e  parte  a  cortina  di  mattoni,  cosicché  mi  sembra  lecito 
concludere  che  questo  edificio  termale  fu  costruito  nella  prima  metà  del  secondo  secolo, 
e  precisamente  nella  età  di  Adriano.  In  età  più  tarda  poi  fu  costruito  il  murello 
che  divideva  il  secondo  ambiente,  e  furono  chiuse  le  porte  dello  scompartimento 
centrale  di  quell'ultimo  ambiente  che  pare  un  corridoio. 

* 

*     ¥ 

Ma,  come  ho  detto,  il  maggior  interesse  di  questa  scoperta  è  fornito  dai  mo- 
saici in  bianco  e  nero  che  si  sono  rinvenuti  e  per  staccare  i  quali  si  è  fatto  lo  sterro. 

II  mosaico  (tìg.  1)  che  copriva  il  pavimento  dell'ambiente  che  ho  descritto  per 
primo,  in  parte  staccato,  in  parte  ripescato  nel  Tevere,  è  purtroppo  assai  frammentario. 

A  sinistra  è  un  uomo  di  età  piuttosto  matura,  con  piccola  barba,  interamente 
nudo  coi  capelli  rasati,  tranne  un  ciuffo  annodato  sulla  sommità  del  cranio  {cìrrus 
in  vertice).  È  di  profilo  a  destra  ed  in  atteggiamento  di  riposo  con  la  gamba 
sinistra  leggermente  ripiegata.  Sulla  testa  di  questo  personaggio  è  la  iscrizione 
CEPALAS.  Segue  una  lacuna  in  cui  rimangono  solo  nella  parte  superiore  del  mo- 
saico le  iscrizioni  CLYCON  •  CAPRETIO  ■  Sotto  l'A  di  Capretto  si  vedono  gli  avanzi 


ROMA 


—  314  — 


ROMA 


di  una  mano  con  le  dita  rivolte  in  su.  Segue  la  figura  di  un  atleta  di  profilo  a  si- 
nistra. Nudo  anch'esso,  coi  capelli  rasi  ed  il  cirrus  in  vertice,  tiene  con  le  due 
mani  la  tibia,  ed  accompagna  il  suono  con  un  movimento  di  danza.  Ai  lati  della 
testa  è  la  iscrizione  ANTICORCHIS,  di  cui  le  prime  cinque  lettere  sono  scritte  a 
sinistra,  le  altre  a  destra  del  capo  del  personaggio.  Sopra  questa  iscrizione,  nella 
stessa  fila  di  Capretio  si  legge  COLL1BAS.  L'ultimo  gruppo  a  destra  è  composto 
da  due  uomini  nudi  coi  capelli  rasi  ed  il  cirrus  come  gli  altri,  i  quali,  armate  le 
mani  di  caesti,  lottano  tra  loro.  Il  primo  di  essi,  a  cominciare  da  sinistra,  protende 
entrambe  le  braccia  in  atto  di  difesa,  l'altro  si  scaglia,  avanzando  la  destra,  e  spin- 


Fio.  1. 


gendo  indietro  il  braccio  sinistro  quasi  in  atteggiamento  di  uno  schermitore  moderno. 
Sulla  testa  della  prima  figura  è  scritto  MOSCAS,  sull'altra  SPIMlHAROS.  Ai  piedi 
delle  figure  si  vedono  linee  serpeggianti  che  vogliono  rappresentare  l'ombra  proiettata 
da  ciascun  personaggio.  Il  quadro  è  circondato  da  una  fascia  nera  lunga  m.  0,075, 
inscritta  in  una  fascia  bianca,  che  a  sua  volta  è  cinta  da  una  fascia  nera  che  toccava 
le  pareti  della  camera,  e  che  fu  ridotta  dopo  il  distacco  del  pavimento  a  m.  0,22. 
Il  mosaico  figurato  è  lungo  m.  4,50,  largo  m.  2,25.  A  questo  quadro  apparteneva 
pure  un  considerevole  frammento  ripescato  quest'anno,  che  forse  colma  in  parte  la 
lacuna  a  cui  ho  accennato  più  su.  Vi  si  vede  un  lottatore  che,  nel  combattimento, 
piega  le  ginocchia  ed  abbassa  le  mani  quasi  in  atto  di  difesa;  e  dietro  di  lui  un 
altro  personaggio  di  cui  rimane  solo  una  gamba. 

Anche  il  mosaico,  in  parte  frammentario,  dell'ambiente  che  ho  descritto  per  se- 
condo, rappresenta  una  scena  di  palestra  (fig.  2),  ed  anche  esso  è  circoscritto  da  una 
fascia  bianca  fra  due  nere.  Come  nell'altro  le  figure  sono  uere  su  fondo  bianco,  e 
linee  di  tessere  bianche  segnano  i  contorni  dei  muscoli  o  le  pieghe  dei  vestiti.  Anche 


ROMA 


—   315    — 


ROMA 


qui  le  ombre  sono  segnate  con  linee  nere.  A  sinistra  è  un  gruppo  di  due  lotta- 
tori nudi  e  coi  capelli  non  rasati.  Il  primo  avanza  verso  destra,  spinge  legger- 
mente in  dietro  il  braccio  destro  con  le  dita  tese  e  protende  il  sinistro,  toccando 
la  mano  destra  del  secondo  lottatore  che  avanza  verso  sinistra,  piegando  sul  petto 
l'avambraccio  sinistro.  Segue  quasi  di  prospetto  la  figura  di  uu  maestro,  vestito 
di  mantello  che  lascia  scoperta  la  spalla  destra.  Tiene  la  mano  destra  abbassata 
con   la    palma    aperta    e    l'avambraccio   sinistro   avvolto   nelle   pieghe    del    manto. 


Fig.  2. 


A  destra  è  conservata  la  parte  inferiore,  dalle  reni  in  giù,  di  una  figura  di  profilo 
a  destra. 

Di  questo  medesimo  quadro  doveva  far  parte  un  piccolo  frammento  in  cui  si 
vede  la  parte  superiore  di  una  figura  di  combattente  bruscamente  voltato  a  sinistra, 
dietro  la  quale  si  trova  una  specie  di  palmetta.  Ripescati  quest'anno  sono  pure  un 
frammento  con  una  gamba  ed  uno  con  una  testa  di  cui  non  si  può  stabilire  con 
esattezza  il  punto  in  cui  si  trovassero. 

Nella  parte  più  interna  della  camera  che  ho  descritta  per  seconda  era  un  altro 
quadro  che,  come  ho  detto,  fu  troncato  da  un  murello  di  epoca  tarda.  Demolito  il  mu- 
rello  non  si  potè  ricuperare  che  un  frammento  (fig.  3)  in  cui  si  vede  una  figura  maschile 
in  piedi,  priva  della  testa  e  della  parte  superiore  del  torace  ;  è  di  profilo  a  sinistra  ; 
veste  una  tunica  rimboccata  nei  fianchi,  con  una  borchia  sul  petto,  ed  alti  calzari 
allacciati  :  tiene  il  braccio  destro  abbassato,  ed  il  sinistro,  ora  quasi  del  tutto  per- 


ROMA 


—   316   — 


ROMA 


duto  eia  alzato.  A  sinistra  restano  le  gambe  di  una  figura  nuda.  Tra  le  due  figure 
si  legge  la  iscrizione: 


D  O 
MESTI 
CVS 

Nell'ambiente  cbe  ho  descritto  per  terzo  si  vedevano  due  strati  di  mosaico  uno 
sull'altro,  l' inferiore  era  a  tessere  nere,  quello  che  lo  copriva  invece  ha  una  elegante 
decorazione  geometrica,  composta  di  tanti  circoli  neri.  Neil'  interno  di  ciascun  circolo 
sono  inscritti  quattro  gruppi  di  due  steli  ciascuno,  che  sorgono,  si  accostano  e  si 
ripiegano  in  volute;  dall'incontro  dei  due  steli  sorge  una  specie  di  foglia  di  olivo, 
che  tende  verso  il  centro  del  circolo,  ove  è  un  cerchiello  da  cui  si  staccano  quattro 
cuspidi  lanceolate.  I  cerchi  erano  uniti  tra  loro  da  brevi  linee  rette.  Nello  spazio 
che  risulta  dell'incontro  di  quattro  circoli  è  un  gruppetto  di  quattro  foglie  di  tri- 
foglio. Ciascun  circolo  ha  il  diametro  di  m.  0,65. 

L'esecuzione  di  questi  mosaici  è  generalmente  abbastanza  trascurata.  Quello  geome- 
trico che  ho  descritto  per  ultimo  è  relativamente  più  curato  degli  altri  figurati,  i  quali 
naturalmente  hanno  per  noi  maggiore  interesse,  sia  per  le  rappresentazioni  che  offrono,  sia 
per  le  iscrizioni.  Riguardo  al  contenuto  di  queste  rappresentazioni  agonistiche,  non 
è  necessario  che  io  mi  fermi  a  parlare  lungamente,  poiché  esse  non  rivelano  nessun 
elemento  nuovo,  che  non  sia  già  noto  da  altre  scene  di  palestra,  rappresentate  in 
mosaici  o  in  monumenti  di  altro  genere.  Riguardo  ai  tipi,  l'artista  che  eseguì  il 
nostro  mosaico  non  dovette  davvero  inventarli,  poiché  si  ritrovano  in  altri  monumenti 
e  risalgono  a  prototipi  assai  più  antichi,  come  è  in  generale  per  tutte  queste  figure 
di  atleti  rappresentati  in  parecchi  mosaici  romani  in  bianco  e  nero  (');  il  più  noto 
ed  ampio  dei  quali,  si  rinvenne  sotto  Tusculo,  nel  recinto  dell'eremo  dei  Camaldoli, 
in  una  camera  costruita  in  opus  reliculatum,  che  forse  apparteneva  a  quel  grande 
edificio  che  fu  già  dei  Furii  (2). 

(')  Un  elenco  di  questi  mosaici  è  in  Jahrb.  d.  Inst.,   1904,  pag.  127,  n.  1  (H.  Lucas).  Per  i 
tipi  degli  atleti  v.  in  generale  questo  articolo  del  Lucas. 

(■)  Riprodotto  in  Moti,  d.  Inst.,  VI- VII,  tav.  82;  e  quindi  in  Grossi-Gondi,  II  Tusculano  nel- 
l'età clanica,  tav.  III.  Una  prima  descrizione  è  in  Bull.  d.  Inst.,  1862,  pag.  179  segg.  (Pinder)  ; 


feOMÀ  —  31?  —  RÒ&tÀ 

Più  interessante  è  la  ricerca  intorno  alla  età  di  questi  mosaici.  L'edificio  a  cui 
appartenevano  è,  come  abbiamo  veduto,  del  secondo  secolo  d.  e.  v.,  e  precisamente 
della  prima  metà  di  esso;  abbiamo  in  ciò  un  terminus  post  quem  sicuro,  e  una  forte 
probabilità  che  i  mosaici  siano  da  attribuirsi  allo  stesso  tempo,  poiché,  infatti,  nei 
punti  su  cui  erano  piantati  non  sono  tracce  di  ricostruzioni,  e  sembra  lecito  pensare 
che  essi  costituissero  il  pavimento  originario.  Certamente  sono  anteriori  ai  riadatta- 
menti che  in  epoca  tarda,  ma  non  tardissima,  cioè  quando  in  quelle  regioni  era  attiva 
la  vita  sul  Tevere,  si  fecero  nell'edificio,  poiché  la  scena  in  cui  si  legge  la  iscrizione 
\_Dó]me$ticu$  fu  tagliata  da  un  murello  posteriore. 

L'esame  dello  stile  e  della  fattura  dei  mosaici  può  offrire  pochi  argomenti  cro- 
nologici. I  tipi,  come  ho  detto,  sono  anteriori  alla  stessa  età  imperiale  ('),  e  i  difetti 
di  disegno  che  vi  si  notano  sono  dovuti  principalmente  alla  esecuzione  grossolana  e 
perciò  possono  dipendere  non  tanto  dallo  stato  generale  dell'arte  quanto  dal  grado  di 
abilità  degli  artefici  (*),  i  quali,  nel  caso  nostro,  non  saranno  stati  sicuramente  i  più 
esperti  di  Roma,  poiché  si  trattava  di  fare  il  pavimento  in  un  edificio  termale  sub- 
urbano, che  non  doveva  essere  frequentato  dalle  persone  eleganti  della  capitale,  ma 
dai  trafficanti  sul  Tevere. 

I  nomi  che  si  leggono  sui  personaggi  del  primo  ambiente,  tranne  Glykon  e 
Spintharos  che  sono  prettamente  greci,  hanno  un  suono  piuttosto  strano,  ma  non 
forniscono  dati  sulla  cronologia  dei  mosaici. 

La  paleografia  delle  iscrizioni  si  adatterebbe  bene  ad  una  data  del  secondo 
secolo,  contemporanea,  cioè,  alla  costruzione  delle  terme.  È  un  alfabeto  volgare,  in 
cui  si  nota  una  certa  trascuratezza  dovuta  in  parte  alla  materia,  e  perciò  frequente 
nelle  iscrizioni  in  mosaico;  ma  la  forma  delle  lettere  conviene  bene  al  secondo  secolo. 
L'  A  come  la  prima  di  Cepalas  e  quella  di  Capretto,  secondo  la  forma  arcaica,  è 
comune  nella  scrittura  volgare  dell'  impero  e  si  trova  in  lapidi  sepolcrali  del  I 
e  del  II  secolo  (3);  l'À  come  la  seconda  di  Cepalas  e  quella  di  Spintharos,  nelle 
iscrizioni  dipinte  è  frequente  dal  secondo  secolo  in  poi  {*).  Il  lì  si  trova  anche  in 
iscrizioni  di  buona  epoca  (5).  Il  Q  di  Glykon,  proprio  della  scrittura  corsiva  e  come 
tale  usato  già  a  Pompei  e  ad  Alburnus  Maior  (*),  si  trova  anche  in  iscrizioni  lapi- 


una  più  ampia  illustrazione  in  Ann.  d.  fast.,  1863,  pag.  397  segg.  (Hirzel).  Di  queslo  mosaico  si 
occupa  principalmente  il  Lucas  nello  studio  citato  sopra.  Sul  luogo  della  scoperta  e  sulla  possi- 
bile appartenenza  ai  Furii  v.  Grossi  Gondi,  op.  cit.,  pag.  165  seg. 

(')  Il  cirrus  in  vertice,  peraltro,  non  si  vede  nei  monumenti  dell'arte  greca  più  antica;  è 
comune  in  quella  romana,  e  l'uso  era  certamente  noto  nel  primo  secolo.  Cfr.  Daremberg-Saglio, 
Dict.,  li  1,  pag.  520  seg.  (E.  Saglio). 

(*)  Per  la  difficoltà  di  datare  i  mosaici  con  argomenti  tratti  dall'esame  dello  stile  ved.  Darem- 
berg-Saglio, Dict.,  Ili,  2,  pag.  2089  seg.  (P.  Gauckler). 

(*)  v.  HObner,  Esempla  scripturae  epigraphìcae,  pag.  LIV. 

(*)  v.  Hubner,  op.  cit.,  pag.  LUI. 

(*)  Cfr.  Cagnat,  Cours  d'épigraphie  latine1,  pag.  13. 

(*)  Cfr.  Cagnat,  op.  cit.,  pag.  6  segg. 


ROMA  —   318   —  ROMA 

darie  fin  dal  secondo  secolo  (').  L'  H-  di  Spintharos  è  già  nel  primo  secolo  sui  bronzi 
e  dal  secondo  in  poi  sulle  lapidi  (*).  L' M  proprio  della  scrittura  corsiva  e  come  tale 
esistente  a  Pompei  (3),  è  divenuto  presto  di  uso  comune  nelle  lapidi. 

L'esame  del  mosaico,  dunque,  non  contradice  affatto  alla  cronologia  suggerita 
dalla  costruzione  dell'edificio,  onde  a  me  sembra  che  non  si  vada  lontano  dal  vero, 
attribuendone  la  esecuzione  al  secondo  secolo,  e  forse  piuttosto  alla  prima  che  alla 
seconda  metà  di  esso.  E  questa  datazione  mi  pare  avvalorata  anche  dal  fatto  che  il 
mosaico  a  decorazione  geometrica  del  terzo  ambiente  trova  un  riscontro  evidente, 
se  non  nei  particolari,  nel  concetto  informativo,  in  un  pavimento  dei  così  detti 
Ospitali  di  Villa  Adriana  {*). 

La  cronologia  di  questi  mosaici  è  importante  anche  per  quella  degli  altri  in  cui 
si  vedono  scene  di  atleti  e  specialmente  per  il  mosaico  tusculano.  Il  Pinder  (5),  suo 
primo  editore,  lo  attribuì  infatti  all'età  adrianea.  Lo  Hirzel  (6),  poi,  osservando  che 
le  figure  sono  disegnate  bene,  ma  la  esecuzione  è  rozza,  non  osò  consentire  col  Pinder 
e  pensò  piuttosto  alla  età  di  Caracalla,  notando  che  anche  il  mosaico  delle  terme 
antoniniane,  ora  nel  Museo  Lateranense,  è  rozzo  di  esecuzione.  Il  Lucas  (7)  infine, 
consente  con  lo  Hirzel,  e  aggiunge  che  se  il  mosaico  delle  terme  di  Caracalla  deve 
attribuirsi  al  IV  secolo  (8),  quello  tusculano  può  essere  al  più  presto  del  terzo.  Ma 
i  ragionamenti  dello  Hirzel  e  del  Lucas  non  sono,  a  dir  vero,  molto  persuasivi; 
poiché  essi  prendono  come  unico  fondamento  della  loro  cronologia  non  tanto  il  disegno 
quanto  la  esecuzione,  giudicando  il  pavimento  di  una  camera  di  campagna  di  cui 
non  sappiamo  nemmeno  la  destinazione,  alla  medesima  stregua  di  un'opera  dell'arte 
maggiore.  Ora,  osservando  le  affinità  fra  i  due  mosaici,  e  ricordando  che  anche  quello 
dei  Camaldoli  fu  trovato  in  una  camera  costruita  in  reticolato,  penso  che  sia  lecito 
restituire  al  secondo  secolo  anche  il  mosaico  tusculano. 

* 

Fra  il  10  ed  il  14  di  settembre  del  1915  si  procedette,  per  cura  della  Direzione 
degli  scavi  di  Roma,  alla  estrazione  di  due  cippi  terminali  del  Tevere  che  si  vede- 
vano incastrati  nella  sponda  destra  del  fiume  in  località  Pian  due  Torri,  a  valle  della 
località  Pietra  Papa,  nella  quale  si  distaccarono  i  mosaici  di  cui  si  è  parlato  dianzi. 

I  cippi  di  travertino,  che  furono  trasportati  nel  Museo  Nazionale  Romano,  ove 
ora  si  conservano,  misurano  uno  m.  2,75X0,95X0,50,  l'altro  m.  2,45X0,95X0,50. 
Erano  certamente  a  posto  e  distavano  fra  loro  m.  1,30.  Sulla  sponda,  fra  i  due  cippi. 


(')  v.  HQbner,  op.  cit,  pag.  LVIII,  e  Cagnat,  op.  cit,,  pag.  16. 
(*)  v.  HQbner,  op.  cit.,  pag.  LVIII,  e  Gagnat,  op.  cit.,  pag.  16. 
(sj  t.  HQbner,  op.  cit.,  pag.  LXII,  e  Cagnat,  op.  cit.,  pag.  7. 
(*)  v.  Gusman,  La  villa  a" lladrien  prts  de  Tivoli,  pag.  117,  n.  24,  e  fig.  73. 
(')  Bull.  d.  Inst.,  1862,  pag.  180. 
(•)  Ann.  d.  Inst.,  1863,  pag.  411. 
(')  Jahrb.  d.  Inst..  1904,  pag.  127,  n.  3. 

(*)  Per  la  data  di  questo  mosaico   cfr.  Nogara,  1  mosaici  dei  palazzi   Vaticano  e  Laterano, 
pag.  2;  Helbig,  Fùhrer*,  II,  n.  1240,  pag.  53. 


ROMA  —   810   —  ROMA 

si   vedevano  alcuni  ruderi  di  costruzioni  antiche.   In  tempo  di  magra  si  potevano 
leggere  le  prime  due  o  tre  righe  delle  iscrizioni 

Il  testo  delle  due  iscrizioni  che  qui  sotto  trascrivo  è  identico;  diversa  doveva 
essere  la  indicazione  della  distanza,  contenuta  nell'ultima  riga;  ma  essa  si  può  leggere 
solo  in  una  delle  pietre  essendo  l'altra  più  rovinata: 

EXAVCTORITATE 

IMP-  C  AESARIS  •  DI  V  I 

TRAIANI-    PARTHICIF 
DIVI-NERVAE- NEPOTIS 
5         TRAIANI-     HADRIANI 
A  V  G-  P  O  N  T   I  F/MAX  •  T  R  IB 
POTEST  ■  Vili   ■    IMPÌTTT-CoS.  iTT 
LMESSIVS  •  RVSTICVS-CVRATOf 
ALVEIET    RIPARVM    TIBERIS  ET 
10         CLOACARVM  V  R  BI  S   R  •  R  •  RESTITVIT 
SECVNDVM   •   PRAECEDENTEM 
iERMINATIONEMPROXIMI    CIPPI 
P  E  D   ■  V  I 


L'altezza  delle  lettere  è  la  seguente:  la  riga,  min.  62;  2a,  mm.  50-54;  3a 
e  4a,  mm.  50;  5a,  mm.  45;  6a,  mm.  35;  7*  9a,  circa  mm.  30;  10"-12»,  mm.  25; 
13a,  mm.  28. 

Il  testo  di  queste  epigrafi  è  sostanzialmente  simile  a  quello  degli  altri  cippi 
terminali  del  Tevere  dell'età  di  Adriano  (x);  uguale  è  il  nome  del  curator  L.  Messius 
Rusticus.  Ma  vi  è  una  differenza  che  richiama  in  modo  speciale  la  nostra  attenzione; 
infatti  mentre  nelle  altre  iscrizioni  è  indicata  la  quinta  tribunicia  potestas  di  Adriano, 
che  corrisponde  all'anno  121  d.  e.  v.  (10  dicembre  120-9  dicembre  121),  qui  troviamo 
segnata  la  tribunicia  potestas  Vili  che  ci  porta  al  124.  I  nostri  cippi  ci  rivelano 
dunque  una  seconda  restituzione  della  delimitazione  traianea  sotto  l'impero  di 
Adriano  della  quale  non  avevamo  notizia,  e  ci  attestano  pure  che  L.  Messius  Rusticus 
tenne  l'ufficio  di  curator  alvei  Tiberis  ecc.,  almeno  fino  al  124;  ciò  che  del  resto 
non  fa  maraviglia,  poiché  si  sa  che  questa  carica  ormai  da  un  pezzo  non  era  più 
annuale,  e,  per  esempio,  Tiberio  Giulio  Feroce,  il  celebre  curator  di  Traiano  la 
tenne  per  cinque  anni  almeno  (2). 

(«)  G.  I.  L,  VI,  1210  a-d  =  31552;  Dessau,  /.  L.  S,  5931. 

(2)  Per  tutto  ciò  clie  riguarda  le  terminazioni  del  Tevere,  v.  quanto  hanno  chiaramente 
esposto;  Ch.  Htielsen  in  G.I.L.,  VI,  pag.  3109  segg.,  e  G.  Gatti,  Archeologia  (estratto  da  Cin- 
quanCanni  di  storia  italiana,  Roma,  1911),  pag.  12  segg.  Per  la  durata  in  carica  del  curator 
cfr.  anche  Mommsen.  Droit  public,  trad.  Girard,  V,  pag.  348. 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  42 


ROMA  320    ROMA 

Naturalmente  non  è  possibile  conoscere  le  ragioni  che  indussuro  a  questa  nuova 
restituzione,  e  singolare  sembra  la  grande  vicinanza  dei  due  cippi  fra  loro.  A  me 
pare  che  possa  sorgere  il  dubbio  che  il  muro  perpendicolare  alla  sponda,  di  cui  si 
vedevano  gli  avanzi  fra  i  due  cippi,  corrispondesse  ad  una  divisione  di  proprietà  pri- 
vate, per  cui  fosse  necessario  porre  in  quel  punto  due  segni  di  delimitazione  tra  il 
pubblico  demanio  e  la  proprietà  privata. 

Anche  un'altra  indicazione  rende  interessanti  questi  cippi;  in  essi,  infatti,  come 
in  quelli  del  121,  Adriano  vi  è  designato  come  imperator  IV,  mentre  è  noto  invece 
che  su  tutti  gli  altri  monumenti  di  questo  imperatore  non  si  trova  ricordata  che 
soltanto  la  prima  acclamazione  imperiale  (imp.  II)  e  ciò  dal  135  in  poi  (')•  Di 
questo  fatto  nessuno  dei  dotti  che  hanno  illustrato  i  cippi  terminali  del  Tevere  ha 
potuto  dare  finora  una  spiegazione;  lo  Huelsen  si  è  contentato  di  notarne  la  singo- 
larità, e  il  Dessau  vi  ha  richiamato  solo  l'attenzione  dei  lettori.  Dopo  la  scoperta 
di  questi  ultimi  due  cippi  il  problema  assume  un  carattere  anche  più  complesso, 
poiché,  come  abbiamo  veduto,  essi  non  sono  contemporanei  agli  altri,  ma  posteriori 
di  tre  anni,  e  ciò  rende  meno  facile  la  ipotesi  che  si  tratti  soltanto  di  errore.  Sarebbe 
infatti  più  semplice  ammettere  un  errore  in  iscrizioni  contemporanee,  eseguite  forse  dallo 
stesso  lapicida,  che  non  pensare  che  esso  fosse  ripetuto  dopo  tre  anni,  tanto  più  che 
si  tratta  non  già  di  titoli  privati,  ma  di  atti  ufficiali  (*),  e  proprio  nella  capitale. 

F.  Fornari. 


(')  Sembra  che  Adriano  abbia  presa  la  prima  salutazione  imperiale  nel  135  o  al  più  presto 
verso  la  fine  del  134,  certamente  dopo  la  guerra  giudàica.  Cfr.  Pauly-Wissowa,  Realenc,  I,  1, 
ce.  500  e  514  (v.  Rohden),  De  Ruggiero,  Di*,  epigr.,  III.  e.  625  (Vaglieli),  Weber,  Untersuchungen 
zur  GeschichU  des  Kaiser»  Hadrianus,  pag.  180,  n.  843  e  pag.  266,  n.  1015.  La  indicazione 
impierator)  Il  in  una  lapide  del  132  (C.  /.  L.,  XII,  6024)  non  esiste  sulla  pietra,  ma  è  un  supple- 
mento dello  Hirschfeld. 

(•)  A  questo  riguardo  anche  il  Cagnat  ha  richiamato  l'attenzione  sul  carattere  ufficiale  dui 
cippi  del  Tevere,  nella  appendice  (pag.  481)  alla  terza  edizione  del  8uo  Court  d'épigraphie  latine. 
Non  trovo  ripetuta  la  osservazione  nell'ultima  edizione  di  questo  libro. 


REGHONB    I.  321    OSTIA 


Regione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

LATIUM. 

II.  OSTIA  —  Lavori  di  assetto  e  piccoli  trovamenti. 

Nei  mesi  estivi  i  lavori  agricoli  e  la  emigrazione  di  gran  parte  degli  operai  non 
consentono  lo  svolgimento  di  un  programma  di  scavi.  In  quest'anno  si  è  atteso  alla 
costruzione  di  una  cloaca  che.  valendosi  di  tratti  già  esistenti  di  antiche  fognature, 
possa  raccogliere  e  portare  al  Tevere  le  acque  che  d'inverno  non  di  rado  stagnano 
nell'orchestra  del  teatro.  Si  è  dovuto  a  tale  scopo  incidere  il  terreno  e  costruire  per 
intero,  la  fogna  non  solo  nell'ultimo  tratto  verso  il  fiume,  che  è  in  gran  parte  for- 
mato dagli  scarichi  dei  nostri  e  dei  precedenti  scavi,  ma  anche  nel  tratto  a  nord 
del  piazzale  delle  Corporazioni. 

Eseguendo  questo  taglio,  si  incontrarono  scarsi  avanzi  di  miseri  murelli  di  tarda 
età,  e  una  strada  anch'essa  tarda,  sotto  la  quale  passa  la  cloaca  antica.  L'andamento 
di  questa  e  le  sue  diramazioni  saranno  graficamente  tracciate,  quando  ne  sia  termi- 
nato lo  spurgo  al  quale  ora  si  attende. 

In  un  punto  a  nord  del  piazzale  delle  Corporazioni  l'antica  fogna  si  biforca, 
ed  è  accessibile  dal  piano  stradale  per  un  tombino  circolare;  là  presso,  circa  quattro 
metri  più  a  ponente,  essendosi  dovuto  approfondire  il  taglio  sotto  il  livello  dell'antica 
fogna,  a  circa  m.  3,50  dal  piano  attuale  di  campagna,  si  rinvenne  una  massicciata 
di  scaglie  informi  di  tufo,  probabilmente  pertinente  ad  un'antica  strada,  anteriore  alla 
costruzione  della  cloaca  e  che  doveva  seguire  a  un  dipresso  la  direzione  della  strada 
più  recente.  Non  fu  potuta  studiare,  per  essere  ora  tutta  sott'acqua  ;  ma  se  ne  ritras- 
sero frammenti  di  vasellame  etrusco-campano,  e  pezzi  di  intonaco  dip  nto  più  fine , 
per  composizione  e  per  ornamentazione,  di  quello  che  ritroviamo  sulle  pareti  delle 
case  ostiensi  rimaste  in  piedi. 

La  fognatura  pertanto,  che  noi  attendiamo  a  riattare,  devesi  ritenere  contempo- 
ranea al  secondo  generale  rialzamento  del  piano  di  Ostia,  di  cui  si  trovano  ora  mol- 
teplici testimonianze  nell'antica  città,  e  che,  per  parlare  dei  soli  monumenti  contigui 
a  questa  zona,  fu  osservato  e  studiato  già  nel  teatro  e  nel  piazzale  delle  Corpora- 
zioni ('). 

Tra  gli  oggetti  raccolti,  durante  questo  lavoro,  meritano  d'esser  ricordati  : 

Due  frammenti  di  vasi  fittili  ricoperti  di  vernice  vitrea  verde,  sui  quali  tor- 
niamo a  parlare  a  pag.  324,  325. 

Frammenti  di  vasi  aretini  con  bolli  {G.  I.  L.,  XV,  5007,  5496 h,  5800),  e 
AJA/t^  che  probabilmente  corregge  C.  I.  L.,  XV,  4950. 

Pondo  di  vasetto  a  vernice  rossa,  molto  lucida,  con  bollo  rettangolare  a  lettere 
rilevate  sottilissime,  eppure  assai  chiare:  OF  ARDACI.  Tale  marca,  conosciuta  in 
Italia  solo  da  un  frammento  di   incerta   lettura  proveniente   dal  Tevere    {€.  I.  L., 

(')  Cfr.  Calza,  in  Bull.  Com.,  1915,  pag.  178  e  se£. 


OSTIA 


322    REGIONE    I. 


XV,  5861),  è  assai  comune  nelle  provincie  galliche  e  germaniche  (C.  /.  /,.,  XIII, 
10100-167). 

Lucerne  di  terracotta  in  gran  parte  rotte,  una  con  busto  di  Diana,  altra  con  busto 
ili  Satiro,  altra  con  una  Vittoria,  due  eon  le  marche  (C.  I.  £.,  XV,  6430  6  e  6593). 

Frammenti  di  uu  bel  calice  di  vetro  ornato  da  linee  ondulate  di  impasto  bianco 
riportato. 

Per  sistemare  la  linea  ferroviaria  Decauville  per  il  trasporto  a  mare  di  mate- 
riali utili  alla  costruzione  di  massicciate  stradali,  richiesti  dal  Comune  di  Roma,  fu 


Vie.  1. 

tolta  una  certa  quantità  di  terra  innanzi  al  tempio  di  Vulcano.  La  parte  di  area 
innanzi  al  tempio  e  più  ancora  il  tratto  di  decumano  oltre  quell'area,  così  sgombrati, 
diedero  una  quantità  considerevole  di  marmi,  disgraziatamente  frantumati  a  colpi  di 
mazza  e  assai  probabilmente  destinati  ad  alimentare  qualche  calcara.  Vi  sono  frani 
menti  di  decorazione  architettonica,  tra  cui  parte  delle  cornici  di  un  arco,  tronchi  di 
colonne,  lastre  di  pavimento  e  di  rivestimento  parietale  ecc.  Lo  studio  di  questi  fram- 
menti e  l'indagine  sulla  loro  primitiva  collocazione  non  potrà  farsi,  se  non  quando 
l'esplorazione  sarà  stata  ampliata.  Meritano  in  ogni  modo  di  esser  subito  segnalati 
i  seguenti  due  pezzi: 

a)  Frammento  di  lastra  di  marmo  bianco  di  m.  0,95  X  0,63  X  0,11  appartenente 
a  un  fregio.  Vi  resta  intera  la  figura  di  un  Amorino  nudo,  alato,  incedente  a  sinistra 
ma  con  la  testa  volta  indietro  e  il  corpo  quasi  di  prospetto,  in  atto  di  sorreggere 
sulle  spalle  il  principio  di  due  festoni  (fig.  1).    La   figura  è  alta   m.  0,82.  Solo  in 


REGIONE    I.  —   323    —  OSTIA 

basso  è  conservata  una  cornice  a  palmette  diritte  ed  a  rovescio.  Per  essere  una  scultura 
decorativa,  è  disegnata  con  bravura,  e  modellata  con  accuratezza.  Il  motivo  è  notis- 
simo e  ripetuto  in  rilievi  di  ogni  materia  e  di  ogni  dimensione  che  non  è  il  caso 
di  elencare.  Solo  mi  pare  debba  esser  ricordato  il  frammento  di  fregio  marmoreo 
quasi  delle  stesse  dimensioni,  e  con  la  figura  dell'Amoiino  in  atteggiamento  identico 
che  si  crede  provenga  dal  Poro  Traiano  e  che  si  conserva  ora  a  Berlino  ('). 

b)  Blocco  di  marmo  di  m.  0,80  X  0,90  X  0,57,  con  figura  ;i  rilievo  di  putto  nudo, 
non  alato  che  cammina  verso  sinistra,  sostenendo  sulle  spalle  curve  e  con  l'aiuto  di 
tutte  e  due  le  braccia  l' inizio  di  un  festone  di  fiori  e  frutta  con  bende  svolazzanti 


Fio.  2. 


(fig.  2).  La  figura  è  alta  m.  0,65;  l'esecuzione  è  forse  meno  accurata  di  quella  del 

rilievo  precedente. 

* 

Si  è  iniziato  anche  lo  sterro  della  via  dei  Molini  nel  tratto  più  vicino  al  De- 
cumano. Appare  notevole  sul  lato  orientale  di  detta  via  un  muro  a  grandi  blocchi 
parallelepipedi  di  tufo  che  scende  a  livello  inferiore  a  quello  dell'ultimo  pavimento 
stradale,  e  si  mostra  già  per  una  lunghezza  di  m.  62,50  e  per  una  altezza  massima 
di  m.  3,60,  raggiunta  con  sei  filari.  Non  presenta  aperture,  e  doveva  originariamente 
esser  più  lungo,  perchè  a  settentrione  scomparisce  dietro  un  muro  a  cortina  a  mattoni 
che  lo  riveste. 

È  da  ricordare,  che  la  fronte  orientale  di  quest'  isola  ha  pure  un  edificio  a  grossi 
blocchi   di   tufo   incompletamente   scavato   nel  1885  e  impropriamente  ritenuto  una 

(')  Kónigliehe  Afuseen  tu  Berlin,    lieschreibung  der  antiken  Skulpturen.  pasf.  365,    n.  902. 


OSTIA  —    324   —  RKOIONB    I. 


piscina  (l).  Per  quanto  però  si  può  giudicar  ora,  non  pare  che  quell'edificio  sia  una 
cosa  sola  con  questo  che  ora  comincia  a  mostrarsi. 

Tra  le  macerie  che  ingombravano  la  via  fu  raccolto  il  frammento  d' iscrizione  : 


-CM    C  LO  DIO  •  FÉ 
M  •  M  ■  D  ■  COL  •  OST-  ET-  \\\bente 
EADEM  •    SACERDoL.   XV 
VIRAL  •  ASTANTE  -Lv) 
A  VRELI  V    •     BAS, 


L'iscrizione  ha  riferimento  al  culto  della  Mater  Deum  Magna  Idaea  così  lar- 
gamente diffuso  in  Ostia;  non  mi  pare  in  fatti  che  possano  altrimenti  interpretarsi 
le  sigle  M-M-D,  per  quanto  non  poste  nella  completezza  e  nell'ordine  consueto  per 
designare  quella  divinità  (cfr.  in  ogni  modo  C.  I.  L.,  XIV,  53). 

A  lin.  2  mi  sembra,  non  possa  esser  supplito  che  iu\_bente]  avuto  riguardo  alla 
analogia  di  astante  a  linea  4.  L' iscrizione  pertanto  sarebbe  stata  posta  per  ordine 
di  una  sacerdotessa  il  cui  nome  doveva  essere  già  ricordato  nelle  prime  linee  ora 
mancanti.  Propongo  di  leggere  a  linee  3-4  sacerdote  quindecemvirali;  tale  supple- 
mento è  ampiamente  giustificato  non  solo  dalla  dipendenza  in  che  questi  sacerdoti 
e  sacerdotesse  di  divinità  non  romane  si  trovavano  dai  quindecemviri  sacris  faciundis 
di  Roma,  ma  anche  da  altri  esempi  epigrafici,  dove  l'epiteto  stesso  o  una  formola 
equivalente  è  dato  sia  a  sacerdoti  che  a  sacerdotesse  della  Magna  Mater  (*). 


* 


Da  piccoli  lavori  di  pulizia  e  di  assetto  si  ebbero: 

Anse  di  anfore  con  i  bolli  (C.  I.  £.,  XV,  3168a);  L  F  CRESCCVFI  variante  di 
C.  I.  L.,  XV,  2587;  FEI  impresso,  lettera  per  lettera,  con  tre  punzoni  separati. 

Bolli  di  mattone  (C.  I.  £.,  XV,  105,  422,  769,  1068 a,  1348.  1430,  2215). 

Ma  dei  travamenti  sporadici  meritano  un  cenno  speciale  quelli  che  si  riferiscono 
a  quattro  vasi  fittili  rivestiti  di  vernice  vitrea  verde.  Due  frammenti  si  rinven- 
nero in  terreno  già  rimaneggiato  nel  lavoro  fatto  per  tagliare  la  fogna.  L'uno  è  l'orlo 
d'una  tazzetta  con  resto  dell'attacco  di  un'ansa  a  vernice  verde-argentea,  l'altra  è 
parte  del  ventre  di  altra  tazzetta  che  reca  una  zona  di  figure  a  rilievo,  rozzamente 
stampate.  Restano  una  figurina  di  Vittoria  che  porge  una  corona,  e  il  resto  forse  di 
un  tripode. 

Dalla  via  della  Casa  di  Diana  si  ebbe  un  orciuolo  liscio  a  corpo  conico  con  due 
anse  a  fettuccia  cordonata,  labbro  appiattito  ed  espanso.  Alt.  m.  0,27. 

(')  Lanciata,  in  Not.  Scavi,  1885,  serie  IV,  voi.  I,  pag.  704;  Paschetto,  Ostia,  pag.  340, 
cfr.  pero  Vaglieli  in  Not.  Scavi  1911,  pag.  142  e  Guida  di  Ostia,  pag.  88. 

(")  Cfr.  per  la  sorveglianza  dei  quindecuinviri  sai  culto  della  Magna  Mater  e  sulle  nomine 
dei  sacerdoti,  anzitutto  la  bellissima  iscrizione  cumana  in  C.  I.  L.,  X,  3698.  Sacerdoti  e  sacerdotesse 
quindecemvirali  in  C.  I.  L.,  IX,  1538,  1541;  XIII,  1751;  cfr.  anche  Vili,  7956. 


ftEOIONK    I. 


—  825 


ostu 


Puro  da  una  taberna  sulla  via  della  Casa  di  Diana  si  ebbe  l'altro  vaso,  una 
grande  coppa  tondeggiante  (fig.  3)  senza  manichi,  che  misura  m.  0,27  di  diametro  per 
0,11  di  altezza,  e  che  reca  all'esterno  due  zone  di  figure  a  rilievo;  nella  più  alta 
capriuoli  in  fuga  e  cacciatore  con  arco;  nella  inferiore  un  cane  e  un  capriuolo  in 
corsa  (tig.  4).  Le  figure  sono  eseguite  a  stampo,  e  sono  di  quella  meno  che  mediocre 


iio.  3. 


finitezza  e  di  quella  sciatta  foggia  di  disegnare  abituali  in  quella  ceramica  a  rilievi 
d'età  imperiale  che  diffuso  in  tutto  il  mondo  le  imitazioni  assai  deteriorate  dei  bei 


Fio.  4. 


prodotti  delle  fabbriche  aretine  (').  Di  vasi  di  tal  genere  ricoperti  di  vernice  vitrea 
non  mi  son  noti  che  uno  con  scena  di  caccia  all'orso,  trovato  a  Villanuova  di  Casale 
e  ora  al  Museo  di  Torino  e  pochi  altri  trovati  nell'Italia  Meridionale  e  ora  al  Bii- 
tish  Musem  (*). 


(')  Cfr.  Dragendorff,  Terra  Sigillata,  in  Bonner  Jahrbùcher,  XCVI.  pag.  115;  Dechelette, 
Vases  ornés  de  la  Gaule  rqmaine,  I,  pag.  59  ;  Walters,  Catalogne  of  the  Roman  Potlery  in  Brìi. 
Mmeum,  pag.  5  e  6. 

(*)  Kluegmann.  in  Annali  dell'Istituto,  1871,  pag.  195.  Walters,  l.  e.  Per  quanto  riguarda 
la  tecnica  di  questi  vasi  d'età  imperiale  romana  rivestiti  di  vernice  vitrea  cfr.  Barnabui,  in  Not. 
Scavi,  1892,  pag.  86. 


OSTIA  —   326   —  REGIONE    1. 

3# ■ 

Proseguendo  nella  esplorazione  dell'isola  che  sta  tra  il  Decumano,  la  via  delle 
Pistrine  e  la  così  detta  Piscina  col  proposito  di  unire  il  gruppo  di  rovine  scavato 
ad  occidente  del  Teatro  e  del  Piazzale  dei  Quattro  Tempietti  con.  le  rovine  della 
via  delle  Pistrine  e  con  quelle  dette  della  casa  di  Diana  si  riconobbe,  die  al  pode- 
roso muro  a  grossi  blocchi  di  tufo  sopra  ricordato  furono  nel  lato  orientale  appog- 
giati dei  muri  in  mattoni  che  suddividono  l'area  interna  in  tante  taberne  di  uguali 
dimensioni,  le  qnali  circondano  un  grande  cortile  e  verso  di  esso  si  aprono.  Abbiamo 
già  rinvenuto  dieci  di  tali  taberne  su  ciascuno  dei  due  lati,  meridionale  e  occiden- 
tale. Le  loro  pareti  hanno  un  intonaco  grezzo  ;  sotto  ai  pavimenti  è  un  vespaio  otte- 
nuto non  col  solilo  espediente  dei  pilastrini  a  mattoni,  ma  con  una  serie  di  canaletti 
sopra  i  quali  erano  poggiati  tegoloni  bipedali  ora  in  gran  parte  asportati.  Si  ha  l'im- 
pressione, che  si  fosse  voluta  ottenere  una  maggiore  robustezza  che  con  le  suspensurae 
della  forma  consueta,  quasi  che  molto  pesanti  cose  dovessero  esser  posate  sui  pa- 
vimenti. 

Il  cortile  interno  aveva  un  portico  con  colonne  di  tufo.  Abbiamo  trovato  in  posto 
la  colonna  d'angolo  a  sud  est.  Gli  intercolumni  furono  poi  chiusi  da  un  tardo  murello 
a  mattoni.  Ancora  non  è  apparso  l' ingresso  principale  di  questo  edificio  che  dev'esser 
forse  cercato  sul  lato  nord  verso  il  Tevere,  su  una  via  parallela  al  Decumano.  Il 
nome  che  meglio  sembrami  convenire  a  questo  genere  di  edificio  si  è  quello  di 
macellum. 

Quanto  al  tempo  di  sua  costruzione,  i  dati  sinora  raccolti  sono  una  moneta  di 
Massimino  (a.  235-238;  Cohen  93)  trovata  sotto  il  pavimento  delle  taberne,  e  il 
bollo  C.  I.  L.  XV,  325  di  età  severiana,  ripetuto  sinora  otto  volte  su  mattoni  appar- 
tenenti a  quel  pavimento.  Non  è  però  improbabile  die  quel  pavimento  sia  stato  rin- 
novato in  questi  tempi. 

Un'accurata  ripulitura  dei  mosaici  nel  lato  settentrionale  del  Portico  delle  Cor- 
porazioni, eseguita  con  paziente  perizia  dall'operaio  Gustavo  Maioli,  ha  permesso  di 
riconoscere  alcune  nuove  iscrizioni  e  figure.  Riferendomi  alla  numerazione  data  dal 
dott.  Calza  alle  stanze  di  questo  portico  ('),  dirò,  che  le  nuove  testimonianze  occupano 
le  taberne  num.  32-39. 

Nella  taberna  num.  32  si  legge  con  sicurezza  : 

NARBONENSES 

Il  supplemento  è  pertanto  molto  facile  navig(alores)  o  mvrc(atores)  Nar- 
bonenses. 

Questa  iscruione  pertanto  è  l'unica  che  ci  parli  in  questo  luogo  di  armatori  di 
Gallia,  méntre  sinora  non  erano  qui  apparsi  che  Sardi  e  Africani.  Del  fiorente  com- 
mercio della  ricca  colonia  romana  di  Narbo  Martius  abbondanti  sono  le  memorie 
degli  scrittori,  e  non  mancano  le  epigrafiche  (*).  Recentemente  nuovi  documenti  romani 

(')  II  pianale  delle  Corporazioni  e  la  funzione  commerciale  di  Ostia  in  Bull.  Com.,  1915, 
pag.  178. 

(2)  Cfr.  i  passi  raccolti  in  C.  I.  L.  XII,  pag.  521  e  le  iscrizioni  ibid.  672,  4398,  4406. 


Regioni-:  I. 


—  327  — 


OSTIA 


intorno  a  queste  conenti  commerciali  sono  stati  raocolti  dallo  Héron  de  Villefosse  e 
dal  Cantarelli  (').  L'emblema  qui  raffigurato  (fig.  5)  presenta  in  tessere  nere  su  fondo 
bianco  una  nave  e  una  costruzione  che,  per  quanto  alta  e  stretta  a  guisa  di  torre,  non 
è  però  il  solito  faro.  Non  lia  infatti  rientranza  a  gradoni,  non  ha  segno  di  fuoco 
acceso,  e  invece  che  da  terrazzo  è  coperto  da  tetto  a  spioventi  acuti.  V  è  una  parte  piii 
bassa  e  più  larga,  e  sopra  di  essa  si  eleva  l'edificio  coperto  da  tetto.  Da  questo  poi 


«^Cjwwninses  f 


Fig.  5. 


a  mezza  altezza  si  avanza  verso  la  nave  una  specie  di  asta  cui  sembrano  appese  due 
cose  grosse,  come  due  sacchi  che  per  mezzo  di  linee  vengono  a  collegarsi  con  la 
nave.  Penserei  che  la  parte  più  bassa  della  costruzione  rappresenti  una  banchina; 
che  l'edificio  a  tetto  un  magazzino,  e  l'appendice  astiforme  una  specie  di  grue,  il  cui 
carico  è  vuotato  nella  nave  per  mezzo  di  maniche.  Potrebbe  darsi  che  le  condizioni 
speciali  dell'emporio  di  Narbona  la  quale  non  era  posta  sulle  sponde  del  mare,  ma  lo 

(')  Héron  de  Villefosse,  Deux  armateur»  narbonnais,  in  Mém.  de  la  Soc.  Nat.  des  Anti- 
quaires  de  France,  1915,  pag.  25;  Cantarelli,  Il  monte  Testacelo  e  la  Gallia,  in  Bull.  Coni.,  1915, 
pag.  41,  e  I  vini  della  Gallia  Narbonese,  e  le  anfore  del  Testacelo  e  del  Castro  Pretorio,  ibid,  1915, 
pag  279.  Narbona  o  piuttosto  la  Gallia  Narbonensis  e  ricordata  in  un  frammento  d'iscrizione 
ostiense  trovato  tre  anni  fa:  Vaglieri,  in  Notizie,  1913,  pag.  189. 


Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  "XIII. 


43 


OSTIA  —    328    —  &EG10NK    1 

raggiungeva  per  il  fiume  Atax  e  per  un  canale  navigabile  (')  avessero  colà  consi- 
gliato di  ricorrere  a  questi  espedienti  di  caricamento.  La  parte  inferiore  del  mosaico, 
che  è  mancante,  poteva  portare  la  ripetizione  di  una  scena  analoga. 

Certo  che  la  imprecisione  del  disegno  e  la  rozzezza  dell'esecuzione  rende  mala 
gevole  e  incerta  qualunque  ipotesi. 

Nella  taberna  33  oltre  l'emblema  del  modio  ricordato  dal  dott.  Calza,  si  vede 
anche  un'anfora  capovolta. 

Nella  34  si  legge  scritto  chiaramente  in  grandi  lettere: 

NAVICVLARI  CVRBITAN'I   DS 

L'emblema  figurato  è  un  modio  e  due  delfini,  e  al  disopra  di  esso  in  una  tabella 

ansata  si  legge: 

SNFC • C 

Ancora  una  volta  i  titolari  di  questo  ufficio  di  navigazione  sono  degli  Africani, 
e  precisamente  degli  armatori  di  Curubis,  città  e  colonia  romana  sulla  costa  del- 
l'Africa Proconsularis  tra  Clupea  e  Neapolis,  mod.  Kurba  in  Tunisia  ('). 

Nella  taberna  37  in  un  pezzo  di  mosaico  inserito  in  un  tardo  restauro,  e  perciò 
forse  proveniente  da  altro  luogo,  si  legge  :  FFV . 

Nella  38  si  vedono  due  modii  e  una  tabella  ansata  con  le  lettere 

S    edera    C    edera    F 

In  un  angolo  è  la  sigla  E  attraversata  da  un'asta  obliqua  cui  si  attacca  una 
foglia  d'edera. 

Nella  39  si  vede  come  emblema  un  coltello  a  lama  tondeggiante  da  tagliare 
pelli.  Ricordiamo  che  in  questo  stesso  piazzale  la  taberna  2  appartiene  al  collegio 
dei  conciatori  di  pelli  cioè  al  Corpus  Pellionum  Ostiensium  et  Porlensium,  che  è 
ricordato  anche  da  un'epigrafe  (3). 


Nel  Casone  del  Sale  fu  ritrovato  il  seguente   frammento  d' iscrizione  in  marmo 
(m.  0,20  X  0,21  X  0,05,  lettere  alte  0,03)  : 

...AV... 
...sacrv;  ... 
cverrivsh... 

MASDVO.  .. 
NAViVM 


(')  Cfr.  Millin,  Voyage  dans  les  départements  du  midi  de  la  France,lV,  pag.  394;  Desjardins. 
Géographie  de  la  Oaule,  I,  pp.  152,  245  ;  Molins,  Notes  archéologiques  sur  Narbonne,  in  Bull. 
Arch.,  1905,  pag.  21. 

(*)  CI.  L.  Vili,  pag.  127. 

(»)  C.  I.  L.  XIV,  10;  cfr.  Paschetto,  Ostia,  pag.  227. 


REGIONE    III.  —    329    —  SENISE 


Dalla  cloaca  che  passa  sotto  la  via  delle  Pistrine  furono  estratti  due  fram- 
menti di  una  stessa  iscrizione  marmorea  in  belle  lettere  (m.  0,32X0,28X0,035, 
lettere  alte  da  0.04  a  0,027).  Vi  si  legge: 


li.  Paribeni. 


Regione  III  (LUCANIA  ET  BRUTTI!). 

III.  SENISE  —  Monili  d'oro  di  età  barbarica. 

Il  trovamento  fortuito  d'una  tomba,  avvenuto  nel  corso  di  alcuni  lavori  di 
sterro  in  contrada  Salsa,  ha  portato  a  luce  alcuni  oggetti  di  ricca  ed  omogenea  orna- 
mentazione muliebre.  Essi  sono  :  una  fibula,  una  croce,  un  anello,  un  sigillo  anulare, 
e  due  orecchini  a  pendaglio;  tutti  di  oro,  trattati  con  fine  lavorìo.  Erano  adorni  di 
paste  vitree   variamente   colorate,   se  si  argomenta  da  quelle  che  vi  sono  rimaste. 

a)  La  fibula,  a  foggia  di  medaglione,  ha  mm.  97  di  diametro.  Ricorda,  per 
la  forma  e  le  proporzioni  del  castone  centrale,  come  per  l'alternarsi  di  castoni 
quadri  e  circolari  lungo  l'orlo,  alcuna  di  quelle  componenti  il  tesoro  di  Castel  Tro- 
8Ìno  nel  Museo  Nazionale  Romano.  Il  margine  dei  castoni  è  punteggiato  a  sbalzo: 
quello  del  castone  centrale  ha  in  più  l'ornamento  esterno  d'una  serie  di  semicircoli 
a  giorno,  adorni  di  globetti  alle  giunture.  Delle  nove  paste  vitree  che  davano  ric- 
chezza di  colore  alla  fibula,  una  sola  avanza,  di  tinta  bleu-cobalto  e  in  forma  di 
calotta  sferica,  posta  nel  castone  rotondo  in  alto  a  destra.  La  mancanza  delle  altre 
trova  spiegazione  nel  carattere  fortuito  del  trovamento  e  nella  inesperienza  degli  sca- 
vatori: che  certo  esse  rimasero  celate  e  andarono  perdute  in  ammassamenti  di  ter- 
riccio o  sotto  incrostazioni  di  fango.  L'ornamento  a  guisa  di  due  S  a  ridosso  1'  una 
dell'altra,  interposte  fra  l'uno  e  l'altro  dei  castoni  a  margine,  anche  richiama  al  ricordo 
le  fibule  suddette  del  Museo  Romano;  ma  in  questa,  che  qui  si  descrive,  più  fine  e 
più  snello  è  il  disegno,  più  delicato  il  rilievo  di  sottile  filigrana.  Di  finezza  eguale  è 
la  filigrana  che  in  quattro  compiuti  giri  concentrici,  e  in  un  quinto  che  s'inter- 
rompe presso  i  fori  rotondi,  fa  larga  corona  all'incastonatura  centrale,  componendo 
un  fregio  a  onde  continue,  alte  e  serrate,  che  si  ripete  pure  intorno  ai  castoni  mar- 
ginali (tìg.  1,  nel  centro). 

b)  La  croce  a  foggia  greca  (mm.  75)  è  fatta  di  laminette  d'oro  lavorate  a 
martello  e  rinsaldate.  Ciascun  braccio  ha  forma  di  allungata  piramidetta  pentago- 
nale, le  cui  facce,  prolungandosi*  in  lancette,  abbrancano  un  globulo  terminale  e  fan 


KENISE 


330  — 


REGIONE    III. 


corpo  con  esso.  Uno  dei  bracci  reca  un  appiccagnolo  a  fascia  circolare  ;  all'estremità 
del  braccio  opposto  avanza  parte  d'una  cerniera.  Nel  centro  della  croce  è  incastonata 


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Fio.  1. 


una  pasta  vitrea  di  colore  bleu-cobalto,  simile  a  quella  già  notata  nella  fibula  (fig.  1, 
sotto  il  medaglione  centrale). 

e)  Il  sigillo  è  composto  d'un  anello  a  larga  fascia,  la  quale,  tra  due  circoli 
lisci,  s'adorna  di  semplici  volute  a  fondo  vuoto.  Su  la   detta'  fascia  è  piantato  un 


REGIONE    III.  —    331    —  SESISE 

breve  tronco  cilindrico  che  manda  sei  braccia  a  stringere  la  capsula  contenente  una 
pasta  vitrea  di  color  verde-smeraldo  terminante  in  superficie  piana  in  gran  parte 
abrasa.  Nessuna  traccia  è  dato  scorgervi  dei  segni  distintivi  della  nobile  donna, 
sepolta,  a  quel  che  pare,  non  in  una  necropoli  ma  in  un  sepolcro  fatto  costruire 
nel   suolo  d'  un  suo  feudo  nella  Lucania  (tìg.  1,  a  destra  della  croce). 

d)  L'anello  ha  una  delle  forme  assai  consuete  nei  simili  oggetti  rinvenuti  in 
tombe  della  Campania:  una  incastonatura  inscritta  in  larga  fascia  ornata  a  rilievi,  alla 
quale  s'attacca,  fra  due  coppie  di  globuli,  una  verdetta  d'oro  massiccio,  ricurva  a  guisa 


Fio    2. 

d'arco  sopraelevato.  La  fascia  presenta  un  giro  esterno  di  globuli  con  anelletti  inter- 
messi, e,  concentriche  ad  esso,  due  giustaposizioni  a  treccia  che  stringono  il  castone 
composto  di  sedici  scomparti  trapezoidali,  contenenti  vetri  di  color  rosso-granato 
e  verde-smeraldo.  Nel  centro  è  una  pasta  vitrea  zonata  a  imitazione  di  un'agata, 
la  quale  entro  una  sua  sottile  zona-  lattea  ovoidale,  reca  inciso  il  leone  di  Marco 
Evangelista,  girato  a  sinistra,  accosciato,  con  grandi  ali  erette  (fig.  1,  inferiormente 
a  sin.  della  croce-pendaglio). 

e)  Gli  orecchini  recano  rilevata,  sul  davanti  dell'ampio  e  sottile  appiccagnolo, 
una  zona  a  vari  scomparti  con  vetri  colorati,  simile  a  quella  che  è  nell'anello  sud- 
detto. Gli  ornamenti  anulari,  che  sporgono  da  una  banda  e  dall'altra,  ritornano  nel 
grosso  e  pesante  pendaglio  (diam.  mm.  28)  come  tratti  d'unione  fra  il  giro  esterno 
di  esso,  a  cordame  di  globuli,  e  la  cornice  dell'interna  medaglia:  anch'essa,  come 
il  castone  dell'anello,  fatta  di  scomparti  a  vetri  rossi,  varianti  dal  rubino  al  granato, 
e  a  vetri  verdi,  varianti  dallo  smeraldo  a  una  tinta  più  tenue  quasi  azzurrina.  Nel- 
l' interno  della  medaglia  la  tecnica  del  cloisonné,  accennata  già  nelle  fasce  a  vetri 
colorati,  si  continua  nel  disegno  d'una  testina  muliebre  sopra  un  fondo  verde  che 
sussiste  per  metà  in  uno  degli  orecchini  e  manca   del   tutto   nell'altro.    L'armatura 


BONORVA  —    382    —  SARDINIA 

d'oro  del  cloisonné  segna  l'ovale  allungato  del  volto,  i  capelli  spartiti  nel  mezzo 
della  fronte,  gli  occhi  enormi,  le  orecchie  sporgenti  adorne  di  grossi  pendagli,  la 
bocca  piccolissima  assai  distanziata  dal  mento.  Di  squisito  effetto  colorìstico  è  l'al- 
ternarsi delle  varie  paste  vitree  circondate  e  penetrate  dal  caldo  bagliore  dell'oro. 
Una  piccola  cerniera  assicura  al  pendaglio  una  crocetta  di  foggia  greca,  splendente 
per  vetri  azzurrini  nelle  braccia  e  un  vetro  rosso  nel  centro  (fig.  1  in  alto  a  destra 
ed  a  sinistra). 

Sul  rovescio  del  pendaglio,  nell'uno  e  nell'altro  orecchino,  è  impressa,  entro  un 
circolo,  una  croce  potenziata  su  tre  gradini  a  piramide,  affiancata  da  due  ligure 
stanti,  diademate,  le  quali  recano  nella  destra  un'asta  sormontata  dal  globo  crucigero: 
in  giro  si  legge:  VICTORIA  AVGMZ,  e  in  esergo:  CONOB-  Si  riconosce  quivi,  esatta- 
mente riprodotto  in  segni  e  proporzione,  il  rovescio  del  soldo  aureo  di  Eraclio  e 
Tiberio  (anni  659-668),  che  nel  diritto  reca  i  due  busti  frontali  di  Costante  II  e 
Costantino  Pogonato. 

Così  precisamente  datati,  questi  monili  d'oro  meritano  d'essere  oggetto  di  studio 
e  di  raffronti,  sopra  tutto  per  quanto  contribuiscono  a  rivelare  l'aderenza  di  motivi 
barbarici  a  motivi  classici  ed  orientali,  col  prevalere  di  questi  ultimi  sui  primi.  Basti 
averne  qui  fornito  notizia  e  descrizione  agli  studiosi. 

Aldo  de  Rinaldis. 


SARDINIA. 

IV.  BONORVA  —  Di  una  città  nuragica  nel  Logudero. 

Nel  lungo  e  laborioso  periodo  di  anni  dal  1903  al  1907  e  dal  1908  al  1916 
ho  condotto  numerose  perlustrazioni  nella  regione  centrale  dell'isola  della  Sardegna, 
nelle  regioni  circostanti  e  fronteggianti  la  catena  del  Marghine,  la  quale  forma  l'ossa- 
tura mediana  dell'isola,  lo  spartiacque  tra  i  bacini  del  Tirso,  del  Temo  e  del  Co- 
ghinas,  vale  a  dire  dei  maggiori  fiumi  dell'  isola. 

La  regione  del  Marghine  è  al  primo  posto  tra  le  regioni  consorelle  per  impor- 
tanza archeologica  e  storica,  e  si  stende  nei  territori  di  molti  comuni  anzi  di  molti 
distretti  assai  bene  distinti,  anche  storicamente  tra  di  loro,  benché  tutti  formino  un 
vero  complesso  geologico,  geografico  e  per  conseguenza  anche  etnico  ed  archeologico. 
Questi  territori  o  distretti  si  chiamano  Marghine,  Ocier  Reale,  Parte  Arrigadu,  Pla- 
nargia,  Goceano  e  Logudoro.  Nei  vari  comuni  di  tale  territorio,  vastissimo,  io  ho 
notato  circa  1700  edifici  nuragici;  ne  visitai  varie  centinaia,  ma  il  rilievo  di  tutti 
che  deve  indubbiamente  serbare  delle  piacevoli  sorprese  a  molte  generazioni  di  studio 


SARDINIA  —    333    —  ÈONORVA 


dell'avvenire,  è  opera  che  trascende  le  forze  modeste  della  Soprintendenza,  che  è  oggi 
praticamente  rappresentata  da  un  vecchio  e  valoroso,  ma  ormai  invalido  ricercatore, 
Filippo  Nissardi,  e  dal  sottoscritto.  Ma  fra  tutti  questi  territori  uno  attrasse  parti- 
colarmente a  vari  intervalli  la  mia  attenzione  ed  anche  i  modesti  mezzi  messi  a 
disposizione  della  mia  Soprintendenza. 

L'agro  di  Bonorva  merita  l'attenzione  degli  studiosi  per  un  complesso  di  fatti 
naturali  ed  umani  ;  ed  io  mi  proposi  di  studiarlo,  specialmente  in  questi  ultimi  anni, 
dopo  che  l'esperienza  di  fortunate  campagne  di  scavi,  condotte  con  metodo  e  con 
personale  e  continua  assistenza,  mi  aveva  fornito  pochi  ma  infallibili  segni  indi- 
catori. 

Dalla  solitaria  marina  di  Cornus  e  di  Bosa,  sino  al  Monte  di  Santu  Padru,  fra 
i  corsi  dei  fiumi  circondati  delle  belle  vallate,  si  scalano  vari  gradoni  di  altipiano, 
i  quali  formano  una  immane  scala,  di  origine  vulcanica,  e  che  sono  il  gioiello  di 
fiera  bellezza  che  ingemma  il  cuore  di  questa  mirabile  isola,  che  io  amo  chiamare 
la  «fulgida  terra  del  sogno»;  su  questa  scala  si  svolsero  tutte  le  grandi  vicende 
della  storia.  Le  ondate  fenicie,  puniche,  romane  aragonesi,  si  infransero  sempre  contro 
le  innate  virtù  militari  di  questa  bella  famiglia  della  stirpe  italiana,  che  dai  conati 
oltremarini  degli  Shardana  segnò  tracce  di  forza,  di  fede,  di  gloria  con  Roma,  con 
Pisa,  con  Spagna,  con  Savoia. 

Perchè  tanto  accanimento  di  difesa?  Per  la  grande  ricchezza  del  suolo,  che  è 
fra  i  più  ricchi  del  mondo,  e  per  le  ascose,  ma  aifascinatrici  ricchezze  del  sottosuolo, 
che  in  vari  luoghi  serba  ancora,  dopo  tanti  millenni  di  sfruttamento  e  di  abbandono, 
giacimenti  di  argento,  di  piombo,  di  ferro  e  soprattutto  di  rame. 

Tale  ricchezza  favorì  ognora  tutte  le  forze  e  tutte  le  forme  delle  varie  civiltà 
ivi  succedutesi,  le  quali,  naturalmente,  provvidero  del  loro  meglio  alla  tutela  dei  loro 
tesori,  e  ne  contesero  tenacemente  il  possesso. 

Nel  territorio  di  Bonorva  ed  in  quelli  attigui,  sia  nel  piano  malarico  e  fertilis- 
simo, che  sul  monte  ricso  di  pascoli  e  di  foreste,  abbiamo  alcuni  dei  più  splendidi 
nuraghi  di  Sardegna  e  57  recinti  nuragici,  che  rappresentano  la  difesa  indigena 
contro  l'ultimo  inesorabile  assalto  nemico,  quella  che  ridusse  l'isola  a  soggezione 
di  Roma. 

In  questo  territorio  pure  scopersi  un  grazioso  tempio,  di  età  nuragica,  di  tipo 
simile  a  quelli  di  Serri  ed  ai  santuari  degli  altipiani  della  Palestina,  a  Rebeccu, 
frazione  di  Bonorva.  Si  ebbero  grandi  muraghi,  mirabili  per  ardimento  e  per  elevate 
costruzioni,  che  dovettero  compiere  funzioni  svariatissime,  dalla  vedetta  alla  reggia 
ed  al  tempio;  si  ebbero  le  grandi  necropoli  in  grandi  valloni,  segno  questo  di  vita 
non  pur  dispersa  e  selvaggia,  ma  di  elevate  condizioni  di  vita  collettiva.  Fra  le  più 
belle  necropoli  ipogeiche  del  Mediterraneo  è  da  noverarsi  d'ora  innanzi  la  necropoli 
di  S.  Andrea  Priu,  già  ritenuta  dal  Lamarmora  e  dallo  Spano  come  un  gruppo  di 
catacombe  cristiane,  mentre  non  sono  altro  che  le  più  belle  Domus  de  Gianas  della 
Sardegna,  le  vere  regine  di  questo  tipo  di  tombe,  nelle  quali  posarono  nella  grande 
pace  del  sepolcro,  i  gravi  e  fieri   Sardi,  quando  ancora  la  loro  veste  esteriore  era 


BONORVA  —    334    —  SARDINIA 


altrettanto  semplice,  e  diremo  precisamente   eneolitica,  quanto  più  salda  ed  audace 
ne  era  l'anima,  tesa  ai  più  alti  voli  del  pensiero  e  della  gloria  militare! 

Ma  la  scoperta  di  gran  lunga  importante  è  quella  avvenuta  in  questi  ultimi 
giorni,  a  Fontana  Sansa,  una  fonte  assai  nota  in  Sardegna,  ed  ora  utilizzata  per 
cure  salutari  da  un  egregio  industriale  lombardo,  sig.  Giulio  Negletti.  Ivi  si  rin- 
venne un  recinto  di  25  metri  di  diametro,  e  con  muro  di  m.  4,50  di  spessore,  entro 
il  quale  dall'origine  sgorgano  le  fonti  magiche,  usate  nel  solenne  tribunale  nazionale, 
per  il  «  giudizio  di  Dio  » . 

Antonio  Taramelli. 


REGIONE    Iti.  335    —  NOCERA    TIRINESE 


Anno  1916  —  Fascicolo  11. 


Regione  III  (LUCANIA   ET  BRUTTII). 

BRUT  TU. 

IL  NOCERA  TIRINESE  —  Ricerche  al  Piano  della  Tirena  sede 
dell'antica  Nuceria. 

Chi  prenda  in  mano  il  foglio  n.  236  della  eccellente  carta  militare  d'Italia 
ad  1 :  50  m.,  a  poco  oltre  un  km.  dallo  sbocco  in  mare  del  fiume  Savuto,  e  proprio 
alla  confluenza  di  questo  con  un  piccolo  torrente  alpino,  quasi  per  ironia  denominato 
Piume  Grande,  vedrà  delinearsi  una  collina  isolata  di  accentuato  rilievo  e  di  forma 
triangolare,  segnata  col  nome  di  Piano  della  Tirena.  Essa  rappresenta  l'ultima  pro- 
paggine dell' Apennino,  che  in  questo  tratto  scende  ripido,  a  balze,  terrazze  ed  alti 
colli,  verso  la  costa,  essa  pure  montuosa  e  rupestre,  ed  appena  allo  sbocco  dei  grandi 
fiumi  interrotta  da  piccole  strisele  di  suolo  pianeggiante,  formate  dai  coni  di  deiezione 
di  secoli  e  secoli. 

Ho  visitato  attentamente  il  Piano  della  Tirena,  e  la  poco  discosta  Nocera  Tiri- 
nese,  nel  giugno  del  1913,  e  vi  ritornai  nel  maggio  dell'anno  seguente,  nel  quale 
mese,  ed  in  parte  del  successivo  condussi  alla  Tirena  una  campagna,  da  me  iniziata, 
e  poi  affidata  alle  cure  solerti  dell'esperimentato  sig.  K.  Carta,  il  quale  vi  ritornò 
per  tre  giorni  nel  1916  per  completare  misurazioni  e  disegni. 

Nei  parecchi  giorni  trascorsi  in  Nocera  non  mancai  di  eseguire  e  di  far  eseguire 
attente  ricognizioni  in  tutte  quelle  località,  che  venivano  indicate  come  focolari  archeo- 
logici. Ebbi  così  modo  di  sfatare  varie  leggende,  di  dissipare  incertezze  ed  errori, 
e  di  stabilire  in  modo  sicuro  che  al  Piano  della  Tirena  non  esistè  affatto  l'antica 
Terina.  Archeologi  e  topografi,  anche  di  grande  valore,  per  non  avere  mai  visitato 
i  luoghi  ('),  e  copiando  pedissequamente  e  senza  controllo  da  eruditi  locali,  inesperti 


(')  Esporrò  e  discuterò  più  sotto  la  bibliografia.  Qui  basti  ricordare  come  anche  l'autorevo- 
lissimo H.  Kiepert,  nella  tavola  redatta  per  il  G.  I.  L.,  X,  colloca  Terina  alla  Tirena,  il  che  è 
un  assurdo  topografico,  come  dirò  più  sotto. 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  44 


NOCERA    TIRINESE  —    836   REGIONE    IH. 

dello  studio  del  terreno  e  della  differenziazione  cronologica  dei  ruderi,  caddero  in 
grossi  equivoci,  che  era  necessario  cancellare  e  rettificare.  Colle  mie  ripetute  visite 
ai  luoghi  e  colla  breve  campagna  di  scavi,  credo  di  essere  pervenuto  a  chiarire  un 
altro  dei  tanti  punti  controversi  dell'antica  topografia  brezzia;  alla  Tirena  non  sorse 
affatto  Terina.  ma  un'altra  città  di  assai  minore  estensione  ed  importanza  storica, 
l'antica  Nuceria  o  Nucria.  Questo  intendo  dimostrare  colla  presente  monografia. 

I.  La  topografia.  —  A  chi,  come  io  ripetutamente  ho  fatto,  vuol  raggiungere 
il  Piano  della  Tirena,  scendendo  per  il  crinale  montano  che  divide  la  vallata  dal 
Savuto  da  quella  assai  più  ristretta  del  F.  Grande,  il  colle  si  presenta  come  un 
baluardo  isolato  e  trilobato,  a  testa  spianata  e  digradante,  lungo  un  km.  circa  e  largo 
la  metà,  la  cui  configurazione  può  vedersi  nell'eccellente  rilievo  preso  da  R.  Carta 
(fig.  1).  I  fianchi  sono  ertissimi  da  tutti  i  lati,  ma  sovrattutto  nella  costa  meridio- 
nale, denominata  le  Grotticelle,  sebbene  di  esse  non  ve  ne  sia  traccia;  alquanto  più 
dolce  ed  ammantato  di  querce  è  il  declive  opposto.  Una  sella  o  depressione  collega 
il  colle,  ma  al  contempo  nettamente  lo  separa,  al  costone  di  levante  ed  alle  alture 
che  rapidamente  salgono,  mentre  la  sua  fronte  occidentale,  a  balze  quasi  verticali, 
è  discosta  dal  mare  un  paio  di  km.  Così  il  colle,  chiuso  per  tre  lati  dalle  Fiumare, 
accessibile  soltanto  da  levante  per  un  istmo  angusto  e  dominato,  costituiva  una  specie 
di  amba  assai  forte,  che  padroneggiava  il  passo  del  Savato  (Sabatus),  la  costa  e  lo 
sbocco  di  due  vallate,  una  delle  quali  insignificante,  mentre  l'altra  era  di  capitale 
importanza  commerciale  e  militare,  siccome  l'unica,  che  aprendosi  un  varco  nella 
grande  muraglia  di  aspre  montagne  che  qui  sbarra  tutta  la  costa  fino  ai  confini  della 
Lucania,  saliva  dritta  al  cuore  della  regione  brezzia  e  si  congiungeva  presso  Consentia 
all'alta  valle  del  Crati.  In  altri  termini  la  posizione  di  Tirena  padroneggiava  la 
porta  <1'  ingresso  di  una  delle  grandi  ed  antichissime  vie  di  comunicazione  dal  Tirreno 
all'  Ionio.  Sfavorevoli  invece  erano  alla  piccola  città  le  condizioni  della  rada,  aperta, 
senza  il  più  piccolo  riparo,  e  flagellata  delle  libecciate;  e  per  di  più  infestata  dalle 
tremende  alluvioni  del  Savuto,  che  allora  come  oggi  ne  trasforma  un  tratto  in  pan 
tano  impraticabile.  Un'altra  condizione  negativa  e  sfavorevole  ad  una  città  greca  è 
data  dall'ambiente  geologico.  Tutta  la  regione  è  a  subisti  sciolti  e  disgregati  ;  man- 
cava quindi  il  buon  materiale  da  costruzione,  e  nelle  Fiumare  scarseggiano  persino 
i  ciottoloni  porfirici  e  granitici,  di  cui  seppero  trarre  così  mirabile  partito  le  antiche 
maestranze  dei  muratori  cauloniesi.  Ma  questa  condizione  negativa  fu  del  resto  comune 
a  gran  parte  delle  città  della  Brezia.  Ma  se  l'ambiente  geologico  fu  negativo  come 
materiale  da  costruzione,  le  montagne  del  contado  tirinese  nascondono  nelle  loro 
viscere  ricchi  filoni  metalliferi,  oggi  appena  indizialmente  conosciuti  ma  punto  sfrut- 
tati. Nell'antichità  invece  queste  ricchezze  minerarie  dovettero  essere  ben  note  ed 
anche  largamente  messe  a  profitto,  perchè  una  serie  di  dati  concorrono  a  situare  in 
una  non  ampia  regione  circostante  a  Nocera  Tirinese  l'antica  e  misteriosa  Temesa. 
la  città  dei  metalli. 

La  pianta  generale  ci  porge  una  fedele  imagine  del  colle.  La  spianata  superiore, 
lunga  e  stretta,  degrada  sensibilmente  da  levante  (dove  era  forse  una  angusta  acro- 
poli alla  quota  di  m.  200)  a  ponente,  dove  il  ciglione  corre  alla  quota  di  m.  150. 


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NOCERA  TIR1NESE  —   838   REGIONE    III. 

Soltanto  questa  terrazza  superiore  era  tutta  cintata,  mentre  una  seconda,  più  piccola 
e  più  bassa  (quota  media  di  m.  100),  si  protende  come  enorme  bastione  verso  il 
Savuto,  ma  non  presenta  tracce  di  fortificazioni  o  di  altri  ruderi. 

II.  La  muraglia.  —  Essa  è  evidentissima  lungo  tutto  lo  spigolo  di  levante,  dove 
domina  l'aspra  salita,  ma  in  tutto  il  resto  del  colle  è  scomparsa,  o  perchè  sottoterra,  o 
per  franamenti  ;  però  in  taluni  punti  essa  emergeva  così  poco  fra  i  cespugli,  che  fu  ne- 
cessario un  lavoro  di  scavo  saltuario  per  fissarne  il  tracciato,  quale  esso  appare  nella 
nostra  pianta.  Con  mia  grande  sorpresa  venne  ovunque  constatato  che  il  muro,  for- 
mato di  sfaldature  di  pietra  del  luogo,  disposte  a  letti  e  bene  azzoppate,  era  sempre 
cementato  con  buona  e  resistente  malta  di  calce,  e  non  col  «  tajo  «  primitivo,  a  noi 
noto  dalle  fortificazioni  di  Caulonia.  Data  l'assenza  dei  grandi  conci  calcarei  squa- 
drati, dei  quali  eccettuato  il  bastione  di  NO,  forse  appena  un  paio,  io  ho  veduto  lungo 
tutto  lo  sviluppo  del  muro,  date  le  modiche  proporzioni  delle  sfaldature  fornite  dal- 
l'ambiente petrografico,  l' impiego  di  un  forte  mezzo  cementizio  diventava  una  ne- 
cessità. 

E  poiché  si  tratta  di  vera  e  propria  malta  di  calce,  senza  che  sia  stato  possi 
bile  riconoscere  altri  brani  del  muro  di  struttura  diversa  e  con  caratteri  di  maggiore 
antichità,  V  impiego  generale  e  costante  di  questo  cemento,  basta  da  solo  a  denotare 
una  età  storica  molto  ma  molto  progredita. 

Le  mura  non  presentano  né  opere  prominenti  (cioè  torri,  bastioni),  né  per  quanto 
fu  dato  ricavare  da  esplorazioni  saltuarie,  porte  ben  definite  ;  non  intendo  certamente 
dire  con  ciò  che  porte  non  ve  ne  avessero,  ma  esse  dovettero  essere,  come  tutto  il 
sistema  difensivo,  di  assai  modesto  sviluppo,  cioè  delle  aperture  senza  affiancamento 
di  torri,  per  modo  che  facilmente  scomparvero.  Una  di  esse  doveva  aprirsi  sul  fronte 
meridionale  in  prossimità  della  torre  medioevale,  dove  mette  capo  un  largo  viottolo, 
che  faticosamente  sale  dal  fondo  della  valle,  e  che  dovette  essere  uno  dei  pochi,  e 
forse  il  principale  accesso  alla  città;  il  luogo  porta  ancora  la  denominazione  molto 
significativa  di  •  cancello  ».  E  del  resto  codeste  porte  della  città,  ristrettissime  di 
numero,  dovettero  essere  delle  semplici  nvXiósg,  perchè  davano  accesso  a  viottoli, 
ripidi  ed  angusti,  al  più,  e  forse  non  tutti,  praticabili  da  bestie  da  soma. 

Quanto  a  struttura  e  spessore  gli  avanzi  del  muro  più  belli  ed  istruttivi  sono 
quelli  della  estrema  punta  di  levante,  la  quale  domina  l' istmo  e  l'acquedotto.  Siccome 
era  questo  uno  dei  punti  più  accessibili,  e  quindi  più  deboli,  pare  che  la  difesa  sia 
stata  qui  rafforzata,  anche  perchè  il  punto  elevato  formava  una  modesta  acropoli. 
Però  siccome  in  epoca  romana,  e  forse  anche  in  quella  medioevale,  intervennero  qui 
dei  rifacimenti,  conviene  andar  cauti  nell'esame  e  nella  definizione  del  muro.  La  parte 
perimetrale  che  corre  lungo  il  ciglione  interno  ha  l'aspetto  di  un  aggere  ben  con- 
nesso, di  m.  1.90  di  spessore,  formato  di  scaglioni  schistosi,  di  rari  ciottoli  grani- 
tici, e  di  qualche  ancor  più  raro  squadretto  in  arenaria;  il  tutto  legato  da  abbon- 
dante ed  ottima  malta.  Questo  angolo  acuto  e  speronato  del  colle,  simile  alla  prua 
di  una  nave,  chiuso  alle  spalle  da  un  altro  muro  angolare  in  solidissima  costruzione 
cementizia  di  piccolo  pezzame,  dello  spessore  di  m.  1.95.  racchiudeva  una  ristretta 
area  triangolare  di  m.  80  X  61,   che  nella  tradizione   popolare,  prese  e  conservò  il 


REGIONB   III. 


—   339   — 


NOCERA    TIRINESE 


nome  di  Carcere.  A  fig.  2  esibisco  una  fotografia  di  questo  avanzo.  Pare  che  questo 
recinto  triangolare  fosse  intonacato  su  ambo  i  fronti,  ma  ritengo  che  questo  sia  un 


Via.  2. 


adattamento  dei  tempi  seriori.  Alla  fig.  3  si  vegga  la  struttura  di  sezione  di  un  tratto 


Fig.  3. 


di  questo  recinto,  che  attesa  la  sua  elevazione  costituiva  una  angusta  e  tuttavia  mu- 
nitissima  acropoli. 

Circa  il  muro  di  cinta  nelle  altre  parti  del  colle,  conviene  anzitutto  osservare 
che  gli  avanzi  superstiti  sono  molto  tenui,   ed   in  (certi   punti   sembrano  per  intero 


NOCERA    TORINESE 


—    340    — 


REGIONE    III. 


scomparsi,  salvo  le  fondazioni  superstiti  sotterra.  Da  escavazioni  e  misure  prese  in 
punti  diversi  risulta  che  il  suo  spessore,  costante  quasi  ovunque,  oscillava  intorno 
ai  cm.  93-95.  A  fig.  4  presento  il  prospetto  di  un  tratto  di  detto  muro  lungo  il 
ciglio  settentrionale.  La  struttura  qui  varia  di  poco  da  quella  del  cosiddetto  Carcere. 


Fui.  4. 


Le  pietre  disposte  con  un  certo  ordine  stratigrafico  mostrano  rozzi  conci  scliistosi  più 
grossi  all'esterno,  con  massa  cementizia  a  sacco  nell'interno.    Certi  tratti  del  muro 


Fio.  5. 


o  per  cedimenti  del  suolo  o  per  insulti  sismici  hanno  fatto  degli  strani  movimenti  ; 
nel  punto  suindicato,  da  cui  si  è  tratta  la  fig.  4,  un  buon  pezzo  della  cinta  si  è 
spostato  in  avanti  di  m.  1.50,  in  confronto  del  tratto  attiguo,  piantato  su  terreno 
più  consistente.  Particolare  esame  merita  un  breve  tratto  del  muro,  che  si  osserva 
all'estremità  NO  del  colle,  e  di  cui  produco  a  fig.  5  e  6  bis  due  vedute  prospettiche,  ed 


REGIONE    Ìli. 


—    341    — 


ttOCERA    TIRINÈSÉ 


un'altra  con  pianta  alla  seguente  fig.  6.  Questo  muro  di  struttura  eccezionale  for- 
mava un  cantonale  ad  angolo  retto  sul  declive  della  collina,  che  monta  con  forte 
inclinazione.  Esso  cantonale  è  formato  di  grandi  conci  squadrati  in  arenaria  tufacea, 
adagiati  l'uno  sull'altro,  alla  maniera  greca,  senza  malta.  I  conci  che  seguono  in 
salita  sono  invece  disposti  con  minore  diligenza  e  legati  con  malta.  In  altri  termini 


Fig.  C. 


sembra  di  vedere  qui  un  muro  di  data  piuttosto  antica,  greco,  nel  quale  si  è  poste- 
riormente innestato  il  muro  cementizio  che  gira  attorno  tutto  il  colle.  L'interno  del 


Fig.  6  bis. 


muro  è  in  opera  a  sacco  cementizia,  con  uno  spessore  di  m.  1.03,  e  con  ciottoloni 
nell'interno.  La  parte  poi  che  volge  a  tramontana  (cfr.  sezione  fig.  6)  è  quanto  mai 
istruttiva.  Il  muro  è  di  dieci  assise  di  conci  squadrati  non  cementati;  l'interno  è 
qui  formato,  per  breve  tratto,  da  pietrame  in  secco,  non  cementato.  Detto  cantonale 
tanto  nel  fronte  NE  come  in  quello  NO  ha  tutta  l'aria  di  essere  opera  greca,  od 
almeno  costruita  con  greco  magistero,  la  quale  però  in  un  momento  successivo  subì 


NOCERA    TIRINESK 


342  — 


REGIONE    HI. 


modificazioni,  adattamenti  ed  aggiunte.  Difatto  sul  paramento  NO  di  tale  muro  di 
eonci  venne  parecchio  tempo  dopo  addossato  un  muro  cementizio  di  circa  m.  0.90, 
forse  allo  scopo  di  robustare  il  rudere  più  antico. 

Alla  tìg.  7  vedesi  un  altro  tratto  del  muro  di  cinta  preso  a  poca  distanza 
verso  NE  del  brano  precedente,  che  chiameremo  greco.  È  anche  qui  la  solita  strut- 
tura di  pietre  locali  bene  aggiustate,  con  la  tendenza  a  disporle  in  assise  nei  fronti 
esterni  e  con  largo  impiego  di  malta  di  calce.  Lungo  il  fronte  meridionale  il  muro 
presenta  dal  più  al  meno  gli  stessi  caratteri  costruttivi,  lo  stesso  impiego  di  mate- 
riale e  di  malta.  Soltanto,  da  questo  lato  esso  assume  uno  spessore  notevolmente 
maggiore,  arrivando  a  m.  1.75. 

1/  impressione  generale  che  si  riporta  dall'esame  della  cinta  murale  della  Tirena 
si  è,  che  essa  appartenga  ad  epoca  tarda,  cioè  ellenistica  progredita  o  repubblicana 
romana.  È  la  prima  volta  che  in  Calabria  od  anche  in  Sicilia  m' imbatto  in  un  muro 


Fra.  7. 


urbano  di  tecnica  siffatta;  a  me  pare  di  vedere  che  l'antica  tecnica  locale,  dovuta 
a  difetto  di  pietra  da  taglio,  cioè  la  tecnica  della  costruzione  in 'secco  legata  da 
«  tajo  »  (cfr.  Caulonia)  sia  stata  notevolmente  migliorata  coll'adozione  del  cemento 
di  calce  largamente  usato;  innovazione  dovuta  ai  tempi  ellenistici.  Ma  l'avanzo  del 
muro  di  NO  di  evidente  greco  magistero  allude  ad  una  cinta  più  antica  di  qualche 
secolo,  di  cui  sorprende  sia  rimasto  superstite  un  solo  brano.  Come  questo  duplice 
carattere  del  muro  urbano  si  possa  accordare  con  la  cronologia  storica  della  città, 
torna  difficile  a  dire,  appunto  perchè  la  storia  della  Tirena,  sia  essa  Nuceria  od 
altra  città,  è  tutta  un  mistero. 

III.  L'acquedotto.  —  Il  Piano  della  Tirena  non  disponeva  di  fonti,  ma  è  pre- 
sumibile fosse  in  origine  alimentato  da  cisterne,  di  cui  a  me  non  è  venuto  fatto  di 
riconoscerne  alcuna,  perchè  molto  limitati  furono  gli  scavi  eseguiti  nell'area  interna 
della  città.  Ove  però  si  pensi  che  la  regione  è  ricchissima  quanto  altre  mai  di  ab- 
bondanti e  saluberrime  acque,  si  comprende  agevolmente,  come  i  cittadini  abbiano 
pensato  all'alimentazione  acquea  della  loro  città,  mediante  una  condottura  perma- 
nente, che  per  le  ragioni  che  esporrò  più  sotto  appare  di  epoca  molto  progredita. 
La  strozzatura  o  sella  che  chiude  a  levante  il  colle,  denominata  Porta  Vecchia  e  che 
nettamente  lo  separa  dalle  circostanti  montagne,  era  incavalcata  da  un  acquedotto  in 
muratura,  di  cui  oggi  ancora  sono  superstiti   ragguardevoli   ruine.   Esso   è   in  opera 


REGIONE    III. 


—  sta 


NOCERà  TiriNesk 


cementizia  durissima,  ed  alla  base  ne  ho  misurato  lo  spessore  in  m.  2.15  a  2.45  a 
seconda  dei  punti.  Per  dare  la  livelletta  alle  acque,  che  scendevano  dalla  montagna, 
esso  doveva  essere,  nella  massima  depressione,  molto  elevato,  forse  di  6-8  m.  ;  ma 
oggi  è  in  gran  parte  diruto.  Ed  .appunto  perchè  la  cresta  dell'acquedotto  è  da  secoli 
distrutta,  non  siamo  in  grado  di  dire,  se  fosse  una  condottura  forzata,  come  quella 
di  Betilieno  in  Alatri,  o  ad  andamento  normale.  Ma  poiché  la  depressione  di  Porta 
Vecchia  era  di  tanto  accentuata,  che  anche  un  muro  elevato  poteva  di  poco  correg- 
gerla, sembra  che  in  quel  punto  l'acquedotto  facesse  una  specie  di  sifone,  per  pren- 
dere poi  la  spinta  in  salita  al  colle  della  Tirena.  A  fig.  8  vedesi  il  crinale  del 
colle  lungo  cui  scende  la  condottura.  Secondo  una  leggenda,  non  priva  di  verosimi- 
glianza, l'acquedotto  sarebbe  stato  tagliato  durante  un  assedio  (quale?!)  della  città. 
Si  dice  ancora  che  l'acqua  venisse  attinta  a  grande  distanza,  e  cioè  nei  contorni  di 
S.  Mango,  dove  è  tuttora  una  copiosa  sorgiva,  che  alimenta  la  Fontana  o  Testa  delle 


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Fio.  8.- 

Cannelle.  Il  percorso  sarebbe  stato  così  di  un  6  km.  in  salita,  e  sebbene  io  non 
abbia  avuto  modo  di  controllare  sul  terreno  la  notizia,  essa  appare  tutt'altro  che 
inverosimile.  Superato  l'avvallamento  di  Porta  Vecchia,  l'acquedotto  si  sviluppava 
nelle  due  direzioni  di  levante  e  di  ponente  con  muratura  sempre  più  bassa;  verso 
ponente  esso  seguiva  esattamente  il  crinale  del  monte  e  lo  ho  seguito  per  molte 
centinaia  di  metri,  ma  non  mi  fu  dato  di  accompagnarlo  sino  alla  fonte  di  origine. 
La  cresta  del  muro  sorreggeva  una  tubatura  in  terracotta,  porzione  della  quale  è 
ancora  in  posto,  per  quanto  ridotta  in  frammenti.  Il  diametro  complessivo  del  tubo 
è  di  cm.  23,  la  luce  di  cm.  17.  Nell'interno  poi  della  città  la  rete  di  distribuzione 
dovette  essere  parte  in  cotto,  parte  in  piombo,  perchè  ci  si  è  sovente  parlato  di 
fistule  plumbee,  qualcheduna  anche  litterata,  trovate  in  punti  ed  in  occasioni  diverse  (') 
ed  anche,  come  vedremo,  nei  nostri  scavi. 


(')  Il  signor  V.  Venturi  di  Nocera  T.,  al  quale  esprimo  viva  riconoscenza  per  aver  agevolato, 
egli  coi  suoi  fratelli,  proprietari  di  gran  parte  del  colle,  le  nostre  ricerche,  mi  ha  parlato  di  molto 
materiale  trovato  alla  Tirena  dai  suoi  antenati,  e  regalato  ad  amici.  Egli  mi  parlò  anche  di  tubi, 
da  lui  però  non  visti,  con  là  leggenda:  L.  Appius  Magister  Viarum.  Debbo  quindi  ritenere  leg- 
gendaria tale  scoperta,  tanto  più  che  un  «  magister  viarum  »  difficilmente  soprintendeva  alla  co- 
struzione di  acquedotti  municipali.  Tale  notizia  fu  accolta  anche  dal  Marincola-Pistoia  (Di  Terina 
e  Lao  città  italiote  dei  Bruzii.  Catanzaro,   1886,  pag.   15),  il  quale  aggiunge  che  al  colle  della 


Notizib  Scavi  1916  —  Voi.  XIIL 


45 


NOCERA    T1RINESE 


—  344  - 


REGIONE    Iti. 


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.-..». 


Presso  un  privato  di  Nocera  T.  ho  potuto 
esaminare  due  esemplari  di  tubo  fittile,  a  lascia 
e  prendi;  sono  di  calibro  diverso  (cm.  17  e  24) 
ed  appartengono  quindi  a  punti  diversi  della 
diramazione. 

Da  quanto  ho  esposto  si  ritrae  l'impres- 
sione, che  la  conduttura  sia  di  epoca  ellenistica 
assai  inoltrata,  ed  anzi,  con  tutta  probabilità, 
sia  di  età  romana.  A  comprendere  l'andamento 
dell'acquedotto  in  rapporto  alla  configurazione 
del  suolo,  giova  moltissimo  la  vedntina  così 
del  Piano  della  Tirena  come  dell'attiguo  più 
alto  colle,  lungo  il  cui  crinale  scorreva  l'acque- 
dotto, vedutina  che  qui   si  allega  a  fig.  8  bis. 

IV.  Ruderi  diversi  entro  la  città.  —  Se 
si  volesse  prestar  fede  a  villici  e  proprietari, 
il  Piano  della  Tirena  sarebbe  tutto  cosperso 
di  ruderi,  ora  coperti,  di  ragguardevoli  edifici. 
Mi  si  è  parlato  di  una  costruzione  a  grandi 
massi,  che  io  ho  cercato  con  grande  ardore, 
nel  supposto  si  trattasse  di  un  tempio;  di 
stanze  sotterranee;]  di  case  con  vasti  mosaici 
ecc.  ecc. (')  Le  colture  estensive  e  superficiali 
del  suolo,  che  mai  è  stato  rimaneggialo  a  pro- 
fondità notevole,  e  l' impetrimento  del  terreno, 
rendono  quanto  mai  costosa  e  malagevole  la 
ricerca.  Pur  riconoscendo  che  ruderi  vi  debbano 
essere  in  più  punti,  mi  sono  formato  l'idea 
che  la  città  fosse  estremamente  modesta,  e  che 


Tirena  sarebbesi  trovato  nn  frammento  di  tavola  enea 
con  la  voce  MVNIC.  Ma  essa  è  certamente'una  notizia 
leggendaria,  che  fa  paio  con  l'altra  del  titolo  funebre 
della  ninfa  Ligeia;  messa  in  circolazione  per  primo  dal 
Barrio  (De  antiquitate  et  situ  Calabriae;  ed.  Aceti, 
Roma  1737,  pag.  124),  copiatajdal  Fiore  (Calabria  illu- 
strata, Napoli,  1691,  pag.  120),  venne  poi  accolta  ad 
occhi  chiusi  da  tutti  gli  storiografi  calabresi.  Ma  il 
Mommsen  (C.  /.  L.,  X,  pag.  1,  n.  3)j_ha  opportunamente 
collocato  il  titolo  traigli  spuri. 

(')  Il  Fiore  (op.  cit,  pp.  121  sgg.)  parla  di  fortifi- 
cazioni, di  una  galleria  sotterranea  per^scendere  al  porto 
(fantasial),  del  porto,  di  cui  dirò]  sotto,  di  una  chiesetta 
con  pitture  bizantine,  ora  scomparsa,  e  di  scoperte  di 
bronzi,  monete  e  titoli  (?!),  che  però  non  produce. 


REGIONE    III. 


—  345  — 


NOCERA    TIRINESE 


in  ogni  caso  la  fantasia  dei  contadini  avesse  esagerato  di  molto  la  portata  di  quanto 
in  passato  era  loro  capitato  sotto  la  zappa. 

a)  Edificio  balneare  (?).  Un  centinai  di  metri  a  NO  della  vecchia 
torre,  affioravano  dei  ruderi  che  ho  voluto  sottoporre  ad  esame.  Prima  dello  scavo 
si  vedevano  sopra  terra  3  rulli  di  una  piccola  colonna  dorica  in  calcare,  con  55  cm. 
di  diametro.  La  piantina  che  allego  a  fig.  9  dimostra  lo  stato  del  rudere  a  sgombero 
compiuto.  Da  levante  a  ponente  un  robusto  muro  cementizio  era  intersecato  normal- 


é'°"3ùrti 


ira" 


Kw.  9. 


mente  da  un  altro  assai  lungo  e  spesso  cm.  60,  formato  da  conci  in  arenaria  e 
piccolo  pezzame  legato  da  tajo.  A  questo  muro  nel  punto  indicato  in  pianta  si  appog- 
giava un  pilastro  rettangolare  di  tre  assise  di  pezzi,  e  più  in  là  una  vaschetta  di 
m.  1.85  X  1.70,  della  quale  era  superstite  il  solo  fondo  con  accenno  alle  guance. 
Ad  occidente  del  muro  principale  un  conglomerato  di  pietrame  a  sacco,  unito  con 
malta,  pare  si  riferisca  ad  un  poderoso  muro  perimetrale,  del  cui  enorme  spessore  (?) 
di  m.  3.90  non  so  darmi  ragione,  se  forse  non  trattasi  del  selciato  di  una  strada. 
Correva  quasi  parallela  a  questo  muro,  ed  alla  profondità  di  m.  0  70,  una  condot- 
tura  plumbea,  di  cui  si  ricuperò  un  unico  pezzo,  del  diametro  di  cm.  4.  Riconosco 
che  sarebbe  imprudenza  il  voler  definire  da  si  sparuti  avanzi  il  carattere  dell'edi- 
ficio; ma  la  presenza  della  fistula  plumbea,  le  tracce  di  altri  tubi  fittili,  la  vaschetta, 


NOCERA    TIRINESE 


—  340  — 


REGIONE    III. 


e  taluni  elementi  architettonici  rendono  plausibile  l' idea  che  si  tratti  di  un  edificio 
balneare,  anziché  di  un  impianto  industriale. 

A  tale  conclusione  paruii  dover  arrivare  dall'esame  dello  scarso  materiale  rinve- 
nuto. Oltre  i  tre  rocchi  di  colonna,  cui  ho  accennato  in  precedenza,  presso  la  vasca 
si  trovò  il  capitellino  in  calcare  bianco,  a  tre  fronti,  che  esibisco  alla  fig.  10.  Ivi 


Fio.  10. 


stesso,  cioè   presso   la  vasca,  due   frammenti  di  doccioni  fittili,  che  pure  riproduco 
con  le  loro  dimensioni  a  fig.  10. 


Fio.  11. 


In  fatto  di  fittili  si  raccolsero  i  pezzi  di  un  grande  piatto  molto  aperto,  a  ver- 
nice nero-picea,  il  cui  diametro  si  aggira  intorno  ai  25  cm.  ;  frammenti  di  un  boc- 
caletto  ansato  pure  a  cattiva  vernice.  Assai  più  copioso  era  il  vasellame  grezzo;  noto 
pezzi  di  uno  scodellone  con  collarino  dritto;  di  anfore  diverse;  di  una  specie  di 
rython,  e  di  un  singolare  vaso  a  corpo  cilindrico;  alla  fig.  11  ho  fatto  riprodurle 
le  forme  più  caratteristiche;  tra  cui  si  notano  diversi  oscilla,  e  diversi  campioni  di 
tegole  in  rottami.  L'assenza  assoluta  di  vasi  figurati,  la  scadente  vernice   di   pochi 


REGIONE    HI. 


—    347    — 


NOCERA    TIRINESE 


altri,  ed  i  caratteri  generali  della  ceramica  grezza  segnano  come  «  terminus  a  quo  » 
il  sec.  Ili,  anzi  più  probabilmente  il  II  a.  C. 

b)  Il  Fogno  lo.  —  La  breve  area  della  necropoli,  di  cui  dirò  appresso,  era 
delimitata  ad  est  da  una  caratteristica  costruzione,  della  quale,  malgrado  la  sua 
pochezza,  conviene  tenere  ricordo.  Si  tratta  degli  avanzi  di  una  piccola  cloaca,  colle 
guance  di  pezzame  laterizio,  rinforzato  all'esterno  da  conci  lapidei.  Il  fondo  era  costi- 


rAV.W,-1-V'-'''"^V  ,,^~  -  -.  ., 


Pia.  12. 


tuito  da  una  serie  di  tegoloni,  disposti  a  squamma  (fig.  12),  sistema  che  fu  già  notato 
in  una  analoga  costruzione  di  Caulonia  (]).  Trattasi  di  un  canale  di  spurgo  di  qualche 


W/s////?/ 


Musaico 


Fio.  13. 


edificio,  che  io  non  ebbi  modo  di  raggiungere  ;  il  canale  mirava  a  scaricarsi  sul  ciglio 
meridionale  del  colle,  da  cui  distava  una  diecina  di  metri. 

(?)  Tracce  diverse  di  case.  —  Poiché  il  terreno  a  levante  della  torre, 
essendo  alquanto  sollevato  sul  piano  circostante,  sembrava  promettente,  vi  feci  aprire 
due  lunghe  trincee  di  prova,  le  quali  alla  profondità  di  m.  1.30  s'imbatterono  in 
creste  di  muri,  che  accennavano  a  scendere.  Il  risultato  di  questo  scavo  è  consecrato 
nel  disegno  a  fig.  13;  nel  cantonale  super,  destro  si  raggiunse  un  pavimento  di  coccio 


(')  Orsi,  Caulonia,  Campagne  archeol.,  1912-13-15,  col.  135. 


NOCKRA     TIRINKSE 


34S  — 


REOIONK    Ili. 


pesto;  esso  aveva  una  bordura  angolare  di  cm.  14,  eseguita  a  mosaico  con  tesserine 
di  calcare  bigio  tenero.  Il  muro  che  racchiudeva  questo  cantonale  di  casa,  in  piccola 
opera  cementizia,  diede  anche  tracce  di  stucco  rosso  sulle  pareti  ;  a  sud  di  esso,  a 
m  1.40  di  profondità  si  avvistò  un  muretto  di  m.  ^.50,  eseguito  con  mattoni  e  calce; 
parve  di  ravvisarvi  la  soglia  e  lo  stipite  di  una  porta.  Dentro  il  vano  corrispondente, 
sopra  il  pavimento  ad  opus  testaceum,  era  caduto  un  capitello  dorico,  in  tenera  are- 
naria, molto  logoro  (fig.  14);  da  notare  il  tondino  che  separa   l'abaco  dall'echino; 


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w,h^,.ii»«w."»v  xl,,\%irAnvm-,/n™mwwM,*>]rtiy>f. 


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Fig.  14. 

sembra  anche  di  riconoscere  tracce  dell'aimilla;  nei  due  piani  di  posa  fori  quadrati 
per  l'innesto  dei  perni.  — A  fianco  al  precedente  cantonale  si  denudò  un  altro  angolo 
di  casa,  con  muratura  in  pietra,  mattoni  e  malta,  larga  cm.  53.  —  In  fine  un  po'  più 


Fio.  15. 


ad  occidente  apparve  un  muro  cementizio  in  pietrame  e  ciottoloni,  largo  cm.  59  ed 
alto  m.  1.30.  In  questo  scavo  si  trovarono  i  seguenti  rottami  fittili,  di  cui  va  tenuto 
conto  per  il  loro  valore  indiziale  cronologico:  a)  Piattello  grezzo  a  calotta  diametro 
cm.  20  (fig.  15);  h-c)  frammenti  di  un  pentolino  grezzo,  e  di  una  pentola  di  assai 
maggiori  dimensioni,  ma  che  ha  la  sagoma  identica  al  precedente;  d)  frammento  di 
piatto  aretino,  avente  al  centro  la  marca  molto  consunta  GP//;  veggansi  a  fig.  15 
le  sagome  di  queste  ceramiche;     e)  piccolo  tegame  in  creta  rosso  fina,  pseudo  are- 


REGIONE    IH. 


—   349 


NOCERA    T1R1NESE 


tina.  Frammenti  di  lucerna  romana  a  svolazzi,  e  di  parecchie  anfore  col  loro  ombe- 
lico a  cono  pronunciato;  di  vetro  alqnanti  rottami,  tra  cui  un  fondo  di  bottiglia  qua- 
drata ed  il  collo  di  un'altra  a  labbro  assai  spesso.  —  Tutto  codesto  materiale  è 
prettamente  romano,  e  romane  si  direbbero  anche  le  modestissime  casette  entro  alle 
quali  esso  è  stato  rinvenuto. 

Siccome  a  detta  dei  contadini  il  terreno  circostante  alla  torre  veniva  indicato 
come  ricco  di  avanzi  di  vecchi  «  muragli  »  che  intralciavano  i  lavori  agricoli,  e  sic- 
come i  saggi  precedenti  avevano  in  realtà  confermate  tali  informazioni,  vennero  pro- 
seguite le  indagini  coll'apertura  di  trincee  condotte  in  punti  diversi,  e  nella  speranza 
che  esse  ci  portassero  sópra  qualche  edificio  di  maggiore  riguardo,  e  degno  di  essere 


Fio.  in. 


per  intero  denudato.  Disgraziatamente  i  risultati  conseguiti  con  una  settimana  di 
lavoro  furono  dal  punto  di  vista  monumentale  quasi  negativi  ;  si  riconobbe  bensì  di 
essere  sopra  un  suolo  eminentemente  archeologico,  anzi  entrò  l'abitato;  ma  la  povertà 
delle  costruzioni  era  tale,  che  essendo  esse  in  gran  parte  distrutte  fino  alle  radici 
dei  muri,  non  si  ritenne  di  ampliare  i  cavi  per  il  rilievo  di  povere  casette,  ma  invece 
si  prese  accurata  nota  del  materiale  messo  a  vista  dalle  trincee,  secondo  il  giornale 
degli  scavi,  che  qui  si  compendia. 

(3-5  giugno).  Di  muri  nessuna  traccia,  ma  il  suolo  è  straordinariamente  ricco 
di  relitti  fittili  d'ogni  maniera,  tra  i  quali  predominano  i  rottami  di  tegoloni  e  di 
vasellami  grezzi.  Da  notare:  alcuni  oscilla,  due  dei  quali  in  forma  di  scudo,  analoghi 
ad  altri  di  Caulonia,  ed  un  terzo  con  impressioni  cupelliformi  disposte  a  croce  (fig.  16)  ; 
frammento  di  coppo  con  grosse  cordonatile  ad  una  estremità  ;  frammento  di  piatto 
a  vernice  nerastra;  frammento  di  tegame  grezzo;  manico  di  un  vaso  grezzo  di  media 
grandezza;  metà  di  uno  dei  notissimi  orcioletti  fusiformi  di  età  ellenistica;  due  sco- 
dellini a  scadente  vernice  nera,  pure  caratteristici  dell'età  anzidetta  ;  frammento  di 
piccola  coppa  a  vernice  nera  scadente;  idem  di  vaso  grezzo  con  labbro  a  dentelli 
plastici.  Si  aggiungono  le  sagome  di  tre  colli  di  grandi  pithoi. 

(9  giugno).  Nelle  trincee  si  trovano  alcuni  singolari  frammenti  di  fittili,  corri- 
spondenti ad  altri  rinvenuti  sporadici  nel  Piano  della  Tirena.  Presento  a  fig.  17  i 
disegni  di  tre,  a  metà  del  vero  ;  essi  hanno  lo  spessore  di  oltre  2  cm.  e  la  superficie 
lievemente  convessa  è  rigata  a  striature  parallelle  ed  a  rombi.    Non  ne  comprendo 


NOCEKA    T1RINESE 


—  350  — 


REGIONE    111. 


la  destinazione,  non  potendo  essere  frammenti  di  coppi,  attesa  la  incurvatura  troppo 
tenue.  Aggiungo  il  ricordo  di  una  lucerna  in  creta  rossa  con  anse  a  svolazzi,  elle- 
nistica tarda  o  romana. 

(12  giugno).  C'imbattiamo  in  misere  tracce  di  casette  con  muri  cementizii; 
copiosi  sono  gli  avanzi  di  tegulae  e  di  imbrices,  di  uno  dei  quali  a  sezione  penta- 
gonale  presento   l'itnagiue  a  rìg.   18.    Non    mancano   rottami   di   piccolo   vasellame 


Vii/ 


Pia.  17. 


vitreo.  Si  osservi  altresì  alla  stessa  figura  la  sagoma  di  una  pentola  culinaria,  colla 
insolcatura  o  vagina  per  ricevere  il  coperchio.  Ed  ancora  il  grande  disco  fittile  colle 
guance  molto  scappanti,  e  che  perciò  difficilmente  può  essere  rullo  di  colonna. 


Fio.  18. 


(13  giugno).  La  trincea  venne  condotta  a  circa  100  m.  a  nord  preciso  della  torre; 
essa  non  ha  dato  reliquie  di  fabbricati,  ma  lo  strato  archeologico  che  appare  a  circa 
90  cm.  ci  ha  procurato  molti  rottami  di  tegoloni,  fondi(  di  anfore  e  poi  parecchi 
avanzi  di  vasellame  a  vernice  rossa  buona  e  scadente,  cioè  aretino  e  pseudoaretiuo. 
Alcuni  fondi  di  piccoli  rasi  bollati  hanno  le  seguenti  marche: 

a)     SEX  b)      •rTì-Tl  e) 


A/NI 


jTiTi 


GA 


REGIONE    Ìli. 


—    351    — 


NOCERA    TIRINESÈ 


Richiama  la 


Appartiene  alla  «  terra  sigillata  »  nn  fondo  di  coppa  a  buona  vernice  nera 
con  figura  (spezzata)  a  rilievo  assai  forte  di  un  Erote  lincine.  A  vernice  nera  sca- 
dente era  una  scodella  campanata.  Si  ebbero  altresì  frammenti  di  lucerne  romane  ed 
un  manico  lunato.  Un  bollo  rettangolare  su  tegola  è  talmente  stanco,  che  non  oso 
nemmeno  darne  la  lezione,  troppo  incerta  fra  DI  DI/- A,  e  DIH/A_. 
nostra  attenzione  l'oggettino  in  osso,  riprodotto  a  tìg.  19,  cioè  un 
ciondoletto,  lungo  mm.  34  adorno  di  occhi  di  dado  sopra  una 
faccia,  liscio  nell'altra;  esso  pare  la  fedele  riproduzione  di  uno  di 
quei  capi  di  correggia  in  bronzo,  cotanto  comuni  nell'età  barbarica 
e  bizantina  del  Mezzogiorno  ('),  ma  tale  non  può  essere  attesa  la 
fragile  materia. 

(17  giugno).  Si  saggia  il  suolo  un  150  m.  a  ponente  della  torre, 
dove  lo  strato  archeologico  è  alquanto  più  profondo.  In  una  trincea 
si  trovarono  alquanti  mattoni  di  modulo  vario,  a  segmento  di  cir- 
colo, che  servivano  non  per  pavimentazioni,  ma  per  levare  colonnine  in  cotto.  Assai 
curiosi  sono  due  frammenti  di  una  sottile  spatola  ossea;  la  ricomposizione  a  fig.  20, 


Fig.  19. 


.:V»'*Y,  v*.  v  v.\.  j  ..vi 


•/■ 


Fig.  20. 


lunga  mm.  148,  mostra  come  uno  dei  margini  è  tagliente,  l'opposto,  il  dorso,  è 
seghettato  a  doppio  ordine  ;  era  certo  uno  stromentino  di  uso  industriale  per  rigare, 
o  pettinare  delle  ceramiche  od  altra  materia  molle.  —  A  profondità  di  m.  1.40  si 
avvistò  un  muretto  di  casa  costruito  in  secco;  in  altro  punto  più  discosto  un  altro 
muro  alla  stessa  profondità  era  invece  formato  di  pietrame  e  tegole  rotte,  legate  con 
«  tajo  »  ;  in  quel  punto  emersero  molti  cocci  di  tegole,  anfore  e  dolii.  Con  una  terza 
trincea  si  scese  tino  a  m.  2.50  prima  di  toccare  il  suolo  vergine;  anche  qui  tracce 
di  muretti  di  povere  abitazioni,  in  mezzo  ai  quali  si  raccolse  la  metà  di  uno  stilo 
in  osso,  e  rottami  fittili  svariatissimi,  tra  i  quali  i  frammenti  di  un  piatto  nerastro 
di  circa  cm.  20  di  diam. 

Ricordo  in  fine  che  nell'area  del  colle  c'imbattemmo  sovente  in  pezzi  di  «  stri- 
gatori  »  o  lisciatoi  in  lava;  invece,  di  terrecotte  architettoniche  si  ebbe  un  unico  fram- 
mento di  cornice  con  dentelli,  1.  cm.  18,  ed  un  tenue  avanzo  dei  noti  trapezofori 
scannellati.  Ma,  giova  bene  notarlo,  in  tutti  questi  movimenti  di  terre  non  si  ricu- 
però una  sola  terracotta  greca  figurata,  non  un  solo  coccio  di  vaso  greco  od  anche 
italioto  a  figure;  di  bronzo  soltanto  due  testoline  di  oca,  spettanti,  a  quanto  pare, 


(')  Cfr.  una  ricci  serie  da  me  edita  in   Byz.  Zft.,  1912.  )>ag.   197  scg£- 
Notizie  Scavi  1916  —  Voi   XIII. 


46 


NOCKRA    TIRINESE  —    352    —  REGIONE    111. 


a  manichi  di  capednncole  o  ad  altro  vaso;  due  aghi  saccali,  due  lunghi  chiodi  e 
qualche  altra  insignificante  quisquiglia.  Anche  le  poche  e  logore  monete  raccolte  si 
suddividono  nel  modo  che  segue:  a)  Italiote  n.  5  (Rhegium,  Bretii)  ;  b)  Roma 
repubblica;  due  assi  molto  ridotti,  e)  Roma  imperiale;  5  pezzi  da  Augusto  a 
Costanzo  Cloro.  Questa  assenza  assoluta  di  materiale  del  sec.  V  ed  anche  del  IV 
ha  il  suo  significato  storico,  che  va  a  suo  tempo  pesato  e  meditato. 

Ad  ogni  modo  questo  pare  accertato  dai  diversi  sondaggi  eseguiti,  che  il  nucleo 
principale  dell'abitato  sorgesse  nella  parte  mediana  della  terrazza,  irradiando  dalla 
torre  medioevale,  in  parte  costrutta  con  materiale  antico.  Per  concorde  testimonianza 
di  villici  ed  anche  di  persone  autorevoli,  quali  i  signori  Venturi,  anni  addietro  fu 
avvistato  un  lungo  muro  di  grossi  massi  un  80  m.  a  nord  della  torre.  Io  avevo  vaga- 
mente pensato  ad  un  tempio;  ma  non  ebbi  modo  di  constatare  la  cosa,  causa  le 
colture  arboree  e  frumentarie,  che  al  momento  dei  miei  scavi  occupavano  il  suolo. 
Se  altri  in  avvenire  riprenderà  le  esperienze  al  Piano  della  Tirena,  tenga  presente 
quel  punto,  come  meritevole  di  un  tentativo. 


Fio    21. 

V.  Necropoli  di  tarda  età.  —  Avendo  alcuni  contadini  data  assicurazione,  che 
sul  margine  meridionale  della  terrazza,  un  110  m.  ad  est  della  torre,  si  erano  in 
passato  rinvenute  delle  tombe,  le  indagini  vennero  portate  su  quel  punto.  11  terreno 
molto  intrigato  e  duro  rese  alquanto  difficile  la  ricerca.  Nel  soprassuolo  si  trovarono 
frammenti  di  tegole,  di  qualche  piatto  a  scadente  vernice  nera,  di  altri  aretini  e 
pseudoaretini,   qualche   piramidetta   fittile  (una  era   alta  cm.  16)  e  qualche  traccia 

di   vasellame   vitreo;  un  pezzo  di  tegola  conservava   il  bollo  in  rilievo 


OC 


La 


presenza  di  questo  svariato  materiale  dimostra  che  la  piccola  necropoli  dovette  essere 
aperta  in  un'area  archeologica  appartenente  all'  interno  della  città,  e  con  ciò  impli- 
citamente si  veniva  alla  conclusione,  che  essa  dovesse  essere  di  età  molto  tarda, 
quando  la  piccola  città,  forse  in  gran  parte  disabitata  e  distrutta,  era  tenuta  da  un 
pugno  di  poveri  superstiti.  E  tale  previsione  venne  letteralmente  confermata  dagli 
scavi. 

Sep.  1.  Piccola  cappuccina;  ad  un  muricciolo  formato  di  grossi  mattoni  fram- 
mentizii  erano  appoggiate  a  piano  inclinato  due  tegole  bordate  di  cm.  6 )  X  41  ; 
dir.  NNE-SSO.  Nell'interno  scheletro  di  bambino,  accompagnato  ai  piedi  da  due 
boccali  fìttili  grezzi  (fig.  21),  ed  alla  testa  dalla  culatta  di  una  ampolla  vitrea 
sferica. 


REGIONE    III. 


353  — 


NOCERA    TIRINESK 


Sep.  2.  Fossa  in  nuda  terra  coperta  di  due  tegoli  e  racchiudente  uno  scheletro 
di  adulto  col  cranio  a  SSO;  verso  le  ginocchia  un  boccaletto  grande  a.  cm.  15. 

Sep.  3.  A  cappuccina  di  grossi  matlonacci,  di  cm.  50  X  43  X  7  ognuno,  e  di 
una  tegola,  dir.  NEE-SOO.  Racchiudeva  uno  scheletro  infantile  col  cranio  a  SSO,  ai 
cui  piedi  era  stato  deposto  uno  scodellone  piatto  in  creta  rossa  accesa,  diam  circa 
25  cm.  (fig.  22). 


Fio.  22. 

Sep.-  4.  A  cassetta  di  muriccioli  formati  con  pezzame  di  tegole  e  mattoni  ;  il 
cavo  misurava  m.  1.90  X  0.45  X0.35  e  racchiudeva  lo  schei,  di  un  adulto  col  cranio 
a  SOO,  a  destra  del  quale  era  adagiata  la  bottiglia  vitrea,  ricomposta  in  disegno  a 
fig.  23.  Verso  le  ginocchia  il  piccolo  bossolo  cilindrico  a.  mm.  45,  in  sottile  lamina 


Fio.  23. 

di  rame,  chiuso  da  coperchietto,  il  quale  racchiudeva  una  materia  nerastra  raggru- 
mata, che  converrebbe  far  analizzare  per  definirne  il  carattere  (pomata  per  toletta?) 
(fig.  23  a  sin.). 

Sep.  5.  Cassetta  di  piccoli  conci  d'arenaria,  messi  in  coltello,  dir.  NON-SES, 
con  fondo  di  mattoni,  e  larga  appena  cm.  42  Essa  conteneva  due  scheletri  di  adulto 
posti  in  senso  inverso;  ai  lati  di  uno  dei  crani  v'erano  due  boccali  grezzi  alti  circa 
cm.  15  ;  e  di  dietro  un  grande  pezzo  di  tegame  o  fondina,  pure  grezza,  della  forma 
che  a  fig.  24  si  allega. 


NOCERA    TIR1NESE 


—  354  — 


REGIONE    III. 


Questa  minuscola  necropoli,  di  cui  altre  tombe  sono  indubbiamente  sotterra,  appar- 
tiene ai  tempi  romani,  anzi  vorrei  dire  ai  tempi  romani  molto  progrediti;  più  in  là 
non  i  so  andare  nella  designazione  cronologica  del  sepolcreto,  attesa  l' insufficienza 
degli  elementi  che  esso  ci  ha  restituiti;  ma  ad  ogni  modo,  il  poco  che  si  è  rinve- 
nuto riconferma  quanto  dissi  in  precedenza,  trattarsi  di  povere  tombe  appartenenti  al 
piccolo  manipolo  di  gente  superstite  dallo  spopolamento  e  forse  dalla  distruzione 
della  città. 


Fio.  24. 


VI.  Indizi  di  necropoli  più  antica.  —  Nel  non  lungo  soggiorno  al  colle  della 
Tirena  non  mi  fu  possibile  apprendere  dai  villani  (del  resto  assai  malo  informati, 
e  piena  la  mente  di  fantastiche  cose  e  di  non  meno  fantastici  tesori)  di  altre  necro- 
poli più  antiche,  che  non  possono  mancare,  e  che  andrebbero  riferite  al  florido  periodo 
di  vita  della  cittadina.  Io  avevo  pensato  che  una  di  esse  avesse  a  trovarsi  nel  basso 
terrazzamento  che  si  protende  a  settentrione  della  città  sopra  il  Savuto;  sarebbe 
un'area  molto  acconcia,  esterna  e  prossima  alla  cerchia  murale.  Sfortunatamente,  per 
ragione  di  colture,  non  mi  fu  dato  di  tentare  almeno  degli  assaggi  in  quel  sito.  Ad 
ogni  modo  della  esistenza  di  una  necropoli  più  antica,  in  un  punto  ancora  impreci- 
sato, abbiamo  già  un  sicuro  indizio.  L'avv.  Ort.  Mauri  di  Nocera  Tirinese  ebbe  la  bontà 
di  farmi  conoscere,  come  anni  addietro  certi  villani  di  Nocera  trovassero  al  Piano 
della  Tirena  una  tomba,  di  cui  non  vollero  rivelare  il  sito.  Essa  conteneva  alcuni 
scarabei  legati  in  oro,  di  cui  solo  due  vennero  a  lui  consegnati.  Sono  in  corniola,  e 
molto  piccoli;  uno  porta  la  rappresentanza  di  un  cavallo,  l'altro  di  una  mosca.  La 
tecnica  dell'intaglio  a  globulo  indurrebbe  ad  assegnarli  al  sec.  V:  ma  conviene  andar 
cauti  nel  giudizio,  sapendo  noi  da  altre  bene  accertate  scoperte  come  codesti  scarabei 
di  tecnica  arcaica  o  quasi  arcaica  scendano  sino  ai  sec.  Ili  av.  Cr.  (') 

Il  sig.  avv.  Viti  Venturi,  uno  dei  grandi  proprietari  del  colle,  mi  ha  inoltre 
dichiarato  che  un  cimitero,  di  cui  non  fu  in  grado  di  precisarmi  i  caratteri,  apparve 
anni  addietro  alla  Torre  di  S.  Giuseppe,  sulla  sin.  del  Fiume  Grande,  alla  radice 
SO  del  colle.  A  me  pare  però,  che  qui  si  sia  un  po'  troppo  discosti  dalla  città,  e 
che  in  ogni  modo,  se  un  sepolcreto   quivi  sussiste,  s'abbia   ad   assegnare  a  qualche 


(')  Molto  istruttiva  al  riguardo  è  la  tombicella  della  Galera  presso  Siracusa,  da  me  illustrata 
in  Notizie,  1915,  pa{*.  187. 


REGIONE    UT. 


—  355  — 


NOCERA    TIRINESE 


casale  suburbano.  Un  altro  sepolcreto  asserì  lo  stesso  sig.  Venturi  di  aver  trovato 
sul  versante  nord  del  colle,  dove  appunto  è  la  vigna;  ogni  tomba  racchiudeva  poveri 
vasetti  con  qualche  lucernetta.  Avendo  esaminato  qualche  logoro  campione  di  tali 
ceramiche,  assegno  loro  una  età  non  superiore  ai  secoli  HI  e  II  av.  Cr. 

VII.  Tracce  preistoriche.  —  Il  colle  della  Tirena  per  la  sua  struttili  a.  eleva- 
zione ed  isolamento,  simile  ad  una  di  quelle  ambe,  di  cui  la  regione  calabrese,  in 
particolare  occidentale,  è  tutta  costellata,  presentava 
eccellenti  requisiti  di  abitabilità  per  una  tribù  preistorica. 
Anche  il  nome  di  Grotticelle,  segnato  pure  nella 
carta  militare,  dato  alla  rupestre  fiancata  meridionale 
del  colle,  aveva  fatta  nascere  in  me,  ancor  prima  di 
visitare  i  luoghi,  viva  speranza  di  scoprirvi  una  necropoli 
del  tipo  locrese  di  Canale-Ianchina.  Senonchè  i  numerosi 
ingrottamenti  aperti  nei  conglomerati  alluvionali  geo- 
logici sono  tutti  naturali,  si  spingono  a  poca  profondità, 
ed  avendone  fatti  esplorare  un  paio,  non  riconobbi  la 
più  piccola  traccia  di  vita  ed  industria  preellenica,  ma 
constatai  che  servivano  di  asilo  alle  volpi. 

Invece  nelle  ripetute  escursioni  sul  colle  ho  creduto 
riconoscere  tenuissime  tracce  preistoriche  nella  punta  di 
SO,  dove  in  mezzo  alle  arene  avvertii  degli  informi  coc- 
cetti,  che  hanno  tutto  il  carattere  della  ceramica  preel- 
lenica. 

Di  ascie,  cotanto  comuni  in  tutta  la  prov.  di  Ca- 
tanzaro, non  mi  è  venuto  fatto  di  rinvenirne  al  Piano 
della  Tirena,  né  di  vederne  presso  i  proprietari  di  Nocera 
Tirenese.  Fui  invece  lieto  di  acquistare  presso  un  ar- 
maiolo-meccanico  di  quel  paese,  la  daga  in  bronzo  spez- 
zata a  metà,  e  lunga  nel  suo  stato  attuale  mai.  1!)0, 
che  vedesi  a  fig.  25,  e  che  ho  donata  al  Museo  di 
Reggio  C.  Fig.  25. 

Si  è  ormai  pubblicato  un  materiale  enorme  sulle  spade  in  bronzo  dell'  Italia  e 
dell'Europa,  davanti  al  quale  credo  di  dovermi  risparmiare  le  citazioni  bibliografiche. 
Perocché,  mentre  ogni  regione  d'Italia  ha  dato  un  numero  più  o  meno  ragguarde- 
vole di  siffatte  armi,  dalla  pura  età  del  bronzo  sino  all'alba  dei  tempi  storici,  la 
Calabria  è  forse  la  più  povera  di  tutte  le  regioni  italiane  di  armi  in  bronzo,  ed  in 
particolare  di  spade  e  di  daghe.  Lo  stesso  fenomeno  io  lamentai  or  sono  28  anni 
in  Sicilia,  dove  sembrava  non  fosse  esistita  una  industria  preistorica  del  bronzo; 
oggi  però  col  progrediente  studio  della  regione  anche  quest'isola  possiede  spade  e 
daghe  in  bronzo  in  numero  abbastanza  rilevante. 

In  Calabria  non  siamo  ancora  andati  cotanto  avanti. 

Già  non  sappiamo,  se  la  regione  abbia  avuta  una  età  del  bronzo,  o  per  essere 
esatti,  non  possediamo  sin  qui  elementi  di  sorta  per  ammetterla.  In  fatto  poi  di  lame 


NOCERA    TI  RI  N  USE  —    3">6    —  REGIONE    III. 

io  non  conosco  che  la  spada  di  Toire  Mordillo  (Notizie,  1888,  pag.  576),  ed  una  logora 
lama  rinvenuta  presso  Palmi,  assieme  a  due  impugnature  in  bronzo  di  daghe  in 
l'erro  (1).  Ma  tutti  questi  pezzi  sono  della  la  età  del  ferro  abbastanza  inoltrata. 
Invece  la  daga  di  Nocera  col  suo  tallone  fortemente  lunato  ed  innestato  mediante 
tre  bullette  nel  manico  a  forcella,  richiama  forme  abbastanza  remote  delle  terre 
mare  (*).  e  però  parmi  lecito  assegnarla  alla  pura  età  del  bronzo,  se  di  tale  età  è 
consentito  parlare  in  Calabria. 

Questa  daga  non  sembra  provenire  dal  Piano  della  Tirena,  ma  da  un  punto 
imprecisato  del  breve  contado  nocerese;  il  venditore  mi  assicurò  di  aver  avuto,  or 
sono  pochi  anni,  altre  armi  in  bronzo,  che  barattò  per  il  puro  valore  del  metallo. 
Comunque,  se  io  non  prendo  abbaglio,  è  questa  la  prima  lama  calabrese  da  riferirsi 
ad  una  ancora  ipotetica  età  del  bronzo  della  regione. 

Vili.  La  chiesetta  normanna  ed  il  Torrazzo.  —  Che  una  vita  per  quanto 
grama  e  fiacca  proseguisse  sul  Piano  della  Tirena  anche  nei  secoli  dell'alto  medioevo 
è  fatto  più  che  probabile  (3)  e  documentato  anche  da  qualche  prova  archeologica. 
Poiché  la  viabilità  continuava  a  svolgersi  lungo  la  costa  e  la  vallata  del  Savuto,  la 
Tirena  conservava  sempre  i  suoi  requisiti  di  dominio  militare,  e  perciò  continuò, 
per  quanto  stentatamente,  a  vivere.  Di  questa  vita  è  documento,  tra  l'altri  un  teso- 
rotto  di  una  trentina  di  soldi  d'oro  di  Michele  III  e  di  altri  imperatori  del  sec.  IX, 
rinvenuto  parecchi  lustri  addietro  sulla  sinistra  del  fiume  Grande,  in  località  Men- 
dole.  proprio  di  fronte  al  nostro  colle;  provenienti  dal  quale  ho  visti  pure  alquanti 
dei  noti  tareni  aurei  arabi. 

Ma  colle  invasioni  dei  Musulmani,  e  malgrado  la  solidità  della  posizione,  si 
avverò  anche  qui  il  fenomeno  della  opposta  costa  ionica,  cioè  lo  spostamento  delle 
città  dalla  costa  al  monte,  di  cui  il  caso  più  tipico  è  quello  di  Locri  divenuta 
Gerace.  Così  Nuceria,  se  tale  era  la  cittadina  alla  Tirena,  emigrò  nel  sito  della 
attuale  Nocera,  trasportandovi  anche  il  proprio  nome;  o  per  meglio  dire,  in  un  primo 
tempo  si  arretrò  sul  colle  denominato  Motta  o  Motticella,  sporgente  sul  fiume  Grande, 
al  suo  incontro  col  Rivale;  quel  posto  un  po'  basso  ma  molto  forte  raccolse,  in  epoca 
imprecisata,  i  pochi  superstiti  di  Nuceria,  colà  profughi.  Per  molti  secoli  la  Motticella 
fu  una  piccola  ma  forte  terra  (4)  nel  senso  militare  della  parola,  da  cui  germinò 
nel  secolo  XV  la  contigua  Nocera  Tirinese;  difatto  la  parte  bassa  e  più  antica  della 
borgata  chiamasi  anche  Nocera  vecchia.  La  chiesetta,  di  cui  esibisco  la  pianta  alla 
tìg.  26,  è  stata  scoperta  e  rilevata  dal  signor  Carta  durante  la  sua  campagna  nuce- 


(')  De  Salvo,  in  Reo.  star,  calabr.,  anno  III,  pag.  446;  Pigorini  in  Bull,  pa'eln.  ilnl.,  1900, 
pp.  191-192. 

(*)  Cfr.  il  fondamentale  articolo  del  Pigorini  sulle  spade  terramaricole,  in  Bull,  poleln.  ita!., 
anno  IX.  pag.  81  seg.;  ed  i  raffronti  colla  tav.  Ili,  figg.  13,  14,  18. 

(*)  A  tale  periodo  apparterrebbe  la  chiesetta  con  pitture  bizantine,  S.  Maria  (Itili  Borghi, 
esistente  ancora  ai  tempi  del  Fiore  (Calabria  illustrata.  Napoli,  1691,  pag.  120)  e  di  cui  invano 
io  cercai  le  tracce. 

(*)  Che  l'unica  chiesetta  del  borgo  fosse  un  tempo  un  piccolo  santuario  di  Bacco,  è  mera  leg- 
genda, senza  la  più  piccola  consistenza  storica  o  monumentale. 


REGIONE   111. 


—  357 


NOCERA    TlRINfcSÈ 


rina,  e  trovasi  a  circa  250  metri  a  NE  della  torre.  La  muratura  è  di  piccolo  pie- 
trame cementato  con  qualche  concio  maggiore  negli  angoli.  Le  fondazioni  molto 
superficiali,  e  le  dimensioni  di  questo  minuscolo  oratorio,-  che  può  essere  così  bizan- 
tino come  normanno,  attestano  della  pochezza  e  miseria  cui  s'era  ridotta  la  popola- 
zione della  Tirena;  un  pugno  di  gente,  che  debolmente  riparata  sull'altura  dalla 
tremenda  malaria  estiva  di  tutta  la  circostante  costiera,  stentava  la  vita  in  mezvo 
alle  rovine  trasformate  in  campi  petrosi. 

Di   parecchi   secoli   più   tarda   è   la   torre,    comunemente  denominata  Torrazzo, 
edificata  con  pietrame  di  ruderi  antichi,  senza  eccessiva  robustezza,  senza  ricercatezza 


Fin.  26. 


di  forme  militari;  né  più  antica,  ritengo,  del  sec.  XVI;  ricovero  occasionale  contro 
barbareschi  e  malandrini  alle  poche  famiglie  di  contadini,  che  vi  traevano  in  sicuro 
anche  le  loro  derrate. 

IX.  Esame  dei  dintorni  della  Tirena  e  di  Nocera  Tirinese.  —  La  questione 
topografica  del  Piano  della  Tirena  coinvolge  e  si  complica  con  quella  di  talune 
località  assai  prossime  al  colle,  sulle  quali  con  poca  attendibilità  riferirono  dotti 
anche  di  molta  autorità.  Ma  essi  non  visitarono  le  contrade  e  parlarono  di  reli- 
quie e  di  scoperte  per  informazioni,  che  sottoposte  a  severo  controllo  risultarono 
insussistenti;  e  su  questi  dati  privi  di  consistenza  si  basarono  tesi  topografiche,  le 
quali  di  necessità  vengono  a  cadere.  Io  ho  voluto,  prima  di  pronunciarmi,  visitare 
le  località  controverse,  studiandone  la  postura,  la  configurazione,  il  carattere,  non 
che  gli  avanzi  antichi,  se  mai  esistenti. 

La  prima  località,  a  cui  sovonte  si  richiamano  storici  ed  archeologi  è  la  Torre 
del  Casale  con  la  relativa  spianata.  È  un  terrazzamento  alluvionale,  largo  da  levante 
a  ponente  meno  di  un  chilometro,  aperto  a  nord  ed  a  sud,  e  dominato  a  levante  dal 
pendio  della  montagna,  che  poi  con  tre  terrazzamenti  o  gradoni  successivi  sale  sino 
ai  1000  metri.  La  spianata  prende  nome  da  una  torre  costiera  di  guardia  seicentesca, 


NOCEftA   T1RINESE  —   358    —  REGIONE    Ut. 


e  domina  quasi  a  picco  la  sottostante  linea  ferroviaria  e  l'angusta  costa  marina  su 
cui  si  solleva  di  150  metri.  Il  suolo  coperto  di  una  bassa  macchia  impedisce  di 
riconoscere,  se  quivi  esistono  ruderi  od  altri  relitti  archeologici.  Le  notizie  attinte  da 
vari  contadini  furono  assolutamente  negative;  nessuno  seppe  mai  di  scoperte,  essendo 
il  snolo  incolto  «  ab  immemorabili  ».  D'altro  canto  è  un  assurdo  topografico  il  col- 
locare una  città  greca  sopra  questa  terrazza,  pittoresca  bensì,  ma  con  qualità  mili- 
tari al  tutto  negative,  perchè  completamente  aperta  da  due  lati,  e  dominata  da  ertis- 
sime alture  nel  terzo.  Alla  radice  di  questo  erto  rampante,  che  in  tre  movimenti 
successivi  culmina  poi  nella  vetta  di  M.  Mancuso  (m.  1332)  si  adagia  una  angusta 
striscia  piana  di  costa,  non  più  larga  di  mezzo  chilometro  con  la  stazione  ferroviaria 
di  Nocera  T.  ;  a  NO  di  questa,  il  piano  si  allarga  alquanto  e  prende  nome  di  Pietra 
La  Nave  (l).  Anche  questa  breve  regione  fu  battuta  da  una  squadriglia  di  operai 
pratici  guidati  da  R.  Carta,  col  mandato  tassativo  di  osservare,  raccogliere  dati  e 
notizie.  Malgrado  l'escursione  fosse  stata  eseguita  il  14  giugno,  si  constatò  che  quasi 
tutta  la  zona  di  terreno  tra  la  ferrovia  ed  il  mare  era  impraticabile  per  gli  acqui- 
trini derivanti  dalle  piene  del  poco  discosto  Savuto,  alla  cui  sinistra  si  stende  un 
bosco,  che  per  buona  parte  dell'anno  è  trasformato  in  macchia  pantanosa.  E  poiché 
questi  acquitrini  datano  da  secoli,  è  inammissibile  che  vi  sieno  avvenute  scoperte 
archeologiche,  delle  quali  in  fatto  nissuno  seppe  darmi  il  menomo  ragguaglio. 

Delineato  così  il  carattere  delle  località  controverse,  è  ora  da  rilevare,  come  il 
Leuormant  (Gr.  Grece,  III.  pag  86),  seguito  dal  Nissen  (Italische  Landeskunde, 
II,  929),  senza  aver  mai  visitato  né  l'uno  né  l'altro  le  contrade,  collocano  Temesa 
a  Torre  Casale,  Mattonate  e  Pietra  La  Nave,  luoghi  tutti  e  tre  prossimi  e  circostanti 
alla  attuale  stazione  ferroviaria  di  Nocera  Tirinese.  Tanto  il  Lenormant  quanto  il  Nissen 
vanno  più  oltre,  ed  a  coonestare  la  loro  tesi  di  Temesa  asseriscono  che  in  quei  pa- 
raggi e  precisamente  a  Torre  Casale  esistono  ancora  «  die  von  Strabo  (VI,  255)  als 
verlassen  erwàhnten  Kupfergruben  »,  mentre  le  Mattonnte  avrebbero  preso  nome  da 
ruderi  romani  in  laterizio,  dei  quali  invano  io  cercai  le  tracce.  La  paternità  di  tutte 
queste  notizie,  con  troppa  facilità  accolte  dai  due  topografi  sullodati.  risale  al  Roma- 
nelli (Antica  topogr.  regno  di  Napoli,  I,  pag.  36),  per  il  quale  Temesa  sarebbe 
appunto  situata  a  Torre  Casale  »  presso  cui  veggonsi  tracce  di  antiche  miniere  »  ; 
mentre  in  realtà  di  antiche  miniere  non  vi  è  traccia  colà. 

Le  considerazioni  topografiche  svolte  in  precedenza  escludono  che  Temesa  fosse 
nel  punto  preciso  indicato  dal  Romanelli  (8).  Ma  d'altra  parte  convengo  che  la  leg- 

(')  "  Prima  assai  clic  Nocera  Tirinese  il  borgo  si  chiamava  Nocera  Pietra  La  Nave.  Lo  strano 
nome  ebbe  origine  perchè  nella  sua  marina  vi  è  uno  scoglio  altissimo,  che  rassembra  la  forma  di  una 
nave  »  (Fiore,  op.  cit.,  pag.  120).  Che  qui  fosse  un  porto  comunque,  certo  da  intendersi  come  rada, 
risulta  da  un  documento  di  permuta  del  1240,  prodotto  dallo  stesso  Fiore  (loc.  cit)  col  quale  Fe- 
derico II  concede  ai  monaci  di  S.  Eufemia  la  permuta  di  metà  della  terra  di  Neocastro  col  «  Por- 
tum  maris.   qui   dicitnr  Navis  de  Arata  de  tenimento  dictae  terrae  Noceriae  cum  predicta  terra». 

(")  Per  via  indiretta  (Cicerone,  Verr.,  V,  15,  16)  veniamo  a  sapere  che  la  posizione  di  Te- 
mesa  doveva  essere  per  natura  assai  forte,  se  ai  tempi  delle  guerre  servili  un  grosso  nucleo  di 
schiavi  potè  rinchiudervisi  ed  opporre  ostinata  resistenza. 


REGIONE    III.  350    —  NOCERA    T1RINESE 

gendaria  città  a  cui  Mentes  re  dei  Tafii  traeva  in  cerca  di  rame  s'abbia  a  rintrac- 
ciare in  questa  complicatissima  plaga  oro-idrografica.  E  due  sono  le  ragioni  cbe  m'in- 
ducono a  ciò  credere;  una  di  distanze  itinerarie,  l'altra  di  ambiente  geologico. 

Gli  Itinerari  romani  segnano  Clampetia-Tempsa  m.  p.  X;  identificando  Clam- 
petia  con  Amantea,  Tempsa  viene  a  cadere  circa  Km.  14.78  più  a  sud,  un  po'  discosto 
della  attuale  stazione  di  Nocera  Tirinese.  Ma  la  strada  ferrata  attuale  corre  assai  più 
dritta  dell'antica  via  romana;  di  più  Tempsa  stazione  itineraria  sarà  stata  un  po' 
discosta  dal  sito  della  antichissima  città,  al  modo  stesso  con  cui  le  stazioni  ferroviarie 
di  Calabria  distano  alquanto  dalle  borgate  eponime.  Se  Temesa  reclamava  un  luogo 
montano  e  sicuro,  se  essa  la  si  deve  ricercare  lungo  la  costa  ed  a  breve  distanza 
dalla  sinistra  del  Savuto,  noi  veniamo  involontariamente  a  cadere  sul  colle  della 
Tirena,  l'unico  sito  che  presenti  requisiti  eccellenti  per  una  città  anche  primitiva, 
sebbene  poi,  almeno  sin  qui,  manchi  la  documentazione  archeologica  di  una  fase 
arcaica.  D'altro  canto  sono  in  grado  di  dichiarare  per  la  conoscenza  dei  luoghi,  per 
l'esame  geologico  dell'ambiente,  e  per  numerosi  campioni  di  roceie  metallifere  da  me 
visti  a  Nocera  Tirinese,  che  la  breve  vallata  del  fiume  Grande  e  le  circostanti  mon- 
tagne racchiudono  filoni  di  metalli,  non  sfruttati  e  nemmeno  studiati  (').  Posso  anzi 
aggiungere  che  analisi  eseguite  a  Roma  da  uffici  competenti  su  campioni  inviati,  hanno 
dato  il  15  Vo  di  rame;  questa  pochezza  di  contenuto  non  deve  impressionare,  trat- 
tandosi di  pezzi  staccati  da  filoni  affioranti  e  non  da  gallerie  profonde.  Tutto  induce 
dunque  a  credere  che  Tempsa  si  abbia  effettivamente  a  ricercare  nella  plaga  circo- 
stante a  Nocera  Tirinese,  sebbene  manchino  ancora  le  prove  monumentali,  che  proba- 
bilmente mai  si  raggiungeranno,  del  suo  preciso  sito.  Anche  il  benemerito  archeologo 
calabrese  Dom.  Marincola  trattò  diffusamente  la  questione  di  Temesa  per  concludere 
che  nulla  di  concreto  si  sa  della  sua  ubicazione,  ed  in  ciò  aveva  perfettamente 
ragione  ('). 

Continuando  l'esame  archeologico  della  regione,  devo  dire  una  breve  parola  anche 
sopra  Nocera  Tirinese,  dove  io  ho  passato  in  due  riprese  una  buona  settimana,  osservando 
tutto  ciò  che  vi  può  essere  d' interessante.  Ho  già  delineato  le  origini  di  questa  bor- 

(')  Cortese,  Descrizione  geologica  della  Calabria  (in  voi.  IX,  Mem.  descrittive  carta  geologica 
d'Italia).  Roma,  1895. 

(•)  Temesa  o  Tempsa,  in  Opuscoli  di  st.  patria  di  D.  Marincola-Pistoja  (Catanzaro,  1871, 
8°,  pp.  81-120).  È  una  accurata  analisi  critica  di  testi  antichi  e  di  autori  moderni  ;  di  materiale 
monumentale  egli,  naturalmente,  nulla  ha  saputo  produrre.  Il  Kiepert  nella  bella  carta  annessa  al 
C.  I.  L.,  X,  prende  un  grosso  equivoco,  segnando  Terina  al  Colle  della  Tirena,  e  Temesa  a  Terra- 
vecchia  di  S.  Eufemia,  quando,  se  mai,  dovrebbe  essere  precisamente  l'inverso.  —  Non  hanno  ca- 
rattere archeologico,  nel  senso  proprio  della  parola,  ma  bensì  mitograflco  e  di  critica  storica  le  dis- 
sertazioni del  Maass,  Ber  Kampfum  Temesa  (in  Jahrbuch,  1907,  pag.  18  segg.),  del  Pais  (Ricerche 
stor.  e  geografiche  sulVItal.  ani.,  pag.  43  e  segg.)  e  del  De  Sanctis,  L'eroe  di  Temesa  (Torino, 
Accademia,  1910).  I  vecchi  cronisti  calabresi,  a  cominciare  dal  Barrio  della  fine  del  cinquecento, 
seguito  dal  Fiore,  dal  Marafioti  e  da  tanti  altri,  collocarono  Terina  alla  Tirena  ;  per  il  Barrio,  che 
in  appoggio  della  sua  teoria,  inventò  di  sana  pianta  la  notizia  (ed.  Aceti,  pag.  127)  a  ad  Sabatii 
(Savuto)  ostia  invisitur  eius  sepulcrum  (cioè  della  ninfa  Ligeia)  inscriptione  graeca  »,  la  quale 
inscrizione,  anche  per  chi  ha  pratica  elementare  di  epigrafia,  sa  le  mille  miglia  di  falso. 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIIL  47 


NOCERA    TIR1NESE  —   360    —  REGIONE    III. 

gatnccia  e  posso  assicurare  che  nulla  vi  esiste  di  antico.  Il  Lenormant  invece  scrive 
(Gr.  Grece,  III,  pag.  86):  «  Nocera  .  .  .  on  y  voit  des  restes  de  remparts  construits 
«  à  la  mode  hellenique,  en  grands  blocs  de  pierre  à  la  forme  de  parallellogrames 
«  reguliers  appareillés  sans  ci  meni,  de  pans  de  maconneries  romaines  et  d'autre  restes 
«  d'antiquités  » .  Tutto  ciò  è  assolutamente  insussistente;  il  Lenormant,  pur  cotanto 
benemerito  della  investigazione  della  Calabria  antica,  cade  in  uno  di  quelli  errori 
dovuti  alla  sua  troppa  fede  in  informatori  sospetti,  ed  alla  mancata  visita  dei  luoghi. 
Tutto  al  più  egli  poteva  alludere  agli  avanzi  della  Tirena,  distante  parecchi  chilo- 
metri da  Nocera;  ma  di  mura  di  massi  squadrati  commessi  senza  cemento  esiste  solo 
il  piccolo  avanzo  di  NO,  né  è  supponibile  vi  esistessero  e  fossero  demolite,  per  la 
semplice  ragione  che  il  contado  non  offre  affatto,  in  lungo  raggio,  materiale  lapideo 
di  questo  genere  e  le  mura  dovettero  essere  costrutte,  come  in  realtà  lo  furono,  con 
materiale  e  tecnica  completamente  diversa.  La  costruzione  delle  mura,  tutte  in  conci 
calcarei,  avrebbe  importato  una  spesa  enorme,  di  gran  lunga  superiore  alla  potenzialità 
economica  della  piccola  e  misteriosa  città. 

X.  Deduzioni  finali.  —  Ora  che  abbiamo  esaminato  il  Piano  della  Tirena  nella 
sua  ubicazione,  conformazione  e  nel  suo  contenuto  archeologico,  ed  anche  le  contrade 
circostanti,  indicate  come  località  degne  di  studio,  ora  che  abbiamo  sentito  dn  giovani 
e  vecchi  delle  scoperte  alla  Tirena  avvenute,  vagliando  la  parte  leggendaria  da  quella 
reale,  ed  esaminato  lo  scarso  materiale  emerso  dai  lavori  agricoli  ('),  siamo  arrivati 
al  punto  di  riassumere  le  impressioni  generali  sulla  misteriosa  cittadina  che  colà 
ebbe  sede. 

Il  luogo  era  bellissimo  ed  assai  acconcio,  sovra  tutto  dal  punto  di  vista  mili- 
tare, ad  una  piccola  xrittig  greca  ;  ma  allo  svolgimento  della  vita  di  una  grande  ed 
anche  di  una  modesta  colonia  mancava  il  requisito  fondamentale  di  un  ricco  hinter- 
land o  regione  di  sfruttamento.  La  Tirena  è  chiusa  fra  mare  e  monti  asprissimi, 
senza  la  distesa  di  un  nsdlov  qualsiasi,  senza  una  plaga  collinosa,  nella  quale  si 
sviluppasse  la  vita  agricola  e  quindi  economica  della  città.  Essa  si  trovava  invece 
allo  sbocco  di  una  grande  valle  alpina,  e  di  altre  minori,  che  per  il  loro  carattere 
aspro  e  selvaggio  dovettero  restare  a  lungo  in  possesso  degli  indigeni  brezii,  forse 
gli  Alibanti,  adombrati  secondo  il  Maass  nel  nome  dell'eroe  di  Temesa,  Àlibanle  di 
Pausania.  Ma  la  valle  del  Savuto  aveva  il  pregio  di  costituire  una  delle  grandi 
arterie  di  comunicazioni  fra  Jonio  e  Tirreno,  evitando  agli  Achei  il  lungo  e  perico- 
loso periplo  di  Reggio;  e  da  questo  commercio  di  transito  Tirena  doveva  trarre 
non  indifferenti  profitti. 

Senonchè  di  fronte  a  questa  attraente  prospettiva  di  una  città  arcaica,  posta 
allo  sbocco  di  una  frequentata  arteria,  l'esame  del  materiale  archeologico  e  monu- 
mentale ci  reca  la  più  grande  disillusione.  Tirena  non  ha  dato  né  un  solo  vaso  figu- 
rato greco,  né  una  terracotta  non  dico  arcaica,  ma  nemmeno  del  V  o  del  IV  secolo. 


(')  Ho  esaminato  presso  divergi  proprietari  piccole  e  grandi  partite  di  monete  provenienti  dalla 
Tirena.  Sano  pochissime  quelle  greco-tarde,  prevalgono  invece  gli  assi  romani  repubblicani.  Non 
vi  è  ricordo  di  tesoretti  di  monete  greche  colà  rinvenuti. 


REGIONE    111.  —    361    —  NOCERA    TIR1NESE 


Quanto  io  ho  visto,  o  di  cui  ho  sentito  parlare,  è  di  età  greco  tarda  o  romana.  E 
tutte  le  costruzioni  prese  in  esame  si  debbono  ritenere  ellenistiche  o  romane,  perchè 
tutte  cementizie.  La  povertà  dei  reperti  è  tale  che  al  più  ci  è  consentito  pensare  ad 
una  città  brezia  di  età  ellenistica.  Diversi  elementi  mi  sospingevano  a  collocare 
qui  la  tanto  controversa  Temesa,  posta  sul  fronte  di  una  plaga  mineraria,  di  cui 
sarebbe  stata  l'emporio  ed  il  mercato,  e  di  cui  gli  itinerari  romani  conservarono  un 
ricordo  nel  nome,  coincidente  abbastanza  bene  con  Tirena  anche  nel  calcolo  delle 
distanze.  Ma  l'analisi  dei  reperti  archeologici  (salvo  imprevviste  e  pur  sempre  pos- 
sibili, nuove,  anzi  auspicate  scoperte)  è,  almeno  sin  qui,  risolutamente  contraria 
all'equazione  P.  Tirena  =  Temesa. 

Ed  allora  parrai  di  trovar  nella  toponomastica  appiglio  ad  una  soluzione 
diversa.  Una  leggenda,  alla  quale  io  attribuisco  buona  consistenza  storica,  dice 
che  in  epoca  imprecisata,  ma  certo  nell'alto  medioevo,  gli  ultimi  scarsi  e  miseri 
superstiti  della  Tirena,  abbandonata  la  costa  e  ricoveratisi  nei  monti,  vi  fondarono 
la  Motticella  di  Nocera,  traendo  seco  colle  masserizie  anche  il  nome  della  vecchia 
patria. 

Io  ravviso  nel  nome  dell'alpestre  borgata  quello  della  vetusta  sua  metropoli.  Ed  è 
perciò,  che  al  P.  della  Tirena  io  collocherei  l'antica  Nuceria  o  Nucria,  la  cui  umile 
storia  è  tutta  un  mistero.  L'omofonia  di  Tirena  con  Terina  ha  dato  origine  ad  equi- 
voci topografici  che  bisogna  sgombrare,  perchè  con  Terina  non  ha  relazione  di  sorta 
il  nome  del  nostro  colle. 

Due  soli  autori  ricordano  Nuceria;  Pilisto  (XI  e  XV)  citato  da  Stefano  Bizan- 
tino S.  v.;  Novxqìcc  nóXic,  TvQQrjVÌag.  Q>CXi<Stos  is  ia',  xal  tò  i&rucóv  NovxQtvog. 
Il  breve  passo  è  anche  riportato  dal  Mtìller  in  FIIG.  fr.  41  di  Filisto.  Se  non  che, 
mentre  alcuni  storici  non  hanno  esitato  ad  attribuire  il  magro  cenno  alla  Nuceria 
dei  Bruzi,  altri  ha  pensato  s'abbia  piuttosto  a  riferire  alla  Nuceria  di  Campania. 
Quanto  a  storia  siamo  quindi  in  una  oscurità  assoluta.  Invece  l'unico  e  sicuro  docu- 
mento da  assegnare  alla  nostra  città  sono  le  poche  e  belle  monete  (Garrucci,  tav.  CXVr, 
nn.  28-33)  del  IV  e  III  sec.  ;  la  loro  ristretta  area  di  diffusione,  nonché  la  relativa 
rarità,  escludono  la  possibilità  di  assegnarle  a  N.  Alfaterua.  Il  Sambon  (Recherches, 
pag.  209)  dall'esame  di  quella  che  sembra  la  più  antica  di  esse,  perchè  di  tipo  mar- 
catamente reggino,  volle  arguire  ad  un'alleanza  con  Rhegium  al  principio  del  sec.  IV; 
è  una  ingegnosa  congettura,  che  avrebbe  però  bisogno  della  corroborazione  di  qualche 
altra  prova. 

Di  questa  città  scrisse  colla  consueta  dottrina  il  Marincola-Pistoja  (')  ;  ma  discu- 
tendo le  poche  monete  ed  i  magri  testi  non  fece  il  menomo  accenno  alla  Tirena  ed 
ai  monumenti  quivi  superstiti.  Qui  io  penso  fosse  Nuceria  o  Noucria,  città  piuttosto 


(')  Nucria,  in  opuscoli  di  stor.  patria  di  D.  Marincola-Pistoia.  (Catanzaro  1871),  pp.  299-316. 
Egli  dice  come  la  città  fosse  stata  conquistata  da  Dionigi  assieme  con  Caulonia  ;  ma  di  tale 
evento  non  è  traccia  nelle  fonti  genuine. 


NOCBRA.    TIR1NESE  —    362    —  REGIONE    III. 


brezzia  ellenizzata  che  greca  pura  ;  dopo  una  vita  storicamente  oscurissima.  affermata 
quasi  dalle  sole  monete,  fu  conquistata  dai  Romani,  e  visse  come  borgo  insignificante 
per  alcuni  secoli  ancora.  Il  suo  nome  non  figura  negli  Itinerari,  dove  è  invece 
segnata  Temesa,  non  guari  discosta,  al  bivio  forse  della  strada  romana  interna  dalla 
costiera. 

P.  Orsi. 


REGIONE   X.  —   BC3   — 


T5STE 


Anno  1916  —  Fascicolo  12. 

Regione  X  (VENETI A). 

I.  ESTE  —  Rinvenimenti  varii  nel  territorio  del  comune. 

A)  Resti  <li  abitato  di  varie  età  ed  avanzi  di  un  sacrario  romano  scoperti 
nel  fondo  Cortelazzo,  ad  occidente  della  città. 

Comincio  la  serie  delle  brevi  relazioni  sugli  scavi  e  trovamenti  archeologici 
avvenuti  nel  Veneto  durante  gli  ultimi  due  anni,  con  l'esporre  i  risultati  delle 
ricerche  sistematiche  eseguite  in  Este  nel  fondo  del  sig.  Giacinto  Cortelazzo,  già 
fratelli  Prosdocimi,  denominato  Gasale,  situato  ad  occidente  della  città,  nella  zona 
del  Cimitero  e  del  Tiro  a  Segno. 

La  località  Casale,  ristretta  ora  al  solo  fondo  Cortelazzo  (cfr.  fig.  1),  ma  che 
in  epoche  non  lontane,  come  rilevasi  dagli  scrittori  atestini  (l),  comprendeva  una  più 
vasta  estensione  di  terreno  (vi  era,  a  quel  che  pare,  inclusa  anche  l'attuale  loca- 
lità Pilastro)  è  ben  nota  agli  studiosi  dell'archeologia  atestina. 

Ivi  difatti  passava  nell'antichità  il  braccio  dell'Adige  che,  scorrendo  da  occi- 
dente ad  ^oriente  nella  direzione  dei  colli  Euganei,  lambiva  e  in  parte,  come  risulta 
dai  nostri   scavi,  attraversava  l'Ateste    romana  (8).  Tracce    indubbie   dell'alveo  del 

(')  V.  p.  es.jPanella  mons.  F.,  Memoria  dell'antica  Este  fino  Va.  1400,  Padova  1888,  l'Alassi 
ed  altri. 

(*)  Di  questo  corso  dell'Adige  nell'età  ]antica  si  sono  occupati  numerosi  scrittori.  Cito,  lasciando 
i  più  vecchi  :}Gloria  A.,  Intorno  al  corso  dei  fiumi  dal  sec.  I  a  tutto  l'XI  nel  territorio  padovano, 
Padova  1877;  id.,  L'agro  patavino  dai  tempi  romani  alla  pace  di  Costanza,  in  Atti  Ist.  Veneto, 
ser.  V,  voi.  VII,7 1880-81,  pag.  59b'  sgg.;  Lombardini,  Studi  idraulici  e  storici  sopra  il  grande 
estuario  adriatico,  Ali.  A,' Milano  1868;  Prosdocimi,  Notizie  1882,  pag.  5  e  tav.  I;  Pietrogrande, 
Ateste  nella'mil.  imp.,  Venezia  1888,  pag.  52  sgg.;  Averone,  Sull'antica  idrografia  veneta,  Man- 
tova 1911,  pag.  141  sgg. 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  48 


8STB 


—  364  — 


REGIONE    X. 


fiume  restano  tuttora  nel  leggero  avvallamento  che,  nonostante  i  molti  ed  estesi 
lavori  agricoli  degli  ultimi  decenni,  un  attento  osservatore  riesce  a  scorgere  attra- 
verso il  fondo  Cortelazzo  ed  i  poderi  limitrofi,  non  che  negli  avanzi  del  manufatto 
idraulico  —  un  poderoso  sostegno  a  tre  luci  —  scoperto  nel  1872  (1),  e  del  quale 


Pia.  1.  —  Località  Casale,  fondo  Cortelazzo. 

(I  tratti  neri  indicano  gli  acari  gOTernatiri  dagli  anni  1911,  191(1). 


alcuni  massi  caratteristici  in  marmo  di  Verona  veggonsi  ancora  ammucchiati  presso 
la  casa  Cortelazzo. 

Ivi  Tanno  1709  erano  state  rinvenute  le  numerose  anticaglie,  con  ruderi  di  edifici 
monumentali,  di  cui  trattò  per  primo  il  rodigino  conte  Camillo  Silvestri  (2)  e  poi, 

(')  Il  disegno  relativo  è  stato    pubblicato   dal    Pietrogrande,    Alette   nella  mil.  imp.,  tavola 
intercalata  alle  pp.  56,  57.  Cfr.  anche  Prosdocimi,  in  Notizie  1882,  pag.  6. 

(*)  Silvestri!  com.  C,  In  anaglyphum  graeewn   interpretatio  postuma,  etc,  Romae  mdccxx. 


REGIONE    X.  —    865    —  E8TE 

con  ulteriori  e  più  precisi  particolari,  lo  storico  atestino  Isidoro  Alessi  ('),  e  di  cui, 
fra  le  altre  cose,  faceva  parte  V  interessante  bassorilievo  votivo  dedicato  ai  Dioscuri 
dal  greco  Argenidas,  figlio  di  Aristogenidas,  passato  poi  al  Museo  Maffeiano  di  Ve- 
rona (*)  :  uno  dei  monumenti  più.  cospicui,  per  l'arte  e  la  topografia,  restituiti  in 
luce  dal  suolo  di  Este. 

Ivi  finalmente  l'anno  1848,  «  di  faccia  allo  stesso  rialzo  di  terreno  »  dove  eransi 
fatti  i  trovamenti  del  1709  (cfr.  fig.  la),  erano  stati  scoperti  ed  osservati  dal  Nuvo- 
late a  12  piedi  di  profondità  (circa  m.  3,40)  gli  avanzi  di  una  grande  costruzione 
di  macigno,  di  cui  si  tolse  il  rilievo  (3)  e  che  venne  poi  interpretata  come  una  pode- 
rosa diga  dello  spessore  di  m.  1,40  e  messa  in  relazione  col  sostegno  ricordato  supe- 
riormente e  col  ponte  che  trovavasi  nel  brolo  Zago-Pellesina  alla  Salute,  quali  manu- 
fatti attestanti  l'esistenza  ed  il  corso  d'un  braccio  dell'Adige  (*). 

Mossa  da  tali  precedenti,  già  nel  1911  la  benemerita  Direzione  del  Museo  Nazio- 
nale Atestino,  toccata  di  fatto  all'Alfonsi  dopo  la  morte  del  compianto  prof.  Prosdo- 
cinii.  propose  alla  Sopraintendenza,  che  studiò  e  fece  immediatamente  propria  la 
proposta,  di  eseguire  nel  fondo  Cortelazzo  una  campagna  sistematica  di  scavi  allo 
scopo  soprattutto  di  portare  maggior  luce  nelle  scoperte  del  1848,  delle  quali  cono- 
scevasi  il  luogo  preciso  non  lungi  dall'angolo  occidentale  del  Tiro  a  Segno. 

Ivi  in  fatti  (cfr.  fig.  la)  ebbe  inizio  Io  scavo  verso  la  metà  di  febbraio  1911. 
Se  non  che,  alla  profondità  di  m.  3-3,50  dal  piano  di  campagna,  i  lavori  furono  dovuti 
sospendere  a  causa  della  grande  quantità  d'acqua  che  sgorgava  dal  fondo,  per  argi- 
nare la  quale  mancavano  i  mezzi  necessarii,  e  si  poterono  soltanto  constatare  ancora 
in  siiu,  confitti  profondamente  nello  strato  di  sabbia  che  costituiva  l'antico  letto 
del  fiume,  vari  blocchi  rettangolari  di  pietra  di  Verona  appartenenti  alla  predetta 
diga,  alcuni  dei  quali  misuravano  in  lunghezza  m.  1,80. 

Si  stabilì  allora  di  portare  lo  scavo  a  circa  200  metri  più  a  sud  vicino  alla 
casa  Cortelazzo  (fig.  1  b).  dove  il  materiale  sparso  nel  soprassuolo  ed  altri  indizi 
lasciavano  supporre  si  fosse  estesa  la  città  romana.  Nostro  intendimento  era  di  prò* 
cedere  ad  un  accurato  esame  stratigrafico  del  terreno,  che  appariva  essersi  ivi  accu- 
mulato in  grande  quantità  nel  corso  dei  secoli,  ed  ottenemmo  ottimo  successo,  poiché 
non  in  una  ma  in  tutte  indistintamente  le  fosse  aperte  nei  pressi  della  casa  apparve 
netta  la  sovrapposizione  di  varie  epoche. 

(')  Alessi  I.,  Ricerche  istorico  critiche  delle  antichità  di  Este,  Parte  prima,  Padova  1776, 
pag.  12  e  pag.  30  sgg. 

(*)  Da  molti,  ma  quasi  sempre  non  del  tutto  esattamente  interpretato  e  pubblicato.  V.,  oltre 
il  Silvestri  ricordato  superiormente:  Maffei,  Mus.  Ver.,  tav.  I,  7;  Alessi,  op.  cit.,  pag.  32;  Nuvo- 
late, Storia  ecc.,  pag.  50;  Boeck,  C.  I.  G.,  n.  1949;  Conze,  Vorlegellàtter,  ser.  IV,  n.  9,  8*; 
Dutschcke,  Bildw.  in  Oberit.,IV,  n.  538:  Eoscher,  Lexikon  d.  A/yth.,  II,  pag.  1171,  ecc.  La  Sopra- 
intendenza,  col  cortese  consenso  del  Comune  di  Verona,  ne  ha  testé  fatto  trarre  un  calco  per  il 
Museo  Nazionale  Atestino. 

(*)  Nuvolate  G.,  Storia  di  Este  e  del  suo  territorio,  Este  1851,  pag.  50. 

(*)  Pietrogrande,  op.  cit.,  tavola  e  pag.  56;  Prosdocimi,  Notizie,  l»c.  cit.  Questi  però  è  incorso 
in  un  errore  attribuendo  la  scoperta  al  1878  (cioè  a  quattro  anni  prima  della  sua  Memoria  che  è 
del   1882)  anziché  al  1848. 


ESTK  —    366    —  REGIONE    X. 

Traggo  dal  giornale  dell'Alfonsi,  che  condusse  i  lavori  con  la  solita  sua  solerzia 
ed  accuratezza,  i  dati  di  fatto  relativi. 

Poco  sotto  il  piano  di  campagna  cominciò  ad  apparire  lo  strato  romano  che  si 
approfondiva  fino  a  m.  1,50  circa.  In  mezzo  ai  soliti  cocci  di  vasi  e  laterizi  carat- 
teristici dell'età  romana,  si  rinvennero  le  fondamenta  di  alcuni  grossi  muri  in  cotto 
di  abitazioni  ed  un  tratto  di  massicciata  stradale  costituita  da  quattro  ordini  di 
ciottoli  sovrapposti.  Suppongo  che  da  questo  stesso  strato  derivi  una  lastra  trachitica 
quadrata  di  m.  0,49  di  lato  che  fu  trovata  casualmente  dagli  operai  del  Cortelazzo 
e  che  reca  incisa  in  rozze  lettere  presso  il  margine  sinistro  la  parola  ITER,  eviden- 
temente il  frammento  di  uu' iscrizione  maggiore  tracciata  in  più  lastre  e  contenente 
un'  indicazione  stradale. 


Fio.  2. 


Seguiva  allo  strato  romano  un  leggero  deposito  sabbioso,  sotto  il  quale  stava  il 
secondo  strato  archeologico  dello  spessore  di  circa  cm.  60,  costituito  in  prevalenza 
di  un  terriccio  nero  misto  a  ceneri  e  carboni.  Dall'altezza  di  giacitura  dello  strato 
e  dai  frammenti  di  vasi  e  di  qualche  altro  oggetto  lavorato  che  vi  si  raccolsero, 
può  desumersi  che  il  deposito  si  formò  nel  secondo  e  terzo  periodo  Prosdocimi.  Al 
termine  dello  strato  si  rinvenne  pure  un  focolare  di  argilla  battuta,  molto  arrossata 
dal  fuoco,  del  genere  stesso  di  quelli  scoperti  a  Canevedo,  in  via  Restara  ed  in 
altri  punti  della  città  ('). 

Suppongo  inoltre  che  da  uno  strato  analogo  provenga  anche  la  piccola  e  interes- 
sante statuetta  di  bronzo,  alta  mm.  87,  qui  riprodotta  alla  tìg.  2,  e  che,  al  pari  del 
frammento  iscritto  ricordato  di  sopra,  fu  rinvenuta  casualmente  dagli  operai  del  Cor- 
telazzo mentre  attendevano  a  lavori  agricoli.  La  statuetta,  che  per  il  soggetto  rap- 
presentato e  per  la  lavorazione,  alquanto  rude  ma  non  priva  di  una  certa  vivacità 
ed  espressione,  ricorda  alcune  delle  statuette,  e  non  delle  meno  evolute,  raccolte 
nella  ben  nota  stipe   del   fondo  Baratela  ('),  esibisce  una  figurina  virile  interamente 

(')  Per  esempio,  secondo  mi  comunica  l'Alfonsi,  al  Pozzetto  lungo  la  strada  della  Salute. 
(*)  Le  statuette  più  affini  per  il  soggetto  sono:  quella  in  Notizie  1888,  tav.  VII,  fig.  6  (Pastic- 
cinola che  tiene  nella  s.  non  le  appartiene),  quella  ivi  fig.  18  e  quella  tav    Vili,  fig.  10. 


REGIONE    X.  —    367    ESTE 

nuda  che  con  le  gambe  aperte,  la  destra  innanzi,  era  in  atto  di  far  libazione  con  la 
patera  che  tiene  nella  mano  destra  protesa,  mentre  nella  sinistra  alzata  doveva  strin- 
gere un  oggetto  a  fusto  baccellare  ora  andato  perduto  e  che  può  ritenersi  fosse  la 
lancia. 

Un  banco  di  marna  cinerea  separava  il  secondo  dal  terzo  strato  archeologico,  il 
quale  si  rinvenne  inferiormente  a  quasi  4  metri  di  profondità.  Essa  aveva  lo  spes- 
sore di  30  centimetri  ed  era  formato  di  sabbia  nera  commista  a  carboni  o  ad  avanzi 
vegetali.  Vi  si  raccolsero  soltanto  pochi  resti  di  fittili  questi  erano  d' impasto  rozzo 
nei  vasi  più  grossi,  abbastanza  fine  nei  più  piccoli.  Essi  sono  sufficienti  per  permet- 
terci di  assegnare  il  terzo  strato  ad  epoca  anteriore  a  quello  esaminato  in  precedenza, 
cioè  alla  prima  fase  della  civiltà  atestina. 

Al  di  sotto  del  terzo  strato  cominciarono  ad  apparire  le  sabbie  plumbee  dei  più 
antichi  depositi  dell'Adige,  di  fra  le  quali  sgorgavano  abbondanti  le  acque  del  sot- 
tosuolo, sì  da  impedire  la  prosecuzione  dello  scavo,  che  del  resto  presentavasi  ormai 
inutile. 

Tali  cospicui  risultati,  ottenuti  nella  limitata  ma  efficace  campagna  del  1911,  ci 
lasciavano  vivamente  desiderare  che,  senza  dover  disperdere  le  nostre  forze  in  troppi 
assaggi,  che  forse  sarebbero  riusciti  in  gran  parte  infruttuosi  nell'ampia  estensione 
del  fondo  Cortelazzo,  qualche  nuova  scoperta  casuale,  non  difficile  a  prevedere  in  un 
terreno  sottoposto  a  così  intenso  lavoro  di  bonifica,  fosse  venuta  a  metterci  sulla  buona 
strada  per  qualche  ulteriore  e  maggiore  scoperta. 

L'attesa  occasione  si  presentò  verso  la  fine  del  1914  quando  il  sig.  Cortelazzo, 
eseguendo  degli  scavi  a  scopo  agricolo  nella  parte  settentrionale  del  fondo,  a  breve 
distanza  dai  nostri  primi  scavi  del  1911,  e  propriamente  nell'angolo  fra  il  recinto 
del  Tiro  a  Segno  (tratto  dell'ex  serraglio  Contarini,  poi  Del  Mayno,  ora  Boiani)  e 
quello  del  brolo  Mondin  confinante  col  Cimitero  (cfr.  tìg.  1  <;),  ebbe  a  denunciare 
alla  Direzione  del  Museo  Atestino  la  scoperta  di  quantità  di  grossi  blocchi  di  pietra, 
posti  a  filari  gli  uni  sugli  altri  e  costituenti  un  grande  muraglione- 

Informata  immediatamente  dall'Alfonsi,  stabilito  anzitutto  un  apposito  servizio 
di  vigilanza  e  presi  gli  opportuni  accordi  col  sig.  Cortelazzo,  che  con  l'ordinaria  cor- 
tesia e  liberalità  accolse  subito  le  nostre  domande,  la  Sopraintendenza  stabili  di 
aprire  in  quel  sito  (tìg.  1  e),  che  sotto  tutti  i  rapporti  presentavasi  oltremodo  impor- 
tante, una  seconda  campagna  di  scavi  regolari  che,  durata  parecchie  settimane,  si 
chiuse  nel  migliore  modo  possibile. 

Quando  i  nostri  operai  iniziarono  i  loro  lavori,  la  maggior  parte  dei  blocchi 
costituenti  il  muraglione  erano  stati  estratti  dal  sig.  Cortelazzo  e  il  muraglione  stesso 
era  andato  nella  quasi  totalità  distrutto;  tuttavia  dalle  notizie  forniteci  da  lui  e  dai 
suoi  contadini  e  dai  piccoli  resti  che  noi  stessi  pur  ne  vedemmo  in  posto,  potemmo 
formarci  un'  idea  abbastanza  esatta  delle  sue  dimensioni,  del  modo  com'era  fatto,  dello 
scopo  pel  quale  era  stato  inalzato. 

Trattavasi  (fig.  1  e)  di  una  solidissima  costruzione,  della  lunghezza  di  m.  12  circa, 
alle  cui  estremità  addossavansi,  a  quel  che  pare  per  breve  tratto,  due  muri  più  bassi, 
rientranti  sulla  linea  della  fronte,  che  veniva  così  a  sporgersi  innanzi  formando  corpo 


USTE  —    368    —  REGIONE    X. 

avanzalo.  Era  essa  composta  di  cinque  corsi  sovrapposti  di  grandi  massi  rettangolari 
di  trachite.  accostati  in  doppia  fila,  per  un'altezza  di  oltre  metri  due  ed  uno  spes- 
sore di  circa  un  metro.  Le  spallette,  di  cui  noi  non  trovammo  più  gli  avanzi  in 
posto,  sarebbero  state  formate  da  soli  tre  corsi  di  blocchi.  Nei  nostri  scavi  rinve- 
nimmo ancora  intatto  l'angolo  settentrionale  della  fronte  sporgente,  coronato  supe- 
riormente da  un  blocco  tagliato  ad  angolo  retto.  Un  altro  blocco  simile,  estratto  dal 
sig.  Cortelazzo,  sarebbesi  trovato,  al  dire  di  questo,  all'angolo  opposto  a  sud! 

Il  poderoso  manufatto,  che  aveva  direzione  da  nord  a  sud.  sorgeva  a  breve 
distanza  dalla  riva  dell'antico  letto  dell'Adige,  la  cui  linea  è  tuttora  indicata  dal 
leggero  avvallamento  di  cui  ho  parlato  sopra,  e  limitava  da  quella  parte  un  rialzo, 
che,  come  ci  dicono  vari  storici  della  città  di  Este  ('),  e  come  anche  al  presente 
può  vedersi  nelle  tracce  che  ne  permangono  al  piede  delle  muraglie  del  Tiro  a  Segno 
e  del  brolo  Mondin  dopo  i  lavori  di  livellamento  eseguiti  dal  sig.  Cortelazzo,  trova- 
vasi  ed  estendevasi  ad  oriente  verso  l'area  della  città  romana. 

A  tutta  prima,  come  per  i  trovamenti  del  1848  avvenuti  così  vicino  anzi  quasi 
di  fronte,  si  ebbe  l' impressione  che  anche  il  muraglione  si  riferisse  a  lavori  del- 
l'Adige e  costituisse  il  tratto  di  una  poderosa  arginatura  del  nume,  fatta  per  pro- 
teggere la  città  romana  in  un  punto  dove  appariva  per  vari  indizi  che  il  nume  faceva 
gomito  e  dove  per  conseguenza  erasi  costruita  la  diga  scoperta  nel  1848.  Ma  le  ulte- 
riori osservazioni,  sopra  esposte,  permisero  di  stabilire  che  tale  non  era  stato  lo  scopo 
e  che  il  muraglione,  con  la  sua  forma  artistica  a  rientranze,  era  stato  precipuamente 
inalzato  per  sostenere  e  limitare  dal  lato  del  fiume  la  terrazza  costituita  dal  rialzo 
di  cui  abbiamo  parlato,  e  che  quindi  speciale  importanza  aveva  dovuto  avere  nell'età 
romana,  epoca  in  cui,  per  la  stessa  altezza  delle  assise  superiori,  mostrava  di  rife- 
rirsi il  manufatto.  Ciò  venne  ampiamente  confermato  dagli  oggetti  rinvenuti  nei  nostri 
scavi  e  dalle  osservazioni  che  possono  ricavarsene. 

Descrivo  ora  qui  per  ordine,  cominciando  dal  basso,  le  risultanze  dei  nostri  scavi. 

Di  speciale  rilievo  per  la  topografia  e  la  storia  primitiva  di  Ateste  è  lo  strato 
più  antico  e  profondo,  sottostante  al  piano  di  posa  del  muraglione. 

Questo  fu  rinvenuto  fondato,  a  m.  2,50  di  profondità  dal  piano  attuale  di  cam- 
pagna, sopra  una  palafitta  o  meglio  gettata  di  legname;  ma,  come  fu  potuto  subito 
constatare,  non  si  trattava  di  una  costruzione  organica  né  coeva  all'erezione  del  mura- 
glione, sibbene  di  cosa  affatto  indipendente,  d'epoca  assai  più  antica,  dovuta  ad  uno 
stanziamento  umano  ivi  stabilitosi  molti  secoli  prima  dell'età  romana.  Di  fatti  quella 
costruzione,  accompagnata  agli  avanzi  di  cui  parlerò  più  innanzi,  e  che  servono  a 
confermarne  la  natura  e  lo  scopo,  apparve  indistintamente  in  tutte  le  fosse  da  noi 
aperte  intorno  e  lateralmente  al  muraglione,  anche  in  quelle  più  lontane,  dove  nes- 
suna ragione  costruttiva  del  muraglione  stesso  avrebbe  potuto  spiegarne  l'esistenza. 
Era  un'ampia  ed  estesa  costruzione  che  dalla  sinistra  del  fiume  prolungavasi  dentro 
terra  verso  e  sotto  l'area  della  città  romana  (s),  e  che  io  chiamo  gettata  di  legname 

(*)  V.  per  es.  Alesai,  op.  cit.,  pag.  38;  Nuvolate  op.  cit.,  loc.  cit. 

(*)  Vengo  informato  dall'Alfonsi  che  un  tratto  di  palafitta,  evidentemente  appartenente  alla 
stessa  gettata  di  cui  ci  stiamo  occupando,  fu  scoperto   in   luogo   vicinissimo  ai  nostri  scavi,  cioè 


REGIONE   X.  —   869   —  ESTE 

e  non  propriamente  palafitta,  perchè  soltanto  in  alcuni  punti  risultò  formata  di  veri 
e  proprii  pali  di  rovere,  di  dimensioni  diverse  ma  non  molto  lunghi,  confitti  verti- 
calmente nel  terreno,  sui  quali  poi  eransi  distesi  orizzontalmente  altri  pali  e  tavo- 
loni. In  altri  punti,  invece,  consisteva  di  rami  e  pezzi  d'albero,  fra  i  quali  si  trovò 
anche  un  grosso  ceppo  segato  e  gettato  di  traverso,  costipati  e  battuti,  coperti  cer- 
tamente in  origine  di  uno  strato  compresso  di  terra. 

Come  in  altri  luoghi  bassi  e  paludosi,  soggetti  a  facili  infiltrazioni  ed  esposti 
alle  inondazioni,  questa  gettata  di  legname,  sulla  quale  s'inalzavano  le  povere 
capanne  di  un  villaggio  primitivo,  costruite  come  al  solito  di  rami  d'albero,  di  frasche, 
paglia  e  terra  battuta,  doveva  avere  lo  scopo  di  creare  uno  strato  permeabile  sotto 
alle  abitazioni.  Osservo  che  anche  in  Adria,  nello  scavo  stratigrafico  eseguito  dalla 
Sopraintendenza  l'anno  1910  dentro  l'orto  del  R.  Ginnasio  Bocchi,  nel  pieno  dell'area 
dell'antica  città,  fu  incontrata,  nello  strato  più  profondo,  una  gettata  del  tutto  simile 
di  legname,  che  i  primi  non  autorizzati  divulgatori  delle  ricerche  chiamarono  a  torto 
senz'altro  una  vera  palafitta  (x). 

Sul  piano  della  gettata  ed  in  mezzo  ai  travi  e  ai  legni  marciti  che  la  costitui- 
vano si  raccolsero  avanzi  di  manufatti,  che  mentre  ne  confermano  l'uso  e  la  destina- 
zione, permettono  di  riconoscere  l'età  dello  stanziamento  umano  che  le  dette  origine. 

Trattasi  anche  qui  nella  quasi  totalità  di  resti  di  ceramiche  primitive,  di  colore 
prevalentemente  nero  bruno,  più  raramente  rossicce  e  cinerognole,  d'impasto  rozzo  nei 
vasi  più  grandi,  abbastanza  depurato  e  quasi  fine  nei  vasi  più  piccoli,  alcuni  dei 
quali,  lisciati  a  stecco,  presentano  una  superfìcie  levigata  e  lucente. 

Tra  le  forme  dei  vasi  maggiori  s' indovinano  le  pentole  di  non  troppo  grandi 
dimensioni,  le  olle  panciute  munite  talvolta  di  coperchio  a  ciotola,  le  grandi  tegghie 
a  bacino  con  orlo  basso  svoltato  in  fuori.  Il  frammento  di  una  ciotola-coperchio,  dal- 
l'orlo rinforzato,  elegantemente  svoltato  in  dentro,  presenta  ancora  uno  dei  forellini 
per  cui  passava  la  cordicella  che  serviva  ad  appenderla.  Fra  i  vasi  più  piccoli  pre- 
dominano quelli  a  piede  conico  riverso,  le  ollette  a  semplice  fondo  appiattito,  le 
piccole  coppe-coperchio  e  i  bicchieri.  Qualche  vasetto  a  bicchiere,  come  quello  fig.  3 
n.  1,  ha  ancora  la  rozzezza  e  la  grossolanità  delle  ceramiche  affatto  primitive.  I 
frammenti  di  altri,  invece,  presentano  il  carattere  evoluto  e  la  caratteristica  deco- 
razione a  grafite  dei  vasi  del  secondo  periodo.  Un  frammento  di  coppa  è  ornato  di 
fasce  a  stralucido;  un  altro,  facente    parte  di  una   coppa-coperchio  a  fondo    ombili- 


nella  fossa  del  Tiro  a  segno  a  quattrocento  metri.  Altre  tracce  si  sarebbero  pure  scoperte,  come 
egli  mi  riferisce,  a  qualche  centinaio  di  metri  a  sud-est,  nell'ex-brolo  Romano  alla  Salute,  nei  pressi 
del  ponte  romano  della  proprietà  Zago-Pellesina.  Il  Prosdocimi,  ricordando  la  diga  scoperta  nel 
1848  (v.  sopra  pag.  365  nota  4)  aggiunge,  senza  dire  donde  trasse  la  notizia,  ch'essa  u  si  trovò  fondata  » 
sopra  una  palafitta  di  grossi  tronchi  di  rovere.  Data  la  grande  vicinanza  coi  nostri  scavi  potrebbe 
supporsi  che  anche  qui  si  tratti  di  un  pezzo  della  gettata  ;  ma  bisogna  considerare  ch'essa  verrebbe 
cosi  a  trovarsi  di  là  dal  braccio  del  fiume,  oltre  il  gomito  ch'esso  qui  faceva  nell'età  romana 
(v.  sotto  pag.  3S1)  e  ciò  infirma  assai  l' ipotesi. 

(')  V.  Bull,  di  paletn.  it.,  XXXVI,  1910,  pag.  196  sgg.  Del  resto,  per  rimanere  nel  territorio 
padovano  e  il  più  possibilmente  vicino  a  Este,  ricordo  che  una  gettata  affatto  simile  apparve  anche 


ESTE  —   870  —  REGIONE   X. 

cato,  esibisce  un  giro  di  eleganti  cerchielli  a  borchietta  stampati.  Fra  le  anse  dei 
yasi.  oltre  quelle  ad  anello  rialzato,  come  nel  vasetto  testé  ricordato,  e  quelle  a  nastro 
pure  verticale  comuni  alle  olle  ed  alle  tegghie,  ve  ne  è  qualcuna  costituita  da  un 
semplice  cordoncino  d'argilla  applicato  in  forma  di  staffa  o  d'arco  sulle  pareti  del 
vaso  (cosiddetta  pseudo-ansa)  (fig.  3,  n.  2).  Nessuno  di  questi  vasi  era  decorato  di 
ornati  a  graffito  o  a  rilievo:  gli  unici  generi  di  ornamentazione  che  vi  si  sono  riscon- 
trati, specie  nelle  olle  e  nelle  tegghie,  consistono  in  un  cordoncino  rilevato  fra  due 
solchi,  praticato  sotto  l'orlo  del  vaso,  ed  in  una  fila  di  piccole  strie  inclinate  paral- 
lele. Tra  i  fittili  debbonsi  infine  ricordare  una  piccola  ciambella  del  diametro  di 
era.  6  (fig.  3,  n.  3),  ed  uno  dei  soliti  rocchetti  o  cilindri  a  doppia  capocchia. 

Le  descritte  ceramiche,  mentre  per  gli  impasti,  le  forme  e  la  lavorazione  di  alcuni 
pezzi  presentano  punti  di  contatto  con  quelle  della  non  lontana  stazione  del  Monte 
di  Lozzo,  una  delle  più  antiche  delle  finora  studiate  nella  regione  degli  Euganei  ('), 
offrono  però  nel  complesso  maggiori  e  più  spiccate  affinità  con  i  fittili  più  arcaici 
raccolti  in  Este  stessa  nei  gruppi  di  abitazioni  che  si  estendevano  lungo  la  linea  che, 
costeggiando  la  città  a  mezzogiorno,  va  a  finire  ad  oriente  di  essa  nei  pressi  della 
Stazione  ferroviaria,  cioè  (v.  sotto  pag.  381)  soprattutto  in  via  Restara  (fondo 
Don  Angelo  Pela)  (')  e  Cane  vedo  (brolo  Morini  (3),  fabbrica  dei  fiammiferi  (*) 
e  specialmente  fondo  già  Burchiellaro,  ora  Dal  Bello,  ove  anche  noi  conducemmo 
l'anno  1913  una  breve  campagna  di  scavi,  notando  e  trovando  cose  che  completano 
le  osservazioni  già  fatte  nel  1883  dal  Prosdocimi)  (6).  Da  queste  analogie  possiamo 
concludere  che  lo  stanziamento  umano  che  lasciò  i  suoi  avanzi  nello  strato  più  pro- 


nella  stazione  primitiva  scoperta  alle  falde  del  Monte  Rosso  nella  regione  settentrionale  degli  Eu- 
ganei, cf.  Bull.  d.  Mus.  Civ.  di  Padova,  IX,  1906,  pag.  37  sgg.;  Bull,  di  Paletti,  it.,  XXXII, 
pag.  174,  e  che  qualcosa  di  analogo  si  trovò  pure  nella  ben  nota  stazione  lacustre  di  Arquà  Pe- 
trarca, cfr.  Bull.  d.  Mus.  Civ.  di  Padova,  IV,  1901,  pag.  102  sgg.;  Bull,  di  Paletn.  it.  XXVII, 
pag.  265. 

(')  Alfonsi,  in  Notizie  1903,  pag.  547  sgg. 

(")  Ghirardini,  Notizie  1901,  pag.  223  sgg.;  Alfonsi,  Bull.  pai.  it.,  1901,  pag.  57  sgg.;  Notizie 
1903,  pag.  445  sgg. 

(»)  V.  Alfonsi,  Notizie  1903,  pag.  452  sg. 

(*)  Alfonsi-Ghirardini,  Notizie  1901,  pag.  467  sgg.;  Bull.  pai.  it.,  1902,  pag.  142. 

(»)  Bull.  pai.  it.,  XIII,  1887,  pag.  445  sgg.,  tavv.  VII-X.  Quanto  ai  nostri  scavi  del  1913, 
sebbene  non  aggiungano  gran  che  di  nuovo  a  quanto  aveva  già  rilevato  il  Prosdocimi,  meritano 
tuttavia  di  essere  fatti  noti.  Poiché  quindi  se  ne  presenta  l'occasione,  ne  dò  qui  un  breve  cenno. 
Furono  eseguiti  in  un  appezzamento  dell'antico  fondo  Burchiellaro,  ora  di  proprietà  Dal  Bello,  e 
durarono  dal  3  novembre  al  6  dicembre  1913.  Furono  aperte  parecchie  trincee.  La  stratificazione 
che  fu  osservata  nella  prima  di  queste  era  la  seguente:  fino  a  m.  1,70  terreno  alluvionale  misto 
a  filoncini  di  sabbia;  da  1,70  a  1,90  terreno  valli vo  con  avanzi  di  erbe  e  conchiglie  palustri;  da 
1,90  a  2,30  terreno  nero,  grasso  e  carbonoso;  al  di  sotto,  terreno  alluvionale  scarantoso,  nel  quale 
a  2,50  sgorgava  l'acqua.  Nello  strato  vallivo  sì  trovarono  disseminati  qua  e  là  frammenti  di  vasi 
romani  di  argilla  rossa  finissima  (pezzo  di  orciuolo  decorato  a  rameggi).  Lo  strato  archeologico 
preromano  era  quello  sottostante  al  vallivo,  che  in  altre  trincee  apparve  di  spessore  molto  mag- 
giore di  30  centimetri.  In  un  punto  si  presentò  anche  stratificato  a  cumuli  tangenti,  forse  ciascuno 


REGIONE    X. 


—  371  — 


EStE 


fondo  del  podere  Cortelazzo  va  riferito  ai  primi  stadi  della  civiltà  paleoveneta,  cioè 
al  primo  e  secondo  periodo  Prosdocimi. 

Dna  conferma  del  termine  post  quem  può  trovarsi  nell'unico  oggetto  di  bronzo 
raccolto  nello  scavo:  il  piccolo  spillone  od  ago  crinale  (fig.  3,  n.  4).  Tale  oggetto, 
come  è  noto,  è  estraneo  alle  tombe  del  primo  periodo  e  comincia  ad  apparire  sol- 
tanto in  quelle  del  secoudo,  dove  assume  ordinariamente  la  forma  comune  anche  alle 


Fio.  3 


tombe   del    terzo    periodo,    con    la   testa   ornata  di  globetti  più  o  meno   pronun- 


spettante  ad  una  capanna.  Ma  di  queste,  come  già  negli  scavi  illustrati  dal  Prosdocimi,  non  appar- 
vero in  alcun  luogo  né  pali  né  tracce  di  pali  o  altri  indizi  che  permettessero  di  determinarne 
con  sicurezza  la  pianta  e  le  dimensioni.  In  una  trincea  si  trovò  un  pezzo  di  pavimento  formato 
d'un  battuto  di  argilla  arrossato  dal  fuoco,  sopra  il  quale,  più  alto  di  10  centimetri,  stava  il  foco- 
lare vero  e  proprio.  Di  questi  focolari  se  ne  scopersero  altri  cinque,  in  gran  parte  frammentarii. 
Erano  fatti  d'argilla  battuta  cotta  e  screpolata  dall'azione  del  fuoco.  In  due  casi  erano  accostati 
a  coppie,  ed  uno  aveva  forma  circolare  con  i  margini  estremi  arcuati  e  contornati  d'un  bordo 
rilevato.  Anche  un  altro  focolare  aveva  forma  leggermente  arcuata. 

Si  sterro  anche  parte  della  platea  o  battuto  d'argilla  concotta,  scoperto  nel  1883  e  che  il 
Prosdocimi  aveva  attribuito  ad  un'ara  crematoria  {Bull,  citato,  tav.  X).  Stava  alla  profondità  di 
50  cent,  dentro  il  primo  strato  alluvionale  e  si  constatò  trattarsi  non  già  di  un  battuto  antico,  ma 
del  «  fondo  di  una  vecchia  fornace  di  mattoni  ad  aria  libera  n  (giornale  Alfonsi).  Alcuni  di  questi 
mattoni  si  trovarono  abbandonati  sul  piano  della  platea. 

Nello  strato  archeologico  preromano  si  raccolsero,  in  mezzo  alla  terra  untuosa  e  ai  carboni, 
numerosissimi  cocci  di  vasi,  ossa  di  animali,  corna  segate  di   cervo,  ciotoli  fluviali,  pietre  trachi- 

Notizik  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  •  49 


ESTE  —   372   —  REGIONE   X. 

ciati  (*).  L'esemplare  Cortelazzo  presenta  nell'ornato  della  testa  un  carattere  piatto 
e  discreto,  per  quanto  non  privo  d'eleganza,  ciò  che  forse  significa  che,  pur  doven- 
dosi sempre  riferire  al  secondo  periodo,  non  siamo  ancora  nella  maggiore  e  migliore 
fase  di  sviluppo  di  questo  genere  d'oggetti  d'ornamento. 

Oltre  i  fittili  e  lo  spillone  si  raccolsero  nella  stazione  due  conchiglie  del  genere 
pecten  e  alcune  corna  segate  di  cervo,  fra  le  quali  merita  speciale  menzione  la  zap- 
petta (fig.  3,  n.  5).  Senza  avere  deciso  carattere  cronologico  anch'essa  può  valere  a 
confermare  l'alta  antichità  del  sedimento  Cortelazzo. 

Mettendo  ora  in  relazione  lo  strato  di  cui  si  tratta  con  i  trovamenti  del  1911 
non  v'è  dubbio  che  esso  sia  da  identificarsi  con  quello  che  anche  allora  fu  scoperto 
alla  maggiore  profondità.  È  vero  che,  stando  ai  dati  materiali  forniti  dallo  scavo, 
vi  sarebbe  un  forte  dislivello  fra  i  due  strati,  quello  del  1911  essendo  apparso  alla 
profondità  di  4  metri  dal  piano  di  campagna,  quello  del  1914  a  soli  m.  2,50.  Ma 
questa  grande  differenza  di  livello  viene  ad  eliminarsi  se  si  tien  conto  che  la  super- 
ficie del  suolo  dove  si  fecero  gli  scavi  del  1914  è  stata,  come  sopra  notai,  considere- 
volmente spianata  negli  ultimi  anni  sì  da  far  sparire  il  dosso  o  terrazza  che  vi  appa- 
riva in  precedenza,  mentre  per  converso  il  terreno  dove  sorge  la  casa  colonica,  cioè 
dove  si  fecero  gli  scavi  del  1911,  era  stato  artificialmente  rialzato  per  ragioni  facili 
a  comprendersi  (*).  Si  può  inoltre  pensare  ad  una  maggiore  costipazione  dello  strato 
archeologico  fra  il  mobile  letto  delle  sabbie  che  costituiva  il  fondo  dello  scavo  del  1911, 
mentre  il  piano  della  gettata  di  legname  è  rimasto  necessariamente  inalterato.  L' iden- 
tità dei  fìttili  raccolti  nei  due  strati  è  una  conferma  della  loro  contemporaneità. 

Concludendo  adunque  dobbiamo  dire  che  nel  fondo  Cortelazzo,  presso  una  delle 
sponde  dell'antico  letto  dell'  Adige,  nell'area  dove  più  tardi  si  estese  la  città  romana, 
sorse,  nei  primissimi  tempi  della  occupazione  veneta  del  paese,  un  villaggio  formato 
di  povere  capanne  costruite  sopra  una  gettata  di  legname  e  le  genti  che  vi  abitarono 


tiche,  due  frangiteli  di  trachite  di  forma  ovale  con  una  faccia  piana  e  l'altra  convessa,  una  cote 
d'arenaria  e,  particolarmente  interessanti,  alcuni  raschiatoi  ed  nn  coltellino  di  selce,  un'asticciola 
di  bronzo  ricurva  che  potrebbe  essere  il  frammento  di  una  fibula  ad  arco  semplice,  ed  infine  una 
statuetta  rozzamente  modellata,  d'argilla  nerastra,  lunga  circa  cent.  15,  rappresentante  un  quadru- 
pede (forse  nn  cane)  con  gambe  e  coda  spezzate.  1  fittili,  sni  quali  è  inutile  che  ci  fermiamo  a 
lungo,  riproducono  in  complesso  molte  delle  forme  e  le  tecniche  di  quelli  raccolti  dal  Prosdocimi. 
Ve  ne  sono  di  lisci  e  di  ornati  a  graffito,  soprattutto  con  triangoli  e  meandri.  Il  meandro  compa- 
risce anche  a  rilievo  sur  un  grosso  frammento  di  vaso  panciuto.  Un  vasetto  a  bicchiere,  di  per- 
fetta conservazione  e  di  rozzo  impasto,  è  ornato  sotto  l'orlo  di  una  serie  di  linguette  a  bugna; 
pezzi  di  una  scodella  presentano  delle  baccellature.  Notevole  è  un  grosso  piede  campanulato  di 
vaso,  traforato  con  cinque  larghe  aperture. 

Insieme  coi  resti  di  vasi  si  raccolsero  alcuni  pezzi  di  alari  fittili,  qualcuno  decorato  di  meandro 
rilevato  e  parecchie  fusaiuole  e  rocchetti. 

Meritano  infine  di  essere  segnalate  a  parte  due  zappette  ottenute  con  grosso  corno  di  cervo 
temperato  a  tagliente,  ed  un  altro  istrumento  d'uso  analogo  pure  ricavato  da  una  punta  di  corno 
di  cervo,  aguzzata  a  semicerchio  e  quindi  dentata. 

(')  V.  in  proposito  Ghirardini,  Notizie  1888,  pag.  150. 

(*)  Ora  anch'esso  è  stato  livellato  dal  sig.  Cortelazzo. 


REGIONE    X.  —   378    —  ESTE 

vi  rimanevano  ancora  quando  nei  sepolcreti  si  ponevano  le  tombe  del  secondo  periodo 
Prosdocimi. 

Dna  differenza  fra  le  stratificazioni  apparse  nel  1911  e  quelle  osservate  nel  1914 
sta  in  ciò  che,  mentre  nelle  prime,  al  disopra  dello  strato  più  antico,  se  ne  trovò  un 
altro  che  può  assegnarsi  ad  una  fase  ulteriore  della  civiltà  atestina,  cioè  fino  a  com- 
prendere il  terzo  periodo,  negli  scavi  del  1914  questo  secondo  strato  mancò.  Al  di- 
sopra della  gettata,  per  uno  spessore  di  circa  un  metro  e  mezzo,  non  si  trovarono  che 
leggeri  strati  alluvionali  sovrapposti,  completamente  privi  di  avanzi  delle  industrie 
umane.  11  che  dimostra  che  nel  corso  del  secondo  periodo  quel  sito  fu  dovuto  abbando- 
nare dai  suoi  abitatori,  probabilmente  per  qualche  grande  inondazione  del  fiume. 

Soltanto  nello  strato  superiore,  dalla  superficie  alla  profondità  di  un  metro  circa, 
apparvero  negli  scavi  del  1914  altri  resti  di  manufatti  che  per  la  qualità  e  gli  im- 
pasti mostravano  di  appartenere  all'età  romana.  Era  lo  stesso  strato  apparso  in  con- 
dizioni analoghe  negli  scavi  del  1911:  se  non  che  esso  era  molto  più  povero  di  og- 
getti, a  causa  dei  forti  rimaneggiamenti  che  il  terreno  aveva  subito  nell'antichità 
stessa  e  dei  lavori  agricoli  che,  come  notammo,  vi  furono  fatti  recentemente. 

A  quest'ultimo  strato  romano  debbonsi  riferire  i  resti  di  vari  muri  di  fonda- 
zione in  cotto  che  si  rinvennero  nelle  trincee  a  nord  e  ad  oriente  del  muraglione  e 
che  con  le  estreme  assise  dei  mattoni  scendevano  fin  dentro  agli  strati  alluvionali 
sovrastanti  alla  gettata.  Il  tratto  più  considerevole  di  tali  muri  formava  squadra, 
aveva  i  lati  di  circa  m.  4  e  fu  rinvenuto  subito  al  di  là  del  muraglione  quasi  ad- 
dossato alla  faccia  interna  di  questo,  dentro  la  massa  della  terrazza  più  volte  men- 
zionata. Un  secondo  tratto,  di  maggiore  spessore,  posto  in  direzione  est-ovest,  era 
stato  più  tardi  utilizzato  per  base  di  due  grandi  massi  trachitici  che,  come  ebbe  a 
dire  il  sig.  Cortelazzo,  erano  stati  posti  di  rincalzo  al  muraglione  nella  sua  parte 
interna. 

Ma  è  tempo  che  'ritorniamo  al  muraglione  e  ai  problemi  che  vi  si  connettono. 

La  ragione  per  cui  esso  venne  costruito,  il  tempo  che  rimase  in  uso,  quali  altri 
manufatti  vi  si  colleghino  risultano  evidenti  dagli  oggetti  che  si  riferiscono  al  pianò 
della  terrazza  che  esso  limitava  dal  lato  di  occidente  e  che  si  rinvennero  ammuc- 
chiati sulla  fronte  del  muraglione  nel  tratto  fra  esso  e  la  sponda  del  fiume. 

Quivi,  sopra  i  resti  della  gettata  della  primitiva  stazione  umana,  si  trovò  stra- 
tificato irregolarmente,  cioè  decrescente  dal  piede  del  muraglione  al  margine  del- 
l'acqua, per  uno  spessore  medio  di  cm.  20,  un  singolare  deposito,  costituito  di  un 
terreno  durissimo,  oltremodo  ricco  di  ferro  e  letteralmente  pieno  di  oggetti  lavorati 
di  ferro,  rame,  bronzo,  piombo,  perfino  di  terracotta  e  di  vetro,  e  monete.  Se  non 
che  il  ferro  di  molti  oggetti,  ossidandosi  e  decomponendosi,  aveva  cementato  fra  loro 
il  terreno  e  gli  oggetti  che  vi  erano  contenuti,  in  modo  che  lo  strato  intero  aveva 
assunto  aspetto  e  durezza  quasi  di  roccia.  Mi  basti  dire  che  per  esaminarlo  e  per 
estrarne  una  certa  quantità  degli  oggetti  che  conteneva,  fu  dovuto  rompere  in  pezzi 
e  frantumar  poi  questi  a  colpi  di  martello. 

La  messe  che  vi  si  raccolse,  e  che  non  ostante  ascenda  ad  alcune  centinaia  di 
oggetti,  rappresenta  soltanto  un  saggio  di  ciò  che  lo  strato  intero  conteneva,  mostra 


ESTK  —    374    —  REGIONE    X. 

la  più  svariata  suppellettile  che  possa  immaginarsi.  Alcuni  oggetti  non  sono  più  che 
resti  di  altri  maggiori  distrutti,  quali  cofanetti,  scatole,  vasi,  monili  ecc.  Altri  og- 
getti rivelano  aspetti  della  vita  comune  delle  genti  veneto-romane,  dell'abbiglia- 
mento, dell'acconciatura  ecc.  ;  altri  sono  utensili  della  vita  ordinaria  o  si  riferiscono 
a  particolari  industrie,  arti  e  mestieri,  quali  la  pesca,  la  caccia,  la  medicina  e  così 
via  di  seguito.  Senza  diffonderci  qui  in  minute  descrizioni  che  ci  porterebbero  troppo 
lungi,  accenno  sommariamente,  per  materie  e  per  classi,  agli  oggetti  ricuperati. 

Rame  e  bromo:  numerosa  serie  di  spilloni  e  di  spilli  appuntiti  alle  estremità, 
lunghi  da  cm.  40  a  5;  altra  serie  pure  numerosa  di  aghi  a  una  e  a  due  crune,  a 
capocchia  tonda,  appuntita  o  a  paletta,  talvolta  con  custodia  alla  punta;  aghi  crinali; 
imbellissimo  cucchiaino  oblungo  a  manico  striato  e  testa  ingrossata  a  sonda;  spato- 
lette,  palettine.  sonde,  pinzette  ed  altri  utensili,  soprattutto  piccolissimi  e  finissimi  cuc- 
chiaini a  bordo  piatto  o  ricurvo  che  io  ritengo  d'uso  chirurgico;  cucchiaini  d'uso 
comune,  fra  i  quali  uno  bellissimo  tondo  col  manico  striato  e  la  punta  aguzza,  ed  un 
altro  semicircolare  munito  di  maniglietta  nel  manico;  nettaunghie  e  nettaorecchie ; 
parecchi  ami  da  pesca  di  forme  e  grandezze  diverse;  uno  spillo  a  doppia  forchetta, 
forse  per  lavorar  reti  ;  una  cuspide  di  lancia  a  lama  sottile,  forse  per  ornamento  di 
cancellata;  bossoli;  un  tintinnabulo;  frammenti  di  specchi;  bottoni  e  dischetti  di 
lamina  forati  al  centro;  borchie  e  borchioni;  piccoli  breloques;  spunzoni  a  sigillo; 
manico  di  mestolo;  frammenti  di  vasi;  anse  di  varia  grandezza,  fra  cui  delle  ma- 
nigliette  di  cofani;  pometti  di  presa;  l'asticella  di  una  bilancia;  lamin-lle;  armille 
ed  anelli;  fibbie  da  cavalli;  tre  fibule  tipo  La  Tene,  tra  cui  una  ad  archetto  sottile 
scudato  presso  la  doppia  molla  e  due  altre  a  cerniera;  un  piccolissimo  gancetto  a 
tubetto  conico;  un  altro  desinente  in  piastrellimi;  un  terzo  a  falce;  una  catenella  a 
doppia  maglia  lunga  cm.  37;  il  frammento  di  un'altra  a  maglie  minute;  orecchini; 
due  piccoli  ornati  a  pelta;  un  pezzo  d'applicazione  traforato  ad  asticciole  e  pometti 
con  una  testa  di  grifo  finemente  incisa;  due  rotelle  massicce  col  bordo  scanalato  a 
carrucola,  in  una  delle  quali  è  incastrato  il  pezzo  di  un  pernio  di  ferro;  chiodetti: 
svariati  frammenti  di  oggetti  irriconoscibili  ;  monete  ;  e  in  fine,  specialmente  note- 
vole, una  sottile  placchetta  quadrangolare  a  doppia  maniglietta  (per  broche?)  che 
reca  nel  centro  incastonata  in  argento  una  testina  di  moro  di  profilo  a  destra. 

Ferro  :  due  ascie-martello  ;  uno  scalpello  ;  una  grossa  bietta  ;  una  tauaglietta  a 
forbice;  pezzi  di  chiavi;  anelli;  fibbie;  frammenti  di  coltelli  e  probabilmente  di 
lance  e  d'altre  armi;  bossoli  e  sbarre  d'oggetti  diversi;  serie  abbondantissima  di 
chiodi;  cardini  di  porte;  pezzi  informi  d'oggetti  guasti  e  in  gran  parte  distrutti 
dall'ossido. 

Piombo  :  un  peso  piatto  di  stadera  ;  una  piastrella  tonda,  imitazione  di  medaglia, 
recante  nel  diritto  due  teste  affrontate  con  i  capelli  tagliati  secondo  la  moda  dell'età 
di  Augusto  e  degli  imperatori  della  gente  giulia-claudia,  nel  rovescio  una  quadriga 
montata  da  una  Vittoria;  frammenti  non  definibili  e  colature. 

Oro  :    piccolissimo  anello  del  diametro  di  mm.  16  a  castone  appiattito. 

Vetro  e  pasta  vitrea:  numerosi  frammenti  di  vasi  diversi;  una  perla  da  col- 
lana striata  di  colore  azzurrognolo. 


REGIONE    X.  •   —   875    —  ESTE 

Terracotta:  frammenti  di  anfore  e  d'altri  vasi  comuni;  pezzetti  di  7asi  are- 
tini, uno  con  la  rappresentazione  in  rilievo  di  una  capra  accovacciata  ;  due  lucernette 
monolychni  con  la  stampiglia  di  un  vaso  sul  piano  concavo;  frammenti  di  altre  lu- 
cerne; una  statuetta  acefala  e  frammentaria  che  rappresentava,  a  quel  che  pare,  un 
cane;  pezzo  dell'orlo  e  dell'ansa  di  un  bicchiere  a  invetriatura  verdognola,  ornato  di 
file  di  spunzoncini,  raro  genere  di  ceramiche  apparso  però  anche  altrove  nel  Veneto; 
un  coperchio  bollato  di  anfora  vinaria,  ecc. 

Osso:  alcuni  stili  ed  aghi. 

Materie  diverse:  conchiglie  del  genere  ostrea  epeeten;  corna  segate  di  cervo; 
noccioli  di  pesche  ecc. 

Al  di  sopra  dello  strato  archeologico  solidificato,  che  abbiamo  descritto  fin  qui, 
se  ne  trovava  un  altro  di  natura  affatto  diversa,  ma  non  meno  caratteristico.  Consi- 
steva esso  unicamente  di  oggetti  sciolti,  facilmente  franabili,  distribuiti  a  scarpata 
sulla  fronte  del  muraglione,  in  modo  che  nella  sezione  a  triangolo  retto  che  ne  risul- 
tava uno  degli  angoli  acuti  veniva  a  trovarsi  sulla  faccia  del  muraglione  a  circa 
due  terzi  dalla  base  e  l'altro  si  protendeva  verso  la  riva  del  fiume.  Trattavasi  eviden- 
temente di  materiale  caduto  o  gettato  giù,  contemporaneamente  e  alla  rinfusa,  dal- 
l'alto del  muraglione  e  della  terrazza  sovrastante  e  distribuitosi  appunto  a  mo'  di 
materiale  di  scarico. 

11  nucleo  principale  era  costituito  di  laterizi  —  mattoni,  tegole,  coppi  —  di 
schietta  fattura  romana.  Su  due  pezzi  di  tegole  si  legge  la  marca  di  fabbrica  Ner. 
Claud.  Pansian.  (lettere  in  nesso:  C.  I.  L.  V,  8110,  24):  in  altri  la  sola  voce  Pan- 
siana  seguita  da  un  riccio  (C.  /.  L.  V,  8110,  6).  Nel  rimanente  componevasi  di  avanzi 
architettonici  e  pochi  altri  oggetti. 

Gli  avanzi  architettonici  sono  di  due  specie  :  di  pietra  e  di  terracotta.  Fra  i 
primi  debbonsi  menzionare:  una  numerosa  serie  di  cornicette  di  marmi  svariati,  ed 
un'altra  anche  più  abbondante  di  lastrine  per  decorazioni  di  pavimenti,  pareti  ecc.; 
un  capitello  di  pilastro  in  pietra  tenera;  due  cimase  sagomate  id. ;  pezzi  diversi  di 
marmo  e  pietra.  Fra  i  resti  di  terracotta,  oltre  a  frammenti  diversi,  meritano  spe- 
ciale menzione  alcuni  pezzi  di  cimase,  taluni  modanati  a  semplice  gola,  altri  a  gola 
con  maschera  leonina  di  forte  aggetto  (misure:  m.  0,69X0,30X0,10),  e  alcune  me- 
tope  e  triglifi.  Le  metope  sono  di  tre  specie:  a  bucranio,  a  bustino  di  Minerva,  a 
voluta.  Della  prima  specie  si  raccolsero  due  lastre  quasi  intere  ed  una  terza  fram- 
mentata. Ogni  lastra  (fig.  4,  n.  1),  a  superfice  giallo-rossetta,  lunga  m.  0,445,  larga 
m.  0,42,  spessa  m.  0.07,  presenta  un  incastro  a  dente  nel  lato  inferiore,  destinato 
a  fissarla  nell'architrave;  il  bucranio,  di  prospetto,  a  l'orti  e  vigorose  linee,  è  deco- 
rato di  vitte  a  capi  penzolanti.  Delle  metope  con  la  Minerva  fu  recuperata  una  quasi 
intera  e  altre  due  frammentate.  Le  lastre  (fig.  4,  n.  2),  dell'identiche  dimensioni 
delle  precedenti  e  com'esse  munite  d'incastro  a  dente  nella  parte  inferiore,  sono  di 
color  gialletto.  Nel  mezzo  di  una  grande  patera  o  scudo  concavo,  decorato  all'orlo 
di  un  giro  di  ovoli,  nell'interno  da  incastri  alternati  a  goccio  e  a  foglie,  staccasi 
ad  alto  rilievo  un  piccolo  busto  di  Minerva  galeata  e  paludata,  dai  capelli  ric- 
ciuti,  dai  contorni  fini,   dall'espressione  delicata;   del  paludamento  scorgesi  il  bot- 


ESTE 


—  376  — 


REGIONE    X. 


tone  sulla  spalla  destra  Delle  metope  con  la  voluta  fu  raccolta  soltanto  la  parte 
superiore  di  ima  lastra  (tig.  4,  n.  3),  come  attesta  li  larghezza  del  pezzo  conser- 
vato che  al  pari  di  quella  delle  altre  metope,  è  di  era.  42  e  la  mancanza  dell'incastro 


P 


Hi 


I 


Fig.  4. 


a  dente  che  quelle  mostrano  inferiormente.  Il  colore  è  gialletto  come  nelle  metope 
con  la  Minerva.  Dei  triglifi  si  ebbero  due  interi  (v.  fig.  4,  n.  4)  e  frammenti  di 
altri  sei.  Propriamente  le  scanalature,  larghe  e  profonde,  sono  due,  quelle  centiali;  che 
delle  due  metà  laterali  è  appena  indicato  il  principio.  Sono  di  color  rossetto,  come 
le  metope  col  bucranio;  non  hanno  l' incastro  a  dente  inferiormente,  lo  hanno  invece 
nei  due  lati.  Le  scanalature  sono  limitate  superiormente  da  un  largo  listello  liscio, 


REGIONE   X.  —   377   —  ESTE 

separato  da  una  piccola  gola  a  solco,  inferiormente  da  un  listello  più  piccolo,  da 
un'altra  gola  a  solco  e  da  tre  paia  di  gocce  piramidali  sottostanti  alle  costolature 
verticali  del  triglifo.  Misurano  come  le  metope  m.  0,445  d'altezza;  sono  larghi 
m.  0,39  compresi  i  denti  laterali,  m.  0,35  senza  di  questi;  lo  spessore  varia  da 
mm.  85  a  mm.  95,  è  cioè  sempre  maggiore  delle  metope,  ciò  che  non  può  sorpren- 
dere perche  i  triglitì  aggettano  dovunque  nei  fregi  rispetto  alle  metope. 

Fra  gli  oggetti  non  architettonici  debbonsi  segnalare:  un  frammento  di  colon- 
nina di  marmo  scolpita  a  tronco  di  palma,  forse  il  sostegno  di  qualche  statua;  quattro 
ciotoli  oblunghi  scavati  superiormente  a  profondità  diverse,  probabilmente  pesi  di 
bilancia;  cinque  frammenti  di  mortai  di  pietra;  frammenti  di  un  vaso  di  alabastro; 
un  denaro  d'argento  di  Antonio  col  ricordo  della  legione  XII,  battuto  l'anno  31  a.  C. 
(Babelon,  I,  pag.  201,  n.  119);  due  piramidette  fittili  a  sagoma  assottigliata  all'estre- 


Fio.  5. 

mità  munite  di  foro  alla  testa;  un  collo  d'anfora  con  la  marca  HAD-AVtì  (au  in 
nesso);  il  collo  e  parte  delle  spalle  di  un'altra  anfora  recante  dipinta  a  color  nero 
grasso  l' iscrizione  in  caratteri  capitali  corsivi  del  primo  secolo  dell'  Impero,  di  cui 
riporto  il  fac-simile  (fig.  5). 

Collegando  i  due  travamenti  fra  loro,  è  chiaro  doversene  dedurre  l'esistenza  nei 
pressi  del  muraglione,  sopra  la  terrazza  che  esso  limitava  dal  lato  d'occidente,  di  un 
edificio  di  carattere  religioso,  cioè  di  un  sacrario.  Ciò  risulta  principalmente  dal 
carattere  e  dal  numero  degli  oggetti  che  formavano  lo  strato  più  basso  e  che  credo 
non  si  possano  altrimenti  spiegare  che  come  gli  avanzi  di  una  stipe  votiva.  La  mente 
corre  subito  per  confronti  alla  stipe  —  tanto  più  cospicua  di  oggetti  e  tanto  più  impor- 
tante per  le  deduzioni  che  possono  ricavarsene  ;  ma,  se  si  tolgono  le  due  categorie 
principali  delle  iscrizioni  e  dei  monumenti  figurati,  così  affine  alla  nostra  —  scoperta 
nella  chiusura  Baratela,  nel  sacrario  della  dea  Rehtia.  Mancano  pur  troppo  sulla 
topografia  e  sulle  condizioni  di  giacitura  di  tale  unico  complesso  di  monumenti  votivi, 
scavati  da  un  contadino  a  solo  scopo  di  lucro,  notizie  particolareggiate  di  qualsiasi 
sorta;  ma  quel  poco  che  pur  ne  sappiamo,  l'essere  stati  tutti  quegli  oggetti  trovati 
«  disseminati  in  un'area  bastantemente  ristretta  in  vicinanza  degli  avanzi  di  un 
muro  a  massi  irregolari  di  macigno,  lungo  oltre  m.  12,  largo  m.  0,60  »  non  lungi 
dal  quale  si  estrassero  pure  «  molti  frammenti  architettonici  »(*),  presenta  tali  punti 

(1)  Ghirardini,  Notizie  1888,  pag.  3  sgg. 


BSTB  —   378  —  REGIONE   X. 

di  affinità,  anzi    di    somiglianza,  con  i  nostri  trovamenti    del    fondo  Cortelazzo  che 
l'ipotesi  si  tratti  anche  qui  di  un  complesso  analogo  può  dirsi  accertata. 

Un'ulteriore  e  definitiva  conferma  che  si  abbia  a  che  fare  con  i  resti  di  un 
santuario  è  data  dai  trovamenti  fatti  nel  1709,  che  già  ricordai  di  sopra  somma- 
riamente; trovamenti,  che  senza  alcun  dubbio  si  riferiscono  a.  quello  stesso  monumento, 
di  cui  anche  noi  scoprimmo  gli  avanzi  e  coi  quali  pertanto  le  nostre  scoperte  for- 
mano tutto  un  insieme,  illustrandosi  a  vicenda. 

Ciò  è  provato  anzitutto  dalla  circostanza  che  quei  trovamenti  furono  fatti  nel 
luogo  stesso  dove  furono  eseguiti  i  nostri  scavi,  cioè  «  a  poca  distanza  dall'angolo  occi- 
dentale del  serraglio  Contarini  »  (attuale  Tiro  a  Segno  e  serraglio  Boiani,  v.  sopra 
pag.  367)  come  dice  in  guisa  da  escludere  ogni  dubbio  l'Alessi  (J);  poi  dalla  natura 
delle  scoperte  e  degli  oggetti  che  furono  allora  rimessi  in  luce.  Narra  infatti  l'Alessi 
che  •  furono  ritrovati  ben  10  piedi  sotterra  (=  m.  2,80,  cioè  all'  incirca  alla  stessa 
profondità  dei  nostri  scavi)  molti  pezzi  di  marmo  di  varia  mole,  in  una  gran  massa 
di  altri  frammenti  e  di  rovine  »  fra  cui  enormi  pietre  che,  messe  nuovamente  in 
opera,  servirono  a  lavori  diversi;  «  incapparono  gli  operai  in  una  gran  massa  di  pezzi 
di  mattoni  e  di  marmi  confusamente  ammucchiati,  tra  cui  discernevansi  rotte  colonne, 
basi,  capitelli,  cornici,  teste  e  membra  varie  di  statue  ed  altri  vestigi  di  antichità  » . 
Accennando  quindi  particolarmente  ad  alcuni  degli  oggetti  trovati,  l'Alessi  ricorda, 
oltre  il  rilievo  di  Argenida  citato  al  principio  di  questa  relazione,  un  grosso  blocco 
di  marmo  con  iscrizione  a  cui  era  attaccato  un  anello  di  ferro  e  alcuni  «  frammenti 
di  statue  » ,  che  però  dalla  descrizione  ch'egli  ne  dà  sembrano  piuttosto  rilievi  votivi, 
cioè:  un  frammento  con  la  figura  di  Giove  seduto  «  simile  a  quella  che  si  vede 
nelle  medaglie  di  Domiziano,  di  Marco  Aurelio  e  di  Commodo  »  dinanzi  a  cui  «  era 
l'apparecchio  del  sacrificio  d'un  maiale  apportatovi  dal  ministro  »;  un  altro,  con  un 
piede  che  l'Alessi  attribuì  ad  una  figura  di  Pallade  «  con  l'unghia  della  civetta  »  ; 
un  terzo,  con  una  pecorella,  una  zampogna  e  i  piedi  nudi  di  un  uomo,  in  cui,  certo 
inesattamente,  egli  suppose  raffigurato  Apollo  (Paride  con  la  greggia?)  (8). 

Già  subito  dopo  le  scoperte  del  1709  il  Silvestri,  seguito  poi  dall' Alessi  e  da 
tutti  gli  altri,  assegnò  quelle  rovine  ad  un  tempio  che  giustamente  l'Alessi  voleva 
collocato  sulla  vicina  terrazza  (3)  e  che  entrambi  supposero,  sulla  testimonianza  del 
rilievo  di  Argenidas.  dedicato  ai  Dioscuri. 

Non  può  quindi  cader  dubbio  che  tanto  i  ruderi  scoperti  nel  1709  quanto  quelli 
tornati  in  luco  nei  nostri  scavi  del  1914,  si  riferiscono  ad  un  santuario.  Soltanto 
non  pare  davvero  che  esso  fosse  «  un  tempio  suntuoso  »  quale  lo  ritennero  l'Alessi  e 
gli  altri  ;  ma,  come  insegnano  le  modeste  proporzioni  e  la  semplicità  dei  resti  architet- 
tonici, doveva  consistere  di  uno  o  fors'anco  di  più  sacelli  riuniti,  costituenti  un  sacrario 
di  non  grandi  dimensioni,  quale  anche  doveva  essere,  nella  parte  opposta  della  città, 
il  santuario  della  dea  Rehtia,  per  tanti  rispetti  analogo  al  sacrario  del  fondo  Cor- 
telazzo  (v.  sopra,  pag.  377). 


(')  Op.  cit,  pag.  SO. 

(*)  Alessi,  op.  cit.,  pag.  30  sgg. 

(')  Op.  cit.,  pag.  33. 


REGIONB   X.  —   379   —  USTE 

Che  poi  esso  sia  stato  dedicato  ai  Dioscuri,  come  supposero  gli  antichi  illustra- 
tori, pare  anche  a  me  oltrernodo  probabile,  per  non  dire  certo.  La  presenza  del 
rilievo  di  Argenidas,  sul  quale  si  fondarono  il  Silvestri,  l' Alessi  e  gli  altri,  costi- 
tuisce invero  già  di  per  se  un  validissimo  argomento  in  favore  di  quell'ipotesi. 
Non  si  potrebbe  infatti  intendere  altrimenti  come  mai  un  rilievo  greco,  anzi  di  fab- 
brica, come  anch'  io  ritengo,  laconica  (x),  dedicata  da  nn  greco,  sia  potuto  andare 
a  finire  ad  Este  nel  sito  dove  sorgeva  il  santuario  Cortelazzo.  se  il  culto  in  questo 
professato  non  era  quello  stesso  delle  divinità  rappresentate  nel  rilievo  votivo.  Né 
con  tale  ipotesi  contrastano  minimamente  le  altre  rappresentazioni  figurate,  rinvenute 
nel  1709  e  menzionate  dall' Alessi,  cioè  quella  di  Giove  seduto  a  cui  si  porgeva  un 
sacrificio  e  quella  di  un  pastore  accompagnato  da  una  pecora,  nel  quale  supponemmo 
Paride  e  la  sua  greggia,  perchè  tanto  Giove  quanto  Paride  sono  nella  mitologia 
strettamente  connessi  con  i  Dioscuri. 

Ma  anche  dai  nostri  scavi  è  dato  ricavare,  se  io  non  m' inganno,  qualche  altro 
argomento  in  appoggio  di  quell'ipotesi.  Accennando  alla  suppellettile  votiva  trovata 
nello  strato  roccioso,  notai  come  di  essa  facciano  parte  numerosi  istrumenti  di  uso 
chirurgico.  Questi  anzi  sono  così  abbondanti,  rispetto  agli  oggetti  delle  altre  cate- 
gorie, da  costituire  una  parte  caratteristica  dell'intera  stipe.  Ora,  o  io  m'inganno 
o  la  presenza  in  siffatto  numero  di  tali  istrumenti  chirurgici  non  può  non  aver  avuto 
relazione  con  il  culto  professato  nel  sacrario.  Se  ciò  è  esatto,  l' ipotesi  che  il  sacrario 
fosse  dedicato  ai  Dioscuri  acquista  un  ulteriore  grado  di  probabilità,  convenendo 
ottimamente  ad  essi  le  offerte  di  tal  genere.  Divinità  protettrici  in  senso  generico, 
i  Dioscuri  erano  divenuti  nell'età  ellenistica  e  romana,  per  il  lento  sovrapporsi  di 
concetti  e  di  attribuzioni  speciali,  anche  i  soccorritori  dei  malati,  i  protettori  degli 
afflitti  da  morbi  e  quindi  dei  medici  e  della  medicina,  medici  anch'essi.  Nessuna 
maraviglia  dunque  di  trovare  nella  stipe  votiva  di  un  loro  tempio  oggetti  chirurgici 
in  tanto  numero.  E  probabilmente  ad  un  concetto  analogo  risponde  anche  la  presenza, 
in  numero  considerevole,  nella  stipe  Cortelazzo,  degli  ami  da  pesca,  in  quanto  che 
i  Dioscuri,  identificatisi  coi  Cabiri  di  Samotracia,  erano  anche  divinità  marinare, 
protettori  della  navigazione  e  quindi  anche  dei  pescatori.  Insomma  anche  per  queste 
considerazioni  l' ipotesi  che  il  sacrario  Cortelazzo  fosse  dedicato  ai  Dioscuri  appare 
sempre  più  attendibile. 

Resta  ora  a  indagare  l'età  in  cui  il  sacrario  venne  eretto  ed  il  tempo  che 
rimase  in  piedi.  Il  materiale  raccolto  ci  offre  in  proposito  dati  decisivi.  Già  il  carat- 
tere dei  resti  architettonici,  le  tegole  con  le  marche  delle  fabbriche  Pansiane,  la 
paleografia  dell'iscrizione  di  Argenidas,  accennano  all'età  romana.  Alla  stessa  epoca 
ci  riportano  il  danaro  di  Antonio,  il  collo  d'anfora  col  bollo  Had.  Aug.  e  quello  con 
l'iscrizione  fig.  5;  alla  stessa  epoca  in  fine  richiamano  gli  oggetti  della  stipe  votiva, 
non  escluse  le  fibule  La  Tene  le  quali,  come  è  noto,  furono  in  uso  anche  nei  primi 
due  secoli  dell'  Impero  (*)'. 

(l)  Cfr.  Albert  in  Darerabevg-Saglio,  Dictionnaire  ecc.,  II,  pag.  255,  nota  138.  V.  anche  Dressel- 
MilclihOfer,  Athen.  Mittheil.,  II,  pag.  390  nota,  e  i  rilievi  del  gruppo. 
(*)  V.  per  tutti  Ghirardini,  Notizie  1888,  pag.  157  sgg. 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIIL  50 


KSTK 


380  —  regione  x. 


Le  monete  permettono  una  più  esatta  limitazione.  Prescindendo  dal  denaro  di 
argento  di  Antonio,  trovato  nello  strato  dei  laterizi  e  dei  frammenti  architettonici, 
fra  la  settantina  di  monete  di  bronzo  raccolte  nello  strato  ferroso,  una  sola,  cioè  un 
asse  unciale  trito  e  corroso,  del  peso  di  gr.  20,  appartiene  ancora  alla  Repubblica. 
Tutte  le  altre  monete  —  in  prevalenza  dupondii  con  qualche  sesterzio  e  due  assi  — 
spettano  all'  Impero.  Ecco  come  si  ripartiscono  le  venticinque  che  si  poterono  classifi- 
care: cinque  di  Augusto,  fra  cui  una  battuta  a  Cesarea  nella  Spagna  Tarraconese  ; 
una  di  Tiberio;  due  di  Claudio;  una  forse  di  Vitellio;  una  di  Vespasiano;  quattro 
di  Domiziano;  due  di  Traiano;  due  di  Adriano;  cinque  di  Antonino  Pio;  due  di 
Faustina  Maggiore.  Nessun  pezzo  scende  oltre  gli  indicati  termini,  e  ciò  è  confer- 
mato indirettamente  dal.  fatto  che  le  monete  più  recenti,  cioè  quelle  di  Antonino  e 
Faustina,  erano  ancora  fior  di  conio  quando  furono  deposte  nella  stipe. 

Possiamo  adunque  concludere  che  il  santuario  appartiene  per  intero  all'età 
romana;  che,  inalzato  tutt'al  più  ancora  alla  fine  della  Repubblica,  venne  distrutto 
e  abbandonato  intorno  alla  metà  del  sec.  Il  dell'era  volgare,  dopo  essere  stato  in 
piedi  circa  due  secoli  ('). 

Fu  la  distruzione  dovuta  a  una  catastrofe  repentina  o  ad  un  piano  stabilito  e 
preordinato?  Ciò  non  è  possibile  dire.  Certo  è  che  non  cadde  preda  d'un  incendio, 
perchè  di  questo  non  si  riscontrò  traccia  alcuna  nelle  rovine;  né  può,  io  credo,  pen- 
sarsi ad  un'  inondazione  dell'Adige,  poiché  il  sito  eminente  e  munito  su  cui  sorgeva, 
doveva  proteggerlo  dalle  piene  del  fiume.  Se  venne  a  mancare  per  subitaneo  evento 
l'ipotesi  ovvia  è  che  ne  sia  stato  causa  un  terremoto. 

È  degno  di  nota  che  anche  il  sacrario  della  dea  Rehtia,  nella  parte  opposta 
della  città  e  che  tante  volte  abbiamo  avuto  occasione  di  richiamare  pei  confronti, 
rovinò,  come  ci  dicono  le  monete,  circa  allo  stesso  periodo  di  tempo  (la  moneta  più 
recente  ivi  raccolta  è  di  Adriano)  e  per  causa,  che,  se  resta  ignota,  presenta  anche 
qui  gli  stessi  caratteri.  Non  mi  par  fuori  di  luogo  supporre  che  tali  concomitanze 
non  sieno  state  casuali. 

Riassumendo  :  le  risultanze  delle  due  campagne  di  scavi  da  noi  eseguite  nella 
località  Casale,  fondo  Cortelazzo,  sono  le  seguenti: 

1)  Si  constatò  nello  strato  più  basso,  presso  il  corso  già  noto  di  un  antico 
ramo  dell'Adige,  l'esistenza  di  una  stazione  umana,  riferibile  al  primo  e  secondo 
periodo  Prosdomici,  la  quale  presentava  la  particolarità  di  avere  le  capanne  costruite 
sopra  una  gettata  artificiale  di   legname.   La  stazione  Cortelazzo  costituisce  il  più 


(')  Finora  abbiamo  parlato  soltanto  di  un  sacrario  romano  perchè  così  vogliono  le  scoperte. 
Ma  è  oltremodo  probabile  che  o  in  Casale  stesso  o  in  qualche  punto  limitrofo  sia  esistito  anche  un 
sacrario  dell'età  veneta.  Lo  attestano  alcuni  oggetti  affatto  simili  ad  altri  rinvenuti  nel  sacrario 
di  Rehtia  nella  chiusura  Baratela  e  cioè:  la  lamella  figurata  a  sbalzo,  trovata  nel  campo  del  Tiro 
a  Segno:  Prosdocimi,  Notizie  1896,  pag.  79  sgg.  (il  quale  ebbe  ad  esprimere  un'opinione  analoga); 
la  nostra  statuetta  (flg.  2)  raccolta  casualmente  dai  contadini  nel  fondo  Cortelazzo:  la  piramidetta 
fittile  con  iscrizione  veneta  della  collezione  Nazari  rinvenuta,  a  quanto  si  riferisce,  «  in  una  loca- 
lità denominata  Casale,  presso  al  predio  Nazari  »:  Ghirardini,  Notizie  1888,  pag.  171  sgg.;  Pauli, 
Altit.  Forsch.,  Ili,  pag.  1,  n.  1. 


REGIONE   X.  —   381    —  ESTE 

occidentale  dei  gruppi  di  abitazioni  che  formavano  la  città  nella  prima  età  del  ferro, 
forse  un  insieme  di  nuclei  adagiati  lungo  il  corso  del  fiume  (v.  più  sotto)  sopra  natu- 
rali rialzi  di  terreno  alluvionale  e  sabbia,  dovuti,  come  già  da  altri  fu  detto,  ai 
depositi  delle  acque  vaganti  del  fiume  stesso  e  dei  torrenti  che  scendevano  dagli 
Euganei. 

2)  Al  di  sopra  di  questa  stazione  primitiva,  in  una  parte  dell'area  da  essa 
occupata,  si  riscontrarono  i  detriti  di  un  secondo  abitato  posteriore,  durato  fin  nel 
terzo  periodo  atestino. 

3)  Più  in  alto,  fin  presso  alla  superficie  del  suolo,  si  constatarono  dappertutto 
gli  avanzi  della  città  romana,  la  quale  pertanto  dovevasi  estendere  a  sud  almeno  fino 
alla  casa  Cortelazzo.  Da  ciò  scaturisce  che,  volendosi  mettere  in  relazione  la  diga 
scoperta  nel  1848  con  il  ponte  che  autorevoli  concordi  testimonianze  affermano  essere 
esistito  nel  brolo  Zago-Pellesina  presso  la  Chiesa  della  Salute,  e  volendosi  ciò  col- 
legare con  le  altre  risultanze  dei  nostri  scavi,  è  necessario  ammettere  che  l'antico 
braccio  dell'Adige,  scorrendo  dalla  casa  Cortelazzo  per  la  depressione  detta  ora 
Boschetto,,  facesse  gomito  nella  parte  settentrionale  del  fondo,  poco  sopra  il  punto 
dove  avvennero  i  nostri  scavi,  lasciando  a  destra  la  zona  dell'attuale  cimitero,  e  che 
quindi  volgesse  ad  est  verso  la  chiesa  della  Salute  (ponte  Zago-Pellesina)  donde 
seguendo  in  leggero  arco  una  linea  che  potrebbe  essere  indicata  da  un  tratto  del- 
l'attuale via  S.  Fermo  e  dalle  vie  Consolazione  e  Gambina,  giungeva  nei  pressi  del 
cavalcavia  ferroviario  alla  stazione,  per  continuare  in  direzione  d'oriente.  Se  quanto 
ho  sopra  esposto  è  esatto,  ne  viene  anche  di  conseguenza  che  il  fiume  non  solo  lam- 
biva, come  era  stato  scritto  finora,  ma  altresì  penetrava  a  mezzogiorno  dentro  la 
città  romana. 

Con  tutta  probabilità  l' indicato  corso  del  fiume  era  il  medesimo  di  quello  esistito 
nell'età  paleoveneta,  come  indicherebbero  gli  avanzi  di  abitati  finora  scoperti  e  che 
appunto  potrebbero  distribuirsi  sulle  due  rive  del  fiume:  il  nostro  del  fondo  Corte- 
lazzo,  quello  al  Pozzetto  nel  cortile  delle  case  economiche,  quello  di  Ca'  Salvi  nella 
proprietà  Capodaglio  in  contrada  Settabile  (1),  quelli  di  via  Restara  nel  fondo  don 
Angelo  Pela  o  Patronato,  e  finalmente  quelli  dell'ex  fondo  Gentilini  o  fabbrica  dei 
fiammiferi,  del  brolo  Morini,  e  dei  fondi  Burchiellaro-Dal  Bello  a  Canevedo. 

4)  Nell'estrema  parte  sud-occidentale  della  città  romana,  sopra  una  terrazza, 
formatasi  nel  corso  dei  secoli,  dalla  prima  età  del  ferro  all'età  romana,  parte  per 
depositi  dovuti  all'opera  dell'uomo,  parte  per  le  alluvioni  del  fiume,  forse  sopra  un 
più  antico  dosso  o  rialzo  naturale,  sostenuta  e  limitata  ad  occidente  verso  il  fiume 
da  un  poderoso  muraglione,  sorse,  tra  la  fine  della  Repubblica  e  la  metà  del  secondo 
secolo  dell'era  volgare  un  sacrario  che  per  molti  rispetti  ricorda  quello  esistito  ad 
oriente  della  città  nella  chiusura  Baratela,  col  quale  ebbe  all'  incirca  coeva  la  distru- 
zione. I  ruderi  da  noi  scoperti  formano  tutt'un  insieme  con  quelli  tornati  casual- 
mente in  luce  l'anno  1709.  Da  qualche  nuovo  indizio  è  lecito  confermare  l'ipotesi, 

(')  Debbo  le  indicazioni  relative  agli  abitati  del  Pozzetto  e  di  Oa  Salvi  a  comunicazioni 
verbali  dell'Alfonsi,  del  quale  è  risaputa  la  profonda  conoscenza  di  tutti  i  trovamenti  archeologici 
anche  minimi  avvenuti  a  Este  negli  ultimi  decenni. 


ESTE 


—    382    —  REGIONE    X. 


già  emessa  dai  vecchi  scrittori  subito  dopo  le  scoperte  del  1709.  che  il  sacrario  fosse 
dedicato  ai  Dioscuri,  divinità  del  primitivo  fondo  mitologico  ariano  che  non  può 
sorprendere  di  trovare  nel  pantheon  veneto-romano  accanto  alla  dea  Rehtia  rivela- 
taci dal  sacrario  Baratela. 

lì)  Esplorazione  presso  l'area  del  sacrario  di  Rehtia,  ad  oriente  della  città 
(chiusura  Baratela). 

La  chiusura  Baratela,  in  cui  fu  scoperta  l' importantissima  stipe  votiva  magistral- 
mente illustrata  dal  Ghirardini  nelle  Notizie  del  1888,  pag.  1  sgg.,  confina  ad  oriente 
ed  a  mezzogiorno  con  un  fondo  di  proprietà  della  ven.  Arca  di  S.  Antonio  di  Padova, 
distinto  a  catasto  col  n.  116,  dove  nel  1884  erasi  praticato  un  saggio  di  scavo  che 
aveva  restituito  in  luce  alquanti  altri  oggetti  della  stipe. 

Dopo  le  scoperte  da  noi  fatte  nel  fondo  Cortelazzo,  che  tanti  punti  di  contatto 
presentavano  con  quelle  della  chiusura  Baratela,  come  ho  esposto  nella  precedente 
relazione,  parve  opportuno  procedere  ad  ulteriori  scavi  nel  fondo  Arca  del  Santo, 
non  solo  allo  scopo  di  rintracciare  altri  oggetti  della  stipe,  ma  anche  per  constatare 
se  esso  faceva  parte  dell'ambito  del  sacrario  di  Rehtia  (')  e  ricavare  possibilmente  da 
una  ricerca  ordinata  e  sistematica  qualcuna  di  quelle  notizie  topografiche  e  di  fatto 
sulla  giacitura  degli  oggetti  che  erano  state  completamente  trascurate  negli  scavi 
tumultuari  eseguiti  nel  suo  fondo  dal  vecchio  colono  Baratela  ('). 

Ottenuto  il  consenso  della  Presidenza  dell'Arca,  la  quale  non  solo  accolse  subito 
la  nostra  domanda,  ma  stabilì  anche  di  donare  al  Museo  Nazionale  di  Este  la  parte 
di  oggetti  die  eventualmente  ai  trovassero  e  che  risultassero  di  sua  spettanza,  lo  scavo 
fu  iniziato  il  15  maggio  1916  sotto  l'esperta  guida  dell'Alfonsi,  e  durò  tìn'oltre  la 
metà  del  giugno  successivo. 

Fu  scelto  il  piccolo  appezzamento  situato  ad  oriente  della  chiusura  Baratela, 
fra  essa  e  la  proprietà  Rosa,  dove  erasi  praticato  il  breve  saggio  del  1884,  e  vi  si 
aprirono  numerose  trincee  perpendicolari  e  parallele  al  fosso  di  divisione  col  fondo 
Baratela.  Nelle  trincee  lungo  questo  o  non  si  ebbero  risultati  o  si  trovò  terreno  ri- 
mescolato nello  scavo  del  1884,  con  a  volte  avanzi  di  epoche  posteriori  a  quelle  ri- 
velateci dalla  stipe  Baratela.  Così  per  esempio  si  incontrarono  i  ruderi  di  due  muri, 
facenti  angolo  retto  e  inchiudenti  un  ambiente  non  pavimentato,  costruiti  con  sassi 
trachitici  cementati  con  calce  ed  uno  di  essi  desinente  in  pilastro  sporgente,  formato 
di  grandi  mattoni  romani,  che,  per  la  natura  degli  oggetti  rinvenuti  sotto  le  fonda- 
zioni, mostravano  di  appartenere  ad  un  piccolo  edificio  inalzato  in  epoca  posteriore 
alla  distruzione  del  vicino  sacrario  di  Rehtia,  forse  nei  bassi  tempi  romani. 

(')  Chiamo  così  senz'altro  il  santuario  scoperto  nella  chiusura  Baratela  perchè  mi  pare  ormai 
fuori  di  dubbio  che  la  divinità  cui  era  dedicato  era  appunto  la  dea  Rehtia,  ricordata  più  volte 
nelle  iscrizioni  venete  ivi  trovate.  Cfr.  in  proposito  anche  il  recente  scritto  del  Couway,  Some 
votive  offerings  lo  the  Venetic  Goddeis  Rehtia  in  Journal  of  the  r.  anthropol.  Inslitute  of  Great 
Britain  and  Ireland,  voi.  XLVI,  1916,  pag.  221  sgg. 

(*)  V.  Ghirardini,  Notizie,  1888,  pag   3  sgg.  e  sopia  pag.  377.' 


REGIONE    X. 


—  383  — 


ESTE 


Nelle  trincee  invece  che  si  aprirono  nell'interno  dell'appezzamento,  più  verso 
la  proprietà  Rosa,  apparve  dappertutto,  a  breve  profondità  sotto  il  terreno  arativo, 
uno  strato  archeologico,  nel  quale  si  raccolse  una  certa  quantità  di  oggetti  indubbia- 
mente appartenenti  alla  stipe  votiva.  Se  non  che  dovette  subito  constatarsi  che  trat- 
tavasi  anche  qui  di  un  deposito  di  scarico,  fatto  probabilmente  allo  scopo  di  rialzare 
il  livello  del  fondo  sul  banco  naturale  alluvionale  su  cui  lo  strato  archeologico  ri- 
posava. Ciò  apparve  evidente  da  queste  due  circostanze:  1)  che  lo  strato  presentava 
dappertutto  una  superficie  ineguale,  ondulata,  a  solchi  e  rialzi,  per 
quanto  si  fosse  tentato  di  distribuirlo  con  una  certa  intenzione,  come 
appariva  dal  fatto  che  era  separato  e  quasi  diviso  in  due  da  uno  stra- 
terello  o  filoncino  di  breccia  calcare  battuta;  2)  che  vi  si  raccolsero 
dappertutto  mescolati  oggetti  di  epoche  diverse,  cioè  oggetti  paleo- 
veneti misti  ad  antichità  imperiali  romane. 

Risulta  quindi  manifesto  che  l'appezzamento  Arca  del  Santo  è 
limitrofo,  ma  sta  fuori  dall'area  vera  e  propria  del  sacrario  di  Rehtia 
che  doveva  trovarsi  per  intero  nella  chiusura  Baratela.  È  assai  pro- 
babile che,  al  pari  del  sacrario  dei  Dioscuri  scoperto  nel  fondo  Corte- 
lazzo  ad  occidente  della  città,  anch'esso  sorgesse  sopra  un'alta  terrazza, 
limitata  e  sostenuta  da  grandi  muraglioni  di  macigno,  dei  quali  un 
tratto  cospicuo  sarebbe  apparso  durante  gli  scavi  Baratela  al  lato 
nord  del  fondo  (')  e  che  da  tale  terrazza,  avvenuta  la  distruzione  e 
l'abbandono  del  tempio,  i  ruderi  di  questo  e  la  suppellettile  della 
stipe  cadessero  o  venissero  gettati  al  basso,  donde  poi,  per  ragioni 
diverse,  vennero,  più  tardi,  diffusi  e  sparpagliati  all'intorno.  Tale 
sarebbe,  io  penso,  il  caso  degli  oggetti  rinvenuti,  così  nel  1884  come 
da  noi,  nel  fondo  Arca  del  Santo. 

Restringendosi  pertanto  il  resultato  del  nostro  scavo  soprattutto 
alla  scoperta  di  nuovi  oggetti  della  stipe  votiva,  ne  faccio  ora  seguire 
qui  appresso  la  descrizione  sommaria,  in  quanto  essi  completano  il 
materiale  della  stipe  raccolto  in  precedenza,  cioè  quello  amplissimo 
illustrato  dal  Ghirardini  e  il  poco  apparso  successivamente,  reso  noto 
dal  Prosdocimi  (*).  Distribuisco  gli  oggetti  in  gruppi  per  materia. 

Bronzo.  Una  quindicina,  parte  interi  e  parte  frammentari,  di 
chiodi  votivi  delle  solite  forme,  uno  solo  a  spillone  tondo.  Un  altro, 
intero  (fig.  6),  ha  la  testa  a  paletta  coi  lati  maggiori  rientranti,  forma 
non  mai  apparsa  finora;  dai  due  fori  penzolavano  i  soliti  pendaglietti 
(cfr.  Notizie  1888,  tav.  IV,  8).  Parecchi  hanno  le  facce  ornate  di  segni 
incisi  a  X ,  a  zig-zag,  a  lineette  oblique  ;  un  frammento  esibisce  dei 
rameggi.  Un  solo  pezzo  presenta  i  resti  di  un'iscrizione  (fig-.  7); 
le   due  prime  lettere  lo  sono  sicure,  la  terza  è  incerta.  Fio.  6. 

Varie  laminette  votive  per  lo  più  frammentarie;  liscie  o  decorate  di  file  di  punti 
agli  orli.  Specialmente  notevoli  sono:  quella  di  forma  quadrata  (mm.  45  X  45,  fig.  8) 

(')  Cfr.  Notizie  1888,  pag.  4. 

(')  Cfr.  Notizie  1888,  pag.  483  sgg.;  1890,  pag.  199  sgg. 


MT* 


—  384  — 


REGIONE    X. 


esibente  a  sbalzo  un  volto  umano  di  prospetto,  di  cosi  tozzo  disegno  che  pare  un 
muso  di  animale  (esemplari  simili:  Notitie  1888,  tav.  XII,  figg.  10  e  15),  e  quella 
a  fascia,  lunga  mm.  250  larga  min.  65,  con  fori  d'affissione  (fig.  9),  una  delle  mag- 
giori del  genere  apparse  in  tutto  il  sacrario.  Esibisce,  fra  un  contorno  di  punti,  le 
ligure,  pure  a  sbalzo,  di  sei  cavalieri  in  fila,  ottenuti  a  stampo  con  un  punzone  qua- 
drangolare, l'elmo  pileato  in  testa,  lo  scudo  rotondo  umbilicato  al  braccio  sinistro, 
la  lancia  (disegnata  come  un  semplice  bastone)   nella  destra,  le  gambe  simmetrica- 


Fig.  7. 


Fig.  8. 


mente  penzoloni.  I  cavalli,  incedenti  al  passo,  hanno  la  zampa  anteriore  sinistra  al- 
zata e  piegata  ed  esprimono  un  composto  movimento  ritmico.  Trattasi  evidentemente 


Fig.  9. 

di  una  processione  sacra.  Figure  consimili  appaiono  nelle  lamelle  riprodotte  nelle 
Notizie  1888,  tav.  XI,  fig.  7  e  pag.  484,  n.   16. 

Due  fettucce  ornamentali,  lunghe  mm.  280-210.  larghe  mm.  15-10,  contornate  di 
file  di  punti  a  sbalzo,  che  per  l'identità  della  tecnica  cito  accanto  alle  lamelle  votive. 

Quattro  statuette  frammentarie.  La  prima  (fig.  10)  alta  mm.  55,  di  fattura  roz- 
zissima,  ha  il  corpo  e  le  estremità  a  bastoncello,  la  testa  a  globo  in  cui  sono  ap- 
pena tracciati  gli  occhi,  il  naso  e  la  bocca.  Aveva  le  gambe  divaricate  e  le  braccia 
alzate  e  stese  lateralmente:  il  braccio  destro  è  rotto.  Un  piccolo  sgraffio  all'innesto 
delle  gambe  parrebbe  indicare  una  donna,  seppure,  come  lascerebbe  supporre  la  nu- 
dità della  figura,  non  si  tratti  di  un  graffio  di  fusione.  Nella  suppellettile  trovata 
nel  fondo  Baratela  non  si  raccolsero  statuette  di  tal  genere.  —  La  seconda  (fig.  11) 
alta  mm.  75,  pure  ancora  rozza,  ma  di  fattura  più  progredita  e  di  modellatura  meno 
rudimentale,   trova  riscontro  nella  suppellettile  recuperata  in  precedenza  (Not.  cit., 


REUIONE    X. 


-  385  — 


F.STE 


tav.  VII,  tìg.  14  e  tav.  Vili,  tìg.  3).  Esibisce  una  figura  virile  nuda,  le  gambe  e 
le  braccia  atteggiate  su  per  giù  come  nella  figura  precedente;  le  gambe  sono  spez- 
zate. Il  braccio  destro  termina  al  posto  della  mano  in  una  piastrella  forata,  dove 
era  immesso  un  attributo  ora  andato  perduto,  forse  una  patera;  il  braccio  sinistro 
straordinariamente  corto  finisce  a  strozzatura,  sicché  pare  monco.  La  testa,  grossa 
sul  collo  sproporzionato,  è- coperta  d'una  specie  di  berretto  strettamente  aderente 
(non  è  la  massa  dei  capelli,  come  potrebbe  credersi).  —  La  terza  statuetta  (fig.  12) 
d'arte  alquanto  più  progredita,  mostra  una  figura  virile,  pure  interamente  nuda, 
in  atto  di  avanzarsi.    La  gamba  sinistra,  che  era   messa  indietro,    è  spezzata  alla 


Fio.  10 


Fio.  11. 


coscia;  sotto  il  piede  destro  è  il  permetto  che  serviva  a  fissare  la  statuetta  alla 
base  di  pietra.  Il  braccio  destro,  rotto  al  gomito  e  proteso,  era  alquanto  piegato  in 
basso;  il  sinistro,  invece,  spezzato  presso  la  spalla,  era  alzato;  la  figura  teneva 
forse  la  patera  nella  destra  e  la  lancia  nella  sinistra.  La  testa,  anche  qui  troppo 
grossa,  ma  impiantata  su  collo  regolare,  non  aveva  copertura  ;  i  capelli  sono  indicati 
in  massa  piatta,  spartita  da  strie.  —  La  quarta  statuetta,  riprodotta  di  prospetto  e 
di  profilo  alla  fig.  13  a-b,  per  quanto  acefala  e  mancante  dei  piedi,  è  la  più  interes- 
sante di  tutte.  Essa  è  anche  la  più  progredita  per  l'arte  ed  offre  un  tipo  che  si  di- 
stacca alquanto  da  alcune  altre  statuette  di  fattura  analoga  raccolte  in  precedenza. 
Rappresenta  una  figura  virile,  la  gamba  d.  più  innanzi,  la  sin.  indietro,  vestita  di  un 
corsaletto  senza  maniche,  che  si  rivela  a  colpo  d'occhio  di  materia  rigida  e  che,  adattan- 
dosi strettamente  alle  spalle  ed  al  torace,  si  restringe  sentitamente  alla  vita  in  cui  forma 
un  profondo  solco,  per  poi  allargarsi  a  campana  sul  basso  ventre  e  sulle  cosce.  Non 
esito  a  riconoscere  in  tale  specie  di  tunica  una  corazza  o  di  metallo  o,  più  verosi- 
milmente, di  cuoio.  Corazze,  per  quanto  di  forma  diversa,  sono  indossate  anche  da 
altre  statuetta  trovate  nel  fondo  Baratela  {Not.  cit.,  tav.  VII.  8;  tav.  Vili,  11).  Il 


ESTE 


—  386  — 


REGIONE    X. 


profondo  solco  alla  cintola  o  è  realmente  così,  come  in  due  statuette  Baratela  (Not.  cit, 
tav.  VII,  8  e  tav.  Vili,  14),  ovvero  eravi  incastrato  un  cinturone  lavorato  a  parte 
con  forse  appesovi  il  fodero  della  spada,  come  nella  statuetta  ivi,  tav.  VII,  rìg.  4 
(cfr.  anche  pel  motivo  tav.  Vili,  fig.  11).  Trattavasi  quindi  di  una  figura  di  guer- 
riero e  ciò  può  essere  confermato  dall'atteggiamento  delle  braccia  e  dagli  attributi 
delle  mani.  Le  braccia  sono  spinte  innanzi  e  piegate  al  gomito;  le  mani  non  sono 
espresse:  al  posto  della  destra  trovasi  un  foro  rotondo  in  cui  doveva  passare  un  og- 
getto che  io  suppongo  fosse  una  lancia  o  l'impugnatura  d'una  spada;  dalla  estre- 
mità del  braccio  sinistro,  rappresentato  di  lato,  presso  al  luogo  dove  dovrebbe  essere 


Fig.  12. 


Fio.  13. 


figurata  la  mano,  sporge  esternamente  un  permetto  cilindrico,  fuso  con  la  statuetta 
stessa,  che  può  ritenersi  destinato  a  reggere  lo  scudo.  L'arte,  abbastanza  evoluta, 
mostra  una  sufficiente  modellatura  delle  forme;  veggansi  specialmente  le  braccia  e 
le  gambe.  —  Unitamente  alle  statuette  ricordo  un  piccolo  priapo  frammentario  si- 
mile ad  altri  due  apparsi  nel  fondo  Baratela. 

Due  fibule  tipo  la  Tene,  una  delle  quali  integra  (cfr.  Not.  cit.,  tav.  XIII,  fig.  5); 
sei  fibule  romane  frammentarie  a  cerniera,  talune  con  l'arco  costolato,  una  con  l'arco 
ornato  di  semilune  incise  ;  quattro  spilli  a  testa  piatta  forata  (cfr.  op.  cit.,  tav.  XIII, 
figg.  17  e  19);  uno  spillo  a  capocchia  piriforme;  tre  aghi  a  una  cruna:  una  sbar- 
retta con  le  estremità  terminanti  ad  occhiello  ;  alcune  armille  e  anelli  di  varia 
grandezza;  un  pendaglietto  a  pera;  un  altro  in  forma  di  manina;  un  terzo  a  lamella 
circolare  dentata,  con  un  pernietto  ornamentale  al  basso  ed  il  gancio  in  alto;  due 
borchie  a  bulla  e  a  bottone;  un  gancetto  di  fettuccia  traforato  a  giorno;  un  mani- 
chette striato  di  vaso;  un  manichette  frammentario  costolato  e  a  girali,  forse  di 
specchio;  frammenti  diversi  di  oggetti  perduti. 


REGIONE    X. 


387 


ESTK 


Ferro.  Una  dozzina,  fra  interi  e  frammentari,  di  chiodi  votivi,  coperti  e  corrosi 
dall'ossido';  un  coltello  con  il  manico  desinente  in  anello,  lungo  mm.  225;  una 
cuspide  triangolare'con  manico  desinente  a  T,  lunga  mm.  155;  una  palettina  ricurva 


Fio.  H. 
di  forma  triangolare  a  testa  ingrossata,  lunga  mm.  145.  Tali  oggetti  non  si  trovarono 


patito* 


fcìfrti 


l\v 


^\ 


Fio.  15.  Fio.  16. 

nella  proprietà  Baratela,  epperò  vengono  qui  riprodotti  alle  figg.  14,  15,  16;  alcuni 
chiodi  comuni  a  capocchia  tonda;  un  gancio;  varii  frammenti  di  oggetti  irriconoscibili. 

Pietra.  Un  frammento  inscritto,  con  la  lettera  N . 

Terracotta.  Pezzi  di  laterizi  ;  frammenti  di  vasi  gallici,  etrusco-campani,  aretini 
e  romani  comuni;  una  sessantina  di  piramidette,  fra  intere  e  frammentarie,  di  dimen- 
sioni diverse,  tutte  forate  al  sommo,  due  sole  decorate  di  rameggi  nella  faccia  ante- 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIIL  51 


ESTE  —    388    —  REGIONE    t. 

riore,  una  di  linee  e  punti  impressi,  una  di  rosette  stampate,  tutte  le  altre  liscie; 
due  frammenti  di  una  base  baccellata  e  scannellata  di  colonnina. 

Vetro.  Frammenti  di  vasi  comuni  ;  corpo  globulare  di  balsamario,  di  vetro  ordi- 
nario; pezzo  di  ciotola  baccellata,  a  fondo  ametista  con  striature  in  bianco;  fram- 
mento a  strie  di  vetro  azzurro,  di  finissima  fattura;  due  frammenti  di  vasi,  l'uno 
di  color  giallo,  l'altro  verde,  ecc. 

Monete.  Un  vittoriato  foderato  d'argento  assai  guasto;  due  assi  unciali  molto 
triti  ;  cinque  dupondii  di  Augusto,  alcuni  coi  nomi  dei  triumviri  monetali  (in  un 
esemplare  è  quello  di  Atinius  Gallus);  un  dupondio,  a  quel  che  pare,  di  Nerone; 
uno  di  Domiziano;  un  sesterzio  di  Traiano;  due  dupondii  e  un  asse  imperiali  irri- 
conoscibili; un  mezzo  sesterzio  e  due  mezzi  dupondii  pure  irriconoscibili. 

C)  Trovamenti  fortuiti  in  località  Rivadolmo,  in  frazione  Pra,  in  via  Meg- 
giaro  e  nel  Castello  Comunale. 

Nei  lavori  di  ampliamento  della  strada  Este-Cinto  Euganeo,  nella  località  Riva- 
dolmo. a  circa  3  km.  dalla  città,  si  scoprì  nel  settembre  1915  un  parallelepipedo 
di  pietra  calcare  bianca  di  cent.  75  di  lato.  Apparteneva,  come  ebbe  a  riferire  l'Al- 
fonsi, ad  una  condottura  d'acqua  ed  era  attraversato  da  un  canale  circolare  di  cent.  35 
di  diametro,  al  quale  immetteva  sur  un  altro  dei  lati  un  secondo  canale  incoi)  tran - 
tesi  ad  angolo  retto  col  primo:  evidentemente  una  diramazione  d'acqua.  I  margini 
dei  fori  mostravano  chiaramente  il  collegamento  con  i  tubi  della  conduttura.  Un 
piccolo  foro,  di  cent.  19  di  diametro,  praticato  nella  faccia  superiore  del  cubo  e 
chiuso  da  un  ciotolo  trachitico  saldato  con  gesso,  permetteva  l'espurgo  della  condot- 
tura. Il  blocco  fu  portato  in  Museo. 

Durante  i  lavori  per  il  nuovo  inalveamento  dello  Scolo  di  Lozzo,  nella  frazione 
Pra'  d'  Este,  in  fondo  di  proprietà  Eizzardi,  si  rinvennero  casualmente  nel  luglio  1915 
quattro  tombe  del  terzo  periodo  atestino.  Stavano  alla  profondità  di  m.  1,20  dal 
piano  di  campagna.  Essendo  state  manomesse  dagli  operai,  furono  potute  recuperare 
soltanto  alcune  poche  ceramiche  con  la  solita  decorazione  ad  ocra  e  alcuni  oggettini 
di  bronzo,  fra  cui  un  frammento  di  cintura  decorata  di  linee  incise  e  punti  a  sbalzo. 
Tali  oggetti  furono  portati  in  Museo,  dove  già  conservavasi  la  suppellettile  di  un'altra 
tomba  congenere  scoperta  nello  stesso  luogo  l'a.  1911. 

In  un  fondo  del  cav.  Dal  Mutto,  sito  in  Este,  contrada  Meggiaro,  si  rinvennero 
casualmente  nel  febbraio  1916  due  pietre  sepolcrali  iscritte:  cioè  un  termine  lungo 
m.  0,49,  largo  m.  0,27,  spesso  m.  0,23  esibente  in  lettere  assai  ben  scolpite  :  in.  agr  \ 
p.  xxxx  ed  un  piccolo  cippo  sagomato  di  m.  0,20X0,11X0,09,  friabilissimo  e 
rovinato  ai  fianchi,  in  cui  restano  soltanto  le  lettere  .  ì.  ter .  \  .  Ha . . . 

Nei  lavori  di  riordinamento  dei  giardini  comunali  nell'  interno  del  Castello,  gli 
operai  sterratori  s' imbatterono  nei  resti  di  alcune  tombe  manomesse  delle  età  prero- 
mana e  romana.  Provengono  dalle  prime,  quattro  ossuarii  fittili  situliformi,  un  ossuario 
biconico,  e  vari  frammenti  combusti  di  un  cinturone  di  bronzo  ;  dalle  altre,  una  tazza 
di  vetro  bianco  rinforzata  all'orlo  ed  un  pezzo  di  lapide  corniciata  di  marmo  coi 
resti  d' iscrizione  :  . .  ae  . .  |  primae  vi G.  Pellegrini. 


ROMA 


—  389 


ROMA 


II.  ROMA. 

Nuove  scoperte  nell'area  dell'antica  città. 

Regione  V.  Nel  luglio  del  1916,  durante  alcuni  lavori  di  rafforzamento  in  una 
casa  della  Cooperativa  Liuzatti  in  via  Principe    Eugenio  n.  79,  all'angolo    con    via 


Fio.  1. 


Nino  Bixio,  nel  fondare  un  pilone,  a  tredici  metri  di  profondità  si  è  rinvenuto  un 
antico  colombario  già  manomesso. 

Il  colombario,  costruito  in  buonissimo  opus  reticulatum,  consisteva  in  due 
ambienti.  Il  primo  di  essi  misurava  m.  4,16X1,73;  nel  mezzo  era  una  scala  di 
dieci  gradini  in  travertino  larghi  m.  0,70  e  la  cui  pedata  ed  altezza  erano  di 
m.  0,30.  L'ambiente  era  coperto  a  volta  sulla  quale  si  vedevano  ancora  gli  avanzi 


ROMA 


—  390  — 


ROMA 


di  stucco  bianco;  in  alto  erano  due  finestre  a  sguincio.  Nella  parete  più  lunga  i 
loculi  per  le  olle  erano  disposti  in  quattro  file  di  sette  ciascuna  ;  nel  lato  a  sinistra 
di  chi  guarda  la  scala  si  aprivano  due  loculi  in  due  ordini,  nel  lato  a  destra  quattro 
loculi  in  quattro  ordini.  Nella  parete  di  fronte  alla  scala  erano  quattro  file  di  due 
loculi.  Era  evidentemente  questo  l'ambiente  nel  quale  si  discendeva  dalle  camere 
soprastanti  al  colombario;  ma  la  scala  era  stata  già  chiusa  in  antico. 

Da  questo  ambiente,  per  mezzo  di  una  porta  a  volta  si  andava  in  un  altro 
più  grande  (m.  4,02  X  2,65),  lungo  tre  pareti  del  quale  correva  un  bancone  in 
muratura  che  giungeva  anche  al  primo  ambiente,  ed  in  cui  erano  due  file  di 
quindici  loculi  ognuna,  così  distribuiti  :  sette  nel  lato  lungo  che  giungeva  nel 
primo  ambiente,  cinque  in  quello  ad  esso  normale,  tre  in  quello  di  fronte.  Nelle 
pareti  di  fondo  poi,  superiormente  al  bancone,  i  loculi  erano  disposti  in  sei  file  nella 
parete  occidentale,  in  quattro  file  nelle  altre  due.  Anche  questo  ambiente  era  coperto 
da  volta  a  tutto  sesto,  la  cui  impostatura  era  a  m.  2,10  dal  bancone,  e  conservava 
in  alcuni  punti  gli  avanzi  del  rivestimento  in  stucco  bianco  (tìg.  1). 

Questo  colombario  era  costruito  in  buonissimo  reticolato,  fuorché  nella  parte 
alta  delle  pareti,  sotto  la  volta,  che  era  in  tufelli  parallelepipedi.  Tufelli  parallele- 
pipedi erano  anche,  naturalmente,  intorno  ai  loculi.  Come  ho  detto,  il  colombario 
era  stato  già  manomesso,  onde  una  sola  targa  si  trovò  a  posto,  sotto  un  loculo  della 
terza  fila:  era  essa  di  breccia  africana,  misurava  ra.  0,25X0,12X0,03  e  aveva  la 
seguente  epigrafe: 

a)     C  •  FVLV1VS  •  CHION1VS 
VALERIA    MARTHA 
CONIVNX 


Sterrando  bene  il  colombario  si  sono  raccolte  le  seguenti  taighe  cadute  : 


b)  Marmo  bianco  (m.  0,25X0,11 
X  0,025)  : 


e)   Marmo  giallo  (m.  0,24X0,11 
X0,02): 


LCERCENIVS-  LL 

EVHARISTVSSJBI-ET 

LAELIAELLSEMNE-SORORI  SV/t- 


AVALG1VSAL 
BARNAEVS 


d)  Pietra  porosa   bianca  (m.  0,14 
X  0,13  X  0,08): 


e)  Marmo  bianco  (m.  0,17  X  0,10  ì 
X  0,02)  : 


Q_VARIVS-  Q_;L- 

APOLONIVS 

VAN-XXX 

Vili 


VSEXEPID1VSCET 

)LPRIMVS-SIBI  ET- 

©   QVARTIONI  •  FR ATRI 


ROMA  —   391    —  ROMA 

/)  Marmo  bianco  (ra.  0,17X0,12X0,03). 

P'TIMINiVS 
FELIX 

g)  Marmo  bigio  scorniciato  (m.  0,50X0,065X0,03): 

M-  F  •  ARN 
M  •  ASINIVS  •  CA PELLA  •  C  •  FVFICIEIVS  •  GEMELLVS 


h)  Marmo  bianco  scorniciato  (m.  0  24  i)  Marmo  bianco  (m.  0.25  X  0,155 

X  0,13X0,02):  0.025): 

SEX  •  GR  ANI  VS 
A   LB    ANVSSIBIET  LLOLLI 

SY  RA   ECONLIBERT  DAPHNI 

SVAE 


/)  Marmo  bianco  scorniciato  (m.  0,21  m)  Marmo  bianco,  intorno  è  granita 

X  0,13  X  0,02):  una  spiga  (m.  0,21  X  0,08  X  0,025): 


MINVCIA- 

EROTIS 
OLLAE  DVAE 


FLAVIAQVINTA 
VIX-ANNXIII 


n)  Targa  doppia,  scorniciata  e  ansata,  in  marmo  bianco  (m.  0,43X0,15X0,025): 

TICLAVDIVS-  CLAVDIAE   NEREI 

AVGVSTIL-  DILSVAE, 

PACORVS-  ET       /       S1BI, 


o)  Marmo  bianco  (m.  0,28  X  0,1'i  X  0,015): 

CLAVDIAE  ,  MEROE 
TI  •  CLAVDI  ■  AVG  •  L  •  LEMNI 


p)  Dallo  sterro  del  colombario  proviene  anche  un  frammento  di  lastra  marmorea 
(m.  0,33  X  0,28  X  0,04)  con  la  seguente  iscrizione  : 


ROMA  —    892    —  ROMA 


vltfVIBIO 

FLORO     •      VIXIT 

ANN    XXVII 

VIBIAMLANTIOCHIS- 

MATER-MISERAFILIO 

CA^O 


Sul  bancone  era  posato  un  sarcofago  di  terracotta  che  misurava  m.  1,60X0,50 
X  0,33.  Era  servito  evidentemente  per  una  inumazione  in  un  periodo  forse  posteriore 
all'uso  del  colombario.  Nel  terreno  di  riempimento  si  sono  raccolti  un  capitello  mar- 
moreo, una  lucerna  bilichne  di  terracotta  e  due  vasetti  di  terracotta  rossastra. 

Il  monumento  per  i  caratteri  della  costruzione  si  deve  attribuire  ai  primi  tempi 
dell'  Impero.  Si  trovava  sulla  sinistra  dell'antica  via  Labicana,  che  seguiva  in  generale 
l'andamento  della  odierna  via  Principe  Eugenio,  a  destra  di  essa  ('). 

Qualche  tempo  dopo  la  esplorazione  del  colombario,  eseguita  con  l'assistenza  del 
personale  della  R.  Soprintendenza  agli  scavi,  fu  data  regolare  denuncia  del  trova- 
inento  di  un'urna  cineraria  in  marmo,  che  si  disse  essere  stata  rinvenuta  nel  mede- 
simo colombario  ed  asportata  nei  primi  momenti  della  scoperta  (fig.  2). 

Quest'urna,  che  si  conserva  nel  Museo  Nazionale  Romano,  è  di  forma  parallele- 
pipeda,  manca  del  coperchio  e  misura  m.  0,39X0,39X0,23.  Superiormente  è  ornata 
con  una  fascia  di  ovuli  sotto  la  quale  corre  una  riga  di  dentelli;  inferiormente  è 
una  riga  di  dentelli  e  sotto  una  treccia.  Sulla  faccia  principale  dell'urna  sono  rappre- 
sentate a  rilievo  due  sfingi  affrontate,  ciascuna  delle  quali  tiene  una  zampa  sopra  un 
tripode  che  è  nel  mezzo. 

Sulla  stessa  faccia  si  legge  la  iscrizione: 

C  •  MARVLEI     C  •  L 
ERONIS  • 

COSSVT1AESLLCHRYSINIS 


Di  questa  leggenda  le  prime  due  righe  sono  in  alto  tra  le  figure  delle  sfingi,  l'ul- 
tima è  sotto  il  rilievo,  al  posto  dei  dentelli. 

Sulle  facce  laterali  si  ripete  il  motivo  di  un  cespuglio  da  cui  sorgono  tralci 
che  si  avvolgono  in  girari  e  terminano  sulla  faccia  posteriore  dell'urna;  ai  lati  del 
cespuglio  sono  due  uccelli  che  beccano  i  frutti  della  pianta.  Il  lavoro  è  discreto 
sulla  faccia  principale;  appena  abbozzato  sulle  altre. 


(')  Cfr.  Jordan-Haelson,   Topogr.   d.  Sladt.  Rom.,    I,  3,    pag.  355  seg.;  Lanciata,  F.  U.  R., 
tav.  24. 


ROMA 


393  — 


ROMA 


Per  la  forma  e  le  dimensioni,  che  trovano  riscontri  assai  frequenti  ('),  questa 
piccola  urna  si  deve  attribuire  al  principio  dell'  impero,  alla  età  stessa  cioè  a  cui 
appartiene  il  colombario.  La  figura  di  stìnge  come  simbolo  funerario  è  di  origine  molto 
antica  (!),  e  frequentemente  rappresentata  anche  sulle  urne  cinerarie  (3)  ;  antico  è  pure 


Fio.  2. 


il  tipo  della  stìnge  con  una  zampa  sollevata,  che  si  vede  già  in  molti  vasi  a  figure 
nere,  fra  i  quali  basterà  che  io  ricordi  il  cratere  Francois  (4),  e  antica  è  pure  la 
disposizione  araldica  di  due  sfingi  ai  lati  di  qualche  oggetto. 

F.    PORNARI. 

Regione  IX.  In  un  cavo  per  le  fondazioni  della  nuova  succursale  della  Banca 
d' Italia,  in  via  del  Parlamento  (impresa  Mora),  all'angolo  di  detta  via  con  la  via 
del  Giardino,  si  è  rinvenuto  nel  mese  di  maggio  un  tratto  di  muro  con  cortina  late- 
rizia, la  cui  larghezza  non  si  potè  misurare  per  intero  a  causa  della  ristrettezza  del 
cavo:  la  parte  visibile  era  larga  m.  1,50;  lo  spiccato  si  trovò  a  m.  7  di  profondità 


(')  Cfr.,  per  citare  qualche  esempio,  una  delle  urne  del  sepolcro  dei  Platorini  (Altmann,  Gra- 
baltàre,  flgg.  36  e  37;  per  la  tomba  in  genere  v.  pag.  44  seg.),  e  quella  di  T.  Claudius  Aryrus 
(Altmann,  op.  cit.,  n.  13,  fig.  60  a  pag.  67). 

(*)  Cfr.  Collignon,  Statues  funeraires,  pag.  81  segg.  ;  Roscher,  Leseikon  der  Mythol.,  IV, 
e.  1391  segg.  (Ilberg). 

(3)  V.  Altmann,  op.  cit.,  pag.  230  seg.  ;  Roscher,  op.  cit.,  e.  1399  seg. 

(*)  V.  Purtwaengler-Reichhold,  Gr.  Vasenmalerei,  tav.  13;  S.  Reinach,  Rép.  d.  vases  peint-, 
I,  pag.  135. 


ROMA  —   394   —  ROMA 

dal  piano  stradale.  Poco  al  di  sopra  del  piano  di  fondazione,  il  muro  era  attraver- 
sato in  senso  ortogonale  da  un  cunicolo  di  scolo,  rivestito  in  laterizio  e  coperto  a 
cappuccina,  della  grandezza  di  m.  0,45  X  0,80.  Il  muro,  di  buona  fattura,  era  paral- 
lelo alla  via  Flaminia  e  delimitava  forse  un  fabbricato,  prospiciente  su  di  essa  che, 
dato  il  forte  spessore  del  muro,  doveva  essere  di  notevole  importanza. 

1.  Pochi  metri  più  a  sud,  fra  gli  avanzi  di  un  muro  medievale  franato,  alla 
profondità  di  m.  3,50,  fu  scoperto  un  frammento  di  lastra  marmorea  (m.  0,53X0,49 
X0,04)  con  sopra  incisa  la  seguente  iscrizione  sepolcrale  cristiana: 

Me  req  UIESCITINPACE 

...  A  G  E  N  S  I  M  Ae 

...  RIA    QVE    VIXIT 

annos  p.  M  •  XLVDEP- IN   PACE 

ia  NVARDEIOVISCONSFL- 

/VN-PRIM- 

Nella  riga  4  si  deve  supplire  con  [annos  p(lus)~]  m(inus)  XLV  e  non  con 
m(enses)  XLV,  sebbene  questa  ultima  forma  si  trovi  talvolta  usata  per  i  bambini. 
Le  righe  5  e  6  sono  oscure.  In  esse  era  indicata  la  data  della  deposizione,  col  giorno, 
mese  ed  anno,  la  quale  però  non  è  facilmente  spiegabile.  Il  giorno  è  perduto,  il  mese 
è  quello  di  gennaio,  ma  dato  il  sistema  antico  di  contare,  la  data  poteva  variare 
dal  [Z/Z  Kal.  Ia]nuar.  alle  \_Idib.  Ia]nuar.,  cioè  dal  14  decembre  al  13  gennaio. 
L'anno  è  più  incerto  ancora.  In  ogni  modo  dobbiamo  escludere  il  Deiovis  come  nome 
di  un  console,  perchè  un  console  con  un  nome  simile  non  è  conosciuto;  né  esiste 
neppure  privatamente  un  tal  nome.  Porse  si  tratta  del  giorno  della  morte  :  die  lovis, 
leggermente  corrotto  dal  lapidario,  che  incise  secondo  la  pronuncia  volgare.  Del  nome 
dei  consoli  non  rimane  che  la  prima  parte  di  uno:  Fl(avius). 

Poiché  lo  spazio  libero  nella  riga  6  è  soltanto  di  poche  lettere,  dobbiamo  ammet- 
tere che  il  console  fosse  uno  soltanto.  Egli  era  senza  dubbio  un  imperatore,  come  fa 
credere  il  prenome  di  Flavius  comune  agli  imperatori  del  sec.  IV,  alla  quale  epoca, 
e  più  precisamente  alla  seconda  metà  del  secolo  si  riferisce  la  presente  iscrizione. 

Nell'ultima  riga  si  deve  leggere  probabilmente  \T\un{a)  prim(a),  cioè  l'indica- 
zione della  fase  lunare,  sotto  la  quale  morì  il  titolare  della  tomba,  corrispondente 
al  nostro  «  primo  quarto  » .  Questa  indicazione  si  trova  talvolta  nelle  iscrizioni  di 
età  tarda,  specialmente  cristiane,  ma  non  sembra  che  abbia  un  valore  speciale  (  '  ). 

Nella  demolizione  di  altre  costruzioni  medievali,  alla  stessa  profondità,  appar- 
vero in  età  diverse  vari  blocchi  squadrati  di  tufo,  tolti  evidentemente  da  un  edi- 
ficio romano  ;  e  fra  le  terre  di  scarico,  una  base  con  semplice  decorazione  terminale 
(lunga  m.  0,18,  larga  m.  0,44  e  alta  m.  0,17),  un  frammento  di  pavimento  a  mu- 
saico bianco,  alcune  lacerne  fittili  di  nessun  valore  e  le  seguenti  iscrizioni: 

(')  Cfr.  Garrucci,  Distertazioni  archeologiche,  I,  pag.  131  seg. 


ROMA  —   395   —  ROMA 

2.  Angolo  di  urna  cineraria  in  marmo,  con  cornice  terminale  ad  astragalo,  e 
iscrizione  incisa  entro  un  cartello  ansato.  Resta  soltanto  la  prima  parte  di  sinistra  : 

ATfci... 
DIVI... 
LIBE... 

Le  lettere  sono  piccole  e  regolari  :  si  tratta  di  un  liberto  imperiale,  vissuto  fra 
il  II  e  il  III  sec.  d.  Cr.,  come  si  ricava  dalla  grafìa. 

3.  Frammento    di    piccolo  cippo  sepolcrale  marmoreo,  con  iscrizione   in    buoni 
caratteri. 

d  M 

...  MBRI  CI  AE 
...  SEVERINAE 
.  . .  VA1VMXDXX 

...  M    SEVER 


4.  Parallelepipedo  di  marmo,  scorniciato  nel  basso,  lungo  sul  davanti  m.  0,44, 
alto  m.  0,30  e  profondo  m.  0,52.  È  scritto  su  tre  lati  con  caratteri   larghi  e  bene 
incisi  e  conservato  quasi  per  intero.  Le  iscrizioni  sono  racchiuse  entro  una  semplice 
riquadratura  a  incavo  (fig.  3). 
a)  centro: 

LOCVS    ADSIGNATks 
A  FLAVIO-  LONGINO**  a 
TERENTIO  IVNIORE  cura 

TORIBVS-OPERVM-PVBLIC  OrUM 

ET- AEDIVM  •  SACR  arum 

LIB  •  ET  ■  FAMILIAE  CAES  NO  Stri 


b)  lato  sinistro: 


e)  lato  destro: 


dedi  CATVM  XIII  K  OCTO  b 
jUBRIONE-    ET 
AoMVLLOCOS 


prò  iNCOLVMI  TATE 

domu  S  AETERNAEAVGVSTORVM 

sii  VANO     SACRVM 

. . .  VS  •  C  •  F  •  PAPIRIA  •  SABINVS 
curai  OROPERVM  •  PVBLICORVM 
d  D 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIIL  52 


ROMA  —   396   —  ROMA 

Il  contenuto  della  base,  che  a  prima  vista  sembra  normale,  offre  invece  alcune 
difficoltà,  inerenti  alla  diversa  natura  dei  fatti  ivi  ricordati.  Nel  lato  centrale  si 
legge  che  il  luogo  dove  era  collocata  la  base,  fu  assegnato  ai  liberti  e  ai  servi  impe- 
riali dai  curalores  operum  publicorum  et  aedium  sacrarum,  (T.)  Flavius  Longinus 
et  (C.)  Terentius  Iunior,  personaggi  conosciuti  per  altre  fonti  (*),  che  vissero  tra 
l'impero  di  Traiano  e  quello  di  Antonino  Pio. 

Nel  lato  di  destra  si  legge  la  dedicazione  a  Silvano,  la  cui  immagine,  probabil- 
mente in  marmo,  sorgeva  sulla  base  (2),  come  si  vede  dall'  incavo   rimasto  (fig.  4), 


Fio.  3. 


ed  era  fissata  con  un  perno  al  di  sotto  (ved.  fig.  4  sezione).  Senonchè,  mentre  ci  si 
aspetterebbe  che  i  dedicanti  fossero  gli  stessi  liberti  e  servi  imperiali,  troviamo 
invece  che  il  signum  fu  posto  a  Silvano,  prò  incolumitate  domus  aeternae  Augu- 
storum,  da  un  tal  — ut  Sabinus  C.  f.  della  tribù  Papiria,  curator  operum  pu- 
blicorum. 

Infine  nel  lato  sinistro  è  precisato  il  giorno  della  dedicazione,  che  fu  il  19  set- 
tembre del  152  d.  Cr.,  sotto  i  consoli  M.'  Acilius  Glabrio  Cn.  Cornelius  Severus  e 
M.   Valerius  Homullus. 

Ora  le  difficoltà  che  presenta  la  triplice  iscrizione  sono  varie.  Innanzi  tutto, 
perchè  i  liberti  e  i  servi  imperiali  si  fanno  dare  un  tratto  di  pubblico  territorio  e 

(x)  Cfr.  Dessau,  Proiop.,  II,  pag.  40,  n.  149  (Flavius  Longinus)  e  III,  pag.  302,  n.  58  (Te- 
rentius Iunior). 

(')  L' immagine  sarà  stata  probabilmente  quella  di  Silvano,  eretto,  con  clamide  caprina,  avente 
nelle  mani  nn  cornucopia  e  un  bastone.  Ai  suoi  piedi,  il  cane  (Reinach,  Rép.  de  la  stat.,  I,  pp.  220  sg.). 


ROMA 


—  397 


ROMA 


un  altro  personaggio  vi  erige  l'immagine  sacra  al  Dio?  Secondariamente  quali  rap- 
porti passano  tra  questo  personaggio,  che  si  qualifica  curator  operum  publicorum, 
e  i  due  ouratores,  Longinus  et  Iunior,  che  assegnarono  l'area?  Infine,  in  questa 
area,  quale  monumento  sorgeva  oltre  il  signum  Silvani? 

Per  risolvere  in  tutto  o  in  parte  queste  difficoltà  bisogna  partire  dal  concetto 
che  nella  base  sono  ricordati  solamente  i  fatti  principali  e  che  questi  non  sono  tutti 
contemporanei  fra  di  loro,  ma  si  succedono  in  un  dato  svolgersi  di  tempo.  Perciò 
questi  fatti  vanno  così  dichiarati. 

I  liberti  e  i  servi  dell'imperatore  Autonino  Pio  chiesero  ai  ouratores  operum 
publicorum  et  aedium  sacrarum,  T.  Flavio  Longino  e  C.  Terenzio  Giuniore,  cioè  ai 
magistrati  che  ne  avevano  il  potere,  un'area  per  costruirvi  un  monumento,  che  potè 


a  -  — 


— b 


Se  z /ori e   3  -  b 


iiilnnl [_ 


50 


cm. 


Fio,  4. 


essere  un  sacellum,  una  edicoletta,  oppure  anche  una  semplice  sede  per  le  loro  riu- 
nioni collegiali  (').  Naturalmente  per  questa  costruzione  passò  un  certo  periodo  di 
tempo,  finito  il  quale  essa  fu  dedicata.  Intanto  i  ouratores  erano  cambiati  (2)  e  fra 
i  due  nuovi  era  ì'....us  Sabinus.  Questi,  sia  per  munificenza  privata,  sia  meglio  per 
un  atto  del  suo  ufficio,  volle  dedicare  nel  monumento  una  statua  di  Silvano  e  nella 
base  della  statua,  oltre  alla  sua  donazione,  si  compiacque  ricordare  anche  il  giorno 
della  cerimonia  e  l'assegnazione  del  luogo  fatta  dai  suoi  predecessori. 

Resta  però  una  difficoltà.  Perchè  il  Sabinus  pose  nella  basetta  soltanto  la  fun- 
zione di  curalor  operum  publicorum  e  non  quella  più  appropriata  di  curator  aedium 
sacrarum  ?  È  noto  che  i  due  curator  es,  pur  avendo  ufficialmente  le  stesse  mansioni, 


(')  È  noto  come  queste  sedi  di  collegi  (scholae)  avessero  generalmente  la  forma  semicircolare, 
o  per  lo  meno  terminassero  con  un'abside  nel  fondo,  dinanzi  alla  qnale  era  posta  l' immagine  della 
divinità;  cfr.  Waltzing,  Corpor.  profeti.  I,  pag.  221  sq. 

(2)  Non  sappiamo  quanto  tempo  i  ouratores  op.  pubi,  durassero  in  carica;  probabilmente  non 
vi  era  un  tempo  stabilito.  Cfr.  Mommsen,  Rum.  Staatsrecht,  Ut,  pag.  1047, 


ROMA  —   398   —  ROMA 

di  fatto  si  occupavano  uno  delle  opera  publica  e  l'altro  delle  aedes  sacrae  (x);  quindi 
il  Sabinus  che  donò  la  statua  doveva  avere  piuttosto  la  cura  aedium  sacrarmi. 
Ciò  può  trovare  una  ragione  nella  mancanza  di  spazio  per  il  titolo  intero  e  nel  fatto 
che  la  prima  formula  bastava  spesso  per  indicarle  ambedue  (*).  Si  può  anche  pen- 
sare che  l'edificio,  eretto  dai  servi  e  liberti,  non  avesse  un  carattere  sacro  e  come 
tale  spettasse  al  curator  operum  publicorum  :  in  tal  caso  il  signum  sarebbe  stato  una 
cosa  distinta  dall'edificio  in  cui  si  trovava.  Questa  ipotesi  sembra  la  più  probabile. 
Noteremo  infine  che  la  formula  prò  incolumitate  domus  aetemae  augustorum 
si  riferisce  in  generale  alla  famiglia  di  Autonino  Pio  e  non  in  ispecial  modo  a  lui 
e  a  M.  Aurelio,  sebbene  quest'ultimo  avesse  già  dal  147  ricevuto  la  tribunicia 
poteslas,  poiché  sappiamo  che  la  prima  volta  che  si  ebbero  due  Augusti  insieme, 
fu  nel  161,  allorquando  M.  Aurelio  assunse  al  potere  il  fratello  L.  Vero  (3). 

G.  Lugli. 


(l)  Mommsen,  Ròm.  Staatsrecht,  II„  pag.  1051  sq. 

(*)  Abbiamo  altri  esempi  della  prima  formula  soltanto,  usata  per  edifìci  di  carattere  sacro.  Tra 
questi  citeremo  una  iscrizione  che  ha  alcune  curiose  coincidenze  con  la  nostra.  C.  L  L.,  IV,  814:... 
in  loco  qui  designatiti  «rat  per  Flavium  Sabinum,  operum  publicorum  curatorem,  templum  exlru- 
xerunt  negotiatores  frumentari.  Questo  curatore,  che  porta  lo  stesso  cognome  del  nostro,  dono 
anch'egli  una  statua  a  Silvano,  nel  santuario  sul  Quirinale  (C  /.  L  ,  VI,  31021).  Egli  però  visse 
sotto  Vespasiano  e  Tito  (cfr.  Dessau,  Prosopograhia  II,  pag.  79,  n.  232). 

Il  gentilizio  del  nostro  curatore  non  è  facilmente  reintegrabile,  perchè  il  cognome  di  Sabinus 
appartiene  a  molti  gentilizi,  alcuni  dei  quali  composti  di  poche  lettere,  come  è  necessario  per  il 
ristretto  spazio  mancante  nella  base.  Citeremo  ad  esempio:  Annius,  Appius,  Flavius,  Fulvius, 
Oppius,  Plotius,  Pontiut  (gli  ultimi  tre  usati  specialmente  nella  metà  del  II  sec.  d.  Cr.),  Statius, 
Titius,  ecc.  (cfr.  Dessau,  loc.  cit.,  Ili,  pag.  154  s.,  n.  33).  Ma  il  nostro  Sabino  non  può  essere 
identificato  con  alcuno  dei  personaggi  che  portano  tali  gentilizi,  almeno  secondo  le  notizie  che 
abbiamo. 

(*)  Vita  Marci,  7,5  ;  vita  Veri,  3,8;  vita  Aelii  5,13;  Eutrop.,  Brev.  8,9;  Aur.  Victor,  Caes.  16; 
id.,  Epitom.  16. 


REGIONE   I.  —   399    —  OSTIA 


Regione  I  (LA  TIUM  ET  CAMPANIA). 

LAT1UM. 


III.  OSTIA  —  Scavo  dell'isola  ad  est  dell'area  sacra  del  tempio 
di  Vulcano. 

Lo  scavo  dell'isola  ad  oriente  dell'area  del  tempio  di  Vulcano,  della  quale  è 
data  la  pianta  nella  tavola  qui  annessa,  è  stato  eseguito  in  varii  tempi  e,  pur 
troppo,  con  metodi  assai  diversi.  Per  tacere  delle  più  antiche  ricerche  di  materiale 
utile  che  dovettero  farvisi  durante  il  lento  decadere  della  città,  ci  apparvero  già, 
prima  dell'inizio  dell'opera  nostra,  tracce  di  lavori  recenti  in  due  profonde  trincee 
mal  riempite  di  rovi  e  di  erbacce,  in  alcuni'  tratti  di  murelli  a  secco  del  tutto 
irregolari  e  di  breve  sviluppo,  fatti  evidentemente  per  tenere  su  le  terre  che  si 
gettavano  all'orlo  della  trincea,  nei"resti_  di  due  pale  moderne  di  ferro  che  una 
singolare  Nemesi  contro  i  poco  rispettosi  scavatori  aveva  sepolto,  e  finalmente  in 
•  una  figuraccia  e  in  qualche  scritto  a  carbone  sui  muri.  La  figura,  tracciata  da  mano 
affatto  inesperta  dell'arte  del  ^disegno,  rappresenta  il  busto  di  un  uomo  attem- 
pato con  cappello  a  cilindro  e  capelli  lunghetti,  forse  un  illustre  visitatore,  forse 
anche  un  autorevole  nostro  predecessore  in  quest'ufficio  di  dirigere  gli  scavi  di  Ostia. 
Delle  scritte  una  leggevasi  chiara,  e  recava  il  nome  :  Gieppo  Antonjo  (sic).  Ebbi  già 
occasione  di  dire,  quanto  ci  sia  stato  dannoso  l'essere  stati  preceduti  ;  depredati  gli 
oggetti  mobili  e  maltrattati  i  muri,  sì  che  le  indicazioni  dell'uso  degli  ambienti 
vennero  quasi  del  tutto  a  mancare,  e  gli  edifici  stessi  vollero  non  poche  cure  per 
non  cadere,  man  mano  che  noi  andavamo  liberandoli  dalle  terre. 

Anche  in  quest'  ultimo  periodo  di  tempo  l' isola  fu  più  volte  toccata.  I  primi 
scavi  furono  fatti  lungo  il  lato  meridionale,  ossia  sulla  fronte  che  guarda  il  decumano 
nei  mesi  di  aprile  e  maggio  1912.  Proseguendosi  allora  l'esplorazione  del  decumano 
dal  teatro  al  tempio  di  Vulcano,  furono  sgombrate  le  porte  degli  ambienti  che  si 
aprivano  su  quella  via  (cfr.  Notizie,  1913,  pp.  229  e  447  ;  1914,  pag.  69). 

Nei  mesi  di  gennaio  e  febbraio  1914  e  gennaio-maggio  1915  si  liberò  invece 
dalle  terre  la  strada  che  limita  l'isola  verso  nord,  strada  cui  fu  poi  dato  il  nome 
convenzionale  di  Via  della  Casa  di  Diana  (cfr.  Notizie,  1914,  pag.  244),  e  similmente 
si  riconobbero  le  porte  che  si  aprivano  su  questa  via,  e  in  taluna  di  esse  si  penetrò 
in  parte. 

I  lavori  di  quest'anno  hanno  quasi  completato  la  liberazione  dell' isola,  che.  solo 
rimane  per  un  tratto  attraversata  da  un  aggere  di  terra  a  doppia  scarpata  necessario 


OSTIA  ; —   400   —  REGIONE   I. 

per  lo  scarico  delle  terre  di  risulta.  E  siccome  tale  aggere  non  potrà  per  ora  essere 
rimosso,  penso  essere  opportuno  non  ritardare  più  oltre  la  descrizione  degli  edifici 
posti  in  luce,  e  l'esposizione  delle  poche  osservazioni  che  essi  ci  consentirono,  assai 
dolendomi,  che  poco  il  lettore  potrà  trovare  a  paragone  del  molto  che  probabilmente 
questi  edifici  ebbero  in  antico  di  significato  e  d' importanza. 

L' isola,  di  cui  parliamo,  ha  forma  di  un  rettangolo  con  i  due  lati  maggiori  1"  uno 
a  sud  lungo  il  Decumano,  e  l'altro  a  nord  lungo  la  Via  della  Casa  di  Diana.  I  due 
lati  corti  fronteggiavano,  quello  di  levante  una  piazza  e  una  via,  che  dal  monumento 
più  cospicuo  che  l'adorna  (')  chiameremo  Piazza  e  Via  dell'Ara  dei  Lari,  quello  di 
ponente  l'area  sacra  del  tempio  di  Vulcano,  o  meglio  la  platea  e  il  monumento  che 
precedettero  la  costruzione  di  quel  tempio  e  la  corrispondente  sistemazione  dell'area 
circostante. 

Ora,  poiché  tale  platea  anteriore  al  monumento  dovette  essere  assai  notevolmente 
decorata  (2)  devesi  pensare,  che  analoga  ricchezza  di  decorazione  avesse  il  lato  occi- 
dentale della  nostra  isola.  Senonchè  nulla  resta  di  essa,  perchè  tutta  andò  distrutta 
nel  nuovo  adattamento  del  lato  orientale  dell'area  sacra  del  tempio  di  Vulcano. 

Le  costruzioni,  che  noi  vediamo  in  quest'  isola,  non  furono  fatte  in  una  sola 
volta,  ma  a  distanza  di  tempo  l'ima  dall'altra,  ed  appartennero  a  più  edifìci  che 
ebbero  diversi  proprietari  e  diversi  usi.  Essi  hanno  però  due  tratti  comuni  :  il  primo 
che  i  loro  muri  cioè  poggiano  non  di  rado  su  muri  a  grossi  blocchi  parallelepipedi 
di  tufo  appartenenti  a  costruzioni  più  antiche,  le  quali  ci  mostrano  una  città  ad  un 
livello  più  basso  di  oltre  un  metro  in  media  (3),  ma  orientata,  almeno  in  questa 
regione,  in  modo  affatto  identico  a  quello  della  città  più  alta(4);  il  secondo  tratto 
comune  è  che  il  complesso  delle  costruzioni  dell'  isola,  quale  a  noi  si  presenta,  va 
col  secondo  rialzamento  del  Decumano  (5)  circostanza  di  cui  devesi  tener  conto  per 
la  datazione  di  detto  complesso. 

Le  principali  costruzioni  che  si  vedono  in  quest'  isola  sono  sei,  che  l'accuratezza 
del  rilievo  eseguito  dall'ispettore  cav.  Stefani  permette  di  distinguere  nella  pianta 
che  qui  si  aggiunge. 

(')  Cfr.  Calza,  in  Notizie,  1916,  pag.  145. 

(2)  Vedesi  ora,  e  forse  meglio  si  vedrà  in  avvenire,  che  prima  della  costruzione  del  tempio,  quale 
noi  ora  vediamo,  l'area  che  esso  occupò  era  limitata  da  un  ampio  e  nobilissimo  porticato  ad  archi 
sostenuti  da  grandi  pilastri,  il  cui  asse  non  infila  con  quello  del  tempio.  Non  è  qui  il  luogo  di 
dilungarsi  a  parlare  di  questo  antico  monumento  di  cui  per  ora  meglio  che  altri  tratta  il  Carcopino 
(Mélanges  de  VÉcole  Francaise,  1910,  pag.  412  seg.).  Il  progresso  delle  esplorazioni  e  un  accurato 
rilievo  potranno,  spero,  chiarir  meglio  che  ora  non  possa  apparire,  questo  sontuoso  aspetto  della 
Ostia  imperiale  anteriore  alle  ultime  modificazioni. 

(*)  Nella  taberna  28  il  pavimento  della  costruzione  a  grandi  blocchi  di  tufo  scende  am.  1,27 
sotto  il  pavimento  della  taberna  stessa. 

(*)  Delle  vestigia  di  questa  città  sono  forse  le  più  cospicue  le  due  porte  intorno  alle  quali 
riferirono  il  Vaglieri,  in  Notizie,  1910,  pp.  30  e  134;  il  Calza,  ibidem,  1914,  pag.  126.  Cfr.  inoltre 
Vaglieri,  Monumenti  repubblicani  di  Ostia,  in  Bull.  Com.,  1911,  pag.  225;  Paribeni,  in  Mon.  dei 
Lincei,  XXIII,  pag.  441. 

(5)  Su  tali  rialzamenti  del  Decumano  cfr.  Notizie,  1910,  pag.  233;  1912,  pag.  24 j  1915,  pag.  27. 


REGIONE   I.  —   401   —  OSTIA 


Prima  costruzione. 

La  costruzione  che  mostra  di  aver  preceduto  tutte  le  altre  è  quella  che  occupa 
il  lato  occidentale  dell'isola  e  un  piccolo  tratto  del  lato  settentrionale;  è  in  pianta 
segnata  con  tratto  nero  pieno. 

Dei  suoi  muri  esterni  non  restano  che  i  hrevi  tratti  sul  lato  settentrionale  che 
appaiono  in  buona  cortina  a  mattoni,  mentre  i  muri  interni  sono  anche  qui,  come 
in  tante  altre  costruzioni  ostiensi,  in  opera  reticolata  con  ricorsi  e  legamenti  agli 
angoli  in  cortina  a  mattoni.  Sulla  così  detta  Via  della  Gasa  di  Diana  si  apriva 
anzi  tutto  l'androne  1,  coperto  di  volta  a  botte,  lungo  m  8,60,  largo  m.  2,98,  alto 
m.  5,05. 

Si  aprono  in  esso  due  porte,  non  poste  una  di  fronte  all'altra  per  evitare  forse 
clie  i  proprietari  o  gli  affittuari  dei  locali  ai  quali  essi  conducevano,  potessero  vedersi 
l'altro.  La  porta  della  parete  occidentale,  larga  m.  1,17,  alta  m.  2,24,  conduceva 
l'un  nella  taberna  n.  8;  l'altra  più  ampia,  ma  che  fu  poi  rimpiccolita  con  l'eleva- 
zione di  una  spalletta  di  muro,  immetteva  in  un  locale  che  la  adiacente  costruzione 
posteriore  (segnata  con  i  numeri  31-37)  distrusse. 

Dall'androne  si  passava  in  un  cortile  scoperto  (n.  2)  di  forma  rettangolare,  il 
quale  secondo  ogni  probabilità  doveva  comunicare  verso  sud  con  un  altro  androne 
simile  a  quello  segnato,  col  n.  1,  che  sboccava  sul  Decumano,  e  che  le  posteriori 
costruzioni  dovettero  conservare  (in  pianta  n.  16). 

Come  si  vede,  erasi  reputato  utile  lasciare  un  passaggio  diretto  tra  il  Decumano 
e  la  Via  della  Casa  di  Diana,  passaggio  coperto  nelle  sue  estremità,  scoperto  a  foggia 
di  cortile  nel  mezzo.  In  questo  cortile  si  aprivano  le  porte  di  una  serie  di  taberne 
delle  quali  possiamo  ancora  vedere  sul  lato  occidentale  una  con  tre  porte  (n.  3),  una 
seconda  stretta  e  piccola  a  una  sola  porta  (n.  4)  e  una  terza  (n.  5)  che,  per  il  pas- 
saggio dei  binari,  si  è  dovuta  lasciare  ancora  ingombra  di  terre.  Nel  lato  opposto,  ad 
oriente  cioè  del  cortile  n.  2,  non  restano  dell'antica  costruzione  che  i  pilastri  che  divide- 
vano le  porte,  e  ebe  si  contrappongono  a  quelli  delle  porte  del  lato  occidentale,  e 
solo  in  parte  conservati  due  muri  della  taberna  n.  6,  e  qualche  traccia  in  quella 
n.  7.  I  locali  erano  certo  taberne,  come  lasciano  pensare,  oltre  alla  forma  e  alle  dimen- 
sioni degli  ambienti,  le  soglie  di  travertino  col  canaletto  per  far  scorrere  i  pezzi  che 
componevano  la  chiusura  (').  Se  pertanto  nel  cortile  n.  2  si  aprivano  delle  taberne,  il 
passaggio  nn.  1-2  doveva  essere  pubblico,  e  per  questa  pubblica  servitù  già  riconosciuta 
dovette  rispettarlo  chi  costruì  poi  l'edificio  sul  Decumano,  lasciando  ancb'egli  pub- 
blico il  sottopassaggio. 

Tranne  i  pilastri  sul  cortile  n.  2  che  sono  tutti  in  mattoni,  gli  altri  muri  delle 
taberne  sono,  come  muri  interni,  in  reticolato  con  legamenti  in  mattoni,  e  così  pure 
sono  i  muri  S  e  W  della  grande  taberna  n.  8  che  ha  due  ingressi  sulla  via  e  uno  dal 


(')  Cfr.  su  questa  ben  nota  forma  di  chiusura  Paschetto,  Ostia,  pag.  318. 


OSTIA  —   402   —  REGIONE   I. 


sottopassaggio  n.  1,  e  che  un  tardo  murello  eretto  in  due  tempi  divise  in  due  locali  nn.  8 
e  Sa.  Dei  pavimenti  rimangono  alcuni  tratti  in  opus  spicatum.  Al  lungo  muro  in  reti- 
colato che  limita  verso  W  le  taberne  nn.  3  e  8  si  vede  chiarissimamente  essere  stato 
poi  addossato  il  muro  di  fondo  delle  taberne  che  fiancheggiano  il  portico  dell'area 
sacra  di  Vulcano.  Non  è  pertanto  possibile  dubitare,  che  questa  da  noi  chiamata  prima 
costruzione  è  più  antica  della  sistemazione  (Commodiana?)  del  tempio  di  Vulcano  e 
dell'area  sacra  che  lo  circonda.  Distrutta  verso  ponente  dalle  costruzioni  che  accom- 
pagnarono il  tempio  di  Vulcano,  la  nostra  prima  costruzione  lo  fu  pure  verso  levante, 
dove  certo  si  estendeva  maggiormente,  e  dove  ne  resta  una  testimonianza  nel  muro  a 
tra  le  camere  nn.  32  e  43,  che  foggia  di  costruzione  e  livello  le  ascrivono  in 
modo  indubitabile. 

Quel  muro  in  opera  reticolata  con  legamenti  in  mattoni  è  da  ritenersi  interno, 
sicché  l'edificio  si  estendeva  ancora  verso  levante  con  parti  che  le  successive  costru- 
zioni, nn.  41,  44  ecc.,  soppressero  completamente.  Non  è  improbabile,  che  il  muro  di 
chiusura  verso  levante  si  allineasse  con  quello  che  fu  muro  di  chiusura  nelle  sale 
nn.  10  a,  12,  13  dell'edifizio  posteriore. 

L'ambiente  che  ha  per  parete  di  fondo  verso  levante  il  muro  a  era  probabil- 
mente, come  poi  rimase,  un  ambiente  scoperto  ;  non  si  comprenderebbe  infatti,  donde 
avrebbe  potuto  prendere  luce,  se  fosse  stato  coperto.  Senonchè  appartiene  anche  alla 
prima  costruzione  lo  stranissimo  ambiente  n.  9,  il  quale  potrebbe  forse  farci  mutare 
di  opinione. 

È  desso  un  camerino  sotterraneo  che  scendeva  a  m.  1,70  sotto  il  livello  del 
cortile  per  una  scala  a  due  rampe,  la  prima  originariamente  di  cinque  gradini,  l'altra 
di  due.  Il  camerino  è  a  pianta  rettangolare  di  m.  1,16  X  1,63,  alto  m.  1,70,  coperto 
da  volta  con  ampio  foro  imbutiforme  nel  mezzo.  Intorno  a  questo  foro  erano  attaccate 
internamente  alla  volta,  ad  uso  di  decorazione,  delle  ciotolette  di  terracotta  aretine 
a  vernice  rossa,  di  cui  rimangono  al  posto  avanzi  di  quattro  (').  Nella  parete  di 
fondo  è  cavata  una  nicchietta  alta  dal  pavimento  m.  1,00  e  misurante  m.  0,70  X 
0,58  X  0,295,  con  piano  costituito  da  pezzi  di  tegoloni,  gli  uni  sporgenti  sugli 
altri  sì  da  formare  cornice,  sostenuti  da  due  mensolette  di  travertino.  Le  pareti  e 
la  nicchia  non  hanno  alcuna  decorazione;  il  pavimento  appare  rotto  e  mancante, 
assai  probabilmente  perchè  l'aspetto  singolare  di  questo  luogo  eccitò  la  curiosità 
e  le  speranze  dei  cercatori  di  tesori,  i  quali  spinsero  le  loro  ricerche  più  forse  di 
quanto  noi  potemmo,  per  essere  il  luogo,  a  cominciare  da  una  certa  profondità,  invaso 
dall'acqua. 

Il  materiale  che  si  rinvenne  sotto  il  livello  del  pavimento  ha  il  consueto  carat- 
tere di  uno  scarico,  senza  alcun  indizio  che  possa  suggerire  un'  ipotesi.  La  piccolezza 
delle  dimensioni  e  specialmente  la  scarsa  altezza  rendono  questo  luogo  inetto  a  qua- 
lunque uso  della  vita  ;  e  d'altra  parte  la  presenza  della  nicchietta  designa  senza  pos- 


(')  Un  altro  esempio  di  questa  decorazione  con  bacinelle  fittili  ricorda  il  Vaglieri  in  un  pezzo 
di  cornicione  caduto  dalla  casa  dei  Molini  (Notizie,  1908,  pag.  330).  La  decorazione  dei  campanili 
romanici  trova  forse  in  quest'oso  nn  precedente? 


REGIONE   I.  —  403   —  OSTIA 

sibilità  di  dubbio  una  natura  religiosa  del  luogo.  Non  solo,  ma  il  livello  sotterraneo, 
la  semioscurità  non  fanno  pensare  a  un  larario  o  ad  altro  santuario  domestico  sacro 
a  divinità  del  mondo  classico.  Sembra  doversi  supporre  essere  quel  luogo  consecrato 
a  una  qualche  religione  orientale  i  cui  riti  si  svolgessero  nel  mistero.  Ed  è  allora 
assai  degno  di  nota,  che  i  successivi  proprietari  del  luogo,  quegli  in  ispecie  che  su 
parte  della  costruzione  prima  edificò  quella  che  noi  chiameremo  quarta,  rispettarono 
questo  apparato,  non  solo,  ma  il  proprietario  della  costruzione  quarta  aggiunse  due 
gradini  a  rendere  più  agevole  la  discesa  dal  piano  del  cortile  n.  32  rialzato,  e  coprì 
la  scala  con  una  volticella.  Se  non  dunque  seguace  anch'egli  di  quella  religione,  per 
lo  meno  dovette  essere  di  essa  conoscitore  e  per  intimo  senso  di  stima  o  per  super- 
stizioso timore  inclinato  a  rispettarla.  Se  pertanto  fu  quel  luogo  sin  dall'origine  de- 
stinato alla  pratica  di  un  culto  che  svolgevasi  nelle  tenebre,  potrebbe  anche  darsi, 
che  fosse  buio  e  perciò  coperto  anche  il  locale  che  lo  precedeva,  al  quale  si  riferiva 
il  muro  a,  locale  che  poteva  accogliere  i  devoti,  pei  quali  non  v'era  assolutamente 
posto  nel  camerino  sotterraneo  ('). 

Ben  si  desidererebbe  ora  poter  dire  a  quale  culto  fosse  quel  piccolo  sacrario 
dedicato;  ma  l'assenza  di  ogni  più  minuto  trovamento,  di  qualunque  lontano  indizio 
rende  incerta  e  infondata  qualsiasi  congettura.  Penserei  di  dover  escludere  dal  noverov 
delle  probabili  ipotesi  Mitra  e  i  suoi  misteri,  mancando  in  questo  angusto  camerino 
anche  lo  spazio  per  tutti  quegli  accessori  che  sembrano  richiesti  dai  riti  di  quella 
religione.  Né  il  fatto  della  volta  forata  mi  pare  debba  indurci  a  pensare  a  quella 
specie  di  battesimo  di  sangue  che  col  nome  di  criobolio  o  tamobolio  piaticavasi  nel 
culto  della  Maler  Deum.  Quell'ampia  apertura  è  certo  destinata  ad  accogliere  luce, 
e  non  ad  altro  scopo,  così  come  allo  stesso  fine  di  condurre  luce  nello  stanzino  sot- 
terraneo è  stata  dai  più  tardi  raffaz/.onatori  praticata  una  finestra  con  ampia  strom- 
batura nella  parete  che  sostiene  la  volticella  di  copertura  della  scala. 

Dei  piani  superiori  non  abbiamo  che  scarsi  avanzi.  Sopra  l'androne  n.  1  esiste  il 
pavimento  in  mosaico  di  due  salette,  divise  da  un  muro  piantato  in  falso  sulla  volta 
dell'androne  stesso.  Il  pavimento  della  saletta  che  affacciava  sulla  via  è  a  disegno 
geometrico,  quale  vedesi  nella  fig.  1  eseguito  con  piccole  tessere  bianche  e  nere  e 
con  molta  accuratezza.  In  basso  è  un  grossolano  restauro.  L'altro  pavimento  è  a 
tessere  grosse  bianche,  e  copre  un  pavimento  anteriore  ad  opera  spicata.  In  questa 
saletta  è  anche  il  fondo  di  una  vaschetta  intonacata  di  coccio  pesto. 

Non  vi  è  traccia  della  scala  originaria  che  portava  ai  piani  superiori  ;  è  chiaro 
però  che  essa  non  poteva  mancare,  e  vedremo  difatti  appresso,  parlando  della  quarta 
costruzione,  dove  probabilmente  essa  era.  e  come  fu  ricostruita. 

Sotto  i  pilastri  che  fronteggiano  la  Via  della  Casa  di  Diana  furono  rinvenuti 
quattro  grandi  mensoloni  di  travertino  del  tipo  e  della  grandezza  di  quelli  di  una 
casa  con  balcone  in  Via  della  Fortuna,  sicché  forma,  luogo  di  rinvenimento  e  numero 

(')  Ricordo,  che  anche  nella  Casa  di  Diana  la  stanza  dove  si  collocò  il  raitreo  fu  creata  senza 
finestre,  e  che  scarsa  luce  doveva  avere  anche  quella  che  la  precedeva,  e  in  cui  si  svolgeva  una 
parte  delle  sacre  cerimonie  (cfr.  Calza,  in  Notizie,  1915,  pag.  327). 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  53 


OSTIA 


—  404  — 


RE3I0NK    1. 


dei  pezzi  fanno  credere,  che  essi  dovessero  essere  inseriti  nel  muro  esterno  a  sostenere 
un  grande  ballatoio,  cosi  come  fu  fatto  più  tardi  per  la  quarta  costruzione.  11  balla- 
toio di  questa  prima  costruzione  doveva  sorgere  però  più  in  alto  di  quello  conservato 
della  quarta. 


1 


2 

_j  m. 


L^nru^JTJ^UTJuin_rLrLajTJ 


Fio.  1. 


Riassumendo,  quel  che  possiamo  dire  di  questa  prima  costruzione  si  è  che  essa 
fu  in  orìgine  ampia  assai  più  che  ora  non  apparisca,  e  che  forse  essa  occupò  per  intero 
l' isola,  avendo  a  suoi  limiti  le  due  vie  (del  Decumano  e  della  Casa  di  Diana)  e  le 
due  piazze,  quella  poi  ridotta  ad  area  sacra  del  tempio  di  Vulcano,  e  l'altra,  in  origine 
più  ampia  che  ora  non  sia,  in  mezzo  alla  quale  sorgeva  l'ara  dei  Lari.  E  come  ampia 


REGIONE    I. 


—   405   — 


OSTIA 


e  grandiosa,  così  spaziosa  nei  singoli  ambienti,  fervida  di  vita  e  di  movimento,  come 
piovano  le  taberne  ammesse  fin  nel  cortile  e  la  via  pubblica  portata  entro  casa  con 
sottopassaggi  ('). 

Ma  la  vita  tumultuosa  dell'emporio  di  Roma,  creando  sempre  nuovi  bisogni, 
dando  origine  a  movimenti  rapidi  di  capitali,  non  consente  che  le  costruzioni  durino 
a  lungo  immutate. 


Fig.  2. 


Seconda  costruzione.  La  Basilica. 

Lungo  il  Decumano  si  stabilisce  un  nuovo  edificio  che  sopprime  in  parte  e  mo- 
difica la  prima  costruzione.  Esso  è  segnato  nella  nostra  pianta  con  reticolato  fitto, 
ed  è  interamente  costruito  in  mattoni,  salvo  il  muro  absidato  della  sala  n.  10  che 
è  in  reticolato  con  legamenti  in  laterizio.  Una  grandissima  porta  (fig.  2),  la  più  larga 
forse  di  quante  se  ne  siano  finora  trovate  in  Ostia  (m.  6,35)  conduce  dal  Decumano 
in  quella  che  dovette  essere  la  sala  principale  della  costruzione  (n.  10). 

Gli  stipiti  di  quella  porta  poggiano  su  dadi  di  travertino,  e  sono  costruiti  con 
mattoni  accuratamente  arrotati,  con  sottilissimi  strati  di  calce  interposta,  e  vi  aggiun- 
gono decoro  due  pilastrini  o  lesene  della  stessa  diligentissima  costruzione  con  le  cor- 
nici di  base  ritagliate  nel  mattone. 


(l)  Questo  cortile  con  botteghe  intorno  ricorda  la  distribuzione  dei  locali  di  commercio  nel 
khan  turco  o  nel  fonduk  arabo,  distribuzione  che  non  ha  un  carattere  etnografico  o  islamico,  ma 
che  è  richiesta  da  condizioni  di  clima,  e  deve  risalire  perciò  ad  età  remotissime.  Sicché  viene  quasi 
fatto  di  riconnettere  nel  nostro  edificio  questa  disposizione  di  locali  con  la  origine  orientale  del 
piccolo  sacrario  sotterraneo,  e  pensare  a  un  qualche  ricco  mercante  levantino  che  abbia  qui  in  Ostia 
esercitato  i  suoi  commerci,  costruendosi  un  emporio  secondo  tipi  adottati  nel  suo  paese. 


OSTIA  —   406   —  REGIONE   I. 

Questo  aspetto  così  decoroso  dato  alla  porta  principale  si  ripete  negli  altri  pilastri 
delle  porte  che  si  aprono  sul  Decumano,  tutti  della  stessa  accurata  costruzione  e  tutti 
poggiati  su  parallelepipedi  di  travertino.  La  sala  principale  n.  10,  presenta  di  fronte 
all'ingresso  sul  Decumano  una  parete  absidata,  ed  è  per  mezzo  di  due  pilastri  (lett.  b,  b) 
divisa  quasi  in  tre  navate,  se  non  che  quella  verso  occidente  (10  b)  angustissima  è 
un  corridoio  piuttosto  che  una  navata,  e  di  corridoio  ha  l'uso.  Il  resto  di  uno  di  quei 
pilastri  presenta  un  singolare  caso  di  torsione  dovuto  forse  a  forza  sismica  (').  Ma 
anche  sulla  fronte  settentrionale  che  dava  in  origine  su  una  pubblica  piazza,  aveva 
quell'aula  due  grandi  aperture  e  doveva,  come  vedremo,  nel  piano  primitivo  averne 
tre.  L'una  amplissima  di  m.  5,95,  quasi  come  quella  sul  Decumano  (lett.  e)  fu  poi 
per  maggior  sicurezza  dell'arco  sovrapposto  divisa  in  due  da  un  pilastro  (lett.  d),  l'altra 
più  piccola  lett.  e  (larga  m.  2,07)  era  più  vicina  all'angolo  del  Decumano  con  la 
piazza  dell'Ara  dei  Lari.  La  terza  (lett.  f)  si  apre  presentemente  dietro  l'abside,  ma  non 
fu  pensata  così.  Risulta  infatti  dall'esame  del  monumento,  che  il  piano  originario  di 
una  grandiosissima  aula  a  tre  navate  e  a  sei  grandi  porte  fu  dovuto  ridurre  durante 
i  lavori  stessi  di  costruzione,  rinunciando  alle  dimensioni  già  progettate  e  alle  quali 
convenivano  le  larghissime  porte.  Infatti  l'attuale  parete  di  fondo  con  l'abside  è  sol- 
tanto giustapposta  al  pilastro  di  sinistra  (lett.  g).  il  quale  era  stato  costruito  libero, 
pensandosi  a  un'aula  con  almeno  quattro  pilastri  se  non  sei,  e  assai  più  lunga  del- 
l'attuale. E,  come  nel  senso  della  lunghezza,  qualche  riduzione  dovette  farsi  in  quello 
della  larghezza,  restringendosi  a  semplice  corridoio  la  navata  di  sinistra.  Tale  navata, 
qualora  fosse  stata  costruita,  avrebbe  invaso  l'ambiente  n.  7  della  prima  costruzione, 
che  fu  invece  poi  conservato.  Ma  che  ad  espropriarlo  si  fosse  già  provveduto,  lo 
mostra  il  fatto  che  dalla  taberua  n.  15  della  seconda  costruzione  una  porta  conduce 
all'ambiente  n.  7. 

L'aula  così  rimpiccolita  e  sformata  ha  presentemente  un  pavimento  di  mosaico 
bianco  con  fasce  nere  tntt'  intorno  al  muro  e  intorno  ai  pilastri.  Nel  mezzo  è  una 
vaschetta  rettangolare  rasa  ora  al  suolo,  anche  essa  col  pavimento  in  mosaico  bianco, 
con  tubo  di  carico  e  tubo  di  scarico  nell'angolo  sud-est. 

Ma  la  vaschetta  è  una  tarda  aggiunta  al  pari  di  altri  miserabili  murelli  che  in 
più  luoghi  restringono,  chiudono,  rimpiccoliscono  gli  ingressi  e  gli  ambienti. 

Un'aula  di  così  nobile  aspetto,  almeno  nella  concezione  originaria  e  così  larga- 
mente aperta  sulle  pubbliche  vie,  non  poteva  essere  destinata  che  a  pubblico  edificio. 
Una  bottega  anche  di  straordinaria  frequenza  non  aveva  bisogno  di  pilastri  e  di  absidi; 
un  edificio  privato  o  un  luogo  sacro  non  avrebbero  avute  tante  e  così  spaziose 
aperture. 

Quale  degli  edifici  pubblici  che  possiamo  attenderci  in  una  antica  città  potrebbe 
meglio  convenire  all'aspetto  e  al  piano  di  queste  rovine?  Considerando  le  enormi 
aperture,  occorrerà  escludere  tutti  quegli  edifici,  dove  si  provvedeva  alla  amministra- 
zione, dove  si  tenevano  delle  adunanze  con  funzioni  consultive  e  deliberative,  dove 
insomma  si  disimpegnavano  dei  lavori  che  esigessero  tranquillità  e  riserbatezza.  Né.  mi 

(')  Unii  torsione  simile  si  lia  in  un  pilastro  del  piccolo  mercato. 


REGIONE   I.  —    407    —  OSTIA 

pare  possa  pensarsi  ad  un  macellum,  troppo  piccolo,  anche  se  fosse  stato  eseguito  il 
primitivo  piano  di  costruzione. 

A  me  pare  non  resti  altro  nome  da  proporre  che  quello  di  basilica,  come  luogo 
largamente  anzi  totalmente  aperto  al  pubblico  e  dedicato  sopra  tutto  al  comodo  di 
potersi  incontiare.  Non  dirò  già  d'aver  trovato  la  basilica  dell'antica  Ostia,  ma  una 
delle  basiliche  che  questa  città,  dato  il  suo  carattere  di  centro  di  affari,  poteva  avere 
numerose  (l). 

Anzi  la  basilica  principale  della  città  non  sarà  certo  questa,  piccola  e  costruita 
in  età  abbastanza  recente,  ma  dovremo  attendercene  un'altra  maggiore,  più  nobilmente 


..--"' I..J 


*       I 


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Fio.  3. 

ornata,  di  origine  più  antica,  e  meglio  rispondente  al  tipo  consuetudinario  di  questo 
genere  di  edifici. 

La  nostra  sarà  stata  creata  così  da  un  momento  all'altro,  sotto  la  spinta  di  chi 
sa  quali  pressioni  o  quali  ambizioni,  per  ragioni  di  comodo,  per  avere  un  luogo  di 
riunione  coperto  in  posizione  centralissima  sul  Decumano  e  presso  al  tempio  di  Vul- 
cano e  a  quello  che  fu  probabilmente  il  Poro. 

Per  tutte  queste  ragioni,  tenuto  fermo  il  punto  essenziale  di  avere  un'ampia 
aula  absidata,  facilmente  accessibile,  si  passò  sopra  alle  altre  condizioni,  al  rispetto 
pel  tipo  tradizionale,  per  le  proporzioni  tradizionali  della  basilica  ecc.  Le  taberne 
che  non  poterono  stabilirsi  intorno  all'aula  centrale  si  distesero  lungo  il  Decumano. 

(')  Il  Curiosimi  e  la  Notitia  attribuiscono  a  Roma  Basilicae  decerti  ;  i  testi  e  le  iscrizioni 
conservano  viceversa  i  nomi  di  ben  venticinque  basiliche,  forse  non  coesistite  tutte  contemporanea- 
mente (Hfllsen,  Nomenclator  topographicus,  pag.  60). 


OSTIA  —  408   —  REGIONE   t. 

Forse  qualora  fosse  stato  eseguito  il  piano  originario,  che  solo  qualche  indizio 
ci  permette  di  indovinare,  e  che  a  titolo  di  saggio  ho  fatto  tracciare  nella  figura  che 
qui  si  aggiunge  (tìg.  3),  avremmo  trovato  non  solo  seguite  in  essa  le  regole  vitru- 
viane  della  proporzione  ('),  ma  avremmo  avuto  nel  piano  progettato  un  aspetto  iden- 
tico a  quello  della  basilica  di  Massenzio  a  Roma,  come  appunto  vedesi  dalla  nostra 
figura. 

Questa  povera  basilica  Ostiense  nacque  però  sotto  cattiva  stella.  Come  abbiamo 
detto,  la  si  stava  costruendo,  e  già  si  mutava  progetto.  Non  deve  questo  far  mera- 
viglia in  un'antica  città  e  in  lavori  eseguiti  a  conto  dell'amministrazione  comunale. 
Scaduti  i  magistrati  che  avevano  ideato  e  promosso  il  lavoro,  gli  eletti  dopo  di  loro 
trovarono  l'edifizio  troppo  grande,  inutile,  troppo  costoso,  e  riuscirono  a  farlo  ridurre 
in  larghezza  e  in  lunghezza  ('). 

La  navata  di  sinistra  avrebbe  reso  necessario  abbattere  le  mura  del  locale  n.  7 
della  prima  costruzione;  ci  si  rinunciò,  e  ci  si  contentò  di  aver  un  corridoio,  che 
venne  ad  immettere  in  un  cortile  scoperto  (n.  11)  già  appartenuto  alla  prima  costru- 
zione e  dove  avrebbe  dovuto,  secondo  il  progetto  originario,  estendersi  l'aula  basilicale. 

Quel  cortile  per  due  porte  che  si  aprono  verso  levante,  comunica  con  i  locali 
nn.  12  e  13,  i  quali  tutti  e  due  avevano  il  loro  ingresso  sulla  piazza  dell'Ara  dei 
Lari,  chiuso  poi  dai  muri  della  terza  costruzione. 

Nel  cortile  11  aveva  origine  una  scala  che  con  un  solo  rampante  conduceva  ai 
piani  superiori.  Ne  restano  undici  gradini  costruiti  in  mattoni  e  con  ciglio  in  legno, 
i  primi  quattro  dei  quali  sono  ricoperti  da  un  tardo  rialzamento.  I  gradini  hanno 
un'alzata  di  m.  0,24  e  si  può  calcolare  ne  manchino  ancora  quattro  per  raggiungere 
l'altezza  del  primo  piano,  la  quale  ci  è  indicata  dalla  cornice  in  laterizio  sottostante 
al  soffitto,  conservata  nel  muro  occidentale  del  vano  n.  14,  e  dall'  imposta  della 
volta  sul  muro  orientale  dell'ambiente  n.  12.  Questa  modesta  altezza  di  soffitti 
eia  però  riservata  agli  ambienti  secondari  della  costruzione  seconda,  l'aula  absidata 
n  10  era  più  alta,  come  prova  lo  sviluppo  dell'arco  sopra  la  grande  porta  orientale 
dell'aula,  arco  di  cui  sono  conservati  gli  inizi.  Nell'arco  che  regge  la  scala,  di  cui  si 
è  detto,'  era  in  opera  un  tegolone  col  bollo  G.  I.  L.  XV-525  b,  di  età  Adrianea. 

I!  sottoscala  n.  12  aveva  ancora  una  porta  che  si  apriva  verso  nord,  dove  per- 
tanto sembrerebbe  che  la  seconda  costruzione  avesse  dovuto  continuare.  Attualmente 
però  non  ne  restano  più  tracce. 

Lungo  il  Decumano  la  seconda  costruzione  allinea  una  serie  di  taberne  ampie 
o  tutte  tra  loro  comunicanti,  oltre  alle  porte  che  ognuna  ha  sulla  via.  Subito  ad 
ovest  del  corridoio  n.  10  b  si  ha  un  locale  rettangolare  n.  14,  la  cui  parete  orientale 
in  parte  rifatta,  serrando  un  muro  della  prima  costruzione,  recava  due  grandi  archi 
di  scarico  insistenti  sul  pilastro  lett.  h.  Di  quegli  archi  furono  raccolte  in  terra  piccole 
parti  tutte  disgregate,  e  da  esse  vennero  dodici  tegoloni  che  tutti  portavano  lo  stesso 

(')  Vitruvio  prescrive  che  la  larghezza  dell'aula  basilicale  dev'essere  non  minore  di  un  terzo, 
non  maggiore  della  metà   della  lunghezza  (V,  1).  • 

(•)  Cfr.  sull'andamento  dei  lavori  pubblici  nelle  città  dell'impero  romano:  Mommsen,  Mar- 
quardt,  Manuel  des  Antiquités  Romaittet,  IV,  pag.  140  seg.  ;  Liebenam,  Stàdteverwaltung,  pag.  382. 


Regione  i. 


4Ò9  - 


ÒSTIA 


bollo  delle  figline  ALAMENT ?  datato  dai  consoli  L.  Publilio  Celso  e  C.  Clodio  Cri- 
spino dell'anno  113  (C.l.L.  XV,  2157).  Dodici  mattoni  che  portano  lo  stesso  bollo 
ci  danno  il  diritto  di  ritenere,  che  essi  provengano  dall'officina  stessa  e  non  da 
materiale  raccogliticcio  e  dà  costruzioni  distrutte;  perciò  si  può  loro  riconoscere  un 
valore  cronologico,  tanto  più  che  tale  bollo  non  figura  per  ora  che  nelle  costruzioni 
ostiensi. 


Fio.  4. 


La  taberna  aveva  pavimento  ad  opus  spicatum  e  nell'angolo  NE  una  vaschetta. 
Da  detta  taberna  potevasi  per  una  porta  passare  nell'altra  n.  15  che  ha  quattro  porte, 
una  delle  quali  si  apriva  sulla  sala  u.  7  già  pertinente  alla  prima  costruzione.  Delle  due 
porte  che  dalla  taberna  n.  15  danno  passaggio  all'androne  n.  lo,  la  più  settentrionale  è 
stata  più  tardi  slargata  contrariamente  a  quello  che  vediamo  abitualmente  praticato 
con  tutte  le  porte  e  le  finestre  ostiensi  che  subiscono  con  l'andare  del  tempo  continui 
rimpiccolimenti.  Il  n.  16  è  l'androne  che  attraverso,  il  cortile  n.  2  e  l'androne  n.  1, 
continua  a  dar  passaggio  tra  il  Decumano  e  la  Via  della  Casa  di  Diana.  In  età  tarda 
nel  suo  angolo  NW  fu  adattata  una  latrina.  Presso  il  tubo  di  scarico  della  latrina 
fu  raccolta  la  bella  e  grande  borchia  di  bronzo  riprodotta  a  figura  4.  È  tutta  mas- 
siccia, ed  ha  di  diametro  m.  0,132.  Doveva  ornare  una  porta  di  nobile  aspetto.  Si 
raccolsero  anche  tre  vasi  di  bronzo  in  pessimo  stato  di  conservazione  e  53  monete, 
piccoli  bronzi  del  principio  del  quarto  secolo  in  pessimo  stato  di  conservazione.  Da 


OSTIA  —  410   —  REGIONE   I. 


quel  corridoio  due  porte,  simmetriche  allo  due  della  precedente  taberna  n.  15,  immet- 
tono nella  taberna  n.  17.  la  quale  a  sua  volta  comunica  col  cortile  della  prima  costru- 
zione e  con  la  taberna  n.  18.  Termina  la  serie  delle  taberne  con  la  grande  sala  n.  19 
con  porta  più  delle  altre  ampia  sul  Decumano.  Devesi  solo  osservare,  che  essa  aveva 
verso  settentrione  una  porta  e  una  finestra,  le  quali  furono  poi  ostruite  dal  muro  peri- 
metrale dell'area  sacra  del  tempio  di  Vulcano.  L'aspetto  attuale  di  quest'area  sacra 
è  pertanto  posteriore  non  scio,  come  vedemmo,  alla  nostra  costruzione  prima,  ma 
anche  alla  seconda. 

Nulla  si  può  dire  di  questa  serie  di  taberne  trovate  tutte  miseramente  vuote  e 
prive  di  qualunque  indizio  d'uso;  solo  può  farsi  rilevare,  che  esse  dovettero  essere, 
al  pari  della  basilica,  costruite  col  pubblico  denaro,  e  che  la  loro  ampiezza  e  il  fatto 
d'essere  comunicanti,  sembra  richiedere  per  loro  un  uso  alquanto  più  elevato  di  quello 
del  piccolo  commercio  privato. 

Come  dicemmo,  la  nostra  piccola  basilica  non  ebbe  fortuna.  La  volta  dell'aula 
principale,  pure  ridotta  di  dimensioni,  non  sembrò  troppo  sicura,  e  tre  pilastri  si 
eressero  a  puntellarla  (lettere,  d,  d,  d).  Li  piantarono  senza  alcun  riguardo  alla  sim- 
metria, forse  solo  preoccupandosi  di  non  togliere  col  pilastro  mediano  la  vista  del- 
l'abside dal  Decumano.  Ma  questa  negligenza  lascia  già  vedere,  che  la  basilica  era 
trascurata,  riconosciuta  forse  inetta  allo  scopo,  o  superflua  per  l'esistenza  di  altre. 
E  poco  dopo  infatti  i  decurioni  di  Ostia  alienano  parte  della  piazza  dell'Ara  dei 
Lari,  concedono  che  un  privato  vi  fabbrichi  su,  e  che  ostruisca  tutti  meno  uno  gli 
ingressi  della  basilica  da  quella  piazza.  Il  sogno  di  qualche  arricchito  mercante  di 
grano  che,  giunto  all'ufficio  di  duumvir  quinquennalis,  aveva  creduto  di  eternare  il 
suo  nome  con  la  costruzione  di  una  nuova  basilica,  crollava  così  miseramente,  tra 
volto  dalla  vita  turbinosa,  dal  bisogno  di  aree  fabbricabili  e  dall'alto  prezzo  di  esse 
nel  centro  della  città. 

Delle  ultime  vicende  della  basilica  poco  possiamo  dire,  per  quanto  non  siano 
esse  state  prive  d'interesse.  La  porta  della  navata  di  destra  n.  IO  a  fu  come  le  altre 
porte  del  Decumano  in  parte  chiusa  e  le  soglie  due  volte  rialzate  di  livello.  Tra  il 
primo  e  il  secondo  rialzamento  si  distese  in  quella  parte  dell'edifìcio  un  pavimento 
a  lastre  di  marmo.  Ne  fu  trovato  al  posto  un  tratto  avanti  la  porta  del  n.  10 a,  e 
di  esso  facevano  parte  le  due  iscrizioni  edite  in  Notizie  1916,  pp.  177  e  178. 

Più  importante  modificazione  avvenne  nel  cortile  n.  11.  La  scala  fu  rialzata 
ponendosi  una  soglia  di  travertino  sul  quarto  suo  gradino,  e  servì  ancora  in  età 
tarda.  Verso  nord  fu  tratto  poi  un  muro  absidato  costruito  in  file  alternate  di  paral- 
lelepipedi di  tufo  e  mattoni  e  con  fondazioni  che  si  elevano  a  circa  m.  1.10  sul 
piano  dell'antico  edifìcio. 

Questa  tarda  parete  absidata,  la  pavimentazione  in  lastre  di  marmo,  il  piccolo 
tardissimo  avancorpo  costruito  avanti  la  graude  porta  decumana  della  basilica,  avan- 
corpo che  sembra  richiamare  un  portale  con  due  colonnine  (l)  il  rinvenimento   non 

(')  L'avancorpo  presenta  come  plinto  per  sostenere  la  colonnina  una  lastra  di  marmo  con 
rilievo  stato  abraso  prima  di  porlo  in  opera.  Vi  si  può  però  intravedere    un    albero  sul  cui  tronco 


REGIONE   t.  —   411    —  OSTIA 

lungi  di  qui  di  una  colonnina  con  la  figura  a  rilievo  del  Pastor  Bonus  (')  fanno 
ritenere  probabile,  che  nella  basilica  e  nel  cortile  si  sia  impiantata  una  chiesetta 
cristiana,  o  due  tra  loro  comunicanti.  Disgraziatamente  nessuna  conferma  potè  otte- 
nersi dai  troyamenti  nulli  o  affatto  insignificanti. 

Terza  costruzione. 

Pochi  anni  dopo  la  costruzione  della  basilica  un  privato  ottenne  di  poter  edificare 
su  parte  della  Piazza  dell'Ara  dei  Lari,  appoggiandosi  alla  basilica,  e  chiudendone 
tutti  gli  ingressi  meno  uno.  La  terza  costruzione  è  in  pianta  segnata  con  tratto 
obliquo  a  destra,  e  comprende  i  locali  nn.  20-30. 

Allo  scopo  di  lasciare  libero  accesso  alla  porta  laterale  destra  della  navata  n.  10  a 
e  ad  un  tempo  conservare  l'allineamento  sul  Decumano  senza  brutte  riseghe,  il  nuovo 
costruttore  fu  obbligato  a  lasciare  sul  davanti  del  suo  edificio  un  portico  n.  20  di 
cui  appaiono  lievi  tracce. 

Molto  più  tardi  l'estremità  orientale  di  quel  portico  fu  occupata  da  una  grande 
fontana  semicircolare  (n.  21),  con  nicchie  semicircolari  e  rettangolari  alternate  (!). 
Nella  costruzione  della  fontana  fu  trovata  messa  in  opera  parte  di  una  iscrizione 
onoraria  a  un  Marco  Aurelio  pantomimo,  che  è  forse  il  celebratissimo  siriano  Apo- 
lausto  (3). 

La  terza  costruzione  si  compone  di  un  edificio  quasi  rettangolare  che  dalla 
Piazza  dell'Ara  dei  Lari  lascia  sboccare  sul  Decumano  solo  una  via  larga  m.  3,65, 
nascondendo  così  completamente  alla  vista  dei  passanti  sul  Decumano  l'Ara  già 
detta.  La  costruzione  ha  i  muri  esterni  a  cortina  di  mattone  di  mediocre  accura- 
tezza, gli  interni  di  opera  reticolata  con  legamenti  e  ricorsi  in  mattoni. 

Il  portico  fronteggiante  il  Decumano  sarà  stato  a  grandi  arcate  non  indegne  di 
figurare  accanto  a  quelle  della  basilica,  e  probabilmente  avrà  avuto  un  ingresso  sulla 
via  ad  oriente;  ora  invisibile  per  il  sopracostruito  ninfeo.  Del  pavimento  apparve 
un  tratto  in  diligente  opus  spicatum. 

Sul  portico  si  aprivano  cinque  porte,  la  mediana  più  piccola  per  un  corridoio 
(n.  24),  le  quattro  laterali  più  larghe  per  altrettante  taberne  (nn.  22,  23,  25,  26). 


ritagliato  è  foggiata  una  figuretta  di  Apollo  o  di  Diana  di  cui  si  vede  bene  il  braccio  proteso  con 
l'arco.  Dinanzi  era  una  rustica  ara  e  una  figura  virile  nuda  con  torso  di  prospetto  e  gambe  di  pro- 
filo, con  la  mano  destra  poggiata  sulla  coscia  destra  un  po'  sollevata.  All'estremità  destra  è  ancora 
un  albero. 

(')  Calza  in  Notizie  1916,  pag.  143  II  relatore  presentò  l' ipotesi  non  improbabile,  che  la 
colonnina  col  rilievo  dovesse  sorreggere  un  bacino  d'acqua  lustrale. 

(")  In  epoca  tarda  Ostia  si  arricchisce  di  molte  fontane.  Nel  tratto  del  Decumano  tra  il  teatro 
e  questo  luogo  di  cui  parliamo,  tratto  lungo  poco  più  di  cento  metri,  se  ne  incontrano  quattro, 
tutte  della  stessa  forma.  Dovrebbe  ammettersi,  che  nel  terzo  secolo,  età  alla  quale  sembrano  doversi 
attribuire  queste  fontane,  sia  stata  molta  accresciuta  la  dotazione  di  acqua  di  cui  Ostia  poteva 
disporre.  Di  questa  nostra  fontana  si  parla  già  in  Notizie,  1914,  pag.  70. 

(°)  Calza,  in  Notizie  1914,  pag.  70. 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  54 


OSTIA  —   412   —  REGIONE   I. 

Quella  più  a  levante  (n.  22)  molto  ampia  ha  un  pavimento  in  opus  signinum, 
ma  ha  i  muri  perimetrali  quasi  rasi.  Essa  è  la  sola  delle  quattro  taberne  del  sup- 
portico  che  possa  comunicare  con  gli  altri  ambienti  posti  a  nord  (nn.  28  e  29). 
Nell'angolo  NE  si  apriva  la  scala  ai  piani  superiori,  che  è  però  semplicemente  appog- 
giata, e  non  sembra  creata  insieme  con  la  parete  cui  aderisce.  Se  ne  conoscono  solo 
quattro  gradini. 

Nella  taberna  n.  23  è  una  base  quadrangolare  in  muratura  che  misura  m.  0,96 
X  0,89X0,72  e  doveva  essere  rivestita  di  marmo  o  di  stucco,  ed  è  conservata  sino 
allo  svolgersi  della  cornice.  Difficilmente  essa  rappresenta  un  ornamento  originario 
di  quella  sala,  perchè  insiste  su  un  pavimento  in  coccio  pesto  che  sembra  di 
tarda  età. 

Il  corridoio  n.  24  che  ebbe  in  età  posteriore  molteplici  chiusure,  si  apriva  late- 
ralmente sulle  due  taberne  e  sboccava  nel  cortile  n.  27. 

La  taberna.  n.  25  molto  ampia  e  lunga  arriva  dal  portico  sul  Decumano  sino 
alle  spalle  del  cortile,  sul  quale  non  sappiamo,  se  ebbe  apertura,  essendo  l'attuale 
muro  di  chiusura  di  più  tarda  costruzione.  E  pavimentata  a  poligoni  di  basalte  del 
tipo  in  uso  per  le  vie. 

L'altra  taberna  che  chiude  gli  ingressi  laterali  della  basilica  (n.  26)  è  lunga  e 
stretta,  non  aveva  comunicazione  con  la  parte  posteriore  dell'edifìcio,  e  fu  in  età  tarda 
in  vario  modo  sbarrata  da  murelli.  Anche  di  età  tarda  è  la  scaletta  presso  la  porta 
sotto  il  portico.  Invece  abbastanza  antico  sembra  essere  il  pozzo  con  pareti  ad  opera 
reticolata  che  si  trova  presso  l'angolo  NE  della  taberna,  e  che  forse  abbandonato, 
quando  si  diede  forma  regolare  alla  Piazza  dell'Ara  dei  Lari,  fu  poi  ritrovato  e  tor- 
nato ad  usare  dagli  abitanti  della  taberna.  E  appunto  per  essere  stato  riadoperato 
fu  dagli  antichi  purgato,  e  non  ha  offerto  alcun  dato  alle  nostre  ricerche. 

Ai  cinque  locali  affacciane  per  il  portico  sul  Decumano  corrispondono  quattro 
aperti  a  nord  verso  la  piazzetta  dell'Ara  dei  Lari.  L'uno  di  essi,  che  è  cortile  sco- 
perto (n.  27),  abbraccia  in  larghezza  la  taberna  n.  25  e  il  corridoio  n.  24. 

Devesi  notare  in  questa  terza  costruzione,  che  le  fondazioni  dei  muri  della  parte 
settentrionale  sono  alquanto  più  alte  di  quelle  dei  muri  della  parte  meridionale. 
Questo  avvenne,  perchè  la  piazzetta  dell'Ara  dei  Lari  si  trova  a  un  livello  alquanto 
più  alto  di  quello  del  Decumano.  L'architetto  di  questa  terza  costruzione  la  livellò 
tutta  col  piano  della  piazzetta  dei  Lari,  tranne  il  portico  sul  Decumano  che  è  al 
piano  stesso  del  Decumano  e  della  basilica  ('). 

Le  taberne  nn.  28  e  29  spaziose,  quasi  uguali  di  dimensioni,  intercomunicanti, 
e  ugualmente  lastricate  allo  stato  attuale  con  poligoni  di  basalte,  si  aprivano  tutte 
e  due  a  nord  sulla  piazzetta  dell'Ara  dei  Lari  con  larghe  porte,  più  tardi  rimpic- 
colite. 


(')  Altri  casi  di  dislivello  nelle  fondazioni  dello  stesso  edificio  si  hanno  sul  lato  nord  della 
caserma  dei  Vigili  e  nella  costruzione  che  si  trova  di  fronte  alla  facciata  orientale  della  stessa 
caserma;  si  vedono  colà  le  soglie  delle  taherne  a  differenti  livelli,  discendendo  leggermente  le  vie 
verso  il  fiume.  Nel  nostro  caso  la  discesa  si  avrebbe  nel  senso  opposto. 


REGIONE   I.  —   413 


OSTIA 


Quella  n.  29  aveva  anche  un  altro  ampio  ingresso  dalla  via  normale  al  Decu- 
mano. Tutte  queste  porte  esterne  hanno  soglie  di  travertino  con  canaletto  per  far 
scorrere  le  assi  di  chiusura. 

Nella  taberna  n.  28  si  ha  anche  una  vaschetta  e  una  latrina. 

Il  cortile  segnato  col  n.  27  non  ha  limiti  segnati  con  molta  precisione,  e  pare 
abbia  finito  per  costituire  una  specie  di  condominio  col  proprietario  della  quinta 
costruzione  (segnata  in  pianta  con  tratteggio  obliquo  a  sinistra:  ambienti  n.  38-45). 

È  lastricato  con  poligoni  basaltini,  e  reca  due  scale  l'una  e  l'altra  posteriori  alla 
costruzione,  e  l'una  specialmente  degli  ultimi  tempi  della  vita  di  Ostia.  Della  prima 
appoggiata  all'esterno  della  parete  occidentale  della  taberna  n.  28,  non  restano  che  due 
gradini  e  le  traccie  degli  altri  che  si  incassarono  nel  muro  e  raggiunsero  il  pianerot- 
tolo sopra  la  porta  di  comunicazione  tra  28  e  27  dove  è  conservata  anche  una  finestra. 

Dell'altra  piccola  sono  conservati  otto  gradini,  e  nel  sottoscala  una  vaschetta. 
Vi  è  anche  un  pozzo  che,  al  pari  di  quello  ricordato  nella  taberna  n.  26,  può  essere 
abbastanza  antico,  riadoperato  poi  in  tarda  età.  Col  cortile  comunicava  per  due  porte 
la  cameretta  n.  30,  che  potrebbe  essere  stata  abitazione  di  un  ostiario  o  stalla.  La 
porta  a  levante  fu  chiusa  dalla  scala  tardissima  e  da  una  vaschetta  che  vi  si  appog- 
giarono. 

QOARTA    COSTRUZIONE. 

La  quarta  costruzione  è  segnata  in  pianta  con  tratti  alternatamente  interi  e 
punteggiati,  e  comprende  gli  ambienti  nn.  31-37. 

Essa  è  tutta  in  cortina  a  mattoni,  e  nella  costruzione  furono  esaminati  un  bollo 
(estrema  parete  est)  C.  1.  L.  XV,  6350,  della  fine  del  primo  secolo,  tre  bolli  iden- 
tici col  nome  del  noto  servo  imperiale  Anteros  Severianus  (C.  I.  L.  XV,  811  b),  il 
quale  segnò  anche  dei  bolli  con  la  data  dei  consoli  Paetinus  et  Apronianus  (a  123, 
C.  I.  L.  XV,  810),  e  i  cui  laterizi  abbondano  nelle  murature  del  Pantheon.  Si  può 
pertanto  ritenere,  che  egli  operò  ai  tempi  di  Adriano. 

Nella  facciata  sulla  Via  della  Casa  di  Diana  essa  si  apriva  originariamente  con 
un  solo  ambiente  con  tre  porte  (nn.  31,  31  a,  31  b),  ampio  m.  11,95  X  7,50,  ambiente 
con  robusti  pilastri  che  sorreggevano  la  volta  di  cui  si  vedono  in  più  di  un  luogo 
le  tracce.  Era  essa  volta  divisa  in  tre  parti,  formava  cioè  triplice  crociera.  Si  vedono 
di  essa  volta  i  pieducci  sui  pilastri,  e  sull'angolo  NE  un  bel  tratto  conservato  che 
sostiene  ancora  parte  del  pavimento  del  primo  piano.  La  crociera  mediana  era  soste- 
nuta lateralmente  da  due  potenti  arconi  sotto  i  quali  si  alzarono  poi  i  muri  di  tra- 
mezzo che  più  tardi  divisero  in  tre  la  taberna.  Di  detti  archi  si  vedono  gli  inizi,  e 
del  più  orientale  si  trovarono  anche  più  copiosi  avanzi,  ma  in  uno  stato  di  conser- 
vazione del  tutto  disperata. 

A  sud  di  questo  ambiente  e  con  esso  comunicante  per  due  porte  è  il  cortile 
n.  32  che  già,  come  vedemmo,  doveva  aver  fatta  parte  della  prima  costruzione. 

Due  scale  (nn.  33  e  34),  un  sottoscala  (n.  35),  un  cortile  e  due  altre  grandi 
camere  già  appartenute  al  primo  edificio  (nn.  36  e  37)  completano  il  sistema  di  questa 
costruzione.  Recherà  meraviglia,  che  un  edifìcio  il  quale  non  ha  a  pianterreno  che  tre 


OSTIA  —   414   —  REGIONE   I. 

soli  stanzoni,  nn.  31,  36  e  37,  abbia  due  scale  per  raggiungere  i  piani  superiori,  una 
con  accesso  dalla  via,  l'altra  dal  noto  sottopassaggio  della  costruzione  prima  (nu.  1 
e  2).  Ma  l'esame  della  costruzione  può  offrire  l'indizio  per  una  probabile  ipotesi. 

La  scala  che  si  apre  sulla  Via  della  Casa  di  Diana  (n.  36)  è  semplicemente  appog- 
giata alla  sua  parete  laterale  destra,  ossia  al  muro  dell'androne  n.  1.  Ma  lo  spazio 
che  essa  scala  occupa  è  spazio  indubbiamente  sottratto  alla  prima  costruzione.  Infatti 
a  destra  della  porta  della  scala  n.  34  si  può  vedere  nello  stipite  che  fa  parte  della 
costruzione  prima,  un  battente.  Pertanto  quel  muro  della  costruzione  prima  non  era 
muro  di  facciata  esterna  o  di  appoggio  di  altro  muro  di  altro  proprietario,  ma  era 
stipite  di  una  porta  di  altro  locale  della  costruzione  prima  affacciante  anch'esso 
sulla  Via  della  Casa  di  Diana.  Anche  la  costruzione  quarta  adunque  soppresse  una 
parte  della  costruzione  prima.  Ora  siccome  in  nessun'altra  parte  della  costruzione  prima 
si  vede  una  scala,  e  siccome  viceversa  sopra  l'androne  n.  1  si  vedono  i  pavimenti  in 
mosaico  di  stanze  dei  piani  superiori  di  detta  prima  costruzione,  devesi  ammettere 
che  il  proprietario  della  costruzione  quarta  sopprimendo  una  parte  della  costruzione 
prima  nella  quale  era  probabilmente  la  scala  originaria,  si  obbligasse  a  sostituirla 
con  una  nuova  scala  che  è  quella  che  fortunatamente  assai  ben  conservata  permette 
di  raggiungere  anche  ora  le  due  stanze  sopra  l'androne  (n.  34). 

L'altra  scala,  che  si  apre  nel  sottopassaggio,  è  conservata  nei  primi  gradini; 
abbiamo  poi  tracce  degli  altri  e  del  pianerottolo  ove  terminava  il  primo  rampante. 

Dal  pianerottolo  partiva  un  corridoio  parallelo  al  rampante,  e  all'altro  capo  del 
corridoio  sopra  al  primo  rampante  ne  cominciava  un  secondo.  Un  esempio  assai  ben 
conservato  di  una  scala  così  costruita  si  vede'  nella  casa  di  fronte  a  questa  nostra 
sulla  Via  della  Casa  di  Diana. 

Quasi  certamente  la  quarta  costruzione  aveva  almeno  due  piani  sopra  il  piano 
terreno.  Del  primo  si  vede  un  avanzo  sopra  l'angolo  NE  della  taberna  n.  31a,  parte 
del  pavimento  a  mosaico  con  fondo  bianco  recinto  di  una  fascia  nera  e  della  parete 
con  zoccolo  rosso  e  riquadri  gialli. 

Un  altro  interessante  avanzo  dei  piani  superiori  si  ha  nel  ballatoio  abbastanza 
ben  conservato  che  adorna  quasi  per  intero  la  facciata  della  casa  sulla  via.  È  desso 
sostenuto  da  grossi  mensoloni  in  travertino,  sui  quali  girano  degli  archetti  ribassati 
in  mattoni  sostenenti  il  piano  del  ballatoio.  In  epoca  più  tarda  nutrendosi  qualche 
timore  per  la  solidità  dei  ballatoi,  i  mensoloni  di  travertino  furono  sostenuti  da  muri 
in  parallelepipedi  di  tufo  e  mattoni.  L'ultimo  di  essi  verso  levante,  cui  forse  si  era 
reputato  superfluo  dare  il  sostegno  in  muratura,  si  schiantò  per  il  peso,  e  travolse 
un  tratto  del  balcone.  Il  pavimento  del  ballatoio  è  a  grandi  tegoloni  bipedali  rive- 
stiti di  coccio  pesto,  il  parapetto  doveva  essere  in  muratura,  ma  non  ne  resta  traccia. 
La  cornice  è  formata  facendo  sporgere  l'uno  sull'altro  successivamente  i  tegoloni.  Si 
aprono  sul  ballatoio  una  porta  e  quattro  finestre.  Simile  a  questo  è  il  tipo  di  balconi 
della  Via  della  Fortuna,  e  quasi  certamente  quello  che  doveva  qui  essere  nella  nostra 
costruzione  prima  ('). 

(')  Di  questo  nostro  ballatoio  fu  già  detto,  e  se  ne  diede  una  figura  in  Notizie  1915,  pag.  325. 
Quelli  di  via  della  Fortuna,  in  Paschetto,  Ostia,  pag.  816, 


REGIONE    I. 


—  415 


OSTIA 


In  età  più  vicina  a  noi  la  costruzione  subì  delle  modificazioni  e  dei  rimpicco- 
limenti.  Due  tramezzi  l'uno  a  W  di  miserabilissima  costruzione  e  assai  mal  ridotto, 
l'altro  in  parallelepipedi  di  tufo  e  mattoni  anch'esso  strapiombato  e  pericolante,  divi- 
sero il  grande  locale  del  piano  terreno  (n.  31)  in  tre  taberne,  una  delle  quali  ci 
giunse  per  singolare  caso  abbastanza  ben  conservata  ('). 

11  tratto  di  marciapiede  che  si  estende  innanzi  ad  essa  (n.  31)  ebbe  un  mosaico 
a  grandi   triangoli   curvilinei    alternatamente  bianchi  e  neri  con  grosse  tessere  e  di 


Fig.  5. 


mediocre  fattura.  Ai  due  muri  che  sostenendo  i  mensoloni  del  balcone  pareva  limi- 
tassero l' ingresso  alla  taberna,  furono  appoggiati  due  sedili  in  muratura,  e  si  diede 
una  decorazione  pittorica  non  fine,  ma  di  effetto,  ispirata  alle  incrostazioni  di  marmi. 
Un  grande  riqnadro  limitato  da  fascia  rossa  ha  in  alto  e  in  basso  due  rombi  assai 
allungati,  rossi  su  fondo  nero.  Nel  mezzo  è  un  disco  rosso  grande,  cinto  da  un  serto 
di  foglie  bianche  su  fondo  verde,  e  inserito  in  un  grande  quadrato  che  vuol  simulare 
l'alabastro  fiorito,  e  ha  all'intorno  due  fasce,  che  si  intersecano  a  45°,  una  rossa, 
l'altra  verde. 

La  porta  della  taberna   è  per  metà  sbarrata  da  un  grande  banco  di   vendita 
(fig.  5),  piegato  ad  angolo   retto  rivestito   di  pezzi   di   marmi  multicolori  di  varie 


(l)  Anche  di  questa  taberna  si  disse   qualche  cosa,  quando  era  a  metà  scoperta    in  Notizie 
1915,  pag.  29. 


OSTIA  416    —  REGUONB    I. 

torme  e  dimensioni,  raggranellati  pertanto  chi  sa  dove,  e  messi  insieme  alla  meglio. 
Nell'adornamento  di  questo  bancone  e  di  altri  nell'interno  della  bottega  che  descri- 
veremo, figurano  marmo  bianco,  alabastro,  cipollino,  breccia  corallina,  africano,  porta- 
santa,  bigio,  rosso  e  perfino  un  lastrone  di  marmo  bianco  iscritto  ('). 

La  lastra  quadrata  di  alabastro  fiorito,  che  riveste  il  piano  del  bancone  all'an- 
golo verso  l'ingresso,  porta  un'incassatura  quadrata  in  cui  doveva  posare  il  plinto  di 
una  colonnina  o  di  un  pilastrino  ornamentale. 

Sotto  al  bancone,  pure  con  lastre  di  marmo  rivestite  internamente  di  intonaco 
a  tenuta  d'acqua,  sono  costruite  due  vaschette  per  il  lavaggio  della  suppellettile  po- 
toria della  taberna.  La  quale  suppellettile  era  esposta  su  un  banco  con  scaletta  a 
tre  gradini  di  marmo.  Appoggiato  alla  parete  di  tramezzo  è  un  altro  bancone  pure 
rivestito  di  pezzi  di  marmi  con  scaletta  a  quattro  gradini.  Lo  spazio  sotto  il  banco 
è  diviso  in  due  da  un  lastrone  orizzontale  di  marmo  bianco  formante  un  ampio 
repositorio. 

Il  muro  cui  detto  bancone  si  appoggia,  conserva  tracce  di  pittura  su  fondo 
bianco  riquadrato  da  grosse  fasce  rosse.  Vi  si  vede  un  grande  piatto  vitreo  sul  quale 
sono  posati  un  bicchiere  di  vetro  conico,  un  grappolo  d'uva,  un  coltello  con  manico 
metallico  a  tortiglione,  e  una  grossa  e  polposa  radice  a  fìttone  bianca  con  un  ciuffetto 
di  foglie  attaccate,  probabilmente  una  rapa,  entrando  questo  prodotto  dell'orto  con- 
dito con  sale  e  aceto  nel  novero  di  quegli  alimenti  che  solevano  esser  presi  fuori  o 
avanti  al  pasto  come  aperitivi  (*).  Appresso  al  piatto  di  vetro  è  un  vaso  di  vetro  di 
forma  quasi  cilindrica,  leggermente  rastremato  in  basso,  senza  anse,  entro  al  quale 
sono  cinque  pesche  in  acqua.  Seguono  figurate  come  appese  a  un  chiodo  due  grosse 
frutta  globose  con  ramoscelli  fronzuti,  probabilmente  due  melagrane.  Intorno  a  queste 
pitture  e  tutt' intorno  al  secondo  bancone  di  esposizione  sono  altre  pitture  a  imita- 
zione di  marmi  multicolori,  tagliati  a  rombi  e  triangoli. 

Nell'angolo  SW  della  taberna  è  fìsso  nel  pavimento  un  pezzo  di  mortaio  di 
marmo  forato,  e  fornito  di  coperchietto  discoidale  di  marmo,  il  quale  penetra  sopra 
una  fogna  e  serviva  allo  scarico  dei  liquidi. 

Fu  pure  qui  trovata,  e  ha  relazione  col  commercio  esercitato  in  questa  taberna, 
una  lastra  lunga  e  stretta  di  marmo  con  tre  uncini  di  bronzo  destinati  a  sorreggere 
cibarie  o  biancheria. 

Dato  tutto  ciò,  è  facile  riconoscere  in  questa  taberna  uno  spaccio  di  bevande, 
e  forse  di  quei  cibi  leggeri  che  dicevansi  gustationes.  Ad  essa  doveva  essere  annesso, 
come  pubblico  locale,  il  cortile  n.  32,  che  ebbe  allora  un  banco  per  sedere  lungo  la 
parete  orientale  (muro  a  della  prima  costruzione),  ed  ebbe  gli  altri  adornamenti  di 
una  foutanina  nel  mezzo,  del  pavimento  in  mosaico  identico  per  lavorazione  e  per 
grandezza  di  tessere  a  quello  della  taberna.  E  anche  il  locale  più  a  sud  n.  37  che 
presenta  l'identico  pavimento  in  mosaico,  fu  forse  la  saletta  riservata  della  caupona. 


(')  Contiene  parte  di  un'iscrizione  onoraria  a  Fulvio  Plauziano  suocero  di  Caracalla;  la  pub- 
blicò il  Calza,  in  Notizie  1915,  pag.  29. 

(")  Coloni.,  XII,  66;  Plin.  Nat.  /list.,  XVIII,  128. 


REGIONE   I.  —   417   —  OSTIA 

Si  costituì  insomma  in  tutti  i-  suoi  elementi  l'aspetto  tipico  di  xm'osteria  del  cor- 
tiletto. 

Né  fu  manomesso  il  piccolo  santuario  domestico  sotterraneo  che  vi  aveva  costruito 
il  proprietario  della  prima  costruzione;  anzi  forse,  a  meglio  appartarlo  dalla  com- 
pagnia non  sempre  ispirata  a  pietà  dei  bevitori,  fu  la  scaletta,  che  ad  esso  condu- 
ceva, ricoperta  di  una  volticina  che  serba  qualche  traccia  di  decorazione  pittorica 
(riquadri  limitati  da  fasce  rosse  e  verdi,  e  in  un  punto  ali  di  un  uccello  dipinto 
in  rosso).  La  taberna  era  provvista  d'acqua;  del  tubo  di  carico  resta  un  tratto  nel 
cortile  n.  37,  e  un  altro  traito  identico  per  misura  nel  cortile  n.  11. 

Relativamente  agli  altri  ambienti  questo  fu  anche  ricco  di  trovamenti.  Si  rin- 
vennero infatti  nella  prima  eainera  della  taberna  (n.  31):  colonnina  di  marmo  bianco 
con  scanalatura  a  spirale,  e  con  foro  passante  in  tutta  la  sua  altezza;  al  sommo- 
scapo, che  è  incavato  e  fornito  di  un  dente,  si  adatta  un  coperchio  discoidale  anch'esso 
forato;  alt.  totale  m.  0,56,  diametro  all'imoscapo  m.  0.092.  Probabilmente*  per  entro 
il  foro  passava  un  tubo  d'acqua,  sì  che  la  colonnina  poteva  servire  come  base  per 
un  saliens. 

Parte  inferiore  di  una  colonnina  in  marmo  numidico  (giallo  antico),  alt.  m.  0,33, 
diam.  m.  0,075. 

Tronco  di  colonnina  in  marmo  bigio  ,  alt.  m.  0,79,  diam.  m.  0,125. 

Parte  superiore  di  una  colonnina  in  rosso  antico,  alt.  m.  0,195,  diam.  m.  0,18. 

Quattro  tronchi  di  colonnine  in  marmo  bianco,  una  delle  quali  scanalata.  Misu- 
rano m.  0,35X0,095;  0,27X0,09;  0,19X0,85. 

Colonnina  di  giallo  bruciato  con  foro  passante  in  tutta  l'altezza.  Come  base  ha 
una  lastra  di  marmo  che  già  aveva  fatto  parte  di  un  capitello  di  pilastrino.  Quasi 
alla  sommità  della  colonnina  è  attaccata  un'ermetta  di  marmo  giallo  coronata  di 
foglie  e  bacche  di  edera,  e  sotto  di  essa  un  capitellino  di  pilastrino  di  marmo  rosso. 
Altezza  totale  con  la  base  m.  0,91,  diam.  m.  0,10. 

Testa  ritratto  di  Marco  Aurelio  (fig.  6)  in  piccole  proporzioni  da  inserire  in  un 
busto.  È  lavoro  di  arte  abbastanza  buona,  ben  conservato,  tranne  qualche  lesione 
all'occipite.  Alt.  col  collo  m.  0,24. 

Tre  lucerne  con  la  notissima  marca  ANNISER  (Fortuna  eretta  di  fronte  col 
cornucopia  e  il  timone;  grappolo  d'uva;  disco  superiore  mancante). 

Lucerna  con  luna  falcata  e  marca  MANTONDION  (C.  I.  L.  XV,  6304). 

Cassetta  cilindrica  in  piombo  con  apertura  a  forma  elittica  con  strozzatura  nel 
mezzo  nella  base  superiore.  Questa  cassetta  era  malamente  schiacciata  ;  doveva  essere 
alta  in  media  m.  0,25,  e  avere  un  diametro  circa  doppio  dell'altezza. 

Si  vede,  che  il  padrone  della  taberna  aveva  delle  pretese  di  eleganza,  e  come 
da  precedenti  edifici  abbandonati  aveva  rubacchiato  lastrine  marmoree  d'ogni  colore 
per  ornare  i  suoi  banchi  di  vendita,  così  aveva  raggranellato  con  una  certa  passione, 
colonnine  e  piccole  sculture  per  abbellire  la  sala  principale  del  suo  esercizio. 

La  taberna  n.  31  b  ebbe  anch'essa  fuori  della  porta  due  sedili  ai  lati  dei  muri 
che  sorreggevano  le  mensole  di  travertino.  E  i  muri  furono  ornati  di  pitture  a  fondo 
bianco  con  riquadri  e  fasce  sottili  rosse  e  verdi,  e  nel  mezzo  una  figurina  di  donna 
di  profilo,  conservata  solo  nella  testa. 


OStlA 


—  418  — 


REGIONE    1. 


11  tardo  tramezzo  che  divise  questa  dalla  taberna  u.  31,  è  quasi  tutto  crollato; 
forse  però  ima  porta  di  comunicazione  tra  i  due  ambienti  era  sempre  rimasta,  e 
questo  secondo  ambiente,  che  non  ha  pavimento  a  mosaico,  che  ha  due  rozze  instal- 


Fig.  6. 


lazioni  per  una  latrina  e  per  un  focolare,  e  semisepolto  nel  terreno  un  grande  dolio, 
fn  forse  il  locale  di  cucina  e  di  servizio  per  la  caupona. 


JSL 


^EA/fMtA/Efl/clAfvcic 


Fio,  7. 


L'altra  taberna  n  31  a  ad  est  della  caupona  ha  pavimento  a  poligoni  di  basalte. 
In  epoca  assai  tarda  vi  si  stabilì  un  forno  i  cui  esigui  avanzi  non  fu  possibile  couser- 
vare.  Vi  resta  l'orlo  di  un  grande  dolio  con  la  cifra  incisa  dopo  la  cottura  XXVDIIJ, 
e  avanti  a  questa  appena  solcata  XXV.  Vi  fu  trovata  una  piastra  di  rame  lunga  e 
stretta  (fig.  7)  con  appendici  nastriformi  e  con  l'iscrizione  punteggiata: 

TENE  ME  NE  FVGIA  FVGIO 


REGIONE    I.  —   419    —  OSTIA 

La  nostra  iscrizione  che  servì  di  collere  per  uno  schiavo,  e  che  appartiene  a 
quella  categoria  di  monumenti  così  saggiamente  classificati  e  illustrati  dal  De  Rossi  (*) 
manca  malauguratamente  di  quelle  indicazioni  personali  e  topografiche  che  rendono 
così  preziosi  non  pochi  dei  titoli  analoghi. 

Quinta  costruzione. 

Alla  parete  orientale  della  quarta  costruzione  viene  ad  appoggiarsi  (e  si  vede 
benissimo  la  giustapposizione  di  muri  di  fattura  alquanto  diversa)  una  quinta  costru- 
zione che  probabilmente  invase  anch'essa  come  la  terza  una  parte  dell'area  pubblica 
della  Piazza  dell'Ara  dei  Lari.  È  segnata  in  pianta  con  tratteggio  spezzato  obliquo  a 
sinistra,  e  comprende  i  nn.  38-45.  La  duplice  facciata  esterna  sulla  Via  della  Casa 
di  Diana  e  sulla  piazza  è  a  cortina  a  mattoni  ;  come  pure  in  tutto  laterizio  sono 
le  pareti,  che  affacciano  sul  cortile;  i  muri  divisionali  interni  sono  invece  ad  opera 
reticolata  con  ricorsi  e  legamenti  di  mattoni.  L'edificio  aveva  tre  porte  grandi  e  una 
piccola  sulla  Via  della  Casa  di  Diana,  e  tre  porte  grandi  e  una  piccola  sulla  piaz- 
zetta dell'Ara  dei  Lari. 

Delle  due  porte  piccole,  quella  sulla  Piazza  dei  Lari  immette  in  una  scala  che 
a  grande  fatica  abbiamo  potuto  conservare  per  un  intero  rampante  e  per  parte  del 
secondo,  l'altra  sulla  Via  della  Casa  di  Diana  introduce  in  un  corridoio  che  va  al 
cortile,  e  sul  quale  possono  sboccare  le  taberne  laterali. 

Le  quattro  taberne  con  ingresso  dalla  via  e  dalla  piazza  sono  tutte  grandi  e 
con  ampie  porte  che  più  tardi,  forse  anche  per  ragioni  di  sicurezza  statica,  furono 
alcune  interamente  chiuse,  altre  notevolmente  rimpicciolite.  La  taberna  d'angolo  n.  38 
aveva  quattro  porte,  due  amplissime  esterne,  e  due  più  piccole  interne  sul  sottopas- 
saggio 39  Non  era  naturalmente  troppo  prudente,  che  l'angolo  della  costruzione  fosse 
così  abbondantemente  traforato  ;  così  fu  chiusa  completamente  la  porta  sulla  Piazza 
dell'Ara  dei  Lari,  e  notevolmente  rimpiccolita  l'altra  sulla  Via  della  Casa  di  Diana. 
Il  pavimento  attuale  di  questa  taberna  è  a  poligoni  stradali  di  basalto.  Furono  qui 
rinvenuti  il  manico  di  un  vaso  in  bronzo  terminato  a  forma  di  foglia  ad  ambedue 
le  estremità,  un  frammento  di  iscrizione  con  resti  di  tre  lettere,  i  bolli  di  mattoni 
C.  I.  L„  XV-21;  589.  Il  corridoio  n.  39  che  poneva  in  comunicazione  il  cortile  40  con 
la  Via  della  Casa  di  Diana,  era  originariamente  lungo  m.  9,40  e  largo  ra.  1,65  verso 
strada  e  m.  1,84  verso  il  cortile.  Era  coperto  a  volta,  e  vi  potevano  accedere  le  due 
botteghe  laterali. 

Seguono  verso  ponente  le  due  taberne  nn.  41  e  42  che  avevano  ingresso  sulla 
Via  della  Casa  di  Diana,  e  che  sono  presentemente  lastricate  ambedue  con  poligoni 
di  basalte  In  questa  parte  dell'edificio  avvennero  delle  profonde  modificazioni  richieste 
forse  da  urgenti  necessità  statiche. 

(')  In  Bull.  d'Arch.  Cristiana,  1874,  pp.  41  e  159,  e  in  Bull.  Com.,  1887,  pag.  286;  1892, 
pag.  11;  1893,  pag.  186;  cfr.  Ricci,  in  Bull.  dell'Istituto  di  Diritto  Romano,  V,  1892,  pag.  11; 
G.I.L.  XV,  pag.  897. 

Notizib  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  55 


OSTIA 


420  — 


REGIONE    I. 


I  muri  verso  sud  furono  dovuti  rafforzare  appoggiandovi  all'esterno  e  all'  interno 
altri  muri;  il  tramezzo  che  divideva  le  due  taberne  mi.  41-42  fu  dovuto  abbattere,  e 
non  resta  di  esso  che  un  piccolo  avanzo  all'attacco  del  muro  di  fondo  a  sud.  Fu  sosti- 
tuito con  un  nuovo  muro  tutto  in  laterìzio  che  occupa  esattamente  il  posto  dell'antico, 
e  che  per  una  porta  ad  arco  pieno  lascia  comunicare  le  due  taberne. 

Per  tale  ricostruzione  venne  ad  essere  abolito  il  piano  superiore  a  quello  di 
queste  due  taberne,  o  per  lo  meno  non  venne  ricostruito  colà  dov'era.  Infatti  non 
solo  il  muro  laterizio  di  tramezzo  non  reca  i  segni  dell'innesto  delle  travi  per  soste- 


Fio.  8. 


nere  il  pavimento  sovrapposto  a  quella  altezza  a  cui  li  mostrano  le  pareti  lunghe 
delle  due  taberne  nn.  41  e  42,  ma  la  parete  lunga  di  taberna  n.  42  ricevette  in  tarda  età 
una  rozza  decorazione  pittorica  che  mostra  all'evidenza,  come  il  piano  superiore  non 
esisteva,  o  per  lo  meno  non  esisteva  più  all'altezza  che  gli  era  stata  data  in  origine. 
Sopra  un  sottile  strato  di  calce  bianca  infatti  è  colà  dipinto  in  rosso  un  grande  cantaro 
baccellato  con  volute  vegetali  che,  da  esso  dipartendosi,  si  distendono  per  tutta  la 
lunghezza  della  parete  (fig.  8).  Ora  tale  pittura  invade  il  piano  terreno  e  il  primo 
piano,  passando  oltre  i  fori  d'innesto  delle  travi. 

Le  porte  delle  due  taberne  sulla  Via  della  Casa  di  Diana  vennero  prima  par- 
zialmente, poi  totalmente  chiuse,  con  muri  a  mattoni  in  quella  n.  42,  con  paralle- 
lepipedi di  tufo  e  mattoni  nell'altra;  l'ultima  ad  essere  chiusa  fu  una  finestra  che 
si  era  lasciata  nella  taberna  n.  42.  E  questa  taberna  n.  42  per  una  porta  nel  lato  corto 
meridionale  comunica  con  un  altro  ambiente  u.  43,  anch'esso  ampiamente  modificato 
in  antico,  e  mal  conservato,  sicché  è  più  che  mai  incerta  la  sua  destinazione. 


REGIONE    I.  —    421    —  OSTIA 

Dal  vano  n.  43  potevasi  passare  nel  successivo  n.  44,  il  quale  si  addossa  al 
muro  della  seconda  costruzione,  e  chiude  una  porta  di  questa  che  sembra  fosse  sino 
allora  rimasta  aperta  forse  sul  cortile  di  condominio  n.  27. 

Nel  locale  n.  44  fu  ad  un  certo  tempo  adattato  un  grande  forno  di  cui  resta  poco 
più  del  primo  anello  a  grandi  blocchi  di  tufo  che  già,  fieramente  danneggiati  dal 
fuoco  degli  antichi,  non  potranno  resistere  a  lungo  al  dissolvimento  degli  agenti 
atmosferici.  Resta  anche  il  pavimento  a  doppio  piano  di  tegoloni  con  uno  strato  di 
sabbia  interposto  e  parte  del  grande  arcone  in  laterizio  che  copriva  verso  levante  la 
bocca  del  forno  e  il  piano  di  essa  bocca  in  tufo.  Da  un  tratto  dell'arcone  grande 
disgregato  a  terra  furono  raccolte  ventisette  tegole  bollate,  di  cui  una  con  bollo 
C.  I.  L.  XV,  1070,  dogli  anni  tra  il  125  e  il  134  e  ventisei  col  bollo  C.  I.  L.  XV,  622, 
che  può  per  i  nostri  esemplari  leggersi  ora  più  completamente  che  non  sia  fatto  nel 
Corpus. 

2VA3  T3  23A)  IJ3J1VA  JW  X3  JOd  2Vqo 
TINyE  AVG  MAI  SERVI 

e  deve  attribuirsi  agli  anni  161-176.  I  prodotti  del  forno  dovevano  essere  smerciati 
nella  taberna  n.  45,  ampia,  fornita  originariamente  di  due  porte,  una  nella  piazza, 
l'altra  sul  cortile  n.  40.  Più  tardi  ne  fu  aggiunta  una  terza,  aperta  sul  cortile  n,  27. 

La  taberna  ha  pavimento  a  poligoni  di  basalto.  Il  cortile  n.  40,  non  molto  largo, 
ebbe  più  tardi  l'aggiunta  di  pilastri  probabilmente  richiesti  a  reggere  coperture  o 
balconi  sporgenti  dalle  camere  superiori. 

Il  piano  generale  di  questo  edificio  con  le  taberne,  le  scale  e  il  corridoio  che 
dalla  strada  va  al  cortile  interno,  è  a  un  dipresso  quello  della  costruzione  terza. 

Interessante  è  in  questa  nostra  costruzione  il  problema  dei  piani  superiori  e  del 
mezzo  di  accedervi.  Sopra  il  corridoio  n.  39  doveva  passare  un  corridoio  simile;  si 
vedono  le  tracce  delle  travi  messe  al  posto  costruzion  facendo  per  reggere  il  piano 
superiore,  due  porte  che  sbucano  dalle  stanze  sovrastanti  alle  due  taberne  laterali, 
e  una  finestra  sulla  Via  della  Casa  di  Diana. 

Lungo  le  due  facciate,  e  in  modo  speciale  lungo  quella  della  Via  della  Casa 
di  Diana,  si  vedono  le  tracce  dell'  incassatura  di  travi  di  legno  che  dovevano  sorreg- 
gere il  balcone  all'altezza  del  secondo  piano  o  del  terzo,  contando  il  piano  terreno. 

Resti  di  intonachi  dipinti,  di  soffitti  dipinti,  di  pavimenti  in  mosaico  e  di  lastrine 
di  marmi  policromi  dei  piani  superiori,  disgraziatamente  absai  scarsi,  si  rinvennero 
in  più  luoghi  e  specialmente  nella  taberna  n.  38.  Lo  studio  di  questi  frammenti 
che  non  si  è  ancora  potuto  portare  a  termine,  potrà  forse  dare  qualche  piccolo 
risultato. 

Ma  più  degli  altri  interessante  è  l'esame  della  scala  che  allinea  una  appresso 
all'altra  le  sue  rampe  dal  livello  stradale  sino  all'ultimo  piano  senza  risvolti,  solo 
interrompendosi  con  brevi  pianerottoli. 

È  stata  rialzata  e  tenuta  su  con  abili  espedienti  dal  soprastante  sig.  Finelli  l' intera 
prima  rampa  di  sedici  gradini,  il  pianerottolo  del  primo  piano  la  cui  porta  d'accesso 
è  stata  in  età  più  tarda  chiusa,   e  otto  gradini   della  seconda  rampa.  Ho  voluto 


OSTIA 


—  422  — 


REGIONE    I. 


seguire  con  l'aiuto  del  bravo  disegnatore  sig.  Berretti  l'ulteriore  andamento  della 
scala.  La  seconda  rampa,  che  non  potremo  immaginare  più  lunga  della  prima,  giunge 
(vedi  tìg.  9)  quasi  a  metà  della  camera  n.  41  e  con  un  pianerottolo  piuttosto  lungo 
poteva  andare  ad  appoggiarsi  al  muro  di  tramezzo  tra  l'ambiente  n.  41  e  quello  n.  42. 
È  possibile  pensare  che  la  scala  si  arrestasse  lì,  e  che  la  spinta  poderosa  che 
essa  esercitava  andasse  a  finire  contro  un  muro  interno  di  tramezzo?  È  molto  più 
ragionevole  ritenere,  che  essa  proseguisse  ancora  con  un'altra  rampa,  così  come  l'ab- 


Fig.  9. 


biamo  supposta  nel  disegno  (fig.  9)  in  modo  da  potersi  appoggiare  al  muro  peri- 
metrale giustapposto  al  altro  grosso  muro  perimetrale  della  quarta  costruzione. 
L'edificio  aveva  per  tal  modo  tre  piani  sopraelevati,  i  quali  secondo  la  divisione 
degli  spazi  da  noi  seguita  in  base  alle  misure  di  alzata  e  pedata  dei  gradini  esistenti, 
sarebbero  alti  m.  4,40  il  primo,  3,60  il  secondo,  3,10  il  terzo.  La  linea  retta  seguita 
nella  costruzione  di  questa  scala  faceva  sì  risparmiare  dello  spazio,  ma  non  per- 
metteva la  divisione  dei  piani  superiori  se  non  in  due  appartamenti  al  massimo.  Forse 
i  mezzanini  potevano  essere  accessibili  anche  dalle  taberne  con  scale  in  legno. 


Distaccata  dall'isola,   ma  troppo  ad  essa  vicina  per  non  parlarsene  qui,  è  una 
costruzione  che  venne  in  epoca  relativamente  tarda  a  restringere  anche  più  la  Piazza 


REGIONE   I.  —   423   —  OSTIA 

dell'Ara  dei  Lari.  Già  si  era  colà  costruita  una  fontana  (lett.  i)  a  pianta  rettangolare 
in  massi  di  travertino  rivestiti  di  cocciopisto  i  cui  resti  appaiono  nell'angolo  NE 
della  successiva  costruzione  che  le  si  pose  accanto,  e  che  poi  l'abolì,  quando  dovette 
adottare  il  rinforzo  di  pilastri.  La  fontana  ebbe  verso  W,  quando  già  una  delle  aper- 
ture della  costruzione  che  le  si  appoggiò,  era  stata  chiusa,  un  canaletto  per  lo  scarico 
del  sopravanzo. 

Questa  costruzione  n.  46  fu  da  principio  una  specie  di  chiosco  a  pianta  rettan- 
golare di  m.  8,50  X  6,38  con  quattro  pilastri  angolari,  due  mediani  nei  lati  lunghi 
e  sei  grandi  aperture.  In  pianta  la  originaria  costruzione  è  segnata  con  spazi  bianchi 
riservati  tra  linee  di  tratteggio. 

La  costruzione  è  tutta  in  laterizio  ;  ebbe  originariamente  pavimento  in  opera 
spicata  e  decorazione  di  intonaco  dipinto  nell'interno  dei  pilastri.  Ebbe  anche,  non 
sappiamo  se  sin  dall'origine  o  dopo,  un  piano  superiore,  la  cui  esistenza  è  provata 
da  notevoli  resti  di  pilastri  angolari  identici  a  quelli  del  piano  inferiore,  ma  più 
piccoli  di  dieci  centimetri  circa  per  lato.  Essi  si  rinvennero  caduti  nell'  interno  della 
costruzione,  ed  erano  anch'  essi  decorati  con  pitture  a  fondo  giallo.  Della  scala 
non  vi  è  traccia.  Naturalmente  era  alquanto  ardito  dare  un  piano  superiore  a  un 
edificio  così  traforato,  e  con  pilastri  così  sottili,  e  ben  presto  si  resero  necessari 
chiusure,  tramezzi,  aggiunta  di  pilastri  sul  lato  orientale  forse  a  sostenere  un 
balcone.  Altri  muri  si  addossarono  poi  a  sud,  racchiudendo  una  specie  di  lunga  e 
stretta  stanza  proprio  a  ridosso  all'Ara  dei  Lari.  A  quale  uso  possa  aver  servito  una 
così  leggera  costruzione  non  è  facile  accertare;  certo  il  vederla  così  aperta  da  ogni 
lato,  cinta  da  ogni  parte  da  pubbliche  vie  fa  pensare,  che  dovesse  essere  largamente 
frequentata,  e  che  non  avesse  bisogno  né  di  locali  riservati  per  conservare  cose  da 
smerciare,  né  di  adattamento  alcuno  che  permettesse  di  trattenervisi  più  di  qualche 
minuto. 

Dell'Ara  dei  Lari  disse  già  il  Calza  in  queste  Notìzie  (1916,  pag.  145);  recen- 
temente si  è  potuto  aggiungerle  uno  scaglione  della  cornice  superiore  che  rovesciato 
era  stato  adoperato  a  risarcire  la  pavimentazione  della  via. 

Essa  fu  posta  qui  prima  del  secondo  rialzamento  del  Decumano,  come  prova  il 
livello  del  grosso  lastrone  di  travertino  che  le  serve  di  base.  Le  costruzioni  che  a 
poco  a  poco  le  si  fecero  intorno,  la  resero  sempre  meno  visibile;  all'ultimo  poi  il 
chiosco  da  una  parta,  una  grande  fontana  rettangolare  (n.  47)  dall'altra  la  nascosero 
quasi  del  tutto. 

Non  è  possibile  né  mette  conto  rilevare  tutte  le  modificazioni  di  piani  e  di 
livelli  avvenute  nel  progresso  dei  tempi  in  questo  gruppo  di  costruzioni  ;  il  diligente 
rilievo  del  cav.  Stefani,  che  qui  abbiamo  aggiunto,  li  pone  del  resto  in  evidenza, 
segnandoli  con  l' identico  tratto  della  costruzione  cui  si  riferiscono,  ma  più  rado. 


Degli  oggetti  che  si  rinvennero  negli  strati  superiori  delle  rovine  più  volte  rima- 
neggiate, privi  perciò  di  qualunque  valore  cronologico  o  stratigrafico,  mette  conto 
ricordare  i  seguenti: 


OSTIA 


—  424  — 


RKGIONB    I. 


a)  Frammento  di  lastra  marmorea  di  in.  0,19X0,21 


J 


jQB'QLl 

d-PROSAV 
ET-VÌCT 


Fio.  10. 

.  taur\oboliu[m  oppure  crf\oboliu[m  factum M(atri)  D(eum)']  M{agnae) 

I(daeae)  prò  salute  et  re]dit{u)  et  vict[pria 


La  quarta  linea  scalpellata  doveva  portare  il  nome  di  un  imperatore  la  cui 
memoria  fu  dannata. 

L'iscrizione  va  ravvicinata  alle  altre  che  pure  ricordano  con  forinole  simili  tau- 
robolii  e  criobolii  compiuti  in  Ostia  per  la  salute  e  la  vittoria  di  imperatori  {C.I.L. 
XIV,  40-43)  e  lascia  indurre  una  volta  di  più,  quale  vasta  dispersione  abbiano  i 
marmi  ostiensi  dovuto  soffrire,  essendo  assai  probabile  che  il  nostro  frammento  fosse, 
come  gli  altri  citati,  posto  nel  gruppo  di  editici  attribuiti  al  culto  della  Magna  Mater 
a  notevole  distanza  da  questa  isola  ('). 

Forse  di  contenuto  identico  e  della  stessa  provenienza  può  essere  un  frammento 
di  lastra  opistografa  di  m.  0,145X0,095  che  reca  dall'una  parte  con  grandi  lettere: 


b) 
e  al  rovescio  : 


O-SAL 


../TE. 
..NT. 


e  una  linea  con  lettere  abrase 


Pensavo  che  potesse  attaccare  con  l'iscrizione  pure  opistografa  con  ricordo  di  due 
sacrifici  prò  salute  etc.  {C.I.L.  XIV,  40)  che  è  ora  conservata  nel  Museo  delle 
Terme,  ma  l'esame  dei  pezzi  esclude  assolutamente  la  pertinenza  a  una  sola  iscrizione. 


(')  Paschetto,  Ostia,  pag.  370.   Ricordo  ad  ogni  modo   l'altra   iscrizione  relativa  alla  Mater 
Deum,  trovata  in  questi  dintorni  (Notizie,  1913,  pag.  234,  n.  14). 


REOIONB    I. 


425  — 


OSTIA 


c)  Frammento  di  lastra  marmorea  di  m.  0,25X0.26;  lettere  0,05  nella  prima 

linea,  0,04  nell'altra: 

.../STILLAE 

...EL1XP... 

•     ...LA... 

Fd]ustillae  | F]elix  p[ater la 

d)  Frammento  di  lastra  m.  0,28  X  0,15,  lettere  m.  0,059  : 

...ANN  •  IDE... 
...OST1ENS..  . 

'  rrì 

C~\ann(ophoris)  ide[m  dendrophoris  ? 

Ostien$[ibus ?  cfr.   C.  I.  L.  XIV,  33-36. 

e)  Frammento  come  sopra  m.  0,18X0,17,  lettere  m.  0,03: 

CRESCE... 

LIVS- VIC  ... 
VSSoT... 

f)  Frammento  come  sopra  m.  0,19  X  0,17.  Belle  lettere  con  vivace  rubricazione, 

alte  m.  0,055: 

..  .CORD.  .  . 


g)  Frammento  come  sopra,  m.  0,11X0,19: 


.  EVO . . 

.TERE. 

FLAB. 


h)  Frammento  come  sopra,  m.  0,14X0,10: 

...AEG... 
...CDIVIH... 

*  A  linea  3  sembra  debba  supplirsi  divi  H[adriant]  ;  la  finale  della  parola  pre- 
cedente il  divi  è  una  C  forse  sà]c(erdos),  mentre  si  desidererebbe  invero  fl(amen. 

i)  Frammento  come  sopra,  m.  0,23X0,16: 

M  !  C  N  •  V  . 
..GAVIVS  LV.. 
../1VIVS  FVLV. 
..EMILIVS  PRI. 
..LIVS  VITALI. 
..VS  POLVTIM. 
..VS  FELIC... 
..VIVS  rv... 
..ELIV... 


OSTIA  —   426   —  REGIONE   I. 

Trattasi  di  un  frammento  di  albo  forse  di  qualche  collegio. 
/)  Frammento  di  lastra  marmorea: 

M 
...DNAGLA... 
...XXIII... 

Parecchi  altri  frammenti  di  lastre  marmoree  con  una  o  pochissime  lettere  di 
nessun  significato. 

Bambola  d'osso  già  ricordate  in  Notizie,  1916,  pag.  148. 

Testina  minuscola  in  marmo  di  gioyane  donna  forse  di  Venere  d'arte  scadente. 

Frammento  di  una  forma  io  terracotta  simile  alle  molte  rinvenute  anni  addietro 
nel  magazzino  dei  dolii  (')  recante  la  figura  di  un  leone  che  sottomette  un  toro. 

Mezza  figurina  di  Sileno  in  bronzo,  da  applicarsi  a  un  mobile  in  legno,  pessima- 
mente conservata. 

Cinquantotto  lucerne  delle  quali  una  col  bue  Api  già  pubblicata  (Notizie,  1916, 
p.  179),  una  col  Paitor  Bonus  con  l'agnello  sulle  spalle,  un'altra  col  monogramma 
cristiano,  tutte  le  altre  con  figurazioni  comunissimo  e  insignificanti  o  prive  affatto  di 
figure.  Le  marche  non  presentarono  che  nomi  notissimi  CIVNBIT  (tre  volte)  ANNISER 
(due  volte)   FLORENT  (due  volte)  CRISPIN  . 

Oltre  un  centinaio  di  monete  di  bronzo  quasi  tutti  medii  e  piccoli  bronzi  del 
terzo  e  quarto  secolo,  al  solito  pessimamente  conservati.  Costituì  una  bella  eccezione 
il  raro  medaglione  in  bronzo  di  Marco  Aurelio  e  Commodo  (Cohen,  5)  che  si  rin- 
venne in  eccellente  stato  di  conservazione. 

Abbondantissimi  furono  al  solito  i  bolli  di  mattoni;  si  rinvennero  nuovi  esem- 
plari dei  bolli  pubblicati  in  C.  I.  L.  XV,  4,  19*,  22  a  e  è,  23,  24,  109,  147,  216, 
245,  283,  292,  294,  322,  326,  336,  372,  377,  496,  525  a  e  *,  580  *,  .585,  589,  612. 
622  635  a,  683,  733,  769,  774,  876  a  e  b,  1014  a,  1034,  1066,  1070,  1079,  1094rf. 
1380,  2157,  2215;  Notizie  scavi,  1910,  pag.  290. 

Inedito  sembra  essere  il  seguente  bollo  rettangolare: 

SALEXPRCcRSEVE 

che  completa  gli  esemplari  C.  I.  L.  XV,  954  e  Notizie  scavi,  1910,  pag   234. 
Una  menzione  merita  pure  il  bollo  lunato  di  ottima  conservazione: 

EX  PRAED  FVLVI  PLAVTIANI  FIGLIN 
ATORAPPIVS  BENERIVS 


(')  Cfr.  Pasqui,  in  Notizie,  1906,  pag    357.   Altri  frammenti  simili    nello  scarico  sovrastante 
alla  via  tra  il  tempio  di  Vulcano  e  i  Moliui  :  Vaglieri,  ibid.,  1908,  pag.  332. 


RKGIONE   1.  —   427   — 


OSTIA 


Era  noto  sinora  per  un  solo  esemplare  trovato  nel  cimitero  di  Domitilla  (') 
C.  Fulvio  Plauziano  prefetto  del  pretorio  sotto  Settimio  Severo,  e  suocero  di  Cara- 
calla,  è  ben  noto  nella  industria  laterizia  romana,  dove  lo  ricordano  già  non  meno 
di  dieci  bolli  diversi  (*).  Notevole  è  la  parola  figlinator  che  appare  nuova  nel  les- 
sico latino. 

Di  bolli  di  anfore  si  ebbero  repliche  degli  esemplari  G.  L  L.  XV,  2574  a,  2584  d, 
2628,  2635*,  2712,  2831,  2932a,  3041,  3094  (varietà  con  la  L  rovesciata)  3538. 

Inediti  sembrano  essere  i  seguenti  due,  rilevati  sulle  anse: 


Qj.1  •  C  •  SEC  •  II 


MCS 
gli  altri  due  impressi  sul  collo: 


DPL 
2V)IHOJCO 


Notevole  è  poi  l'anfora  che  porta  sulle  due  anse: 


DFF 
PNN 


* 


I  termini  per  datare  questo  gruppo  di  costruzioni  sono  alquanto  scarsi  special- 
mente in  seguito  alle  manomissioni  di  recenti  scavatori.  Vedemmo  che  la  basilica 
che  è  tra  esse  la  seconda,  per  i  suoi  dodici  bolli  di  mattoni  dell'a.  113  e  per  l'altro 
nelle  scale  di  età  adrianea  (CI.  L.  XV,  525 b)  devesi  probabilmente  ascrivere  ad 
età  adrianea,  a  meno  che  non  si  volesse  portarla  poco  più  in  su  alla  fine  del  periodo 
traianeo,  considerando  che  la  scala  corrisponde  già  a  un  mutamento  nel  piano  primi- 
tivo dell'edilizio.  A  questa  assegnazione  cronologica  ben  si  conviene  tutto  il  tipo  di 
costruzione  in  cortina  laterizia  accurata  con  poca  calce  interposta,  e  il  buon  retico- 
lato dell'abside  basilicale. 

La  quarta  costruzione  adopera  mattoni  con  bolli  della  fine  del  I  sec.  (C  I.  L. 
XV,  685)  e  del  123  (C  I.  L.  XV,  811i),  e  per  quanto  questa  ultima  data  debba  forse 
essere  accolta  con  qualche  cautela  (3),  pure  non  ci  si  può  molto  discostare  da  essa. 
Né  ad  essa  in  alcun  modo  sconviene  il  tipo  di  costruzione. 

(l)  Bull.  (Tarali,  crist.,  1898,  pag.  234.  Questo  esemplare  mi  è  stato  segnalato  dal  sig.  Edoardo 
Gatti,  prezioso  raccoglitore  di  tutte  le  accessiones  delle  iscrizioni  doliari. 

(a)  C.I.L.  XV,  47,  160,  184,  185,  197,  206,  240,241,  406;  Notizie,  1893,  pag.  69. 

(3)  Le  tegole  che  portano  sul  bollo  il  consolato  di  Aproniano  e  Petino  (a.  123)  sono  talmente 
numerose,  che  per  grande  che  possa  essere  stata  l'attività  edilizia  sotto  l'imperatore  architetto 
Adriano,  sembra  impossibile  possano  essere  state  fatte  cosi  enormi  cotture  di  laterizi  in  un  anno. 
Può  forse  pensarsi,  che  avendo  le  tegole  fabbricate  in  quell'anno  incontrato  un  qualche  maggior 
favore  tra  i  costruttori,  si  sia  continuato  a  fabbricarne,  usando  lo  stesso  timbro  che  veniva  a  per- 
dere il  valore  cronologico  e  ad  acquistare  quasi  quello  di  segno  di  garanzia. 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  56 


OSTIA  —    428    —  REGIONE   I. 

Il  forno  costruito  in  tarda  età  nella  stanza  44  aveva  ventisei  tegole  con  lo 
stesso  bollo  degli  anni  161-176  (C.  I.  L.  XV,  622). 

La  fontana  semicircolare  sul  Decumano  che  distrugge  parte  della  costruzione 
terza,  adopera  come  materiale  di  costruzione  un  pezzo  di  epigrafe  probabilmente  rife- 
rentesi  al  pantomimo  M.  Aurelio  (Apolausto?)  liberto  di  M.  Aurelio  e  Lucio  Vero  ('). 

Il  banco  di  vendita  della  tabeina  n.  31,  tardo  adattamento  della  quarta  costru- 
zione, si  riveste  di  un  pezzo  d'iscrizione  del  suocero  di  Caracalla,  C.  Fulvio  Plati- 
nano (!).  La  memoria  di  colui  fu  dannata,  e  perciò  ben  presto  dopo  la  sua  uccisione 
avvenuta  nell'anno  205  potè  quel  marmo  essere  disponibile.  Con  questi  dati  cronolo- 
gici si  accorda  il  fatto,  che  le  nostre  costruzioni  prima  e  seconda  sono  anteriori 
all'adattamento  dell'area  sacra  del  tempio  di  Vulcano,  adattamento  che  sembra 
debba  attribuirsi  all'età  tra  Adriano  (•)  e  Commodo  (4). 

Sicché  i  limiti  estremi  che  abbiamo  potuto  raccogliere  nella  cronologia  di  questo 
gruppo  di  edifici,  dalla  costruzione  del  secondo  fra  essi  alle  tarde  modificazioni  del 
quarto,  non  superano  il  secolo. 

Tanto  rapido  succedersi  di  costruzioni  e  di  riattamenti  è  conseguenza  della  vita 
intensa  e  febbrile  dell'emporio  di  Roma.  Nulla  in  essa  poteva  serbare  a  lungo  immo- 
bilità di  aspetto.  Le  belle  architetture  dei  secoli  passati  noi  le  troviamo  intatte  a 
S.  Gimignano,  a  Todi,  nelle  piccole  cittadine  tranquille,  povere  della  Toscana  e  del- 
l'Umbria, non  a  Sampierdarena  o  a  Busto  Arsizio. 

In  nessuna  città  del  mondo  antico  ci  si  accosta  tanto  come  ad  Ostia  al  principio 
ultramoderno  dei  costruttori  americani  in  cemento  armato,  che  gli  edifici  debbono 
cioè  essere  oggetti  d'uso  al  pari  delle  vesti,  e  perciò  facili  a  costruirsi,  a  modificarsi, 
a  distruggersi  senza  preoccupazioni  artistiche  e  senza  rimpianti. 

Naturalmente  anche  le  innovazioni  nei  tipi  e  nella  tecnica  delle  costruzioni 
dovevano  apparire  a  Ostia  prima  che  in  altre  città  di  più  lento  ritmo  di  vita. 

Cosi  già  troviamo  adoperati  in  edifici  primitivi  di  modesto  aspetto,  quale  la  nostra 
costruzione  quarta,  le  volte  a  crociere  successive  che  eravamo  soliti  a  vedere  solo  in 
grandi  edifici  e  non  troppo  antichi. 

Così  la  nostra  prima  costruzione  che  è  anteriore  alla  basilica  (e  in  questa  sono 
mattoni  dell'anno  113)  aveva  dei  balconi  sorretti  da  mensoloni  di  travertino,  che 
non  solo  non  appaiono,  ma  che  non  sembrano  neppure  concepibili  col  tipo  delle  case 
e  dei  balconi  pompeiani,  case  le  quali  certamenie  non  più  di  pochi  decenni  sono 
più  antiche  di  questa  nostra  prima  costruzione. 

li.  Paribeni. 

(')  Cfr.  Notizie,  1914,  pag.  70. 

(*)  Cfr.  Notizie,  1915,  pag.  29. 

(3)  Questa  è  l'opinione  più  generale  fondata  sul  criterio  cronologico  dei  bolli  laterizi;  cfr. 
Pascli  etto,  Ottia,  pag.  362. 

(*)  Cosi  pensava  invece  il  Vaglieri  (Guida,  pag.  92).  La  questione  in  ogni  modo  non  è  riso- 
luta, e  dovrà  ancora  essere  presa  in  esame. 


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REGIONE    I. 


429    — 


POMPEI 


CAMPANIA. 


IV.  POMPEI  —  Di  due  grandi  trofei  dipinti  rimessi  a  luce  nella 
Via  dell'Abbondanza  e  di  una  sala  decorata  con  pitture  di  Vittorie  volanti. 

Sul  fronte  dell'isola  III  della  regione  III,  nella  Via  dell'Abbondanza,  si  era  venuto 
mostrando,  nei  primi  dell'aprile  del  1915,  un  grandissimo  vano,  le  cui  inconsuete 
dimensioni  attirarono  subito  la  nostra  attenzione,  accresciuta  ben  presto  dall' appa- 
rire di  due  alti  e  ben  costrutti  pi- 
lastri dall'uno  e  dell'altro  dei  suoi  K.EG.II1  INS.  IH-  CF\SF>  N*  6 
lati.  Tali  significanti  dati  di  scavo 
lasciavano  intuire  la  presenza,  in 
quel  luogo,  non  solo  di  un  edificio 
importante,  ma,  anche  probabilmente 
di  un  edificio  di  carattere  pubblico. 
Non  esitai  perciò  a  trasportare  ivi 
tutta  la  forza  dello  scavo,  e  così  fu 
che,  iniziatisi  nei  due  giorni  prece- 
denti la  Pasqua  (2  e  3  aprile),  i  fy 
lavori  di  scavo  portarono,  nel  giorno 
seguente  ad  essa  (5  aprile),  alla  com- 
pleta scoperta  dei  due  alti  pilastri 
tìancheggianti  lo  spazioso  vano,  che 
erasi  mostrato,  rivolto  al  sud,  sul 
fronte  della  via,  e  dei  due  grandi 
solenni  trofei  di  armi  dipinti  dallo 
zoccolo  in  sii  per  tutta  l'altezza  dei 
pilastri  stessi.  Fu  presente,  per  fe- 
licità di  eventi,  allo  sgombero  delle 
terre  (per  cui  trofei  e  pilastri  furono 
completamente  rimessi  alla  luce  in- 
sieme alle  prime  alate  Vittorie,  che, 
ad  una  ad  una  si  andavano  già 
mostrando  sullo  zoccolo  rosso  del 
vasto  quadrato,  ancora  a  metà  se- 
polto) S.  E.  il  Presidente  del  Con- 
siglio dei  ministri  on.  Salandra. 
Tenne  l'animo  suo  ed  i  nostri,  al  loro  es± 
apparire,  una  viva  commozione  in 
quella  grave  ora  della  Patria  e  l'au- 
gurale annunzio  del  felice  scoprimento  piacque  che  fosse  dato,  il  giorno  seguente,  al 
Paese.  Lo  scavo,   intanto,  proseguitosi  nei  mesi    dell'aprile,  del  maggio,  e  via  via 


METRI 


Fig.  1. 


POMPEI  430    REGIONE    I. 

,*. 1 — ■ 

completatosi  con  gli  opportuni  restauri  nei  mesi  seguenti,  ha  condotto  allo  scopri- 
mento ed  all'assettamento,  solo  ora  completo,  di  tutto  il  bello  e  vasto  spazio  di  cui 
offro  qui  la  descrizione  col  più  breve  commento. 

Il  vano  di  accesso  (tig.  1),  è  ampio  in.  6,17,  e  dei  pilastri  che  lo  fiancheggiano 
quello  di  sinistra  misura  m.  1,20  di  larghezza  e  quello  di  destra  m.  1,80,  così  che 
questo  è  per  circa  60  centim.  più  largo  del  suo  compagno;  l'altezza  ne  è  di  m.  5,18; 
lo  spessore  di  m.  0,64. 

Una  soglia  marmorea,  non  più  larga  di  m.  0,36  e  fatta  di  otto  lastre,  va  dall'una 
all'altra  parete  dello  spazio  che  si  apre  dietro  il  vano  di  accesso;  e  questo  spazio, 
che  è  di  forma  quadrata,  misura  non  meno  di  m.  8,50  di  larghezza  per  altrettanti 
di  profondità.  Era  chiuso  nei  suoi  lati  di  oriente  e  di  occidente,  mentre,  nel  lato 
nord,  apresi  un  piccolissimo  vano  largo  un  metro,  nascosto  quasi  dallo  zoccolo  rosso 
e  munito  di  una  porticina  girante  su  cardini  potenti  di  cui  i  f'oramina  restano  in 
una  breve  soglia  marmorea.  L'altezza  delle  pareti  misurava  m.  5,18,  come  è  chiaro 
dalle  parti  superstiti  di  esse  e  da  alcune  delle  buche  ancora  conservatesi,  nelle 
quali  immettevansi  le  travi  di  sostegno  al  cielo  piano  della  stanza.  Non  aveva 
nel  mezzo  del  cielo,  alcuna  apertura,  come  è  lecito  dedurre  dalla  mancanza  di  ogni 
traccia  d'impluvio  e  di  ogni  altro  scolo  di  acque;  che  anzi  il  pavimento,  di  semplice 
e  rozzo  signino,  ha,  quasi  nel  centro,  un  quadrato,  non  meno  di  m.  4,60  largo  (la 
lunghezza  è  di  poco  inferiore),  cosparso  e  decorato  dai  consueti  frammenti  marmorei, 
bianchi  e  grigi  ;  maggiore  è  lo  spazio  tra  questa  parte  decorata  del  pavimento  e  la 
parete  di  destra  (m.  2),  minore  quello  di  sinistra  (m.  1,62).  La  luce,  per  compenso, 
entrava  ad  abbondantissimi  fiotti  dalla  vastissima  apertura,  che  misurava,  come  abbiam 
detto,  non  meno  di  m.  6,17  su  gli  8.50  dell'intera  larghezza,  ed  aprivasi,  quindi, 
rivolta  a  mezzodì,  quasi  per  tutta  la  fronte,  sul  marciapiede. 

Lo  stato  della  rovina  è,  per  gran  parte,  soddisfacente.  Uno  scavo,  condottovi  in 
tempo  che  non  può  precisarsi,  ne  ha  distrutto  quasi  per  intero  la  parete  di  sinistra, 
il  cui  zoccolo  è  riuscito  solo  in  qualche  parte  a  salvarsi:  perfetta  è  invece  la  con- 
servazione di  tutta  la  parte  inferiore  del  lato  nord  e  così  dell'  intera  parete  di  destra; 
intatti,  sino  all'  imposta  dell'architrave,  sono  i  pilastri  del  fronte,  costruiti  dei  consueti 
piccoli  rettangoli  isodomi  di  pietra  sarnense  fra  compatti  doppi  filari  di  mattoni  e 
rivestiti  di  un  intonaco  che  ha  bene  resistito  al  tempo  (fig.  2).  Su  questi  pilastri  di 
fondo  giallo  sono,  come  ho  detto,  dipinti  i  due  grandi  trofei.  Uno  zoccolo  rosso,  alto 
m.  1,80,  terminato  superiormente  da  una  cornice  ad  ovoli,  su  cui  in  bianche  tabelle 
ansate,  sono  dei  programmi  elettorali  (v.  Notizie,  1915,  pag.  232,  iscr.  20-26),  fa  come 
da  base  ai  due  trofei.  Su  di  esso  l'artista  ha  immaginato  poggiare,  come  su  di  un 
piano,  un  primo  mucchio  di  armi  intorno  al  piede  di  un  grande  tronco  d'albero,  che 
levasi  dritto  ed  è  visibile  solo  in  quelle  parti  che  le  armi,  accumulate  intorno  ad 
esso,  lasciano  scoperte.  A  sinistra  (fig.  3),  diritta  lungo  la  parte  inferiore  del  tronco 
come  se  rivestisse  un  corpo  umano,  è,  vigorosamente  ritratta,  una  tunica  di  por- 
pora rabescata  di  oro,  e  i  rabeschi  rappresentano   tritoni   e  grifi  alati:   un  tritone 


REGIONE    1. 


431  — 


POMPEI 


ed  un  grifo,  nel  mezzo  del  petto,  tra  un  duplice  ornato  lineare,  ed  una  doppia 
serie  di  tritoni  e  di  grifi  alati,  natanti  a  sinistra  ed  alternantisi,  nella  parte  infe- 
riore della  tunica,  anch'essi  tra  duplice  ornato  lineare.  Essa  è  stretta  alla  cinta  da  un 
laccio  che  viene  ad  annodarsele  dinanzi;  è  succinta  poco  al  disotto  del  ventre  e 
scende  in  pieghe  numerose  e  pesanti,  doppiamente  listate  di  oro  nell'orlo  inferiore. 


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Fio.  2. 


Sovr'essa  è,  immediatamente  al  posto  del  capo,  inchiodato  al  tronco,  un  elmo  con 
alto  cimiero,  guanciali  e  soggólo:  due  corna  spuntano  dall'una  e  dall'altra  parte  della 
calotta;  al  posto  del  volto  è  l'oscura  ombra  del  vuoto.  Un  ampio  scudo  ad  umbone 
dai  riflessi  metallici  è  in  terra  a  sinistra  di  questa  tunica,  poggiando  su  di  esso  un 
elmo  pileato,  munito  di  paragnatidi  delle  quali  solo  quella  a  dritta  è  visibile.  Un 
altro  grande  scudo  circolare,  a  zone  concentriche  quasi  del  tutto  svanite,  e  di  cui 
l'ultima  contornante  l'orlo  è  di  color  pavonazzetto,  è  al  lato  sinistro  della  tunica  e, 
nel  centro,  ha  una  protome  virile  barbata,  di  cui  sono  visibili  ormai  soltanto  la  breve 
fronte  circondata  di  folta  capigliatura,  gli  occhi  spalancati  e  il  taglio  della  bocca. 
Un  terzo  scudo  di  forma  ovale  e  di   color  marrone  con  fasce  bianchicce   irraggiate 


POMPEI 


—  432 


REGIONE    1. 


dal  centro  poggia  di  traverso  sul 
precedente  ed  ha  sulla  faccia  este- 
riore l'episema  del  fulmine  stiliz- 
zato.   Un  •  altro   scudo,   rivestito 
chiaramente  di  bronzo,  gli  fa  con- 
trapposto a  dritta  del  tronco,  ed 
è  collocato  anch'esso  di  traverso; 
mostra   l'orlo    superiore    doppia- 
mente falcato  e,  sulla  faccia  este- 
riore pronunziatamente  convessa, 
appena    visibile   l'immagine    di 
una  Vittoria  che  tende  col  braccio 
dritto  una  corona.  Esso  poggia  a 
sua  volta  sopra  una  serie  di  tre 
ampii  scudi   dalla  forma  esago- 
nale leggermente  appiattita  nei 
lati  lunghi,  i  quali,  mentre  sono 
anch'essi  con  l'orlo  superiore  ap- 
poggiati al   tronco,  riposano  con 
il  loro  triplice  orlo  e  la  triplico 
ombra   che  ne   deriva  sul  piano 
del  trofeo:  un'ascia  pare  l'episema 
dipinto  sul  dorso  dell'ultimo  di 
essi.  Una  grande  àncora,  alta  quasi 
quanto    tutta   questa    parte  del 
trofeo,  lo  attraversa  da   sinistra 
a  destra  poggiando  su  i  vari  ele- 
menti che  lo  compongono,  ed  ha 
l'anello  superiore  a  terra,  mentre 
la  sua  traversa,  leggermente  ri- 
curva,   si    nasconde,    in    parte, 
dietro  l'umbone  dello  scudo  che 
è  in  terra  a  sinistra,  ed  i  suoi 
bracci,  curvi  come  corna  lunate, 
si  volgono    in  giù  su  l'orlo  del 
grande  scudo  rotondo  dalla  testa 
virile  barbata.  Una  breve  catena 
pende    dal  suo   anello  inferiore. 
Due  punte   di  giavellotti  spun- 
tano  di   sotto    alla    tunica   sul 
piano.    Due  paia  di   alte   lance 
levano  infine  le  loro  aste  e  le 
punte  di  bronzo  di  dietro  l'elmo, 


Fio.  3. 


REGIONE   I. 


—  433  — 


POMPEI 


da  dritta  e  da  sinistra  del  tronco,  compiendo  questo  insieme  di  armi  magnificamente 
composto  e  vigorosamente  espresso.  Io  alto  (poiché  quanto  abbiamo  descritto  non 
formava  che  i  piedi  del  trofeo)  questo  assumeva  l'antica  classica  forma  antropomorfa. 
Su  l'alto  del  tronco  era  infatti  inchiodata  una  tunica  con  sovrapposta  corazza  a  la- 
minette  metalliche  pendenti  e  pet- 
torale e  spallacci  di  bronzo  ornati 
ed  intorno  alla  vita  attorcigliato 
un  manto  con  lembo  cadente.  Sulla 
punta  di  esso  era  quasi  certa- 
mente l'elmo,  come  sulle  due 
braccia  erano  (ed  ora  ne  restano 
solo  in  parte  due  di  color  pavo- 
nazzo)  scudi  in  croce,  pendenti 
da  dritta  e  da  sinistra  insieme  con 
giavellotti  e,  legata  da  uà  nastro 
pavonazzo,  al  braccio  sinistro  del 
tronco,  una  faretra  di  bronzo  a  • 
forma  di  colonnina  con  base,  ca- 
pitello e  coperchio  campaniforme, 
tutta  ornata  di  volute. 

Sull'altro  pilastro  (fig.  4)  il 
gruppo  inferiore  delle  armi  allar- 
gasi in  un  maggiore  spazio;  sven- 
turatamente però  esso  non  è  in 
eguale  stato  di  conservazione.  Il 
tronco  elevasi  più  poderoso  e  vi- 
sibile. Dinanzi  ad  esso,  sul  piano 
formato  dallo  zoccolo,  un  legge- 
rissimo carro  dalle  ruote  piccole 
e  sottili  vi  è  dipinto  di  tra- 
verso per  tutta  quasi  la  larghezza 
del  pilastro,  e  il  timone,  assai 
lungo,  ha  la  punta  ed  il  giogo 
rivolti  in  alto  ;  un  manto  pesante 
e  velloso,  gittato  su  di  esso,  ne 
copre  parte  della  lunghezza  e  scende  a  terra  con  grande  e  pronunziato  partito  di 
pieghe.  Un  gladio  gli  si  appoggia  innanzi  ed  ha  manico  di  avorio,  fodero  color  viola 
e  spigoli  dorati  come  dorata  ne  è  la  punta.  Accanto  a  questo,  a  dritta,  è  un  altro 
pileo  col  consueto  cavo  bruno  del  suo  giro  interno  ed  il  paranuca.  A  sinistra,  gittato 
in  terra  e  per  metà  nascosto  dal  manto  velloso,  è  un  grande  scudo  bislungo  visto 
dall'interno  ed  assai  concavo;  in  terra,  anche  sotto  il  carro,  è  un  altro  grande  scudo 
ellittico,  ed  un  altro,  a  dritta  del  carro,  grandissimo,  di  una  tinta  viola,  mostra  il 
convesso  del  suo  dorso  con  l'orlo  arcuato  superiore  rivolto  in  giù  e  la  parte  inferiore 


Fig.  4. 


POMPEI  —  434  —  REGIONE  I. 

restri ngentesi  poggiata  al  tronco:  è  attraversato  innanzi  da  un  piccolo  scado  ovale  ora 
quasi  del  tutto  invisibile,  mentre  un  altro  grandissimo  scudo,  anch'esso  di  forma  ovale, 
poggiasi  più  indietro  a  terra  e  rompe  la  fascia  terminale  del  pilastro.  A  sinistra,  un 
grande  scudo  anch'esso  ovale  ma  visto,  come  a  me  pare,  dall'  interno,  mostrasi  fra  il 
timone  ed  il  tronco,  completando  la  piramide,  e  su  di  esso,  sia  episema  od  altro, 
appare  sur  un  ornato  o  insegna  la  forma  di  un  ippocampo  o  di  un  capricorno.  Un 
cornu  con  la  sua  grande  linea  curva  e  la  bocca  in  alto  termina  a  man  dritta  il 
trofeo,  di  dietro  al  quale  dall'una  e  dall'altra  parte  del  tronco,  parallelamente  disposte 
a  raggi,  due  a  sinistra  e  due  a  destra,  quattro  coppie  di  lance  levano  le  loro  aste 
di  color  legno  e  le  loro  punte  di  bronzo  completando  armonicamente  questo  classico 
trofeo  :  due  altre  punte  di  lance  spezzate  e  riverse  spuntano,  nel  centro,  di  sotto  agli 
scudi  ed  al  carro,  e  due  aste  di  venabuli  sono  di  traverso,  in  terra,  nell'uno  e  nel- 
l'altro angolo  del  trofeo:  una  copertura  di  capo,  pelosa  e  cerchiata,  con  fasce  pen- 
denti, è  nell'angolo  dritto  del  trofeo  ed,  infine,  nel  centro  di  esso,  sul  corticc  del 
tronco,  abbracciale  tronco  e  scudo,  si  attorciglia  la  bruna  linea  ricurva  di  un  lituo 
augurale.  Disgraziatamente,  su  questo  grandioso  e  superbamente  composto  insieme, 
manca  tutta  la  parte  superiore,  ma  non  così  che  di  essa  non  siano  visibili  le  tracce 
tanto  della  grande  tunica  centrale,  da  cui,  a  dritta,  par  che  pendessero  le  pieghe  di 
una  lunga  sopravveste,  quanto  di  due  paia  di  giavellotti  pendenti  a  dritta  e  a  sinistra 
dalle  braccia  sporgenti  della  parte  alta  ed  antropomorfa,  rispondente  a  quella  del- 
l'altro pilastro,  del  grande  trofeo. 

L'uno  e  l'altro  di  questi  due  trofei  descritti  sono,  così  per  le  loro  dimensioni 
come  per  la  loro  arte,  gli  esempi  più  solenni  e  perfetti  a  noi  finora  pervenuti  di 
quel  tipo  di  trofei  greco  romani  che  si  è  convenuto  di  chiamare  antropomorfi  da  ciò 
che  mantennero  la  originaria  idea  di  dare,  dal  più  al  meno,  coli'  insieme  delle  armi 
riunite  l'ordine  e  la  forma  del  corpo  umano  che  esse  rivestivano.  Essi  commemorano 
vittorie  navali  e  terrestri,  come  mostra  chiaramente  la  grande  àncora  rappresentata 
nel  trofeo  di  sinistra,  e  come  può  dedursi  dalla  tunica  purpurea  che  sul  seno  ha, 
come  ornamenti  aurati,  tritoni  e  grifi  marini  alati  natanti  di  conserva  a  sinistra  ('). 

Nel  centro  quasi  del  tronco  e  al  disopra  della  tunica  purpurea  succinta,  il  grande 
elmo  cornuto  accenna  nettamente  a  vittoria  su  popoli  barbari  e  più  specialmente  su 
Galli,  così  come  gli  scudi  esagonali  (*).  A  vittorie  più  specialmente  orientali  ci  por- 
tano gli  scudi  a  doppio  seno  lunati  e  l'ornatissima  faretra  a  colonnina  e  con  volute  (3). 
A  barbari  del  nord,  specialmente  germani,  appartiene  il  manto  velloso  che  il  trofeo 
di  destra  ci  mostra  gittato  sul  carro  leggiero,  simile  in  tutto  a  quelli  tramandatici 
in  altri  trofei,  come,  ad  esempio,  quello  della  corazza  del  Museo  di  Napoli  (4)  o  al 

(1)  Il  carattere  tutto  orientale  di  questa  tunica  navale  purpurea  allontana  dalla  vittoria  navale 
di  Cesare  per  avvicinarsi  a  quella  actiaca  di  Augusto. 

(2)  Gli  scudi  esagonali  che  appaiono  in  quasi  tutti  i  trofei  barbarici  —  e  gallici  in  ispecial 
modo  —  erano  però  anche  gli  scudi  della  fiotta  ed  appaiono,  difatti,  nella  moneta  di  Augusto  in 
cui  si  videro  le  vittorie  navali,  sia  di  Cesare  sia  di  Augusto. 

(3)  È  una  forma  di  grande  pelta  allungato,  di  cui  il  miglior  riscontro  è  fornito  da  un'Amaz- 
zone della  Casa  dei  Vettii  e  da  una  delle  Vittorie  (l'ultima)  di  questo  stesso  nostro  edilìzio. 

(4)  Guida  del  Museo  di  Napoli,  591  (6213),  pag.  170. 


KEGIONE    r.  —    435    —  POMPEI 

manto  che  sontuosamente  discende  in  uno  dei  trofei  germanici  già  detti  di  Mario  ('). 
Similmente  a  popoli  del  nord  e  più  specialmente  ai  Britanni  ci  porta  soprattutto  il 
carro  di  cui  la  forma  singolarissima  riproduce  in  una  immagine  della  quale  l'antichità 
non  ci  ha  tramandata  l'uguale,  Yessedum,  il  noto  carro  che  ricordò  sulle  monete  le  vit- 
torie di  Cesare  su  quel  popolo  (2).  Le  due  ruote  piantate  indietro  sono  sottilissime  e  certo 
non  fatte  per  portar  pesi  od  altro,  per  servire  cioè  a  trasporti  militari,  come  quelli 
di  pesante  struttura  che  vediamo  a  ciò  adibiti  noi  rilievi  della  Colonna  Traiana  (3).  Tra 
osse,  quasi  in  bilico,  è  un  piano  stretto  ed  assai  lungo  innanzi,  terminato  a  sua  volta 
da  un  lungo  timone  con  giogo,  l*uno  e  l'altro  forti  e  massicci.  È,  come  si  vede,  la 
descri/.ione  precisa  che  lo  stesso  Cesare  ci  dà  del  leggiero  carro  britannico,  Yessedum, 
su  cui  il  guerriero  barbaro  in  piedi  ad  avendo  a  fianco  talvolta  il  compagno,  l'auriga 
or  mostrava  di  retrocedere,  ora  avanzava,  per  lanciare  più  da  vicino  il  giavellotto, 
fin  sul  giogo,  camminando  sul  timone  (per  timonem  ...  in  iugo  insistebat)  (4). 

A  popoli  di  civiltà  ellenistica  ci  riporta  invece  la  corazza  che  è  nella  parte 
superiore  del  trofeo  di  sinistra.  Essa  posa  su  una  ricca  tunica,  ha  pettorale  di  bronzo, 
spallacci  con  ornamenti  floreali  e  laminette  metalliche,  evidentemente  cucite  su  cuoio, 
pendenti  dal  pettorale:  intorno  alla  vita  è  avvolto  riccamente  il  paludamento  color 
pavonazzo  con  riflessi  verdi,  il  cui  lembo  è  fermato  e  pendente  dinanzi.  È  la  co- 
razza ellenistica  divenuta  di  uso  comune  per  i  comandanti  superiori  anche  dell'eser- 
cito romano  durante  f  impero.  Essa,  anzi,  in  un  affresco  di  Pompei  derivato  certo 
da  un  originale  pergamenico,  ma  anch'esso  forse  alludente  alle  vittorie  di  Augusto, 
caratterizza  il  vincitore  principe  ellenistico,  Attalo  I,  di  fronte  alle  armi  dei  vinti 
Galati,  che  sono  appunto  elmi  cornuti  ed  una  corazza  metallica  con  tunica  discinta, 
di  forma  e  carattere  del  tutto  differenti  (5). 

Questo  insieme  di  armi  e  di  vittorie  navali  e  terrestri  su  Galli  Britanni,  Ger- 
mani e  popoli  del  mondo  ellenico-romano,  ci  porta  dunque,  esaminato  al  lume  degli 
altri  monumenti  consimili,  senz'altro  alle  vittorie  ed  ai  trofei  di  Cesare  e  di  Angusto. 
Al  primo  ci  richiamano,  più  che  ogni  altro,  nettamente  l'elmo  cornuto  e  Yessedum. 
All'uno  e  all'altro  le  spoglie  di  vinti  popoli  ellenistici,  al  secondo  più  che  al 
primo  l'ancora  e  la  tunica  navale,  ad  Augusto  infine  il  capricorno,  se  questo  episema 
debba  vedersi  nelle  tracce  rimaste  di  esso  nel  secondo  trofeo;  ed  a  lui  e  a  Cesare 
ancora  il  lituo  solennemente  segnato  nel  centro  del  trofeo  di  destra  ad  indicare  la 
qualità  augurale  di  chi  formò  e  per  chi  furono  formati  quei  trofei,  qualità  che  Ce- 
sare ed  Augusto  amarono  tanto  di  ricordare  (6). 

,   (l)  Helbig.  Fùhrer,  I,  .pag.  260;  Armellini,  Campii.,  I,  tav.  8;  ved.  Reinach,  Rép.  des  reliefs, 
I,  pag.  890. 

(2)  Babelon,  II,  12,  12  moneta  s.  cit. 

(3)  Reinach,  Rép.  de  reliefs,  I,  pp.  803  (37),  323  (115),  327  (134).  I  carri  trasportanti  scudi 
ed  altri  trofei  hanno  ruote  e  struttura  del  tutto  differenti. 

(*)  Cesare,  de  Sei.  gal.,  IV,  33  e  V,  passim.  Vedi  Dici.  d.  ant.  gr.  et  rom.,  517  ecc. 

(5)  Reinach,  Trophées  macedoniens  in  Révue  des  études  grecques,  loc.  cit.  Il  Voelcke,  Beitr. 
».  Oesch.  d.  Tropaions,  pag.  63,  richiama  la  somiglianza  di  questa  immagine  con  l'Augusto  di 
Primaporta. 

(*)  Spessissimo  nelle  monete,  come  ad  esempio  Babelon,  II,  p.  13,  n.  15;  14,  16;  16,  24;  20,  32, 

Notizie  Scavi  1916  —  Voi.  XIIL  57 


POMPEI  —   436   —  REGIONE   1. 

Certo  può  apparire  inattesa  la  presenza  del  lituo  tra  le  armi  barbariche  di 
questi  trofei  ;  ma  tale  presenza,  se  pure  non  messa  in  rilievo  dai  dotti,  non  è  unica 
né  nuova  nei  monumenti  classici,  sebbene  riceva  nel  nostro  affresco  la  sua  più 
solenne  consacrazione.  Il  lituo  accanto  a  trofei  noi  troviamo  infatti  rappresentato 
in  non  poche  monete,  come  ad  esempio  in  un  aureo  di  L.  Sulla  (87  av.  Cr.),  che 
anzi  ivi  più  che  altrove  la  presenza  del  lituo  è  strettamente  connessa  al  trofeo 
stesso,  corrispondendo  ai  due  trofei  ivi  rappresentati  non  uno  ma  altrettanti  litui  (') 
Anche  il  lituo  troviam  ricordato  accanto  a  trofei  in  un  denaro  del  figliuolo  del 
Dittatore,  Faustus  Comelius  Sulla  (55  av.  Cr.),  ed  anche  qui  ai  due  trofei  late- 
rali dei  tre  ivi  rappresentati  corrispondono  due  litui  (2).  Ancora  un  trofeo  con  lituo 
ci  offre  un  danaro  di  Q.  Metellus  Scipio  (48-46  av.  Cr.)  (3).  Il  lituo  con  altri  stru- 
menti sacrificali  appare  nell'Arco  di  Orango  dttto  di  Tiberio,  che  commemorava  le 
vittorie  di  Cesare,  o  nei  trofei  navali  di  un  supposto  tempio  di  Nettuno  nel  Museo 
Capitolino  (4).  Una  bella  rappresentazione  del  lituo  in  un  trofeo  è  in  Pompei  stessa, 
in  uno  dei  rilievi  a  stucco  del  sontuoso  apoditerio  delle  Terme  Stabiane  (5).  Ed 
infine,  nella  grande  gemma  augustea  di  Vienna,  mentre  i  soldati  romani  elevano  un 
trofeo  di  armi  barbariche,  Augusto,  accompagnato  dal  segno  del  capricorno  che  abbiam 
visto  anch'esso  comparire  tra  queste  spoglie,  siede  stringendo  nella  mano,  quasi  al 
centro  della  grande  gemma,  quel  lituo  augurale  che  anche  qui  appare  rappresentato 
nel  bel  mezzo  del  nostro  trofeo  (6). 

Questo  esame  dei  nostri  trofei  ci  porta  a  vedere  in  essi  delle  copie,  più  o  meno 
fedeli,  dei  grandi  trofei  (giyantea  tropotea)  elevati  da  Augusto  al  divo  Giulio  in  Roma. 
Il  tempio  infatti  dedicato  a  Marte  Ultore  come  vendetta  dell'uccisione  di  Cesare  e 
destinato  ad  accoglierli,  dovette  senza  alcun  dubbio,  esser  tutto,  nell'architettura,  nella 
decorazione,  nei  ricordi  ordinato  ad  un  unico  scopo  e  ad  una  unica  glorificazione: 
quella  dei  trofei  in  esso  consacrati,  che  furono  così  quelli  di  Cesare  come  quelli  di 
Augusto,  cosi  di  vittorie  terrestri  come  navali.  Che  anzi,  ottenuti  così  gli  uni  come 
le  altre,  oltre  che  contro  i  barbari  anche  contro  grandi  condottieri  romani,  furono  da 
Augusto  consacrati,  a  titolo  di  espiazione,  nel  tempio  di  Marte  Ultore,  secondo  la 
promessa  fatta  al  Dio  sui  campi  di  Filippi. 


dove  il  lituus  augurale  è  nel  dritto  dietro  al  suo  capo,  mentre  nel  rovescio  è  Venere  dritta  con 
la  Vittoria  sulla  mano  destra  e  il  braccio  sinistro  sul  grande  scudo.  Il  lituus  troviamo  in  un  aureo 
di  Augusto  (Babelon,  II,  p.  37,  66),  tenuto  da  lui  nella  mano  dritta  persino  nella  statua  equestre 
decretatagli  dal  senato  avanti  la  guerra  di  Antonio. 

C1)  Babelon,  I,  406,  28. 

(*)  Babelon,  I,  424;  63,  dove,  come  nell'altra,  la  descrizione  non  risulta  a  (al  riguardo  abba- 
stanza esplicita. 

(»)  Babelon,  I,  280,  52. 

(4)  Reinach,  Rèp.  des  reliefs,  tav.  I,  pag.  203,  e  tav.  Ili,  pag.  216-217. 

(')  La  tavola  d'insieme  del  Niccolini,  Case  e  monumenti  di  Pompei,  voli.  I,  II,  non  lascia 
distinguere  i  particolari  e,  quindi,  né  il  lituo  né  lo  scorpione  di  cui  parlerò  in  seguito. 

(•)  Beinacb,  Pierres  gravéts,  pi.  I,  pag.  2-3. 


REGIONE   I.  —    437    —  POMPEI 

Tale  tempio,  per  tale  glorificazione  creato,  descrissero  gli  scrittori,  cantarono  i 
poeti,  imitarono  gli  artisti  in  ogni  parte  del  mondo  romano  (1).  Che  anzi  per  l'arte 
romana  esso  dovette  essere,  per  lungo  tempo,  quello  che  il  grande  monumento  per- 
gamenico  fu  per  l'arte  ellenistica.  Le  sculture  che  l'adornarono,  le  sue  decorazioni 
pittoriche,  gli  stucchi  delle  volte,  i  capitelli,  i  fregi  ad  un  unico  fine  decorativo 
appropriati,  ritraendo  schemi,  motivi,  particolari  tratti  da  quei  trofei  reali,  dovettero 
indubbiamente  diffondersi  nel  mondo  romano,  in  copie  più  o  meno  eguali,  di  cui  una 
noi  dobbiamo  senza  alcun  dubbio  vedere  in  queste  grandiose  immagini  pompeiane. 
Naturalmente  non  possiamo  dire  quanta  parte  dobba  fassi  a  necessarie  semplifica- 
zioni di  quegli  originali  grandiosi  nelle  nostre  riproduzioni,  ma  non  è  dubbio  che 
queste  fra  tutte  debbano  riprodurre  più  da  vicino  quei  trofei  i  quali  come  ornano 
qui  i  pilastri  di  questa  porta  Pompeiana,  dovettero  fiancheggiare  l'alta  porta  del 
tempio  di  Marte,  quali  dal  Dio  stesso  sono  visti  nei  versi  di  Ovidio: 

Prospicit  in  foribus  diversae  tela  figurae 
Armaque  tcirarum  milite  vieta  suo  (2). 

Ma  se  questi  trofei  dovettero  essere  in  stretta  relazione  con  l'uso  cui  fu  adibito 
lo  spazio  quadrato  di  cui  fiancheggiano  l'accesso,  quale  fu  questa  relazione  e  quale 
l'uso  di  quell'ampia  sala?  I  trofei  che  noi  abbiamo  finora  descritti  sono  certamente 
fra  i  più  grandiosi  che  ci  abbia  tramandati  l'antichità;  essi  sono  anche,  come  abbiam 
detto,  le  immagini  pittoriche  più  vicine  dei  trofei  del  tempio  di  Marte  Ultore  nel 
Poro  di  Augusto;  ma  poiché  essi  raccolgono  gli  emblemi  essenziali  delle  vittorie  di 
quei  grandi  condottieri  nelle  varie  parti  del  mondo  e  poiché  ormai  solo  poche  armi 
ed  arnesi  da  guerra  del  tutto  speciali  segnavano  una  vera  differenza  fra  gli  arma- 
menti dei  barbari  e  quelli  di  Roma,  che  cominciava  già  tutti  ad  accoglierli  (3),  noi 
possiamo  dire  che  i  nostri  sonò  i  trofei  per  eccellenza,  il  trofèo  piuttosto  che  questo 
o  quel  trofeo  speciale,  così  che  basterebbe  togliere  alcune  poche  armi  di  natura  pret- 
tamente barbarica  perchè  quei  trofei  potessero  applicarsi  ad  ogni  grande  vittoria,  per 
farli  servire  ad  ogni  luogo,  di  cui  si  volesse  indicare  esteriormente  il  carattere  mili- 

(1)  Reinach,   1.  e,  pag.   511.    Hor.    od.  II,  9,  19:    Cantemus   Augusti  tropaea;    Ovid.  Fast. 

V.  409  etc. 

(2)  Ovid.  Fast.  V.  561-62.  Giustamente  fu  osservato  che  questi  diversae  tela  figurae  e  queste 
armaque  terrarum  vieta  non  possono  essere  le  insegne  reali  dei  trionfi,  poi  che  queste  non  potet- 
tero essere  in  foribus,  ma  dovettero  essere  tela  in  foribus  insculpta.  Il  Reinach,  1.  e,  pag.  511, 
n.  9,  anch'egli  propende  per  questa  spiegazione,  ma  io  escluderei  completamente  l'altra  ipotesi  che 
si  tratti  di  armi  ammassate.  Deve  trattarsi  per  l'appunto  di  pilastri  scolpiti  di  cui  i  nostri  ci  danno 
le  immagini  pittoriche.  Le  grandi  ombre  simulano  perfettamente  i  grandi  rilievi  scultorii,  epperò 
del  vero  da  cui  sono  ritratti. 

(s)  Il  grande  scudo  restringentisi  che  è  nel  pilastro  di  destra  caratteristico  dei  Sanniti,  era, 
nella  fine  della  repubblica  e  nell'impero,  lo  scutum  per  eccellenza  dei  Romani  (Polyb.  VI,  23).  Lo 
scudo  esagonale,  barbarico  per  eccellenza,  fu  quello  della  flotta  romana.  La  parma  tracica  fu  lo 
scudo  della  cavalleria.  Il  piccolo  scudo  rotondo  e  sonoro  degli  spagnoli  fu  l'armo  delle  cetratorum 
cohortes  e  così  via. 


POMPEI 


—  43S 


REGIONK    I. 


tare  che,  anche  per  altri  indizi,  ha  il  grande    spazio   quadiato  che  noi  passiamo  a 
descrivere. 

Esso  misura  m.  8,50  X  m.  8,50  ed  era  chiuso,  come  abbiam  detto,  da  tutti  i 
lati  meno  che  per  una  porticina  nel  lato  nord  (Kg.  2).  La  parte  postica  del  pilastro 
di  sinistra  e  la  piccola  parte  che  ancora  resta  della  parete  occidentale  mostra  archi- 


Fig.  5. 


tettura  di  secondo  stile  in  uno  stato  assai  mediocre  di  conservazione.  Tale  decora- 
zione dovette  indubbiamente  avere  la  sua  corrispondente  zoccolatura,  ma  essa  fu 
sostituita  in  seguito  da  un  altro  zoccolo  rosso,  come  mostra  così  lo  spessore  del  nuovo 
strato  di  intonaco  sovrapposto  all'antico  lungo  tutto  il  margine  superiore,  come  lo 
stile  in  cui  esso  è  trattato  e  lo  stato  di  conservazione  perfetto  in  cui  lo  abbiam 
rinvenuto.  La  parte  orientale,  invece,  non  ebbe  fin  dall'inizio  alcuna  decorazione 
essendo  destinata  fin  dall'  inizio  a  portare  un  grande  armadio  per  tutta  la  sua  lar- 
ghezza (fig.  5).  Dei  pilastrini  alti  quanto  lo  zoccolo,  larghi  cm.  48  e  sporgenti  cm.  86 
dalla  parete  erano  evidentemente  chiamati  a  sostenere  quell'armadio  che,  in  giro  in 
giro,  dovette  rivestire  quelle  nude  pareti,  dove  si  aprono  molti  buchi  nei  quali  esso 
era  fermato.  Nessuna  parte,  naturalmente,  noi  abbiamo  potuto  riconoscere  del  legno 
che  formava  quell'armadio;  ma  in  un  punto  in  cui  la  cenere  aveva  invaso  il  lapillo, 
noi  potemmo  notare  la  impronta  lasciata  dal  legno  per  tutta  l'altezza  di  esso  e  per 


REGIONE   I.  —   439   —  POMPEI 

la  larghezza  dall'uno  all'altro  dei  due  pilastrini,  che  è  quanto  dire  per  una  almeno 
delle  diverse  aperture  del  grande  stipo.  Alcune  ferramenta,  cerniere  od  altro  che  fos- 
sero, segnano  la  larghezza  di  ciascun  battente,  ed  esse  sono  rimaste  nel  calco  che 
felicemente  abbiam  potuto  ritrarre  e  lasciare  sul  posto  (fìg.  5,  A).  Fra  i  battenti  e 
sui  pilastri  dello  zoccolo  l'armadio  aveva  pilastrini  con  capitelli  ed  un  frammento 
di  una  delle  volute  del  capitello  ha  lasciato  la  impronta  nella  cenere  da  noi  potuta 
integralmente  conservare  e  consolidare  (tìg.  6).  Lumeggiature  di  oro,  rinvenute  e  ri- 
maste in  detto  frammento,  ornavano  riccamente  quell'armadio  che,  insieme  al  giallo 
oro  della  decorazione  sottostante  e  alle  linee  architettoniche  della  parete  di  fronte, 
dovette  presentare  un  magnifico  e  grandioso  insieme. 


Fig.  6. 


Lo  zoccolo  composto  di  pilastri,  tre  per  parete,  e  di  riquadri  (a  sinistra,  come 
ho  detto,  tali  pilastri  non  esistono  se  non  nella  imitazione  pittorica,  non  dovendo 
nulla  sostenere  da  quella  parte)  è  rosso  con  decorazioni  gialle.  I  tre  pilastri  della 
parete  orientale  e  i  due  semipilastri  decorativi  angolari  di  essa  danno  luogo  a  quattro 
scomparti  di  m.  0,80  in  media,  nel  cui  campo  centrale,  tra  il  fine  ornato  di  cornici 
filettate  di  oro  che  limitano  il  riquadro,  sono  vittorie  volanti.  I  pilastri  contornati  di 
uua  fascia  verde  hanno  nel  campo  rosso  dei  candelabri  a  leggieri  fusti,  dove  di 
gambi  attortigliati,  dove  di  aste  semplici.  Foglie  e  guaine  spuntano  da  gambi 
ed  aste,  mentre,  a  poco  più  della  metà  dei  fusti,  rami  sottili  si  intrecciano  e  si 
dispongono  dall'uno  e  dall'altro  lato  del  fusto  in  volute  dagli  aperti  fori  centrali: 
più  in  alto,  i  due  gambi  attorcigliati  si  dividono  in  due  branche  su  cui  grossi  frutti 
rotondi  con  pistilli  acuti  sostengono  larghi  piatti:  sopra  questi  delle  meravigliose  e 
potenti  aquile  spiegano  le  loro  ali,  ed  una  fra  esse,  di  più  energica  fattura,  volge  il 
suo  capo  al  cielo  lanciando  in  alto  il  grido  (fig.  7).  Su  i  fusti  intrecciati  sono  le 
aquile,  sulle  aste  dritte,  che  hanno  tre  piattelli  sovrapposti  a  varia  distanza  come 
tre  calici  che  si  schiudono  l'un  sull'altro,  sono  grandi  globi  cerulei  cinti  di  corona 


POMPEI  —   440    —  REGIONE   I. 


aurea  >li  alloro  raggiata  di  oro.  Fiancheggiano  questi  pilastri  dall'una  e  dall'altra 
parte  dei  padiglioncini  aiti,  leggerissimi,  dipinti,  a  line  piani.  Dei  rametti  assai 
gentili  di  boccinoli  e  fiorellini,  gialletti  e  bianchi  con  foglioline  verdi,  salgono  dal 
piano  tra  i  padiglioncini  e  le  cornici  dei  riquadri  o,  come  festoni,  ornano  i  padi- 
glioni Dei  riquadretti  rossi  listati  di  verde  o  semplicemente  verdi,  veri  fermagli 
ornati  di  bucranii  o  delfini  o  piccoli  rosoni,  legano  orizzontalmente  alle  colonnine 
sottili  dei  padiglioncini  le  cornici  dei  riquadri,  nel  mezzo  dei  quali,  infine,  sono 
ligure  il  Vittorie  volanti  nel  numero  di  dieci  quanti  sono  i  riquadri. 


* 


La  prima  delle  Vittorie,  che  è  anche  una  delle  più  belle  (fig.  8)  in  veste  gialla 
dalle  pieghe  svolazzanti  di  giallo  e  di  celeste,  ha  verdi  ali  spiegate  e  il  seno  sinistro 
scoperto.  La  testa  virile  e  severa  guarda  dinanzi  a  sé  di  profilo;  una  corona  circonda 
i  capelli,  sul  braccio  sinistro  è  lo  scudo  rotondo  di  color  rosa:  sulla  spalla  tiene  con 
la  mano  dritta  una  lunga  lancia  dorata  dalla  punta  di  bronzo  rivolta  a  terra  e  vola, 
avanzando  il  piede  sinistro.  La  seconda  ha  manto  verde  svolazzante:  dall'apertura 
del  quale  appare  per  quasi  tutta  la  sua  lunghezza  la  gamba  sinistra  assai  sottile. 
La  mano  sinistra  tiene  per  l'ansa  interna  uno  scudo  piccolo  rettangolare,  assai  con- 
cavo, di  color  verde  e,  nella  mano  destra,  ha  una  sica,  la  nota  arma  tracia,  nel  suo 
fodero  dal  manico  ornato  di  nastri,  se  pur  non  è  il  balteo  così  raccolto  intorno  all'impu- 
gnatura e  pendente.  La  terza,  vestita  di  verde  con  svolazzi  violacei,  porta  nella  mano 
sinistra,  dritto,  tenendolo  per  l'orlo  inferiore,  un  grande  scudo  bislungo  dorato  e  nella 
dritta  abbassata  stringe  un  gladio  nella  sua  vagina.  Le  sue  forme  sono  piuttosto  tozze 
e  mostrano  di  essere  state  tirate  giù  dal  decoratore  alla  lesta.  La  quarta  ha  manto 
gialletto  con  rimboccatura  e  svolazzi  violacei:  porta  uno  scudo  ombelicato  come  la 
prima  ed  abbassa,  poggiando  la  lunga  asta  sul  braccio,  una  lancia  dorata  nella  dritta: 
la  testa,  coronata,  ha  occhi  sbarrati  e  cera  virile:  al  braccio  dritto  ha  un'armilla. 
La  quinta  occupa  il  centro  dell'angusto  riquadro  a  dritta  della  porticina  nella  parete 
nord:  veste  manto  verde  con  svolazzi  violacei,  imbraccia,  piegando  il  gomito  sinistro 
al  seno,  lo  scudo  ellittico  dorato,  mentre  protende  il  gladio  di  bronzo  dall' impugna- 
tura, come  le  altre,  infioccata,  chiuso  nella  sua  vagina.  La  sesta  (fig.  9),  vestita  di 
giallo  con  svolazzi  violacei,  col  capo  coronato  e  bella,  volge  il  capo  leggermente 
indietro,  mentre  tende  lo  scudo  bislungo  imbracciato  con  la  sinistra,  e  con  la  dritta, 
leva  il  gladio  ornato  anch'esso  di  nastri,  toccando  l'orlo  dello  scudo  con  movimento 
ritmico.  La  settima,  dalla  testa  grande  e  maschile  volta  di  profilo,  vestita  anch'essa 
di  giallo  con  svolazzi  violacei,  avanza  a  dritta  stringendo  con  la  sinistra  e  copren- 
dosi di  un  grande  scudo  rotondo  e  concavo  dal  cerchio  di  bronzo  e  dalla  faccia  este- 
riore gialletta.  Stringe  nella  dritta,  a  metà  dell'asta  e  protende  una  lancia,  ed  è  la 
sola  che  ha  calzari  ai  piedi  di  color  verde:  essa  più  che  volare  cammina  ad  ali 
spiegate.  La  ottava  dal  volto  tondeggiante  ed  incoronato  di  prospetto,  vola  a  sinistra 
ed  ha  ali  e  veste  celesti  ed  imbraccia  un  bislungo  ed  assai  convesso  scudo  dorato 
con  interno  di  verde  scuro:  nella  destra  ha  una  sica  dalla  lama  angolare  e  dal- 
l'impugnatura ornata  anch'essa  di  lacci.  La  nona  ha  perduto  per  la  mina  prodotta 


REGIONE,  1. 


—  441   — 


l'OMPEI 


dallo  scavo  antico  nella  parete   occidentale,   tutta   la  parte  superiore,   così  che  non 
resta  di  essa  ve  non  una  piccola  parte.  È  volta  a  sinistra,  ha  veste  verde  con  svo- 


Fio.  7. 


lazzi  celesti  e  lo  scudo  (un  grande  scudo  bislungo  e  fortemeuto  concavo)  è  pialletto 
esteriormente  e  verde,  che  è  quanto  dire  di  bronzo  dorato,  nell'  interno,  dove  appare 


rOMPBl 


442 


KKiilONK    I. 


in  p;nU'  la  mano  che  tiene  l'ansa  di  cuoio.  L'ultima,  di  cui  manca  la  testa  e  l'ala 
sinistra  e  parte  dello  scudo,  vestita  di  giallo  con  rivolti  violacei,  volando  a  dritta,  par 
che  volga  lo  sguardo  in  alto  ed  apre  seno  e  braccia  in   atto  offensivo  ed  energico, 


Fie-8. 


distendendo  tutto  il  braccio  sinistro  che  ha  scudo  doppiamente  falcato  e,  con  la 
destra,  brandendo  per  la  impugnatura  un  sottile  gladio,  adorno  come  gli  altri  di 
nastri  pendenti. 

Sono  dieci  Vittorie  alate  volanti,  di  cui  principale  caratteristica  è  la  diversità 
delle  armi  e  degli  atteggiamenti.  Le  prime  consistono  ora  in  lunghissime  aste  cui 
costantemente  si  uniscono  scudi  rotondi,   ora  in  gladii  più  o  meno  robusti   che  si 


REGIONE    I. 


443  — 


POMPEI 


accompagnano  a  scudi  ellittici  o  bislunghi  o  falcati,  ora  in  siche,  le  angolari  lame 
tracie,  che  si  accompagnano  al  piccolo  leggiero  scudo  trace.  Ed  una  ha  l'impu- 
gnatura del  gladio  fermata  alla  mano  da  una  fascia,  ed  una  ha  al  braccio  dritto  come 
premio  militare  l'armilla  ('),  una  poi  al  piede  un  calzare  che  direbbesi  la  caliga  del 


l'io.  9. 


soldato  romano,  ed  una  tende  scudo  e  gladio,  volgendo  il  capo  nell'atteggiamento 
ritmico  di  una  danza  coribantica,  come  nel  noto  rilievo  capitolino  (*).  E  così  una, 
l'ultima,  pare  che  sfidi  e  combatta,  una,   la  quinta,   par  che  si  raccolga  e  difenda, 

(l)  V.  dona  militarla  in  Daremberg  et  Saglio.  Non  fa  difficoltà  il  fatto  che  Varmilla  sia 
qui  portata  al  braccio  piuttosto  che  al  polso.  Non  é  men  vero  che  è  la  sola  Vittoria  che  abbia 
quell'ornamento  e  che  ciò  deve  avere  il  significato  da  noi  datogli. 

(*)  Beinach,  Répertoire  de»  Relief»,  III,  201-2. 

Notizik  Scavi  1916  —  Voi.  XIII.  58 


POMPEI  —    444    —  REGIONE    1. 


una,  la  terza,  pare  che  tenda  in  dono  e  mostri  lo  scudo  sannita,  una,  come  abbiam 
detto,  pare  che  danzi,  una,  infine,  quella  che  ha  l'armilla  al  braccio,  pare  che  inceda 
e  riposi  dopo  la  battaglia. 

Nessun  dubbio  che  queste  alate  figure  volanti  ed  armate,  così  come  i  grandi 
trofei,  rivelino  nella  nostra  grande  sala  quadrata  un  edificio  di  carattere  esclusiva- 
mente militare  e  che,  anzi,  così  le  une  come  gli  altri  debbano  riferirsi  senz'altro  e 


Fio.  10. 


più  strettamente  ad  una  sala  di  armi.  Il  grande  armadio,  di  cui  abbiam  potuto  sco- 
prire i  resti,  non  consente  su  ciò  alcun  dubbio:  che  anzi  è  la  più  evidente  conferma 
di  quanto  quelle  speciali  figurazioni  avevano  chiaramente  indicato.  Sventuratamente 
sono  mancati  i  trovamenti  di  armi  o  di  altro  a  darci  una  maggior  luce  sopra  una  iden- 
tificazione più  precisa  di  questa  sala  di  armi  che  chiameremo  un  armamentarium  (1). 
Ma  neppure  questi  trovamenti  sono  mancati  del  tutto.  Sono  stati  rinvenuti  infatti  fra 
il  lapillo:  la  parte  esteriore  di  un'impugnatura  di  avorio  rappresentante  una  testa 
di  Minerva  energicamente  modellata  (fig.  10)  ed  un  bustino  di  bronzo  anch'esso 
di   Minerva   assai   bene   conservata,   l'uno  e  l'altra  perfettamente    rispondenti  ad 


(*)  Orelli-Henzen,  975,  3586.  Ve  ne  erano  in  Roma,  in  Italia,  nelle  Provincie.  Armamen- 
taria  publica  li  chiama  Cicerone  e  li  definisce  come  depositi  di  anni  da  dare  al  popolo  (Eab.  per- 
duell,  7).  Esistevano  tcribae,  architecti,  praefecti  armamentarii. 


REGIONE    I. 


445    — 


POMPEI 


un  ambiente  guerriero;  inoltre  alcuni  bronzi  e,  cioè,  la  bocca  di  una  serratura, 
alcune  maniglie,  ed  un  ariete,  tutti  appartenenti  ad  una  piccola  cassaforte  insieme 
con  una  targa  che  ci  ha  rivelato  il  nome  di  un  nuovo  bronzista  che  lavorò  quei 
bronzi  (fig.  11).  L'iscrizione  dice:  Q_:  SERVILI VS  FECIT.    Dna   impronta   di   brevi 


Fio.  11. 


traverse  in   legno  e  due  piedi  di  bronzo  ci   dicono  inoltre  che  ivi   fu  anche  un 
seggio  abbastanza  ornato. 


Di  più  non  possiamo  precisare  intorno  a  questo  nobile  ambiente  se  non  per  via 
di  esclusione.  E,  di  fatto,  l'assenza  assoluta  negli  affreschi  dei  pilastri  di  quelle  che 
furono  le  caratteristiche  armi  gladiatorie  ci  autorizza  senz'altro  ad  escludere  la  iden- 
tificazione con  un  armarne ntarium  gladiatorium. 

Anche  a  voler  ritenere  che  dalle  rappresentanze  pittoriche  dei  trofei,  tratte  ormai 
da  schemi  fissi  e  da  esemplari  celebri,  nulla  possa  inferirsi  della  destinazione  precisa 
della  sala,  non  è  alcun  dubbio  che,  dove  essa  fosse  stata  un  armamentario  di  già- 


POMPEI  446    REGIONE    I. 

diatori,  non  poteva  mancare  in  quelle  insegne  esteriori  la  sostituzione  di  armi  gla- 
diatorie al  posto  di  quelle  di  trofei  barbarici:  l'elmo  gladiatorio,  per  esempio,  al 
posto  di  quello  gallico  cornuto,  e,  al  posto  di  àncore  navali,  il  tridente,  gli  schinieri 
il  galero,  la  rete.  Dove,  infatti,  chiaramente  in  Pompei  apparve  una  ornata  sala 
gladiatoria,  apparvero  anche  trofei  di  armi,  sul  cui  significato  gladiatorio  non  può 
cadere  alcun  dubbio  come  può  vedersi  nella  riproduzione  (tig.  12)  che  io  dò  della 
parete  e  di  quei  trofei  da  un  unico  acquerello  contemporaneo  del  Morgen,  rinvenuto 
fra  carte  abbandonate  nei  magazzini  del  Museo  (').  Di  tutto  ciò  nessuna  traccia  né 
nei  nostri  affreschi  né  nelle  Vittorie,  dove  di  gladiatorio  non  appare  che  la  sica,  la 
quale  fu  anch'essa,  prima  che  gladiatoria,  un'arma  tracia  e  che,  ad  ogni  modo,  potrebbe 
indicare  una  qualche  relazione  che  questa  sala  di  armi  avesse  anche  con  i  ludi  gla- 
diatorii  o  l'attributo  di  una  speciale  Vittoria,  la  Vittoria,  per  l'appunto  dei  gladia- 
tori o  dell'anfiteatro. 

Si  presenta  dopo  ciò  spontanea  l' ipotesi  che  la  nostra  sala  fosse  stata  destinata  ad 
un  armamentario  della  Colonia  Pompeiana,  una  sala,  cioè,  dove  si  conservasse  quello 
che  una  iscrizione  di  Verona  ricorda  come  l' instrumentum  Veronensium  (2).  inten- 
dendo qui  per  instrumentum  quanto  poteva  riguardare  non  solo  la  difesa  dagli  incendii, 
ma  anche  le  armi  cittadine  che  ivi  si  conservassero  per  una  piccola  milizia  munici- 
pale o  anche  per  i  casi  di  più  grosse  leve  di  armati  municipali.  La  qualità  di  prae- 
fectus  vigilum  et  armorum  che  troviamo  in  una  iscrizione  di  Nimes  ci  dà  il  carat- 
tere per  l'appunto  degli  armamentario,  dove  quello  instrumentum  municipii  o  coloniae 
veniva  conservato  (3).  Le  colonie  ed  i  municipii  avevano,  come  è  risaputo,  queste 
milizie  municipali,  il  cui  scopo  principale  era  quello  della  polizia  cittadina,  di 
allontanare  i  latrocini,  di  spegnere  gli  incendii"  di  tenere  a  freno  il  più  che  possibile 
per  l'appunto  la  tracotanza  dei  gladiatori  e  così  via.  Tali  milizie  municipali  non  ci 
sono  abbastanza  note;  ma  non  è  dubbio  che  in  Italia  e  dappertutto  esse  esistes- 
sero (4).  Nessuna  traccia  di  esse  ci  hanno  lasciata  in  Pompei  le  iscrizioni,  per  quanto 
la  loro  natura,  qui  come  altrove,  non  ne  comportasse  una  durevole  memoria.   Ma 


(l)  I  trofei,  non  secondo  la  loro  disposizione  sulla  parete,  furono  pubblicati  la  prima  volta 
dal  Minervini,  Bull,  nap.,  n.  s.,  1853,  pag.  98  e  sgg.,  tav.  VII,  ma  la  riproduzione  risultava  assai 
diversa  dall'originale. 

Nello  stesso  Bull,  nap  ,  a.  s.,  1859,  tav.  VII,  ne  fu  pubblicato  un  disegno  più  accurato.  Nel 
Daremberg  et  Saglio  (art.  Gladiator,  pag.  5179)  disgraziatamente  fu  riprodotto  il  primo.  V.  anche 
Niccolini,  I,  tav.  I,  della  Caserma  dei  Gladiatori.  Questo  acquarello  inedito  del  Morgen  è  il  solo 
che  riproduce  la  parete  della  sala  con  i  trofei  ancora  inquadrati  nella  decorazione  e  fedelmente 
riprodotti.  Staccati  e  conservati  nel  Museo  sono  ora  irriconoscibili.  Il  Carnicci  (Bull,  nap,  loc.  cit., 
pag.  100)  ci  dà  notizia  di  questo  acquarello  che  era  scomparso.  «  Quella  stanza,  così  egli  scrive, 
«  assai  più  larga  delle  altre  ed  affatto  aperta,  verso  il  cortile  aveva  quattro  dipinti,  che  scoperti 
«il  14  febbraio  1767  furono  fatti  disegnare  dal  Morgen  e  poscia  il  7  marzo  staccati  e  collocati 
«  nel  Museo  ». 

(»)  G.I.L.,  V,  3387. 

C)  Cagnat,  De  Municipal.  et  provincialibus  militili,  pag.  7  e  seg. 

(4)  Cagnat,  op.  cit.  ;  Marquardt  nell'ed.  frane,  voi.  XI,  pag.  272  e  sgg.  j  e  Cagnat,  in  Diction. 
des  ant.,  di  Daremberg  et  Saglio,  pp.  1893-95. 


REGIONE  I. 


—   447 


POMPEI 


non  può  essere  dubbio  che  anche  in  Pompei,  come  in  tante  altre  città  d' Italia,  se 
non  una  permanente  e  numerosa  milizia  municipale,  dovesse  essere,  oltre  che  un 
armamentario  per  dette  milizie,  un  piccolo  corpo  di  esse  che  ne  tenesse  in  guardia 
la  sede. 

È  certo  difatti  che  nella  sala  di  armi  da  noi  rinvenuta  dovette  risiedere  anche 
permanentemente  un  corpo   di   guardia.  Il  vasto  quadrato,  tutto  circondato  di  armi 


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Fio.  12. 


gelosamente  custodite  in  un  sontuoso  armadio  dorato  e  con  pareti  così  bellamente 
decorate,  aveva,  nel  suo  vasto  ingresso,  non  una  delle  consuete  chiusure  fatte  anche 
più  robuste  da  serae,  pessuli  e  repagula.  L'accuratissimo  scavo  ci  ha  permesso,  invece, 
di  scoprire  che  il  largo  vano  non  era  chiuso  se  non  da  un  cancello  di  legno  e  da 
questo  anche  solo  fino  ad  una  certa  altezza;  particolare  questo  più  che  decisivo  per 
concludere  che  quel  luogo  e  quelle  armi  dovessero  necessariamente  essere  affidate 
ad  una  guardia  costante  che  ivi  dovesse  risiedere  a  custodire  l'uno  e  le  altre.  Noi 
infatti  abbiamo  rinvenuto,  all'altezza  di  circa  m.  8  dal  piano,  la  impronta,  in  alto, 
di  un  grande  architrave  che  dall'una  parete  all'altra  era  chiamato  a  ricevere  i  vari 
battenti  della  grande  chiusura,  e  al  disotto  di  questo,  i  residui  di  un  cancello  che 
chiudeva  tutto  il  vano,  penetrando  fin  dietro  i  pilastri  laterali.  Il  calco  assai  bene 


POMPEI  —    448    —  REGIONE    I. 

riuscito  di  quel  che  resta  del  cancello  (Mg.  13),  le  ferramenta  ricuperate  nella  cenere 
e  nel  lapillo,  le  osservazioni  minuziose  fatte  sulla  soglia  marmorea  ci  permettono 
di  descriverlo  e  ricostruirlo  quasi  perfettamente. 

Esso  era  formato  a  bei  rombi  da  grandi  traverse  di  legno,  borchiate  agli  incroci 
delle  traverse,  e  ferrate  alle  estremità.  L'architrave  cui  poggiavasi  aveva  fregio  e 
listello.  Nel  mezzo  era  la  chiusura  dei  due  battenti  mediani,  forse  nascosta  da  un 
pilastro  centrale,  ma  la  soglia  non  ha  a  questo  punto  foramina  o  claustra  per  acco- 
gliere pessuli  o  cardini.  Cosi  che  il  cancello  dovette  essere  necessariamente  uncinato 
all'architrave  e  fissato  a  un  grande  riquadro  di  legno  mediante  appunto  anelli  ed 
uncini,  gli  uni  e  gli  altri  rinvenuti  difatti  ai  piedi  di  esso  in  numero  adeguato, 
mentre  non  fu  rinvenuta  alcuna  cerniera,  né,  sulla  soglia,  alcun  canale,  in  cui  i  vari 


Fio.  13. 


battenti  potessero  scorrere,  secondo  il  più  comune  sistema  pompeiano.  Dovette  quindi 
esservi  una  apertura  mediana  a  due  battenti,  divisa  quasi  certamente  da  un  pilastro 
centrale,  della  misura  di  m.  4,05,  e  due  aperture  laterali,  visibili  dal  fronte  per 
m.  1,30  circa  ciascuna  ('),  nascondendosi  il  resto  del  cancello  dietro  i  pilastri. 

È  un  adattamento  che  ci  è  ricordato  con  singolare  somiglianza  dalla  decorazione 
di  un  antico  monumento  pompeiano  A  dritta  della  via  delle  Tombe,  una  di  esse  fra 
le  più  anticamente  scavate  presenta  su  i  suoi  quattro  lati,  riprodotto  a  rilievo  nello 
stucco,  l' ingresso  ad  un  edificio  di  somiglianza,  come  abbiam  detto,  quasi  perfetta 
con  il  nostro.  Sul  fronte  principale  è  un  grande  vano  fra  pilastri.  Un  architrave, 
sagomato  precisamente  come  il  nostro,  collocato  ad  una  identica  altezza,  lo  attra- 
versa dall'uno  all'altro  lato,  poggiandosi  ai  pilastri,  ed  un  cancello  lo  chiude  in 
tutta  la  sita  larghezza;  ed  il  cancello  ha  rombi  borchiati  precisamente  come  il  nostro 
ed  è  diviso  in  tre  aperture  nelle  facce  laterali,  in  quattro  da  tre  pilastri  nel  fronte. 
Tale  decorazione  è  appena  pallidamente  visibile  nello  stato  presente  della  tomba,  ma 
il  Mazois  ce  ne  ha  conservato  il  disegno  che  qui  riproduco  (fig.  14).  11  cancello, 
nelle  facce  laterali  della  tomba,  è  tutto  chiuso  così  come  era  il  nostro  nel  momento 
della  catastrofe  Ma,  nel  rilievo  del  fronte  tombale,  esso  è  aperto  nella  parte  centrale 

(')  Tale  particolare  è  stato  rivelato  da  alcune  macchie  e  corrosioni  di  ruggine  che  si  trovano 
in  parti  equidistanti  sulla  soglia  marmorea  e  lasciano  supporre,  a  quel  posto,  degli  stanti,  le  cui 
teste  di  chiodi  dovettero  produrle. 


REGIONE    I. 


—    4491— 


POMPEI 


per  lasciar  passare,  da  un  lato  del  pilastro  centrale,  un  guerriero  armato  di  tutto 
punto  con  scudo  imbracciato  ed  il  suo  cavallo,  un  eques,  e,  dall'altro,  un  milite  a 
piedi  non  altrimenti  identificabile  :  ciò  che  costituisce  un  prezioso  elemento  così  per 
la  illustrazione  della  rappresentanza  tombale  come  un  riferimento  solenne  di  essa  al 
nostro  armamentarium  (1).  Non  è  dubbio  infatti  che  il  proprietario  di  quella  tomba, 
che  fu  un  Lucio  Ceio  Labeone(2)  volle  ricordare,  nella  decorazione  quattro  volte 
ripetuta  di  quell'ingresso  singolare  come  nella   rappresentanza  del  guerriero  che  esce 


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Kig.  14. 


di  là  armato  di  tutto  punto,  un  particolare,  una  carica  della  sua  vita.  Egli  fu,  dunque, 
un  miles,  anzi  più  specialmente  un  miles  eques. 

Ma  poiché  la  iscrizione  non  ricorda  se  non  la  sua  carica  di  duumviro  iure 
dicundo  e  quinquennale  non  possiamo  vedere  nella  rappresentanza  guerresca  della  sua 
tomba  se  non  una  sua  carica  di  milizia  municipale.  Che  se  la  tomba  di  Lucio  Ceio 
ci  richiama  al  nostro  monumento,  non  è  un  caso  forse  che  questo  a  sua  volta  ci  richiami 
la  famiglia  Ceia  (3).  Sul  suo  pilastro  di  destra,  infatti,  fra  gli  altri  programmi  elet- 
torali, uno  ne  è  comparso    che   raccomanda  per  l'appunto  il  nome   di    un  M.  Ceio 


(1)  Mazois,  Le»  ruines  de  Pompei,  I,  tavv.  16-17. 

(2)  C.  I.  L.  X,  1037. 

(3)  Della  Gens  Oeia  pompeiana,  vedi  iscr.  in  G.l.L.  X,  909,  1037,  1038,  1039-40   e  8042; 
IV,  6780,  6054-6057,  5800,  e  per  le  candidature  IV  passim  ed  ora  le  relazioni  dei  nostri  Scavi. 


POMPEI  —    450   —  REGIONE    I. 

Secondo,  di  quella  famiglia,  quasi  che  il  candidato  volesse  essere  ricordato  là  dove  il 
suo  illustre  antenato  ebbe  carica  e  benemerenze,  senza  dubbio  care  alla  famiglia  e  note 
al  paese,  se  la  tomba  volle  commemorarle.  A  noi,  ad  ogni  modo  —  ed  è  questo  ciò 
che  più  importa  —  quella  rappresentanza  ci  dà  1"  immagine,  quasi  in  ogni  parte 
identica,  dell'edificio  e  dell'ingresso  solenne  che  il  piccone  e  la  ricerca  ci  hanno 
permesso  di  ricostruire  dai  suoi  scarsi  ma  sicuri  elementi,  insieme  alla  sua  desti- 
nazione. 

Vittorio  Spinazzola. 


-  451  — 


INDICI 


INDICE  DEGLI  AUTORI 


Bendinelli  G.  Necropoli  romana  scoperta  a  Città 
di  Castello,  pp.  164-166.  Testa  marmorea 
di  giovane  donna  rinvenuta  a  Poggio  Som- 
mavilla,  pp.  281-284. 

Calza  G.  Scavi  di  Ostia,  pp.  138-148. 
Cultrera  G.   Tomba  a  camera  etrusco-romana 
scoperta  in  Bettona,  pp.  3-29. 

Della  Corte  M.   Scavi  di  Pompei,  pp.  30-35; 

151-158,  284-309. 
Db  Rinaldis  A.  Monili  d'oro  di   età  barbarica 

scoperti   a    Senise  in  Basilicata,  pp.  329- 


Fornari  F.  Statua  marmorea  ed  avanzi  di  an- 
tiche fabbriche  nel  territorio  dell'antica 
Setia,  pp.  181-184.  Avanzo  di  muro  di  cinta 
ed  ambienti  con  mosaici  in  Cori,  pp.  110- 
111.  Frammenti  del  cornicione  del  tempio  di 
Castore  e  Polluce  pure  in  Cori,  pag.  284.  Sco- 
perte in  Roma  e  nel  suburbio,  pp.  95-110, 
123-187,  173-175,  311-320,  389-393. 

Galli  E.  Istrumenti  di  ferro   adoperati  in  età 

romana  nelle  cave  di  marmo  in   Carrara, 

pp.  91-94. 
Gatti   E.   Scoperte  in  Koma  e   nel  suburbio, 

pp.  166-172,  227-229. 
Giglioli  G.  Q.  Scavi  nell'area  di  un'antica  città 

e  nella  necropoli  di  Vignanello,  pp.  37-85. 

Levi  A.  Statuetta  di  Eracle  Bibace  trovata  nel 
territorio  di  Alife,  pp.  111-116. 

Notizie  Scavi  1916  -  Voi.  XIII. 


Lugli  G.  Scoperte  in  Roma  e  nel  suburbio, 
pp.  172-173,  393-398. 

Negrioli  A.  Tesoretto  di  monete  repubblicane 

d'argento   scoperto  ad  Imola,  pp.  159-163. 

Nogara  B.  Appunti  intorno  alle  iscrizioni  di 
Vignanello,  pp.  85-86. 

Orsi  P.  Tesoro  di  monete  greche  arcaiche  rin- 
venuto a  Curinga,  pp.  186-187.  Ricerche  al 
Piano  della  Tirena,  in  provincia  di  Catan- 
zaro, sede  dell'antica  Nuceria,  pp.  335-362. 

Paribeni  R.   Scavi  di  Ostia,  pp.  176-180,  321- 

329,  399-428. 
Pellegrini   G.   Rinvenimenti   nel  territorio  di 

Este,  pp.  363-388. 
Pernier  L.  Tumulo  con   ipogei  paleoetruschi 

sul  poggio  di  Montecalvario  a  Castellina  in 

Chianti,  pp.  263-281. 

Spano  G.  Scavi  di  Pompei,  pp.  117-122,  231-235. 
Spinazzola  V.  Scavi  di  Pompei,  pp.  87-90, 149- 

151,  429-450. 
Stefani  E.  Antichi  sepolcri  in  Terni,  pp.  191- 

226. 

Taramelli  A.  Milliario  della  via  romana  da  Ca- 
rales  a  Sulcis,  rinvenuto  a  Iglesias,  pp.  187- 
190.  Ricerche  ad  Abbasanta,  pp.  235-259. 
Tomba  di  giganti  di  Nussin  o  di  Fontana 
Capudanni  a  Paulilatino,  pp.  260-261.  Città 
nuragica  nel  Logudero  a  Bonorva,  pp.  332- 
334. 

59 


—  452  — 


INDICE  TOPOGRAFICO 


Abbasanta —  tticerche  nel  nuraghe  Losa,  pp.  235- 
254.  Tomba  a  cremazione  presso  il  nuraghe 
Losa,  pp.  254-255.  Dolmen  di  Cannigheddu 
e  S.  Ena,  pp.  255-258.  Tomba  di  giganti  di 
Su  Scrrau  de  S.  Arriu,  pp.  258-259.  Tomba 
di  giganti  di  Su  Cutzu  de  Sas  Molas,  p.  259. 

Alifb  —  Statuetta  in  bronzo  rappresentante 
Eracle  Bibace,  pp.  111-116. 


B 


Bettona  —  Tomba   a    camera  etrusco-romana, 
pp.  3-29. 

nuragica     nel     Logudero, 


Bonorva    —    Città 
pp.  332-334. 


Carrara  —  Istrumenti  di  ferro  adoperati  in 
cave  di  marmo   in   età  romana,  pp.  91-94. 

Castellina  in  Chianti  —  Grande  tumulo  con 
ipogei  paleoetruschi  sul  poggio  di  Monte- 
calvario,  pp.  263-281. 

Città  di  Castello  —  Necropoli  romana  sco- 
perta in  contrada  San  Maiano.  pp.  164-166. 

Cori  —  Scoperta  di  un  avanzo  di  muro  di  cinta 
e  di  due  ambienti  con  mosaici,  pp.  110-111. 
Scoperta  di  alcuni  frammenti  del  cornicione 
del  tempio  di  Castore  e  Polluce,  p.  284. 

Cubinga  (Catanzaro)  —  Tesoro  di  monete  greche 
arcaiche,  pp.  186-187. 


E 


Este  —  Rinvenimenti   vari   nel   territorio   del 
comune,  pp.  263-288. 


Imola  —  Tesoretto  di  monete  repubblicane  di 
argento  scoperto  davanti  al  palazzo  vesco- 
vile, pp.  159-163. 


N 


Nocera  Tirinesk  —  Ricerche    al    Piano    della 
Tirena  sede  dell'antica  Nuceria,  pp.  335-362. 


0 


Ostia  —  Scavi  sul  piazzale  delle  Corporazioni 
nell'  isola  tra  il  decumano  e  la  via  della 
Casa  di  Diana,  pp.  138-148.  Scavi  eseguiti 
nell'area  della  città  durante  il  mese  di 
maggio,  pp.  176-180.  Lavori  di  assetto  e 
piccoli  trovamenti,  pp.  321-329.  Scavo  del- 
l'isola ad  est  dell'area  sacra  del  tempio  di 
Vulcano,  pp.  399-428. 


Paulilatino  —  Tomba  di  giganti  di  Nussin 
o  di  Fontana  Capudanni,  pp.  260-261. 

Poggio  Sommavii.la  (Collevecchio  in  Sabina)  — 
Testa  marmorea  di  giovane  donna,  pp.  281- 
284. 

Pompei  —  Continuazione  degli  scavi  sulla  via 
dell'Abbondanza,  pp.  30-85,  117-122,  149- 
158,  231-235.  Scavi  sulla  via  dell'Abbon- 
danza e  altrove,  pp.  284-286.  Rinvenimento 
di  quattro  sepolti  dal  lapillo  nel  peristilio 
della  casa  di  Trebio  Valente,  pp.  87-90. 
Necropoli  sannitico-romana  scoperta  fuori 
la  porta  di  Stabia,  pp.  287-809.  Di  due 
grandi  trofei  dipinti  sulla  via  dell'Abbon- 
danza, pp.  429450. 


Iglesias  —  Frammento  di  un  nuovo  milliario 
della  via  romana  da  Carales  a  Sulcis,  rin- 
venuto  in   regione  Corungiu,  pp.  187-190. 


Roma  (Regione  II).  Resto  di  antico  edificio  a 
sud  della  via  Annia,  p.  227.  Avanzi  di 
antiche  fabbriche  sulla  via  S.  Stefano  Ro- 
tondo, p.  227, 


—  458 


Boma  (Bigione  IH).  Pilastri,  mura,  pavimento 
presso  la  chiesa  di  S.  Clemente,  pp.  227-228* 

—  (Begione  IV).  Pilastro  presso  via  principe 
Umberto,  pp.  166-167.  Piccolo  sacrario 
presso  la  chiesa  di  S.  Francesco  di  Paola, 
pp.  167-170. 

—  (Begione  V).  Colombario  in  via  Principe  Eu  * 

genio,  pp.  389-393. 

—  (Begione  VI).  Mari  a  reticolati  con  pitture' 

piscina  e  strada  medievale  in  via  Napoli' 
p.  170.  Avanzi  di  edifici,  pozzo  e  cunicolo  nel 
prolungamento  di  via  Milano,  pp.  228-229. 

—  (Begione  Vili).  Bocchio  di  colonna  e  paral- 

lelepipedi di  tufo  in  piazza  S.  Silvestro» 
pp.  170-171. 

—  (Begione  IX).    Costruzioni   antiche  e  marmi 

iscritti  in  via  del  Parlamento,  pp.  393-398. 
Boma  (Suburbio).  Via  Appia  —  Diverticolo   tra 
le  vie  Appia  e  Latina,  p.  171. 

—  —  Via  Latina  —  Galleria  cimiteriale,  p.  172. 

Iscrizioni  sepolcrali  presso  Tor  Fiscale, 
pp.  172-173.  Statua  femminile  nella  Tenuta 
del  Quadraro,  pp.  173-174. 

—  —  Via    Ostiense  —  Scavi    nel    cimitero    di 

S.  Ciriaco  a  Mezzocammino,  pp.  123-137. 
Sepolture  nella  tenuta  Volpi,  p.  175. 

Via  Portuense  —  Terme  con  mosaici  in 

località  Pietra    Papa,    pp.  311-318.   Cippi 


terminali  del  Tevere  in   località   Pian  dne 
Torri,  pp.  318-820. 
Boma   (Suburbio).   Via  Salaria   —    Colombario 
Via  Po,  inpp.  95-110. 


S 


Senise  —  Monili  d'oro  di  età  barbarica,  pp. 
329-332. 

Sezze  —  Statua  marmorea  ed  avanzi  di  antiche 
fabbriche  rimessi  a  luce  nel  territorio  del- 
l'antica Setia,  pp.  181-184. 


Terni  —  Scoperta  di  antichi  sepolcri  nella  con- 
trada «  S.  Pietro  in  Campo  »  presso  la 
stazione  ferroviaria,  pp.  191-126. 


Venosa  —  Iscrizioni  latine  raccolte  e  conser- 
vate in  Bionero  in  Vulture,  pp.  184-185. 

Vignanello  —  Scavi  nella]  città  e  nella  necro- 
poli, pp.  37-85.  Appunti  intorno  alle  iscri- 
zioni, pp.  85  86. 


Erbata  Corrige 


Pag.  109,  linea  prima,,  invece  di  Avonia  •  xprepusavi      leggasi  Avonia  •  prepusavi 


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